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Autore: ___scream    24/09/2016    3 recensioni
[parents!malec - 3642 parole - slash]
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Dove Max vuole diventare uno shadowhunter e i suoi genitori non hanno il coraggio di distruggere il suo sogno, decidendo di non dirgli la verità, fino a quando non è troppo tardi.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Max Lightwood-Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A/N: Questa storia nasce da un headcanon visto di sfuggita su tumblr ma che mi era piaciuto tantissimo! Non mi ricordo l'utente che lo aveva pubblicato/rebloggato, quindi scusatemi :( 
Spero che vi piaccia, è solamente un po' di family light angst/fluff (in più, come mai non dà Rafael Lightwood-Bane come personaggio? Vabbè, comunque c'è anche lui in questa storiella, perché non potevo proprio lasciarlo fuori, aw). 
Buona lettura a tutti!


 


FAMILY BUSINESS

Oh it's magic, you know
Never believe it's not so


 

Max adorava suo padre. Alla follia. Passava le ore ad osservare le rune – sia quelle cicatrizzate che quelle ancora visibili – che gli decoravano la pelle, e sognava il giorno in cui si sarebbe svegliato e le avrebbe viste lì, le avrebbe toccate e avrebbe ricordato con un po' di fierezza il dolore nel farle.

Si chiese se si sarebbero viste in contrasto con la sua pelle blu, ma alla fine non gli importava così tanto – suo padre Magnus diceva sempre che il contrasto blu-nero era il perfetto abbinamento.

Correva in casa addestrandosi con spade di legno, e Alec gli aveva pure regalato un arco giocattolo con cui allenarsi (di cui il presidente Miao non ne era poi così tanto felice, visto che si ritrovava addosso frecce di gomma, tirate dal piccolo padroncino).

Alec lo portava ogni volta con lui in Istituto, anche per lasciare che Magnus lavorasse in pace nel proprio studio. Non era facile conciliare il lavoro da Sommo Stregone di Brooklyn e il suo ruolo di padre, anche se la maggior parte delle volte ce la faceva. Comunque, Alec preferiva non farlo impazzire, portando con sé il figlioletto al lavoro.

Max, poi, adorava andare in Istituto. Si guardava intorno con gli occhi spalancati, grandi quasi come i piattini delle tazzine da tè, si metteva seduto nella sala addestramento e guardava suo padre allenarsi con suo zio Jace.

Poi, Maryse passava per portarlo in cucina, riempiendolo di biscotti appena sfornati e bicchieri di latte e cioccolato. Robert non si faceva mai vedere ogni volta che il piccolo stregone era in Istituto ma Maryse, con le sue cure e il suo affetto per il nipotino, faceva per due. Alec ci soffriva un po', ma alla fine era sempre sua madre a tranquillizzarlo, dicendogli che prima o poi si sarebbe reso conto di tutto quello che si stesse perdendo.

Fatto sta che Max non si stancava mai di guardare suo padre muoversi sul campo di addestramento, che abbatteva tutti i bersagli con movimenti veloci e aggraziati.

Il suo papà shadowhunter era il migliore. Era un eroe, zio Jace e zia Izzy glielo dicevano sempre, e lui ci credeva perché lo vedeva. Vedeva come proteggeva sempre lui e Magnus, ogni qualvolta che si presentasse un possibile pericolo (e come ignorasse le iniziali potreste di Magnus, che sapeva difendersi perfettamente). Alcune persone – più Nascosti che Nephilim – passavano addirittura a casa, ringraziandolo per aver salvato loro la vita.

Molte volte Alec partiva per le missioni, anche dall'altra parte del mondo, e papà Magnus gli spiegava sempre che sarebbe ritornato a casa perché Alec era un eroe.

Alla fine, il fatto che volesse diventare proprio come lui una volta grande, non fu una sorpresa per nessuno. Alec e Magnus avevano detto a tutti i loro conoscenti di non lasciarsi scappare che Max non avrebbe mai potuto diventare uno shadowhunter, essendo un Nascosto.

Magnus più volte aveva avuto l'idea di prenderlo da parte e raccontargli dell'antico potere degli stregoni che gli scorreva nelle vene, proprio come lui. Poi, desisteva ogni volta che Alec rientrava dall'Istituto, con lo stregoncino al seguito che declamava tutte le cose che aveva visto e sentito sul conto di suo padre. Gli shadowhunters erano diventati si più tolleranti nei confronti dei Nascosti, ma il Sommo Stregone di Brooklyn non aveva mai dimenticato del tutto i vari trattamenti che gli avevano riservato.

Non che a Magnus desse fastidio, comunque, il fatto che il loro bambino fosse così entusiasta e attaccato nei confronti del suo papà. Anzi, vedere Alexander così accorto nei confronti del figlio (e suoi) lo rendeva l'essere più felice al mondo. Era la sua famiglia, e amava suo marito e suo figlio più di quanto avesse mai fatto in vita sua – che alla fine erano molti anni alle sue spalle, secoli – non avrebbe mai potuto prendersela.

Quando però poi arrivò Rafael nella loro piccola famigliola, Magnus cominciò a preoccuparsi per Max.

Rafael era uno shadowhunter. Sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe avuto rune su tutto il corpo, mentre Max avrebbe guardato da lontano, odiando la sua pelle blu e la sua magia. Per non parlare delle piccole corna che stavano spuntando da sotto i capelli.

Alec aveva deciso di portarli tutti e due all'Istituto, nonostante Magnus gli avesse ricordato più e più volte che continuare a portare avanti quest'illusione, Max ci sarebbe stato ancora più male.

Jace e Alec cominciarono ad addestrare i bambini in due corsi diversi. Jace si sarebbe preso cura di Rafael, insegnandoli ogni cosa base per essere uno shadowhunter, mentre Alec si sarebbe preso cura di Max, insegnandogli qualche trucchetto e incitandolo ad utilizzare la magia.

Il piccolo stregone dalla pelle blu, però, non ne voleva sapere. Lui non voleva essere uno stregone, voleva essere come Alec e zio Jace. Voleva le rune.

Alec quindi decise di farlo addestrare con Rafael, e allora l'istinto di Max nell'usare la magia compariva sempre più spesso.

A cena, Rafael spiegava a suo padre Magnus ogni suo progresso, mentre Max fissava il piatto con un'espressione abbastanza abbattuta. Max faceva sì progressi, ma non dello stesso tipo del fratello. Ed era una cosa che lo faceva stare abbastanza male.
Le cose peggiorarono quando Rafael ricevette la sua prima runa.

 

“Rafe, farà abbastanza male. Sei sicuro di volerlo fare?”, gli chiese Alec, lo stilo in mano e la spalla del figlio davanti agli occhi.

Rafael si prese qualche secondo per pensarci. “Sì”, rispose infine. “Sì, sono pronto”.

Magnus strinse a sé Max, che fissava il tutto con gli occhi grandi come due piattini da caffè.

Lo stilo divenne sempre più caldo fra le mani di Alec, e quando lo posò sulla pelle del figlio, questi sobbalzò, serrando gli occhi dal dolore. Magnus fece un passo avanti, pronto a portare via il suo bambino, ma Simon lo fermò prendendolo per un braccio. Allora lo stregone si rilassò, stringendo Max a sé.

Alec disegnò la runa del potere angelico con una smorfia di concentrazione e preoccupazione impressa sul volto. Una volta finito, Rafael riaprì gli occhi ora lucidi di lacrime. Spostò lo sguardo sul suo petto, dove la runa faceva la sua comparsa; tracciò il contorno con le dita, rabbrividendo ancora per il dolore.

Alec lo fissava preoccupato, prima di rilassarsi e abbracciarlo. Suo figlio era diventato uno shadowhunter. Aveva sognato questo giorno da quando Rafael era entrato correndo nella sua vita; vedere il proprio figlio scoprire l'onore di ricoprire quel ruolo gli aveva riempito il cuore di orgoglio.

“Congratulazioni, Rafael”, gli sussurrò, accarezzandogli i capelli. Il ragazzino lo fissò con un sorriso smagliante, prima di girarsi e correre nelle braccia di Magnus, che lo abbracciò stretto.

“Circondato da shadowhunters: e come farò io, ora?”, chiese scherzando, scompigliandogli i capelli e sorridendogli smagliante.

Rafael gi sorrise, prima di intenerire lo sguardo. “Grazie, papà. Ti voglio bene”. Magnus riabbracciò il figlio, tenendolo stretto a sé. Decise di ignorare (per il momento) la paura attanagliante che gli aveva stretto il cuore in pugno. Presto, Rafael sarebbe stato là fuori, a uccidere demoni. I Nephilim cadevano ogni giorno, uccisi dalle missioni per cui partivano ogni notte. L'angoscia che già provava per Alec, che usciva ogni notte e tornava solamente alle prime luci dell'alba, sarebbe stata amplificata di ventimila volte. Lasciò andare il figlio, accarezzandogli una guancia con lo sguardo acquoso.

Max abbracciò a sua volta il fratello, guardando la runa con gli occhi spalancati.

“Ora è il mio turno?”, chiese, sprizzante di gioia e di energia.

Magnus e Alec si scambiarono uno sguardo impotente. Magnus chiuse gli occhi e non osò incrociare lo sguardo della sua famiglia.

Si abbassò per arrivare all'altezza di Max.

“Maxi.. ora c'è la festa di tuo fratello. Quando torneremo a casa ne parleremo, okay? Abbiamo molto da dirci”, sussurrò, accarezzando i capelli castani del piccolo stregone.

Max fece per ribattere, ma quando notò lo sguardo di suo padre si ammutolì. Fece un cenno con la testa, prima di essere trascinato via da Rafael e zio Jace, che ricevette uno sguardo di ringraziamento da parte di Alec.

 

*

 

Mentre preparavano l'impasto per la torta, un pomeriggio non molto lontano dalla festa di Rafael, Max guardò suo padre Magnus con curiosità. Non avevano ancora affrontato l'argomento, poiché Alec aveva preferito discuterne prima bene con il marito. Non sapevano come muoversi, come svelare la verità al piccolo stregoncino senza farlo stare male.

“Papà?”, lo chiamò.

“Mh?”.

“Perché non posso avere anche io le rune?”, chiese, con la voce piccola.

Magnus mollò il mestolo nella scodella, sollevando lo sguardo per incontrare quello di suo figlio.

“Max.. Max, non puoi avere le rune perché non sei uno shadowhunter”, gli disse, senza giri di parole. “Sei un Nascosto, proprio come me, uno stregone. E gli stregoni non possono avere le rune”.

Aveva sempre pensato che la verità era meglio dirla tutta insieme, in modo da non prendere in giro le persone. Ma quando vide gli occhi di suo figlio riempirsi di lacrime e scendere lentamente dalla sedia, sentì come se avesse commesso lo sbaglio più grande del mondo.

“Max- essere stregoni è molto meglio, credimi!”, esclamò, cercando di far capire al bambino che essere uno shadowhunter non era tutto nella vita. “Siamo potenti, siamo liberi, non dobbiamo seguire ordini e abbiamo la magia! La magia è un dono, Max, un dono stupendo. E ti scorre nelle vene!”, continuò, inginocchiandosi per essere alla sua stessa altezza. Posò le mani sulle sue braccia, stringendolo delicatamente.

Max stava piangendo. E gli spezzava il cuore vederlo così.

“Max, non c'è nulla per cui piangere”, gli disse, sorridendogli. Gli asciugò le lacrime con le dita, ma queste continuarono a scendere. “Non è una maledizione, è qualcosa di stu-”.

“Non voglio essere uno stregone!”, urlò Max, liberandosi dalla presa del padre e interrompendolo. “Non voglio essere come te, voglio essere come papà Alec! Voglio essere come zio Jace e zia Izzy, come la nonna! Come Rafael, non come te!”.

A Magnus cedettero le braccia e guardò il figlio impotente. “Max..”, sussurrò, cercando di farlo ragionare.

“Mi vergogno di essere uno stregone!”, sbottò per l'ultima volta il bambino, girandosi e correndo nella sua cameretta, sbattendosi la porta alle spalle.

E quel suono fu come lo sparo di un proiettile, che gli colpì direttamente il petto. Si rialzò, passandosi le mani fra i capelli e tirandoli, forte.

Aveva dato tutto a Max, l'aveva cresciuto a pane e magia, leggendogli storie di maghi e stregoni. Ma Max era sempre stato più interessato agli angeli, agli shadowhunters. Perché il suo papà era così, e lui voleva essere come il suo papà, giustamente. Ma anche Magnus era suo padre, perché non poteva prendere lui come esempio? Perché doveva sempre lasciarlo da parte?

Perché non poteva amare quello che erano? La magia che scorreva nelle loro vene naturalmente, rendendoli forti e immortali?

Certo, anche Magnus molte volte odiava la propria magia, maledicendo quell'immortalità che lo differenziava da tutti gli altri. Odiava non poter invecchiare con l'uomo della sua vita, con il suo unico vero amore. Lo odiava, ma alla fine non poteva farci niente.

La magia era parte stessa del suo essere. Era il suo essere. Lui era fatto di pelle, sangue e magia. Erano quelle fiammelle blu a scorrere nelle sue vene, nel suo corpo. A scaldarlo, a farlo vivere. Uno stregone senza magia- è il nulla.

Fece un respiro profondo, tirò fuori il telefono dalla tasca e scrisse poche parole ad Alec.

 

Arrivo subito. Rafe resta a dormire da Izzy e Simon.
-Alec

 

Quando lesse il messaggio, un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra. In quel momento gli serviva la forza di Alexander più che mai.

 

Quando Alec entrò in casa, la trovò silenziosa e piena di energia negativa. Succedeva che, quando Magnus era nervoso, arrabbiato o addolorato, la sua magia si riversasse nell'aria e intorno a lui in scariche negative. Infatti, lo trovò circondato da fiammelle blu che gli ondeggiavano intorno.

Gli si avvicinò, sedendoglisi accanto. Con le dita, gli accarezzò i capelli, districandoli dai nodi che si erano formati. La magia non lo ferì, modellandosi intorno alle sue dita e accarezzandolo. Perfino la magia di Magnus lo amava.

Magnus sollevò la testa, guardandolo dritto negli occhi. La pupilla verticale lo guardava quasi implorando aiuto, accarezzando la linea della sua mascella, le sue labbra, i suoi stessi occhi e qualsiasi altro dettaglio del suo viso.

Gli occhi da gatto bellissimi del marito erano pieni di lacrime ed ebbe un tuffo al cuore.

Restarono in silenzio a guardarsi, mentre Alec si faceva sempre più vicino. Magnus posò la testa sulla sua spalla, respirando profondamente.

“Ha detto che si vergogna ad essere uno stregone. Che non vuole essere come me. Come biasimarlo?”.

Alec gli posò un bacio sui capelli. “Sai che non lo intendeva veramente. Lui ti ama, Magnus – chi non lo farebbe? Sei la persona più fantastica che io conosca”.

Lo stregone sbuffò. “Non vale- tu sei tenuto a dirmelo, sei mio marito”. Quello che fece preoccupare ancora di più Alec, fu che la battuta la disse con la voce tremante. “Cos'ho sbagliato?”, continuò, crollando. “Perché mi odia così tanto? Perché odia così tanto l'idea di essere come me?”. In quel momento, Magnus gli sembrava più vecchio che mai. 

“Ehi, ehi, Magnus. Guardami-”, disse Alec, prendendogli il viso fra le mani. Lo baciò lentamente e profondamente, sentendolo rilassarsi contro il suo corpo. “Tu non hai sbagliato niente”, disse poi, con il respiro pesante. “Ed essere come te, non è altro che una cosa che tutti vorrebbero, perché sei tu il vero eroe”. Gli accarezzò la guancia, baciandolo ancora. “Vado a parlarci io con Max, okay?”. Magnus annuì, gli occhi ancora pieni di lacrime. Ad Alec non sembrava convinto, così lo strinse di più a sé. “Ti amo”, sussurrò. Sentì lo stregone sospirare, prima di stringergli il braccio con forza.

“Anch'io”.

Alec gli lasciò un bacio sulla fronte, alzandosi e dirigendosi verso la camera di Max.

Magnus restò seduto in cucina, piccole fiamme blu che danzavano fra le sue dita.

 

 

Alec bussò alla porta prima di aprirla.

Max era sul letto, sommerso dalle coperte e con la faccia premuta contro il guanciale. La sua schiena si muoveva per colpa dei singhiozzi che scuotevano il suo corpicino.

“Max?”, lo chiamò, entrando e lasciando la porta socchiusa. Si avvicinò al letto con passi lenti e calcolati, sedendosi sul bordo del materasso. Gli posò una mano sulla spalla per farlo girare. Max aveva le guance blu rigate dalle linee delle lacrime, e gli occhi incredibilmente rossi. “Max, parlami. Cosa c'è che non va?”.

Lo sapeva perfettamente cosa c'era che non andasse, ma voleva far capire a suo figlio che non doveva combattere tutto quello, che doveva solamente essere felice di assomigliare così tanto a suo padre.

“Non voglio essere uno stregone”, mormorò, la voce piccola.

Alec sospirò. “Come mai, tesoro? Non mi sembra che papà sia così male”.

Max scosse la testa. “Papà non è un eroe”, replicò.

Lo shadowhunter tolse la mano dalla sua schiena, sbuffando una risatina triste. “No, Max, ti stai sbagliando di grosso”, replicò. “Papà è l'eroe più grande di tutti”, disse. “Sai quante volte ha salvato delle vite? Oh, non ti sto parlando di persone che non conosci. Ma ti sto parlando anche di me, di zio Jace e zia Izzy. Perfino nonna Maryse”.

Max deglutì, fissando il padre mentre raccontava. “Ma lui non è uno shadowhunter. Lui fa magie”, ribatté. “Lui.. l'ho letto sui libri in biblioteca, lui è un demone”.

Alec chiuse gli occhi, pronto a controbattere. Poi, desistette. “Sì, papà è in parte demone. Ma è anche in parte umano. E – essere in parte demoni non è una cosa di cui vergognarsi, anzi”, ribatté lui. Se doveva dire la verità, era meglio dirla tutta insieme. "Non è quella parte demoniaca che rende una persona cattiva".  Poi sospirò, sdraiandosi accanto a Max e prendendolo fra le braccia.

Il bambino si strinse nel suo abbraccio “Ma i demoni sono cattivi”.

“Ma papà non lo è”.

Max fece per ribattere, prima di arrendersi. “No, papà non lo è”, concordò.

“Papà mi ha salvato in così tanti modi, Maxi, che non so neppure elencarteli tutti. Papà è la persona più dolce, affettuosa, straordinaria e intelligente che io conosca”, continuò. “È uno degli stregoni più potenti che esistano. La sua forza e le sue doti magiche sono conosciute in tutto il mondo, e tu non vuoi essere come lui?”.

Max scosse la testa. “Voglio essere un eroe”.

“Ma papà è un eroe, Maxi. Non pensare mai il contrario. Ha combattuto innumerevoli battaglie, molte delle quali accanto a me, e ha sempre messo la vita degli altri davanti alla propria. Non è questo quello che fa un eroe?”.

Il bambino sembrò esitare, prima di annuire. “Sì, è questo quello che fanno”.

Alec gli baciò una delle due corna, delicatamente. “Essere uno shadowhunter non è tutto, amore mio. Come non lo è essere uno stregone. Ma è quello che voi siete, ed è straordinario”.

“E allora perché il nonno non ci parla? O alcune persone ci guardano male e- la signora Whitecrow ha sputato addosso a papà, una volta”, rivelò. “Stavamo venendo a trovarti all'Istituto, quando lei è spuntata dal nulla e ha cominciato ad insultarci. Non ero riuscito a dire niente – avevo paura! E ad un certo punto lei gli ha sputato in faccia. Come se- come se papà non contasse niente”.

Alec si tirò su a sedere, la rabbia che scorreva nelle vene a pari passo col sangue. Cercò di calmarsi, concentrandosi sulle parole non dette dal figlio. “È per questo che non vuoi essere uno stregone, vero? Hai paura”.

Max annuì, distogliendo lo sguardo. “In uno dei libri che ho letto raccontavano cose.. cose spaventose”. Il bambino si avvicinò al padre, prendendogli una mano fra le sue. “Parlavano di- parti di stregoni.. collezionate nei vari Istituti. Perché- perché fanno così?”.

“Perché hanno paura”.

Ma non era stato Alec a rispondere.

Magnus se ne stava appoggiato allo stipite della porta, gli occhi – ironia della sorte – più luminosi del solito. Max non incrociò il suo sguardo, vergognandosi ancora per quello che gli aveva detto prima. Voleva scusarsi, ma non sapeva come.

“Hanno paura di noi perché siamo forti, Maxi, più forti di loro, se vogliamo. Ma, a differenza di alcuni di loro, non usiamo la forza per fare del male. Non li odiamo. Non si possono odiare, i Nephilim. Sono..”, guardò il marito, che lo fissava dritto in faccia, “..angelici. Letteralmente. E non si possono odiare gli angeli”. Alec arrossì allo sguardo di pura adorazione che Magnus gli rivolse. Quest'ultimo si girò verso il figlio, avvicinandosi e sedendosi sul letto. "Maxi, non devi avere paura. I tempi stanno cambiando, e anche se fossimo ancora in pericolo, io e tuo padre non permetteremmo mai che ti accadesse qualcosa di brutto". Il bambino sembrò rilassarsi ad ogni parola, anche se la tensione era ancora palese nella sua postura. "Ti proteggeremo al costo della vita, Max. Lo giuro". 

Si guardarono negli occhi a lungo, prima che Magnus aprisse il palmo della mano, invitando Max a fare lo stesso. Delle fiamme azzurre uscirono da quella di Magnus, mentre fiamme verdi da quella di Max.

Max sorrise felice quando uno sbuffo blu gli si infranse contro il naso, facendolo poi tossire.

“È bellissimo”, ammise. Alzò lo sguardo sul padre, specchiandosi nei suoi occhi da gatto. “Scusami, papà”, sussurrò, sentendo i suoi stessi occhi riempirsi di lacrime. “Non volevo farti soffrire”.

Magnus abbracciò il bambino, che scoppiò a piangere fra le sue braccia. Lo cullò per un po', lasciandogli baci soffici sulla testolina. “Scusami, Max, per non aver capito”, mormorò a sua volta, non lasciando le lacrime uscire dai suoi occhi.

 

Quando si chiusero la porta di Max alle spalle, che si era addormentato per la spossatezza della discussione, Alec si girò verso il marito.

“Perché non me lo hai detto?”, chiese, innervosito, riferendosi all'episodio con la signora Whitecrow.

“Non è niente di nuovo, Alexander. Cose del genere sono capitate in passato, capitano adesso e capiteranno anche in futuro”.

Alec scosse la testa, fronteggiando il marito. Magnus era di un poco più alto di lui, ma quella volta non si sentì in soggezione. Aveva smesso di sentirsi a disagio davanti allo stregone già molto tempo prima. “Devi dirmele, queste cose. Non sopporto che trattino così mio marito e mio figlio. Sono il capo dell'Istituto, devo sapere se qualcuno ancora si ostina a tenere le vecchie tradizioni”, fece le virgolette per le ultime due parole, prima di lasciare ancora le braccia lungo i fianchi.

“L'odio per gli stregoni non sparirà mai del tutto, come neppure quello per i vampiri o i lupi mannari. Devi accettarlo, Alexander. Solo perché tu ne hai sposato uno, non vuol dire che tutti gli altri la pensino come te”, ribatté Magnus, cocciuto. “Fa schifo. Lo so e non c'è bisogno che tu me lo faccia presente ogni volta. Pensi che non mi sia mai sentito umiliato dai comportamenti della tua gente? Mi sento tutt'ora in questo modo!”, esclamò. Si rese conto di aver alzato la voce, così moderò i toni. “Ma cosa dovrei fare? Correre dietro le gambe di mio marito ogni vola che qualcuno mi guarda storto? Non sono fatto così, mi dispiace”.

Alec ringhiò dal nervoso. Gli puntò un dito sul petto, spingendolo leggermente ma con decisione. “Non si parla del tuo orgoglio, qua. Siamo una fottuta coppia, marito e marito, abbiamo una famiglia. Ci si aspetta comprensione e sincerità da entrambi le parti. Ancora, certe volte, mi sembra di essere l'unico a dire tutta la verità, qui”.

Magnus spalancò gli occhi e Alec si ritrasse di poco. Ancora una volta aveva espresso male quello che voleva dire, facendo soffrire Magnus. Rivangare gli avvenimenti successi anni prima, che avevano portato prima ad una rottura e poi alla quasi morte di entrambi, non era mai una cosa giusta da fare e il Nephilim lo sapeva perfettamente.

“Non intendevo dirlo”, sussurrò, più calmo. “Solo.. Magnus, io ho bisogno di sapere queste cose. Non posso sopportare che ti trattino così. Non posso credere che possano.. disprezzarti, quando io ti amo così tanto”, ammise. Serrò gli occhi, passandosi una mano sul viso. “Scusami”, disse poi.

Magnus fece un respiro profondo, avvicinandoglisi. Lo abbracciò, posando la guancia sui suoi capelli. “Mi dispiace. Dovevo dirtelo”.

Alec si strinse di più a lui, posandogli le labbra sulla pelle ambrata del collo. “Ti amo”.

Sentì lo stregone sorridere. “Anch'io, Alexander. Più di quanto abbia mai amato qualcuno”.

E fu tutto quello che bastò per farli tornare sereni.

 

La mattina seguente, quando Max si svegliò, trovò i suoi genitori sdraiati a letto a ridere. Fiammelle blu uscivano dalle dita di Magnus, mentre raccontava chissà quale aneddoto. Alec scoppiò a ridere, sollevandosi di poco per baciarlo.

E mentre le fiamme blu circondavano entrambi, Max pensò che non fosse così male essere uno stregone. 



FINE
 



 

  
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