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Autore: ClaireOwen    25/09/2016    2 recensioni
[Bellarke - AU]
Clarke scappa da una vita in cui non si riconosce più, Bellamy è perseguitato da ricordi amari con i quali non ha mai fatto i conti.
Le vite dei due ragazzi s'incrociano casualmente: uno scontro non desiderato, destinato - fatalmente - a protrarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buonasera, buongiorno, insomma come volete!
Oggi non non vi anticpo nulla...
Vi dico solo che ho dovuto riscrivere tutto il capitolo perché la chiavetta USB dove lo avevo salvato ha deciso di abbandonarmi così, senza un preciso motivo.
Spero vivamente che sia di vostro gradimento perché ho cercato di mantenere lo spirito nonostante fossi disperata per la perdita dell'originale e ho provato in tutti i modi di rendere giustizia a quello che avevo già scritto, riscrivere qualcosa non è mai una passeggiata, ho avuto paura di perdere l'enfasi ma insomma mi auguro con tutta me stessa che vi piaccia.
Direte me la potevo evitare questa "pappardella" eh!? 
E' che mi piace raccontarvi anche qualche aneddotto che in un certo senso possa farvi affezionare, voi siete stati gentilissimi e deliziosi con me finora e credo di adorarvi, davvero!
Vi ricordo che se volete lasciarmi un pensiero in una recensione non può che rendermi felice.
Ora vi lascio tranquilli alla lettura,
baci,
Chiara.


 



V
 
Era decisamente stupito dal modo in cui aveva salutato la principessa, le sue parole erano uscite in modo così diverso dal solito, niente sarcasmo, niente avversione anzi una sorta di dolcezza che non riconosceva propria accompagnò la frase di buonanotte. Decise di dare la colpa a quell’ultimo rum e pera bevuto alla svelta prima di andare via, Joseph suo fidato capo aveva insistito per offrire un ultimo shottino ai “delinquentelli”.
Aveva passato una buona serata dopo tutto, persino Clarke che con un bicchiere di birra sembrava essersi tramutata in una persona totalmente differente le era apparsa come un’ottima compagnia,  ah la magia dell’alcol!
 
Improvvisamente però ritornò alla realtà: sua sorella, come sempre del resto, l’aveva avuta vinta, si affannò per arrivare in fretta nella sua camera ma una volta lì, la trovò vuota: un moto di rabbia e preoccupazione lo prese.
Erano le tre e le mandò un messaggio, si mise sul divano e accese la televisione che stava passando vecchie repliche di uno scadente reality show, la tenne accesa solo per evitare di addormentarsi. Non avrebbe chiuso occhio prima di veder rientrare la sagoma di O’ dall’ingresso di casa.
Tre ore e mezza dopo di Octavia non c’era nemmeno l’ombra, nessuna risposta né ai messaggi né alle innumerevoli chiamate che li avevano seguiti. Bell non poteva restarsene lì immobile con le mani in mano, aveva già aspettato troppo per i suoi gusti e d’istinto prese le chiavi della macchina di Clarke dal portaoggetti vicino la televisione catapultandosi fuori.
Sostanzialmente le stava rubando l’auto per andare a prendere quella cocciuta di sua sorella ma adesso non riusciva a immaginare alcun tipo di conseguenza di quel suo gesto repentino.
Arrivò al campus in poco tempo, c’erano volantini ovunque e non fu difficile individuare il luogo adibito al party. Si ritrovò così davanti un’enorme edificio dalle pareti bianchissime, la porta bordeaux e lettere greche laminate che pendevano sulla facciata. I bicchieri rossi  abbandonati nel giardinetto circostante confermarono il tutto, corse di fretta e furia all’ingresso scavalcando qualche corpo dormiente che si trovava penosamente accasciato sull’atrio. La porta si aprì con uno scatto non appena girò la maniglia, lo sapeva, e meno male che frequentare il college avrebbe dovuto denotare un’intelligenza sopraffina, chiunque sarebbe potuto entrare in quel luogo e fare razzie. Rabbrividì al sol pensiero di immaginare sua sorella in pericolo ed entrò deciso.
Un tanfo di alcool scadente e vomito lo accolse, cercò di ignorare la nausea che automaticamente lo assalì e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca disperata di O’.
La trovò poco dopo in quella che doveva essere una sorta di sala di ritrovo, era distesa alla meglio su un divanetto in pelle e cingeva il fianco di un ragazzone dalla carnagione scura e dai muscoli fin troppo evidenti. Sperò vivamente che quel figlio di puttana non avesse abusato della sorella mentre verteva in chissà quali condizioni.
Bell le scosse la spalla, la ragazza aprì i suoi occhioni verdi di scatto ma ci mise un po’ a mettere a fuoco la situazione, quando realizzò che davanti a lei c’era il fratello per poco non rischiò di sobbalzare e cadere dal divano.
“Bell cosa diavolo ci fai qui, si può sapere?” disse bisbigliando per non disturbare il sonno altrui e con un tono leggermente preoccupato.
“E hai pure il coraggio di chiedermelo? Mi sono preoccupato a morte.” Tuonò invece lui, noncurante di chi lo circondava.
“Beh ora che hai visto che sono sana e salva potresti anche tornartene da dove sei venuto.”
“Non penso proprio, adesso tu vieni a casa con me e non ci sono storie.”
La prese per un braccio e la obbligò ad alzarsi. Il ragazzo accanto ad Octavia si mosse, la voce profonda ed altisonante di Bellamy era stata difficile da ignorare ma al mancato contatto con la pelle di quella ragazza che lo aveva stregato sin da subito Lincoln si tirò su, aprì gli occhi e a brutto muso vedendo la mano di Bellamy stringere il braccio di O’ disse
“Lasciala – andare – subito” Distanziò le parole per rendere al meglio il tono imperativo.
La piccola Blake dovette intervenire prima che quei due potessero dar vita ad un teatrino davvero imbarazzante fatto di preoccupazione fraterna e gelosia compulsiva.
Scostò con la spalla la presa del fratello, il tutto condito dalla giusta dose di aggressività.
“Tranquillo, questo è quello psicopatico del mio fratellone che adesso, alle sette del mattino, ha deciso che la sua sorellina maggiorenne, deve necessariamente rientrare a casa.”
L’espressione tesa sul viso di Lincoln si rilassò per quanto non gli piacesse il modo in cui quel tizio l’aveva trattata, decise di starsene tranquillo, era ancora annebbiato dalla sera scorsa ma poteva dirsi quasi sicuro che l’ultima cosa che O’ volesse fosse una pseudo rissa tra lui e Blake senior.
Bellamy nonostante avesse notato l’apprensione dello sconosciuto nei confronti della sorellina invece gli ringhiò contro
“Questa è l’ultima volta che la vedi, te lo assicuro.”
E così dicendo la prese in braccio e la portò via mentre la ragazza mandava occhiate che trasudavano scuse infinite al ragazzone rimasto imbambolato sul divano.
 “Cazzo Bell, mettimi giù!”
Il fratello non rispose, la portò così fino alla macchina, la fece accomodare sul sedile e si assicurò persino di allacciarle la cintura di sicurezza.
“Avrei potuto farlo anche da sola, idiota.” Le disse lei non appena il ragazzo prese posto e mise in moto.
“Certo, come avresti potuto mandare un messaggio o rispondere alle chiamate stanotte?”
“Cristo santo, avevo il telefono scarico! E poi non mi sembra che io ti chieda di inviarmi messaggini o che so io quando quello che non rientra a casa sei tu.”
“E’ diverso O’, lo sai bene.”
“No non lo è, potresti fidarti di tua sorella come io faccio con te per esempio.”
“E’ degli altri che non mi fido infatti.”
“Facile così, la verità è che non ho più tredici anni, mettitelo bene in testa e smettila di comportarti come una madre in menopausa. So badare a me stessa”
Sentire parlare Octavia di madri era l’ultima cosa che voleva.
Cercò di cambiare discorso
“Chi era quel ragazzo?”
“Non sono affari tuoi, piuttosto Clarke sa che le hai preso la macchina?”
“Secondo te?”
“Secondo me s’infurierà.”
No, le avrebbe spiegato e Clarke avrebbe capito, ne era sicuro in cuor suo e se fosse stato necessario le avrebbe pagato la benzina che aveva consumato durante il tragitto.  Ma poi era prestissimo, non c’era modo che venisse a scoprirlo probabilmente stava ancora nel mondo dei sogni, ricordò con ghigno la figura di lei quasi barcollante che saliva le scale per rientrare in camera sua.
Non credeva reggesse così poco l’alcol ma da alticcia era decisamente più simpatica.
In ogni caso non ci sarebbe stato nulla da spiegare e nulla da capire.
“Lo trovi divertente?” Gli fece eco la sorella.
-
Luce, una fastidiosissima luce inondava la camera e la costrinse ad aprire gli occhi, con un gesto meccanico prese il cellulare e quando vide che lo schermo segnava le sette e pochi minuti sbuffò sonoramente, avrebbe solo voluto ficcare la sua testolina sotto al cuscino e rimettersi a dormire invece no, lei era Clarke Griffin quel tipo di persona che non riprende mai sonno una volta sveglia.
Si tirò su e si prese il viso tra le mani, stava incredibilmente bene nonostante il momentaneo rincoglionimento da sonno. Dunque tutte le storie che riguardavano l’alcol di sua madre non erano altro che esagerazioni dovute al mestiere. La testa era okay, lo stomaco anche, l’unico rimprovero che dovette farsi risalente alla nottata fu quello di non aver serrato le tende, guardò velocemente la sua figura allo specchio, secondo appunto: forse avrebbe anche dovuto trovare la forza di spogliarsi invece di addormentarsi con i vestiti della sera precedente.
Tutto sommato era andata bene, si disse soddisfatta.
Saltò giù dal letto alla ricerca delle pantofole ed in un battibaleno si ritrovò accasciata sotto di esso: insieme alle ciabatte uscì fuori un post-it giallo
La cena era pronta ma dormivi, scendi quando vuoi, ti lasciamo da parte un piatto. Bellamy (Il fratello di Octavia)”
c’era scritto in stampatello. La bionda si ritrovò a sorridere come una ragazzina, improvvisamente i ricordi della serata riaffiorarono, okay forse sua madre non aveva proprio tutti i torti se ora si ritrovava accucciata a terra a sorridere ad uno stupido foglietto di carta gialla su cui giacevano le parole scritte in una grafia chiara e ordinata che apparteneva al più grande dei Blake. Sentì le gote surriscaldarsi.
Cercò di non pensarci mentre ancora con la testa tra le nuvole preparava il caffè godendosi il silenzio della casa, gli altri probabilmente stavano ancora dormendo.
Un piacevole tepore si originava  dal flebile chiarore mattutino che entrava dalle ampie finestre, Clarke si lasciò avvolgere dall’aria tranquilla che insolitamente inondava la stanza, inspirò a pieni polmoni assaporando quel piccolo momento di personale e necessaria solitudine.
Nonostante percepisse ancora la spossatezza per le ore piccole si godé il silenzio sentendosi dopo tanto tempo libera, padrona di sé e della propria vita, non doveva dare spiegazioni a nessuno e per un attimo pensò di essere davvero sulla strada giusta per trovare un po’ di serenità.
Il rumore delle chiavi nella serratura la distolse in fretta dalla sua contemplazione mattutina, in un attimo i fratelli Blake fecero capolino nella stanza.
“Sei contento adesso che sono al sicuro a casa e di avermi rovinato l’intera giornata?”
Sbraitava O’ che, in men che non si dica, si chiuse in camera sbattendo sonoramente la porta.
Bellamy restò impalato davanti all’entrata.
Clarke lo osservò, aveva un’espressione livida, non lo aveva mai visto così nemmeno quando lo aveva tamponato, il tutto era amplificato da due profonde occhiaie violacee che gli contornavano gli occhi scuri ridotti a fessure, sembrava devastato, poi il suo sguardo individuò le mani strette al petto e riconobbe il portachiavi della sua macchina, ci mise un po’ a realizzare.
“Sul serio Blake? La mia macchina?” Disse più perplessa che in collera
“Ah vedo che il passaggio da Bell a Blake è stato breve, ci sono volute meno di ventiquattro ore, complimenti Griffin penso che tu abbia battuto ogni record.”
Ora Clarke si sentì un mostro. Il tono della voce del giovane non era il solito a tratti ironico e arrogante, no era segnato da un’amarezza di fondo che fece fatica ad ignorare, cercò di recuperare, prese una tazza in più e vi versò del caffè, lo porse al ragazzo e abbassando lo sguardo bisbigliò.
“Senti scusa, lascia perdere, fa come se non avessi detto nulla, tieni, credo tu ne abbia bisogno, senza offesa… hai un aspetto orribile.”
E così dicendo afferrò la sua tazza pronta a ritirarsi nuovamente in camera, cosa che più o meno faceva ogni volta che lei e Bell si ritrovavano nella stessa parte della casa.
Non fece in tempo a fare un passo che si sentì afferrare per la maglietta, la stoffa morbida tirandosi sotto la presa le scoprì una spalla, l’aria fresca le punse quel lembo di pelle nuda, si girò pronta a chiedere all’unica persona che stava con lei nella stanza cosa le stesse passando per la mente ma non appena si voltò si ritrovò quasi a sbattere contro il petto di Bellamy, non erano mai stati così vicini.
In un flash ricordò la sensazione strana che l’aveva assalita la notte precedente quando le loro gambe per un fortuito caso si erano sfiorate.
Calore.
Non era più un ricordo, stava succedendo la stessa identica cosa.
Fece un passo indietro.
No.
Non poteva sentirsi in quel modo, non con Bellamy Blake.
Il ragazzo non le diede il tempo di dire nulla
“Mi dispiace, so che avrei dovuto chiedertelo ma dormivi e mia sorella non era rientrata ancora a casa, mi sono preoccupato, non potevo restarmene qui senza fare nulla, se vuoi posso pagarti la benzina… Resta, ti prego.”
Lo disse tutto d’un fiato e Clarke fu invasa dallo stupore, non poté ignorare facilmente quel Ti prego,  vederlo così preoccupato per la sorella la intenerì, le ricordò suo padre quando ogni sabato sera l’aspettava sveglio sul divano. Capiva quell’apprensione più di chiunque altro perché le era stata sottratta violentemente con la morte di Jake.
Sua madre non aveva tempo per preoccuparsi con i turni in ospedale e tutto il resto.
A dire il vero Abby si era preoccupata di rimettere a posto solo la sua vita, quando le aveva detto di aver accettato il tirocinio della Harvard a Boston lei le aveva detto che era un’idea fantastica. Non un complimento, non un accenno alla lontananza, nulla, come se per assurdo fosse stato meglio separarsi, dopo tutto lei adesso aveva un’altra vita da portare avanti, era troppo presa dalla presenza di Marcus nella loro nuovissima villetta per preoccuparsi dei kilometri che le separavano, per curarsi di fare la mamma ancora per un po’.
Sentì che doveva restare che in quel momento era tutto ciò di cui lui aveva bisogno.
“Hei, non preoccuparti davvero, lo capisco in un certo senso.”
Bellamy sospirò era certo che quella ragazza lo avrebbe capito, lo aveva sentito.
Lei invece non pensava che lo avrebbe mai visto in quello stato ma posò la tazza sul pianale, si affrettò ad infilarsi una felpa e poi gli disse
“Ti va di uscire fuori? Un po’ d’aria ti farà bene”
Il ragazzo annuì facendo strada. Clarke aveva pensato di mettersi seduti al tavolino che aveva notato il primo giorno che aveva messo piede nella casa ma con sua sorpresa vide Bellamy condurla sul retro.
C’era una panchina, si sedettero ed un brivido la scosse, il freddo di Boston era diverso, ti entrava dentro fino alle ossa proprio come lo sguardo di Bellamy anche se adesso il ragazzo fissava la punta delle sue scarpe come se fosse impaurito da ciò che lei potesse pensare vedendolo in volto.
Iniziò lei
“Sai, forse dovresti solo cercare di capirla, comprendo la tua apprensione ma lasciala libera di sbagliare, a volte gli errori sono necessari per crescere.”
Sembrava dirlo più a se stessa.
“Non posso permetterlo. Tu non puoi capire.”
Non lo disse con cattiveria, un velo di tristezza traspariva da ogni singola parola.
“O’ è una mia responsabilità. Siamo soli Clarke e non intendo soli adesso, qui, intendo proprio soli, al mondo.”
Adesso la guardava dritta negli occhi. Era come se le avesse lasciato uno spiraglio di accesso alla sua mente a disposizione, la scelta se aprire quella fessura o meno spettava a lei.
L’istinto prevalse
“Aspetta cosa intendi?”
Bellamy prese fiato e si afferrò le ginocchia con le mani. La ragazza decise di precederlo
“Non sentirti obbligato a dirmi qualunque cosa tu stia per dire.”
Il ragazzo scosse il capo
“Nostra madre è morta di overdose. Octavia aveva tredici anni ma non è questo il punto, la sua morte è stata solo l’apice… Sono stato io a crescerla, Aurora rientrava a casa reggendosi a malapena in piedi. Noi avevamo solo bisogno di essere amati e l’unico modo per sentirsi così, era esserci l’uno per l’altra. Sempre. Ha iniziato a farsi dopo averla data alla luce, quando nostro padre se n’è andato per poi non fare mai ritorno. O’ non lo ha mai visto in volto, come non ha mai provato cosa voglia dire avere davvero una madre che ti ama più di ogni altra cosa. C’è stata troppa sofferenza nella sua vita, voglio solo assicurarmi che non debba essere più così.”
Clarke si sentì una stupida. Come era possibile che quel ragazzo convivesse con un fardello del genere ogni giorno della sua vita? Si vergognò di essersi fatta vedere così vulnerabile il giorno precedente per una stupida crisi post adolescenziale legata ad un ex ragazzo. Non immaginava che dietro quella persona arrogante e un po’ burbera potesse celarsi una sofferenza tale.
“Dio Bell… Io…”
Non sapeva cosa dire ma non voleva stare in silenzio.
“Non fa niente principessa, non è colpa tua e non puoi farci nulla.”
Era vero, ma avrebbe voluto disperatamente essere in grado di farlo stare meglio. Doveva trovare le parole giuste
“Octavia è una ragazza splendida, hai fatto un lavoro migliore di molti genitori. E’ forte Bell, per quel poco che ho potuto vedere, il suo coraggio e la sua vivacità farebbero invidia a chiunque.”
Lui non poté far altro che sorridere e non pensava potesse succedere davvero in quel momento ma Clarke aveva ragione, la descrizione che aveva tracciato di sua sorella le calzava a pennello e lui non poteva che esserne profondamente orgoglioso.
Non fu in grado di dire nulla perché lei ancora una volta prese la parola
“Fidati di lei, è tutto quello di cui ha bisogno adesso.”
“Ho paura di non esserne in grado.”
“Devi farlo per lei, per te, per quello che siete una famiglia, se non c’è fiducia non c’è amore, fattelo dire da una che l’ha capito sulla propria pelle, facendo un gran pasticcio.”
Forse non doveva mettere in mezzo quella stupida faccenda con Finn eppure era la verità, lui non l’amava davvero altrimenti si sarebbe fidato e le avrebbe raccontato tutto, era lei quella che aveva riposto la propria fiducia nella persona sbagliata.
Di tutta risposta lui le prese la mano che teneva poggiata sul grembo, quel contatto la fece trasalire, sentì il suo sangue pulsare dentro ogni singola vena del proprio corpo e le sue guance pallide e fredde avvampare, sperò con tutta se stessa che dall’esterno non si notasse.
“Grazie, davvero.”
Le disse poi la guardò ancora per un attimo e sorridendole nel modo più dolce che avesse mai visto aggiunse
“Dovremmo rientrare, la tua mano è congelata e sinceramente non voglio essere responsabile di aver fatto ammalare la principessa.”
Clarke rise.
Eccolo Bellamy Blake in tutto il suo splendore, era tornato quello di sempre senza che lei avesse avuto il tempo di realizzarlo ma stavolta era contenta di sentire quel tono ironico nella sua voce, era contenta persino di essere stata chiamata per l’ennesima volta principessa, forse ci stava facendo l’abitudine.
   
 
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