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Autore: Kore Flavia    25/09/2016    1 recensioni
“Ti ho cercato ovunque!” Esclamò esasperata la giovane, rabbrividendo. Aveva realizzato “solo” qualche minuto in ritardo che “vestita in quel modo si sarebbe congelata in un batter d’occhio”.
Quel gesto le aveva sempre riportato alla mente la figura di un bambino che, curioso, chiedeva mille “perché” anche riguardo cose che di perché semplicemente non ne avevano.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Touko
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Note d'autrice: Torno dopo secoli con questa sottospecie di storia? Tanto valeva non tornare affatto, forse.
Le "vicende" (Ma cosa che è essenzialmente un dialogo?) si svolgono dopo quattro anni dagli avvenimenti del primo gioco. Ed è, essenzialmente, un loro possibile rincontro. 
Avverto subito che per me Touko non è la a little girly girl, ma, anche a causa dell'abbigliamento con cui ci viene presentata (e unica fonte di possibile caratterizzazione del personaggio) la vedo maggiormente come una ragazza piuttosto sicura di sé anche se comunque giovane nella sua maturità: da qua deriva la caratterizzazione affibiatale.
A dire il vero non ho vere e proprie spiegazioni da dare.
In ogni caso spero sia il più corretta possibile e, nel caso così non fosse, gradirei che me lo faceste notare così da correggere subito ^^
Vi lascio alla lettura, allora. 
(Spero non sia un completo disastro, è la prima volta in cui scrivo su questi due e non vorrei averli rovinati)




“Ti ho cercato ovunque!” Esclamò esasperata la giovane, rabbrividendo. Aveva realizzato “solo” qualche minuto in ritardo che “vestita in quel modo si sarebbe congelata in un batter d’occhio”. Si passò le mani dalle spalle fino ai polsi, per tutta la lunghezza delle braccia nude, in un vano tentativo di scaldarsi. Era arrabbiata, furiosa, esausta e contenta di averlo davanti.
Il ragazzo era cambiato: i capelli tagliati, il volto maturato e l’azzurro delle iridi era oramai nitido. I suoi occhi sembravano aver lavato via le insicurezze e le sicurezza e il suo sguardo era divenuto aperto, pronto ad essere stravolto nuovamente. Pronto a vedere deformate le sue certezze attuali.
E poi c’era lui: un piccolo sorriso a sfiorarli le labbra, accarezzandone la pelle delicate. Era quel sorriso l’unica cosa rimasta invariata, l’unico elemento che le ricordasse, anche solo vagamente, della persona che era stata, quella che aveva conosciuto quattro anni prima.
“Tre anni.” Constatò lei in un sussulto. Tre dannatissimi anni in cui non aveva potuto vederlo, parlargli, toccarlo o anche semplicemente viverlo. Tre anni alla sua ricerca: perché lei non era il tipo che lasciava andare ciò che desiderava senza combattere. In fin dei conti aveva lottato per tenersi i propri Pokémon, perché avrebbe dovuto lasciarlo sfuggire?
Sua madre le aveva detto di “Star tranquilla, che un amico torna sempre” e lei aveva sempre taciuto, volendole credere, ma non riuscendo. Si era sempre dovuta trattenere dal risponderle che “Non era un amico e che era partito per sé e per lei e per tutti e ciò non implicava un suo ritorno” che “Stava a lei cercarlo, trovarlo e stringerlo.”
“Io sono tornato l’anno scorso. Tu non c’eri.” Provò a giustificarsi grattandosi una guancia con la mano destra, dispiaciuto, e con l’altra mano che gesticolava disegnando figure nell’aria che solo lui riusciva a vedere. Il sorriso ebbe un cedimento sul lato sinistro, l’angolo scivolò giù in una leggera smorfia, mente l’altro angolo tirava verso l’alto, imbarazzato.
Touko boccheggiò. A causa sua N doveva aver perso un anno alla sua ricerca, come lei aveva fatto con lui.
“L’anno scorso. Ho saputo di Ghecis,” s’interruppe, ingoiando un singulto infastidito nel fondo dell’esofago. L’aveva saputo e non era tornata indietro a risolvere anche quella situazione. L’unica motivazione plausibile era che avesse avuto paura di trovare N di nuovo al suo fianco ad essere comandato da fili invisibili e tessuti in anni di solitudine. Scosse la testa e abbassò lo sguardo, non volle giustificarsi per non essere tornata: non gli doveva nulla del genere.
“N, tutto bene?” Chiese, rialzando il volto e trovando un ragazzo che non conosceva. Un ragazzo tranquillo e limpido nella torbida acqua che era il passato. Ne rimase spaesata e imbarazzata: non le aveva neanche chiesto perché l’anno prima era sparita, perché non fosse tornata. E si scoprì gelosa, anche, sapendo che non era stata lei a “salvarlo” da quel mondo, ma che era riuscito a farlo da solo.
Si era salvato come solo lui sapeva fare: imparando e conoscendo, rinnovando la sua curiosità bambinesca e matura anche di fronte a fatti già saputi. Salvandosi dalle sue contraddizioni e grazie ad esse.
“Sto bene, perché?”
Una domanda così ingenua che le riportò alla mente l’N di tre anni prima. Lo ricordò nel suo piegare la testa di 60° a destra e nel sorridere timidamente chiedendole, questionandole cose che neanche lei sapeva. Quel gesto le aveva sempre riportato alla mente la figura di un bambino che, curioso, chiedeva mille “perché” anche riguardo cose che di perché semplicemente non ne avevano.
“Niente. Niente.” Era incredibile.
E lo era davvero, ne ebbe la conferma immediatamente. Quando le raccontò della ragazza incontrata l’anno prima e di come l’avesse aiutata nel suo ricordo.
“A te ho ostacolato il cammino” spiegò “ e mi dispiace.”
Scrollò i capelli verdi, sciacquando via le scuse.
Allungò una mano verso di lei e la lasciò cadere subito, con un morso al labbro inferiore.
Voleva dimostrarle che ora sarebbe potuto andare avanti da solo, che il suo sostegno non era più necessario. E che sì, lei pure non lo era più. Pensò Touko, stringendo le dita attorno alla tracolla della borsa con rabbia.
Un eroe che non era utile neanche a lui, a lui che le aveva insegnato tutto e che le aveva fatto vedere tutti i colori del mondo: anche quelli sgradevoli, anche quelli nascosti.
I suoi pensieri vennero interrotti con incredibile violenza da una mano che passava tra le ciocche castane con tenerezza. S’irrigidì.
“Li hai tagliati?”
“Si, erano troppo lunghi per viaggiare nella natura.”
“E’ un peccato, era tanto belli.” Poi annuì, “ti stanno bene, comunque”. Il tocco non abbandonò i capelli se non dopo lunghe e molte carezze. La stava trattando come se fosse stata di vetro e, se questo atteggiamento solitamente le avrebbe fatto montare una gran rabbia in gola, con lui era diverso. Per lui era tutto fatto di vetro, compresa lei, compreso se stesso. Erano entrambi fatti di vetro duro e fragile, trasparente ed opaco, bianco e nero.
“Lo so.” Asserì sdegnosa.
“Ne sono felice.” Ecco altri due elementi che non erano cambiati, grazie al cielo: la delicatezza della voce e la rapidità delle parole erano ancora lì. Forse erano elementi smussati, meno spigolosi di prima, ma erano loro, rassicurandola.
Una leggera pressione sulla nuca ad avvicinarlo a lui, la schiena dell’altro inarcatasi e le due fronti si sfiorarono in un attimo e rimasero così. La mano ancora stretta attorno alla tracolla ora si era rilassata, lasciando fiatare la preda.
“E sono felice di vederti come prima.”
Touko sbuffò.
“Guarda che sono cambiata!”
“Le persone non cambiano, lo sai?” La mano aumentò la pressione sulla nuca di Touko, che si limitò ad esprimere il proprio dissenso in un ringhio fintamente infastidito. E la fronte della ragazza accarezzò il naso, fino a raggiungere le labbra del ragazzo. Un bacio leggero si posò sulla pelle.
“Pensala come vuoi, ma tu sei cambiato.”
Si distaccò dal contatto, offesa. Se lei non fosse veramente cambiata? No, questa possibilità era ineccepibile: lei era cambiata, come lo era lui, come lo era Komor, Belle e tutti gli altri. Tutto era cambiato in quella manciata di anni ed era impossibile non rimanere coinvolti da tale mutamento.
“Neanche io sono cambiato.” La fissò gentilmente. “Semplicemente sono cresciuto.”
“Cambiando.”
“Chiamalo come preferisci. Io, personalmente, preferisco chiamarla maturazione.” Mosse un passo dall’altro lato per tornare a mischiarsi tra la folla.
“Va bene. Allora sei “maturato”.” Scimmiottò il suo tono di voce ilare. Quelle discordanze tra loro erano ciò che componevano il loro rapporto e temeva si fossero oramai perdute. E invece no, forse si erano assottigliate, nascoste dietro ad angoli di conversazioni, ma non erano svanite.
“Ora devo andare. Ci sono dei Pokémon che devono ritrovare i propri allenatori.” Il ragazzo si congedò con un sorriso e fece altri due passi verso l’oblio della massa.
“Ciao.”
“Vienimi a trovare alla ruota panoramica. Come hai vecchi tempo.” Cominciò a sparire tra i cumuli di persone, lo stavano inglobando grossolanamente.
“Lo farò.” Lasciò cadere la frase senza ottenere risposta. Poi, un’istante prima di saperlo sparito nel nulla, gridò: “Guarda che io sono maturata!”
Qualche sguardo si girò ad osservarla malamente, con lunghi rimproveri appesi alle labbra. Che si sgolava, questa, disturbando la quiete?
Ma gli stessi vennero subito attratti da un’altra fonte di fastidioso rumore: “Lo sei, quasi non ti riconoscevo.”
Touko scoppiò a ridere, senza un’apparente motivo davanti a quelli sguardi obliqui, tanto da doversi piegare in due. Era rincuorata. Rassicurata dal fatto che entrambi si fossero sentiti a disagio davanti al mutamento dell’altro: all’evoluzione di un Pokémon che non erano riusciti a registrare o studiare e che ora si mostrava nella propria estraneità.
Fortunatamente, però, i Pokémon erano fatti per essere conosciuti e loro l’avrebbero fatto: si sarebbero armati della buona volontà che li aveva sempre caratterizzati e avrebbero imparato a riscoprirsi, a vedere in quei capelli corti e quello sguardo deciso non una minaccia, ma una possibilità unica.


 
   
 
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