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Autore: silbysilby_    25/09/2016    3 recensioni
Jeon Jungkook, un giovane artista in erba, non desidera altro che partecipare alla Galleria dell''Istituto Artistico, un evento solitamente riservato agli studenti più grandi. Quando gli viene data questa possibilità lui mette tutto sè stesso nell'impresa, ma i suoi piani verranno mandati all'aria.
Di chi è la colpa di tutto ciò?
Ovviamente di Kim Taehyung, un ragazzo più grande in cui Jungkook si imbatte una sera di novembre, colto sul fatto mentre vandalizza una parete con i suoi murales.
VKOOK
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi tornata con una nuova storia, la mia prima fanfiction in assoluto! E' una cosina assolutamente senza pretese che ho plottato in una sera di deliri con le mie amiche dopo l'uscita dei corti relativi a WINGS. L'idea di Jungkook pittore e Tae writer era troppo bella per non plottarci sopra qualcosa. Preannuncio già che la storia sarà di cinque capitoli (più un missing moment che chissà se e quando uscirà).
Godetevela, fatemi sapere cosa ne pensate e recensite! Ogni opinione e critica è ben accetta! 
Questo primo capitolo non è un gran che, si entrerà nel vivo della storia con il secondoooo
Se volete seguirmi potete trovare la mia pagina di disegni e fanart su facebook, twitter, instagram e tumblr sotto il nome di @SilbySilbyArt <3
 
Dedicata alle mie Kinderly che non sanno vivere senza spoiler. Spero che la storia valga l'attesa.
 
 midnight meeting

Il cappuccio gli scivolò sulle spalle per la millesima volta e Jeon Jungkook non potè evitare di sbuffare. Cercò di riparare le orecchie dai morsi dell'aria gelida tipica di novembre incassando la testa nella spessa sciarpa che portava al collo, inutilmente. Maledì quella cartellina di cartoncuoio tanto preziosa quanto ingombrante che gli teneva occupate le mani intirizzite.
Avrebbe potuto fermarsi, appoggiarla a terra, calarsi il cappuccio sulla testa e sistemarsi la sciarpa fin sopra il naso, ma non aveva nessunissima voglia di rallentare e rischiare di perdere l'ultima corsa del suo autobus. Continuò imperterrito a camminare a passo svelto tra i marciapiedi desolati e bui, confortato solo da un abbondante cappotto.
Ormai erano le undici e un quarto di una fredda sera di novembre, e tutto quello che Jungkook voleva era tornare a casa. Era di ritorno dall'Istituto Artistico, la sua scuola, dopo aver consegnato giusto in tempo la tela su cui aveva lavorato notte e giorno nelle ultime due settimane.
Quando il suo professore di disegno dal vero aveva annunciato alla classe che, nonostante fossero solo di quarta, alcuni di loro avrebbero avuto la possibilità di esporre alla Galleria dell'Istituto, Jungkook si era lanciato a capofitto nell'impresa: essa organizzava ogni anno due mostre, quella invernale e quella primaverile, dove solo le classi dell'ultimo anno potevano far sfoggio di tutte le loro abilità manuali e grafiche davanti a un pubblico numeroso. Succedeva spesso che i quadri migliori ricevessero offerte da collezionisti privati, o che i giovani autori ricevessero commissioni e offerte di lavoro. Ma al di fuori di tutte le conseguenze pratiche a cui poteva portare, esporre alla Galleria con una propria opera originale era da considerare un onore per ogni studente.
Il ragazzo sorrise tra se, sbuffando una nuvoletta di vapore nell'aria.
Stanco sia fisicamente che mentalmente, infreddolito fino a dentro le ossa e affamato, Jungkook si sentiva leggero come una piuma. Liberarsi di quel quadro, poter finalmente dire di averlo finito e di non poter più aggiungere altri particolari, era il più grande dei sollievi.
Era anche abbastanza sicuro di essere stato all'altezza delle aspettative del suo professore. Non vedeva ragioni per cui non avrebbe meritato la sua occasione di esporre.
Già se lo immaginava: il suo quadro appeso solitario a una parete bianco panna, le persone che passavano e non potevano fare a meno di soffermarsi ad ammirare, le espressioni rapite di mamme, papà, giovani, vecchi, bambini, studenti. Qualcuno che legge il suo nome nella targhetta sottostante e lancia un'esclamazione stupita quando si accorge che l'autore è più giovane di un anno rispetto a tutti gli altri.
Di certo non si illudeva di poter vendere niente, ma forse qualche appassionato si sarebbe segnato il suo nome per il futuro. La Galleria sarebbe stato il suo trampolino da lancio per la sua agognata carriera da pittore.
Ma doveva dare tempo al tempo, nell'attesa che arrivasse il verdetto degli insegnanti e potesse permettersi di fantasticare. Al momento la sua unica preoccupazione doveva essere raggiungere l'autostazione, prendere l'autobus che lo avrebbe portato a casa in una ventina di minuti, riscaldarsi la cena e coricarsi a letto. L'indomani si sarebbe svegliato fresco e riposato, pronto per godersi una classica domenica in famiglia.
E avrebbe fatto tutto ciò se solo si fosse fatto gli affari suoi.
Jungkook prese una scorciatoia, decidendo di tagliare per un immenso parcheggio all'aperto separato dall'autostazione solo dalle strisce pedonali. Era occupato da non più di una quindicina di automobili dormienti la cui carrozzeria lucida rifletteva le luci lontane delle insegne stradali che lo circondavano.
E proprio lì, sotto un lampione mal funzionante, un ragazzo stava vandalizzando la parete di un edificio.
Dava la schiena a Jungkook, ma le bombolette spray strette nelle sue mani erano comunque ben in vista. Ne aveva addirittura una piccola serie allineata ai suoi piedi, i tappi già tolti e ammonticchiati contro un gradino, pronte all'uso.
Il senso del dovere tipico di Jungkook entrò in azione, lo stesso che alle elementari e alle medie lo aveva fatto eleggere come lo spione della classe, costringendolo a dirigersi silenziosamente verso quello che ai suoi occhi non era altro che un delinquente.
Si tenne a distanza di qualche metro, il braccio che non stringeva la cartellina teso davanti a se per mostrare il cellulare come se fosse un'arma. Il fisico asciutto e la folta capigliatura confermarono la prima idea che Jungkook si fosse fatto, ovvero che si trattasse di un ragazzo. Questo lo rassicurò. Mal che andasse se ne sarebbe tornato a casa con un occhio nero.

"Fermati, o chiamo la polizia."
Una voce risuonò ferma e decisa nella quiete notturna facendo sussultare Kim Taehyung. Stava lavorando a questo suo nuovo murales da un'oretta e, assorbito completamente dalla concentrazione, aveva smesso di tendere l'orecchio ad ogni rumore sospetto. Aveva abbassato la guardia comunque, non più abituato a stare sull'attenti da quando il suo amico Namjoon aveva iniziato a fargli da palo. Ma quella notte Namjoon aveva avuto un contrattempo e Tae era troppo ispirato e annoiato per rimanere a casa sua.
E adesso qualcuno lo aveva beccato in flagrante. Era fottuto.
Il sibilo della bomboletta spray si interruppe quando smise di far pressione con il dito.
Indeciso su come reagire, ma soprattutto molto, molto scocciato di essere stato interrotto sul più bello, Taehyung sollevò le braccia sopra la testa senza mollare le sue adorate bombolette. Vedeva chiaramente la sua ombra stagliarsi sulla parete di fronte a lui, la sagoma della sua giacca di jeans che gli scopriva i fianchi. Tenendo la testa bassa si girò, la frangia sugli occhi. Cercò di mettere a fuoco la figura scura dietro al rettangolo luminoso dello schermo di un cellulare mentre il lampione andava a intermittenza.
La sua espressione imbronciata, quella di un bambino colto con le mani nel sacchetto delle caramelle, scivolò in un sorrisetto impertinente quando vide chi lo stava minacciando.
Un ragazzino.
Okay, dall'altezza poteva benissimo avere la sua età ma tutto quello che riusciva a intravedere era un viso pallido, sbarbato, esposto al freddo, i capelli sulla fronte. Lo sguardo gli finì sulla silhouette sottile delle gambe.
E che ragazzino.
Non era niente per cui valeva la pena di agitarsi. Sarebbe stato facile convincerlo della sua innocenza e farlo girare al largo. A meno che a lui e alle sue belle gambe non dispiacesse un po' di compagnia.
"Dai, non c'è bisogno di far tutta questa messa in scena. Non sto facendo niente di male." disse Taehyung, le mani ancora in alto.
Il tono di voce con cui l'altro gli rispose non era quello di uno che si fa abbindolare facilmente. Era deciso, sicuro. "Stai rovinando un edificio pubblico."
"Sto migliorando un edificio pubblico."
"Perciò non hai intenzione di smettere?"
Taehyung sorrise, abbassando una mano solo per pararsi gli occhi. Potè scorgere meglio la linea morbida che delineava gli occhi dello sconosciuto. "Non lasciò mai i miei murales a metà."
Jungkook allora fece spallucce, il movimento camuffato dal cappotto, e si avvicinò il cellulare alla faccia, illuminandosi. "Lo hai voluto tu."
Il classico "bip" elettronico dei pulsanti premuti sullo schermo piatto risuonò nell'aria, subito seguito da un assordante clangore. Taehyung aveva lasciato cadere le bombolette a terra e si era precipitato su Jungkook, tentando di sottrargli il telefono. Jungkook strinse più che potè la presa e i due presero a strattonare il povero aggeggio, a rubarselo di mano, ad afferrarsi braccia e polsi, marcandosi l'uno con l'altro nello stesso modo in cui i giocatori di basket fanno con la palla. Con un ultimo scatto, Tae ebbe la meglio.
Jungkook cadde di sedere sull'asfalto del parcheggio mentre l'altro si affrettava a mettere una distanza di sicurezza tra di loro. La tastiera del cellullare elencava un numero spropositato di cifre premute per sbaglio durante quella loro folle lotta tra mani, decisamente più di quelle richieste dal numero di telefono dei carabinieri. Taehyung le eliminò tutte quante e tenne premuto il pulsante a lato per spegnere in modo definitivo il cellulare, soddisfatto.
Appena vide che Jungkook si era già rimesso in piedi e gli stava venendo addosso come una furia fece l'unica cosa che sperasse potesse rallentare l'imminente disastro; ora che lo aveva anche provocato, se l'altro ragazzo avesse riavuto il suo cellulare (e lo avrebbe riavuto perchè Tae poteva anche divertirsi a spese delle città, ma non era un ladro) per lui sarebbe stata la fine dei giochi. Niente più murales e una bella multa salata da pagare.
Così si mise il telefono nei jeans.
Non nelle tasche. Proprio dentro i jeans.
Per una volta ringraziò il cielo di averne indossato un paio attillato invece dei suoi amati pantaloni larghi e comodi.
Come previsto, Jungkook si pietrificò sul posto, un'espressione schifata sul volto.
Tae finì di allacciarsi la fibbia della cintura, rivolgendogli un sorriso ansimante e vittorioso. Quando si mise le mani sulle ginocchia per riprendere fiato la sagoma rettangolare del cellulare comparve evidente contro il suo interno coscia.
Se questo non era un incubo, allora Jungkook non sapeva cosa fosse.
Andiamo, quante possibilità su un milione c'erano che quella serata finisse così? Non doveva essere lui quello con il coltello dalla parte del manico? Quel che era peggio è che era stato proprio lui a dare il via al tutto. Avrebbe potuto ignorare quel ragazzo, fregarsene del bene pubblico, voltarsi da un'altra parte e tirare dritto per la sua strada. Invece, oltre ad aver già perso tempo, ora gli toccava pure di recuperare quello che gli era stato preso.
Jungkook si sentiva la gola graffiata dal freddo ad ogni respiro, il sudore che si seccava sulla fronte e la camicia appiccicata alla schiena. Non scollava gli occhi dall'altro ragazzo, i nervi che sussultavano ad ogni suo movimento per la paura che se ne scappasse via con il cellulare e tutta le foto e canzoni salvate all'interno.
Il suo occhio da artista, però, andava oltre alla rabbia, oltre a tutto. Si soffermava sul colore incrostato sulle dita di quel vandalo. Sui riflessi nei capelli incredibilmente lisci. Sull'evidente cambio del colorito delle sue gote nonostante il buio. Ma persino l'occhio da artista si alterò un attimo quando vide sparire dietro una curva l'autobus che avrebbe dovuto prendere.
A Jungkook cadde la cartellina di cartoncuoio dalle mani.
L'ultimo autobus della linea giornaliera. Quella notturna sarebbe iniziata passata la mezzanotte.
E i suoi genitori avevano approfittato del fatto che lui non ci fosse per un appuntamento romantico fuori città. E disturbare uno dei suoi amici a quest'ora era fuori discussione. E non aveva soldi con se per pagare un taxi.
Gli venne voglia di piangere.
Stranito dal fatto che non stesse ricevendo suppliche o insulti di nessun tipo, Taehyung sollevò la testa e seguì la direzione dello sguardo di Jungkook.
"Era il tuo..."
"Si, era il mio autobus."
Ci mancava solo che la persona che aveva minacciato di denunciare si mettesse ad avere pietà per lui. Quello sì che sarebbe stato il colmo.
"Tra quanto passa il prossimo?"
"Non passa."
"Hai qualcuno che ti deve un favore?"
"Anche se lo avessi, e non ce l'ho, con che telefono chiamerei?" chiese Jungkook, fulminandolo con un'occhiata. Questo zittì momentaneamente Tae. Si mise le mani in tasca e si fece pensieroso.
Jungkook si ritrovò ad odiare quel lampione alle sue spalle: il volto dell'altro era immerso in una macchia scura, mentre era sicuro che il proprio fosse ben illuminato, vulnerabile.
Il fatto di non poter studiare le sue espressioni verse la concentrazione di Jungkook su tutto quello che gli rimaneva da analizzare. Quando l'altro aprì di nuovo bocca la voce che ne uscì era bassa, profonda. Non l'avrebbe mai associata a un adolescente.
"Se vuoi ti do un passaggio."
Jungkook raccolse la sua cartellina da terra con movimenti rabbiosi. La tastò per controllare che non si fosse piegata nella caduta. "No, grazie."
Beh, Tae non poteva dire di non avere provato ad essere d'aiuto. Se quel ragazzo aveva deciso di fare il testardo non era di certo un problema suo. Non era stato lui a chiedergli di fermarsi. E di certo ridargli il cellulare per farsi venire a prendere e beccarsi una bella multa senza obiezioni sarebbe stato stupido.
Il ragionamento era logico, eppure sentì le zampette infide dei sensi di colpa insinuarglisi su per la schiena.
Taehyung lanciò un'occhiata alla parete dietro di se, vedendo il murales incompleto, gli spray colorati che non aspettavano altro che le sue mani capaci.
Non sarebbe stato molto carino da parte sua neanche fare trovare al mattino un muro dipinto solo per metà, no? Se proprio doveva prendersi una denuncia da un ragazzino doveva farlo per un lavoro che ne valesse la pena al cento per cento. Non si preoccupò del fatto di essere indelicato nei confronti di Jungkook. Tanto non avrebbe potuto odiarlo più di così a quel punto.
Indietreggiò fino a raggiungere la linea di bombolette spray. Ne soppesò una e la spruzzò contro la parete, senza mai dare completamente la schiena a Jungkook. Dato che quest'ultimo sembrava troppo disperato per accorgersi di quello che faceva lui, decise che poteva rimettersi al lavoro.
Si armò di due bombolette, una per mano, e iniziò a scuoterle per bene. La concentrazione calò di nuovo su di lui mentre riprendeva a tracciare linee e colori.
Dopo aver appurato che non ci fossero cabine telefoniche all'orizzonte o passanti, Jungkook si disse che era arrivato il momento di mettere da parte qualsiasi vergogna e riappropriarsi del suo cellulare con le maniere buone o con le cattive. Avrebbe fatto quello che l'altro ragazzo voleva, era disposto addirittura a pagarlo, pur di aver accesso ai numeri della sua rubrica.
Con un passo determinato, Jungkook raggiunse l'altro ragazzo sotto la luce del lampione, fregandosene del fatto che si fosse rimesso a vandalizzare il muro vanificando completamente il suo precedente intervento.
Tae lo sentì arrivare da dietro, ma non si interruppe. Si morse la punta della lingua osservando attentamente la parete dipinta, chiedendosi se una sfumatura verde avrebbe fatto al caso suo. Quando improvvisamente un paio di mani gli circondarono la coscia saltò così in alto che il colore andò fuori dai bordi predefiniti.
Jungkook era chinato sulle ginocchia e adesso che poteva sentire la forma squadrata del suo telefono sotto la stoffa ruvida dei jeans non lo avrebbe lasciato andare per nulla al mondo. Dalla sua espressione paonazza, dal modo in cui i suoi occhi cercavano disperatamente un punto in cui fissarsi che non fossero nè i pantaloni nè la faccia di Taehyung e dal labbro inferiore serrato tra i denti era evidente che si stesse vergognando da morire.
Un grande sorriso divertito comparve sulla faccia di Tae. "Cerchi qualcosa?"
Quella di Junkook diventò di due tonalità più rossa. "Dammi il mio cellulare o non mi muovo."
"A me la cosa va benissimo. Fatti solo un po' più in là, così riesco a colorare."
Jungkook mollò la presa, esasperato. Rifilò uno schiaffo sulla coscia a quel vandalo, più come sfogo istintivo che per fargli male, e andò a sedersi con la schiena contro il muro. Tae lo guardò incrociare gambe e braccia e mettere su il broncio, a un metro dal suo disegno. Finalmente erano entrambi sotto la luce e potè osservare meglio quello che poco prima era solo l'ombra scura di un ragazzo indefinito: era carino. Molto carino.
I suoi capelli erano scuri, leggermente ondulati, e mettevano in risalto i lineamenti morbidi e ancora un po' infantili del viso. Del suo corpo non poteva dire granchè essendo imbottito da cappotto e sciarpa, ma quelle gambe atletiche non delusero le precedenti considerazioni.
Jungkook spostò il suo sguardo ostinato su di lui, facendosi ancora più nero quando si accorse di essere osservato. Tornò a guardare nell'oscurità del parcheggio fingendo di non aver notato quanto gli occhi di Taehyung fossero grandi. Il fatto che quel viso un po' scavato gli fosse apparso attraente doveva essere un gioco di luci. Il modo in cui un angolo della bocca era rivolto verso l'alto non gli aveva assolutamente fatto venire le farfalle nello stomaco. Doveva trattarsi di fame.
Il fastidio nei suoi confronti aumentò a dismisura. "Sei proprio uno stronzo, lo sai?"
Tae ghignò quando sentì l'altro prenderlo a male parole. Scosse una nuova bomboletta per rimediare all'errore fatto poco prima. "Tu volevi denunciarmi per aver fatto un disegnino, non ho potuto fare diversamente."
"Avresti potuto fermarti quando te l'ho chiesto."
"E lasciare la mia opera a metà?"
Jungkook si allungò e afferrò una delle bombolette più vicine. Il modo in cui l'altro piegava quelle sopracciglia definite mentre parlava gli provocava il bisogno di stringere qualcosa tra le mani per impedirsi di prenderlo a pugni. Iniziò a grattare via con l'unghia quella che doveva essere un'etichetta senza staccare gli occhi dal quel profilo elegante. Solo perchè se lo voleva stampare bene in testa, così avrebbe potuto fare il più accurato identikit della storia degli identikit alla polizia, sia chiaro. Tae lanciò un'occhiata alla bomboletta tra le sue mani e risalì agli occhi di Jungkook. Gli ammiccò in un modo che il più piccolo trovò spudorato.
"Vuoi unirti a me?"
Jungkook guardò la bomboletta come se fosse comparsa tra le sue mani per magia. "Spero tu stia scherzando"
L'etichetta. L'etichetta con cui stava giocherellando aveva il marchio dell'Istituto Artistico.
Tutte le bombolette dagli svariati colori davanti a lui portavano l'etichetta dell'Istituto Artistico.
Come in sogno alzò lo sguardo verso Tae, intento proprio in quel momento ad applicare colore a una sezione ancora vuota precedentemente segnata con un indelebile nero. Anche la bomboletta stretta tra quelle dita sottili era marchiata come proprietà dell'Istituto Artistico.
Qualcuno mi dica che non è come sembra, pregò Jungkook. Questa poi.
Solo agli studenti dell'Istituto Artistico era permesso portare a casa il materiale dell'Istituto Artistico.
Questo poteva significare solo due cose: il tizio di fianco a lui poteva aver rubato tutto quanto, dalla prima all'ultima bomboletta.
Oppure... Oppure anche quel vandalo era uno studente dell'Istituto Artistico.
"Dove hai preso tutta questa roba?" chiese, la voce inespressiva.
"Me l'hanno data a scuola per esercitarmi."
Jungkook avrebbe preferito sentire una bugia. Non era possibile. Aveva sempre ritenuto l'Istituto una scuola di altissimo livello, frequentata solo da persone di buona famiglia. Sapeva di suonare cattivo, ma la delusione lo inasprì.
"E dimmi, la scuola ti ha dato anche un permesso scritto dicendo che puoi farlo su qualsiasi superficie tu scelga?"
"I miei murales sono opere gratuite che offro alla città." specificò Tae.
"Scusami, ma la gente non considera degli scarabocchi che gli costeranno cinquanta euro dall'imbianchino opere artistiche!"
Jungkook si pentì di quello che aveva appena detto nel momento esatto in cui chiuse bocca. Non perchè fossero cose che non pensava veramente, ma perchè sapeva per esperienza che ricevere un giudizio del genere da chiunque, che fosse la commessa del supermercato o che fosse Michelangelo in persona, feriva irrimediabilmente qualsiasi persona si ritenesse anche solo un pochino un artista.
Tae non disse niente. La curva della sua mascella si irrigidì appena mentre si chinava sul marciapiede per afferrare uno dei tanti tappi e lo calcava sul beccuccio della bomboletta.
Non sembrava offeso, notò Jungkook. Sembrava solo amareggiato.
Chiuse tutte quante le bombolette e le ficcò in una sacca di cui Jungkook non aveva neanche notato l'esistenza. Forse Jungkook avrebbe dovuto scusarsi. Non lo fece. Avrebbe significato incoraggiarlo e di sicuro non era quello il risultato che voleva ottenere.
Sospirò, combattuto. Si alzò in piedi e spazzò via la polvere dal retro del cappotto alla buona.
"Senti..." iniziò, alzando una mano come per volerla appoggiare sul braccio dell'altro ragazzo per poi battere in ritirata.
Tae notò comunque il gesto e un guizzo di vivacità rinacque nei suoi occhi. "Sta tranquillo. Non basterà certo l'opinione di uno studente di un anno più piccolo per buttarmi giù."
"Come sai che-"
"C'è scritto in bella vista sulla tua cartellina. Già che ci sei puoi aggiungerci anche il numero di telefono e l'e-mail, così la gente saprà come trovarti."
Quest'ultimo commento sembrò riaccendere una lampadina nella testa di Jungkook. Si riallacciò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio, tornando al nocciolo della questione. "E chi risponderebbe, tu o io?"
"Non guardare me. Io di sicuro lo terrei spento. Ti cercherebbe troppa gente e io finirei per avere un coso che vibra ventiquattro ore su ventiquattro nei pantaloni." dicendo questo Tae lo fissò dritto in faccia, deliziandosi del disagio di Jungkook ai suoi neanche troppo sottili doppisensi.
Il più piccolo cercò di darsi una scantata e mise il palmo vuoto rivolto verso l'alto. "Non pensi che io abbia già avuto la mia dose di sofferenza giornaliera e che meriti di riavere il mio cellulare indietro?"
Tae scartò una gomma da masticare presa dalla sacca per le bombolette e se la mise in bocca. Immediatamente l'odore dolciastro della fragola impregnò l'aria. "No."
La voglia di riempirlo di schiaffi assalì di nuovo Jungkook. "Ti giuro che non chiamerò la polizia, voglio solo farmi venire a prendere."
Il writer fece schioccare la lingua un paio di volte e sorrise amabilmente. "Ecco, fosse per me lo farei anche, sul serio. Ma c'è un problema. E' sceso troppo in basso. O mi cavo i pantaloni o non c'è modo di tirarlo fuori da lì."
Fece una pausa ad effetto, soffiando una bolla con il chewingum e facendola scoppiare.
Lo sguardo dell'altro passava a turni dalle sue labbra ai suoi pantaloni, evidentemente cercando una soluzione. Tae sentì la nuca pizzicargli piacevolmente. Dovette trattenersi dal ridere sommessamente alla faccia spaesata di Jungkook quando si mise a fare l'idiota e tentò di coprirsi le cosce con le mani accusandolo di essere un guardone e di ritenerlo un uomo facile che si concede al primo incontro.
Alla fine non ce la fece più e scoppiò a ridere.
Jungkook ormai non capiva più nulla.
Con un ultimo sorriso malandrino, Taehyung gli sfilò di mano la bomboletta spray, l'ultima rimasta fuori dalla sacca. L'agitò nell'aria e con due movimenti veloci firmò il murales ora completo sul muro. Ai piedi del disegno di un bambino inseguito dai mostri che Jungkook non si era neanche degnato di guardare, svettava una "V" scritta in rosso.
"Et voilà." disse riponendo la bomboletta insieme a tutte le altre. Si caricò la sacca sulle spalle e fronteggiò Jungkook.
"Cambiato idea su quel passaggio?"
Nonostante la proposta adesso fosse molto più allettante, il ragazzo si costrinse a rifiutare una seconda volta. Tanto valeva ormai aspettare la mezzanotte e prendere l'autobus.
Quando Tae gli chiese una terza conferma, lo avrebbe quasi detto preoccupato per lui, cosa che definì impossibile. Tae continuava a congedarsi e a trovare nuovi pretesti per restare ancora un minuto, due minuti, tre minuti, un quarto d'ora fino a quando l'autobus della mezzanotte comparve dalla curva da cui era sparito l'autobus precedente. Solo allora, disse di dover proprio scappare.
Cogliendo di sorpresa Jungkook, che già teneva di nuovo la cartellina alla mano, allungò le mani verso di lui e gli sistemò la sciarpa fino a sopra le orecchie, facendogli spuntare solo gli occhi perplessi. Poi Taehyung passò velocemente una mano tra i suoi capelli scompigliandoglieli tutti e infine indietreggiò, le mani ficcate in tasca e la punta del naso gelata.
"Buonanotte, Jeon Jungkook, classe quarta, anno duemilasedici barra duemiladiciassette."
Tae gli diede le spalle e si addentrò nel parcheggio.
Jungkook rimase a fissarlo finchè non divenne un'ombra tra le tante, poi si diresse verso l'autostazione e prese il suo autobus. Seduto tra quelle decine di posti vuoti non potè evitare di chiedersi che diamine fosse appena successo.

* * *

Il telefono sulla scrivania si illuminò ed iniziò a vibrare.
Jin sollevò gli occhi dalla tastiera del computer, le mani scaltre che continuavano imperterrite a battere sui tasti.
Il nome di Taehyung comparve sullo schermo, accompagnato da una foto piuttosto imbarazzante del ragazzo, immortalato mentre sbavava nel sonno. L'umore di Jin migliorò, come ogni volta che vedeva quell'immagine. Salvò il file su cui stava lavorando e si portò il telefono all'orecchio.
"Pronto?"
"Ho bisogno di un favore."
Jin alzò gli occhi al cielo. Tae aveva saltato i convenevoli ed era andato dritto al sodo, come suo solito.
Per scaramanzia Jin salvò una seconda volta il file, si allontanò con la sedia dalla scrivania e iniziò a muovere la testa avanti e indietro per sgranchire il collo. Ora che era stato distratto da quello che stava facendo sentiva il peso della stanchezza intorpidirgli il corpo.
"Il tuo favore non può aspettare domani?" chiese sbadigliando.
Dall'altra parte della linea, dall'altra parte della città, Tae era in piedi di fianco alla sua moto, una mano sulla forma familiare della sella. "Potrebbe, ma io non ce la faccio ad aspettare. Per favore?"
"Lo sai vero che non ha senso chiedere un favore per favore?"
Tae prese a tamburellare con le dita sulla plastica rigida, cercando un suggerimento tra i puntini luminosi in cielo. "Se me lo fai adesso in diretta al telefono domani mattina ti offro la colazione in un posto a tua scelta."
Jin si sentiva già più ben predisposto ad aiutare il suo amico. Già sentiva il tintinnio di tazze e cucchiaini. "Anche se volessi andare in quel posto carissimo dove una fetta di cheesecake costa più di una cena al McDonald?"
Si poteva percepire l'acquolina in gola solo ascoltandolo attraverso il telefono, pensò Taehyung. Sorrise, intenerito dalla facilità con cui si poteva rendere felice Jin. "Amico, se questa cosa va come dico io te ne compro una intera."
Tae contò i sei secondi di silenzio che Jin si concesse per pensare alla sua proposta.
"Andata. Dimmi cosa devo fare."
"Sei ancora amico del direttore dell'annuario scolastico?"
   
 
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