1
«Qui
siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei
matta.»
«Come
lo sai che sono matta?» disse Alice.
«Per
forza,» disse il Gatto: «altrimenti non
saresti venuta qui.»
[Lewis
Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie]
I
ricordi degli Oscuri continuavano a vorticare
nella mente di Emma, un delirio di eventi neri ed emozioni travolgenti
che non
poteva contrastare, mentre precipitava nel turbine e non sapeva dove si
trovava. Non era in grado di liberarsi delle presenze estranee che le
offuscavano la mente. Eventi sanguinosi, orrori, azioni crudeli
compiute dagli
Oscuri le esplosero dietro gli occhi.
Vide
una pila di cadaveri davanti a lei...
uomini e donne, persino bambini... persone innocenti uccise per ordine
di
qualche Oscuro. Vide villaggi in fiamme, spade che cozzavano contro
altre
spade, una maschera a forma di teschio, il baluginare del pugnale,
sulla cui
lama si susseguivano i nomi di coloro che l’avevano
preceduta. Tremotino, Zoso,
Gorgon, Rothbart, Cornelius... Nimue. Anche Lily. Lilith Page. Il suo
nome era
impresso su quell’arma perché lei
l’aveva voluto, perché aveva deciso di
salvarle la vita, riempiendola di oscurità.
Gridò,
pregando che ci fosse qualcuno capace di
liberarla da quell’incubo, ma nessuno rispose. Era sola.
Poi
vecchie memorie si fecero largo in quella
nube lugubre. Tutti gli eventi, da quando aveva salvato Regina fino al
momento
in cui Lily aveva usato la spada per trafiggerla e distruggere
l’oscurità,
corsero davanti a lei, in rapida successione.
E
il film ripartì daccapo. Vide se stessa
neonata e messa in una teca da suo padre. Vide Azzurro ferito dai
soldati di
Regina. La maledizione. Lei che passava da una casa famiglia
all’altra. Lily in
quel supermercato. Lily che le mentiva e gridava il suo nome
sporgendosi dal
finestrino dell’auto. Lei che cancellava la stella disegnata
sul polso. Vide
Ingrid e vide Neal. Vide Henry che bussava alla sua porta.
“Mi
chiamo Henry. Sono tuo figlio.”
Regina
sulla soglia di casa.
“Lei
è la madre biologica?”
“Salve.”
Henry
seduto davanti al mare. Un incendio.
Graham morto tra le sue braccia. Regina che distruggeva il suo cuore e
apriva
lentamente il pugno lasciando che la polvere si disperdesse...
Allora
udì una risata.
La
Salvatrice nel mio regno.
Emma
trasalì. Un’altra coscienza si accostò
alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come
guardare
attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta.
Era
prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella
sua testa senza troppi
riguardi.
Chi
sei? Cosa vuoi?, domandò Emma.
Sono
il padrone di casa, Emma. Di nuovo la
risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. Adesso
sei nel mio
regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il
posto ti piaccia.
Le
presenze oscure si dileguarono e così anche
la voce.
Emma
precipitò nel vuoto.
-
Lily.
Si
mosse di malavoglia. Non voleva sollevare le palpebre.
-
Lily...
-
Uhm...
Stava
sognando qualcosa che riguardava Emma. Emma, una grande casa in riva al
lago,
una telecamera... e draghi. Era un bel sogno, non un incubo, per questo
si
rifiutò di dar retta alla voce che la chiamava. Una parte
del suo cervello
sapeva che, aprendo gli occhi, avrebbe trovato solo cose spiacevoli.
Una
mano la scosse leggermente.
“Lily.
Ti voglio bene, Lily.”
Sospirando,
Lily sollevò le palpebre e incrociò gli occhi
grandi e celesti di Malefica, che
la osservava con attenzione.
-
Che cosa è successo? – domandò, confusa.
-
Sei svenuta. – rispose sua madre.
Lily
girò la testa verso sinistra e vide il traghettatore
dell’Ade. Scorse i cerchi
di fiamma che circondavano il suo sguardo. Scorse il labbro inferiore,
rovesciato infuori, i denti marci, la barba lunga, le narici che
vibravano ed
emettevano bianchi vapori.
-
Non guardarlo. – le intimò Tremotino. Era in piedi
e dava le spalle a Caronte.
Guardava avanti, in attesa che l’altra sponda apparisse nella
fitta nebbia che
li avvolgeva.
Henry,
dal canto suo, stringeva il libro in grembo ed evitava accuratamente
Caronte.
Però avvertiva il peso di quegli occhi. Aveva
l’impressione che lo stessero
invitando a voltarsi, che stessero cercando di persuaderlo ad
immergersi in
essi. Era convinto che, se il traghettatore avesse usato tutto il suo
potere,
avrebbe potuto finirlo con un battito di palpebre. Quindi si
concentrò sul
lungo bastone che utilizzava per spingere avanti la barca.
-
Ci
siamo quasi. – disse Tremotino, ad un certo punto.
Qualche
metro più in là la nebbia si diradava. Comparve
un ponticello di legno sui cui
pali erano montate delle fiaccole. L’imbarcazione si
accostò ad esso e si
incagliò sul fondo. Era impossibile capire che cosa ci fosse
oltre il muro di
nebbia. Tutto era ancora nascosto, buio e silenzioso.
Lily
si alzò in piedi, preparandosi a scendere. Tremotino,
intanto, infilò una mano
in una tasca interna della giacca e ne estrasse un sacchettino di
cuoio. Lo
aprì e lasciò cadere sul palmo di Caronte una
manciata di monete. Oboli.
Il
traghettatore li fece sparire in un secondo.
Città
di Smeraldo. Oz.
Il
tornado si dissolse e Zelena finì gambe all’aria.
Si raggomitolò su se stessa
per proteggere la bambina, che cominciò a piangere e ad
agitare braccia e
gambe.
-
Va
tutto bene. - sussurrò Zelena, scostandosi i capelli dal
viso e guardandosi
intorno per assicurarsi di essere nel posto giusto.
C’erano
un sacco di cianfrusaglie vicino a lei. Pietre, abiti stracciati, una
poltrona,
pezzi di legno che erano forse i resti di qualche abitazione che la
tromba
d’aria aveva sradicato, lenzuola, oggetti di vario genere.
Più in alto, oltre
le chiome degli alberi, la Città di Smeraldo proiettava i
suoi fasci di luce
verde contro il cielo scuro.
Zelena
sorrise, soddisfatta. - Siamo a casa, fagiolina. E senza quella
scocciatrice di
mia sorella a metterci i bastoni fra le ruote.
La
bambina si acquietò e parve fissarla. Tese una mano
minuscola, afferrando un
lembo del mantello di sua madre.
-
Bene,
adesso dobbiamo solo...
Qualcosa
l’azzannò alla caviglia. Zelena, istintivamente,
scalciò per liberarsene e per
tutta risposta ottenne un guaito nervoso. Una palla di pelo grigio
atterrò
sulle zampe posteriori e si ribaltò di lato, per poi
risollevarsi agilmente.
-
Ancora
tu, maledetta creatura pulciosa!
Toto,
il cane di Dorothy Gale, prese ad abbaiare furiosamente contro di lei e
a
mostrare i denti, piccoli e appuntiti.
-
Se
sei da queste parti, significa che anche quella seccatrice si trova nei
dintorni. - Allungò una mano guantata per acciuffarlo, ma il
cane balzò in là,
ringhiando. Allora Zelena usò la magia e in un baleno Toto
si ritrovò ad
agitare le zampe in un comico balletto mentre la strega lo teneva
stretto per
la collottola. - Vedi, fagiolina? Abbiamo trovato anche il nostro
animale da
compagnia. Ti piacciono i cani?
Udì
delle voci in avvicinamento. Una di esse chiamava Toto.
Zelena
vide un cestino ancora intatto tra le cose portate dal tornado, lo
prese e ci
ficcò dentro l’animale, abbassando il coperchio e
zittendo i suoi fastidiosi
guaiti. Poi si nascose nell’ombra.
Fagiolina
emise un gorgoglio, ma poi tacque, come se avesse capito che la
situazione lo
richiedeva.
Dorothy
Gale sbucò nello spiazzo in cui il tornado aveva gettato la
strega, armata di
balestra. Con lei c’erano le due ragazze che le avevano
già dato fastidio a
Dunbroch, quando aveva accompagnato Artù nella ricerca di
quell’elmo magico.
-
Cercavate
me? - disse Zelena. - Vedo che hai raccolto un paio di randagie mentre
ero via,
Dorothy.
-
Attenta,
Zelena. - disse Ruby.
-
Vuoi
metterti ancora contro di noi? - chiese Mulan, dandole man forte. Poi
notò il
fagotto che stringeva fra le braccia. - Ha una bambina con
sé.
-
Già.
Non sarete mica così brutali da attaccarmi mentre ho una
bambina in braccio.
-
Sei
diventata anche una ladra di bambini, adesso? - le chiese Dorothy,
tenendola
sempre sotto tiro.
-
Ladra
di bambini? È mia figlia.
-
Oh, certo. - Dorothy roteò gli occhi, quasi le avesse appena
raccontato la
peggiore delle barzellette.
-
È
vero. - Zelena sfiorò il nasino della bambina, con
delicatezza. - Sai, Dorothy,
tu puoi anche tenerti l’amore del popolo. Io... ho qualcosa
di meglio. Ho mia
figlia. E la mia permanenza ad Oz è destinata a prolungarsi
nel tempo.
-
Vorrà
dire che te la vedrai con noi.
-
Davvero?
E come intendi fare? Vuoi gettarmi addosso una secchiata
d’acqua? Mi sto
liquefacendo dalla paura. - la schernì. - Ah...
un’ultima cosa. Come
risarcimento per esserti messa contro di me anni fa... ho deciso di
prendermi
qualcosa che ti appartiene.
Sollevò
il cestino e lo aprì. Toto mise fuori la testa.
Dorothy
si sporse per prenderlo, ma Zelena richiuse il coperchio. - Ah, no!
Questo lo
tengo io. A meno che tu non abbia qualcosa da darmi in cambio... le
scarpette,
ad esempio.
-
A
che ti servono le scarpette se vuoi restare qui ad Oz?
-
Ad
assicurarmi che non le userai contro di me. E poi sono mie! Me le sono
guadagnate! - La sua voce era diventata stridula come quella di una
ragazzina a
cui avevano appena rubato un giocattolo. Una
ragazzina molto invidiosa. - Il mago le ha
date a me.
-
Il
mago era un buffone. - rispose Dorothy. - Un buffone che hai
trasformato in una
delle tue scimmie volanti!
-
Poco
importa. Quelle scarpette mi appartengono. E tu me le restituirai. Il
cane per
le scarpette. È molto semplice. Hai tempo fino a domani al
tramonto. - Zelena
rise, divertita e infine scomparve in una nuvola verde, portandosi
dietro il
cestino e la sua bambina.
Oltretomba.
Nessuno
di loro sapeva che cosa aspettarsi, se fiamme altissime o un gelo
perenne o un
luogo buio e pieno di baratri e creature pronte ad azzannarli alla
gola.
Tremotino ne aveva parlato come di un luogo orribile...
Tuttavia,
quando le nebbie si diradarono e il lago fu alle loro spalle, quello
che li
attendeva era ben lontano dalle aspettative.
-
Non è possibile. – commentò Malefica.
-
Che cos’è? Uno scherzo? – chiese Uncino,
facendo un giro su se stesso.
Il
cielo sopra le loro teste era rosso e gettava una luce malsana sulla
città.
Su
Storybrooke. L’Oltretomba era uguale a Storybrooke, fatta
eccezione per alcuni
dettagli.
-
Nessuno scherzo, capitano. Siamo nel posto giusto. – rispose
Tremotino,
guidandoli lungo la via principale.
Gli
edifici lungo i due lati della strada sembravano più vecchi.
Alcuni avevano i
vetri rotti o le porte sbarrate da pesanti assi di legno. La torre
dell’orologio era crollata e giaceva semisepolta
nell’asfalto. Le lancette erano
ferme sulle otto e quindici. C’erano auto parcheggiate vicino
ai marciapiedi e
le persone camminavano, da sole o a gruppetti, come se stessero facendo
una
semplice passeggiata.
-
Perché
l’Oltretomba è uguale a Storybrooke? –
chiese Regina, costernata.
-
Queste sono domande inutili. Quello che conta è che tutte
queste persone sono
morte e intrappolate, perché hanno delle questioni in
sospeso. – spiegò
Tremotino.
Nell’aria
ristagnava un odore indefinibile. Non era sgradevole, ma nemmeno
piacevole.
Lily
occhieggiò un uomo davanti alla vetrina di un negozio. Era
impegnato a scrivere
CHIUSO con la vernice spray. Lei lo vide di profilo e, per un secondo,
le
sembrò di conoscerlo. Le sembrò di riconoscere il
taglio di capelli sotto il
berretto che indossava, la giacca di pelle, i jeans un po’
logori, il mento
aguzzo.
Murphy?
Quasi
lui le avesse letto nel pensiero, voltò la testa di scatto e
poi si infilò in
un vicolo.
-
Va
tutto bene? – le chiese sua madre.
-
Sì. – si affrettò a rispondere Lily.
– Quindi anche Emma è qui.
-
Beh, è morta da Oscuro. – le rispose Tremotino. A
giudicare dalla sua
espressione, Lily avrebbe detto che la stesse fissando come si fissa
una
persona che sta mettendo a dura prova la sua già precaria
pazienza. – Non può
che trovarsi qui.
“Perché
dovrei fare qualcosa per te?”
“Perché
in caso contrario potrei dire a Belle che razza di uomo sei. Ho ancora
la
magia. L’avevo anche prima di diventare un Oscuro. Potrei
farcela ad arrivare
da lei prima che tu mi uccida. Potrei anche farle del male
personalmente.”
Lily
non metteva in dubbio che Tremotino la detestasse. Aveva minacciato
Belle e
nominato suo figlio. E Tremotino era un Oscuro. Di nuovo. Aveva il
potere di
tutti gli Oscuri dentro di sé. Era certa che prima o poi
avrebbe scovato un modo
per fargliela pagare.
Ma
a
Lily questo non importava, ora. – Dividiamoci. Emma non
è arrivata da molto.
Forse qualcuno l’ha vista.
-
Vengo
con te. – disse Regina. Si sentiva osservata. Le sembrava che
mille occhi la
stessero scrutando e non era solo dovuto al fatto che i passanti li
stessero
effettivamente fissando, forse perché capivano che non erano
morti. C’era
qualcos’altro. L’opprimente sensazione che ci
fossero altri sguardi puntati su
di lei e che fossero tutti ostili. Alzò la testa, quasi si
aspettasse che il
cielo rosso fosse munito d’occhi. - Prima ce ne andiamo da
questo posto e
meglio sarà.
Lily
ne fu sorpresa, ma non commentò. Decise di avviarsi verso la
tavola calda.
Ognuno
prese una direzione diversa.
Città
di Smeraldo. Oz.
Zelena
raggiunse il palazzo a cavallo di una scopa, spazzò via la
gentaglia che
bivaccava intorno ad esso ed irruppe, gettando le sue guardie nel
panico.
Ognuno riprese la sua posizione e non parlò se non invitato
da lei a farlo.
Nella
sala in cui un tempo aveva incontrato il Mago di Oz c’erano
due uomini con le
uniformi stropicciate che dormivano tra due colonne dorate. Zelena li
afferrò
per il collo e li trasformò in scimmie volanti. Le creature
svolazzarono,
berciando, per tutta la sala, si scontrarono e cercarono di prendersi a
morsi a
vicenda.
Il
tendone dietro al quale il Mago si era celato per molto tempo era
scostato. La
strega armeggiò per qualche minuto con la magia e
creò una culla. Vi depositò
la bambina, avvolgendola accuratamente nella copertina bianca con
ricami verdi
e poi azionò il giostrino appeso sopra la sua testa. Le
minuscole figure sulle
scope presero a girare e a tintinnare.
Zelena
sorrise e concluse infilando il cagnaccio di Dorothy Gale in una
gabbia.
La
bambina, tuttavia, sollevò gli occhi, guardando le due
scimmie volanti e poi il
liquido verde che gorgogliava nelle colonne dorate.
-
Casa. – disse Zelena, allargando le braccia. Si tolse il
mantello e lo lanciò
lontano da sé. Sciolse il nastro che le legava i capelli. -
Non c’è posto
migliore della propria casa, vero fagiolina? Niente sorelle che cercano
di
portarti via tutto. Niente ladri impiccioni che credono di sapere cosa
sia
meglio per te...
Le
porte si spalancarono.
Zelena
formò una sfera di fuoco e si preparò a
scagliarla contro l’intruso. - Che cosa
ci fai tu qui? Non ti sei divertita abbastanza in esilio?
-
Non sono venuta per combattere.
-
Tu
non vuoi mai combattere, Glinda. Anche perché se lo facessi,
moriresti!
La
bambina si agitò nella culla, singhiozzando.
-
Non
ci hai messo molto a farti viva... - continuò Zelena,
chiudendo le dita e
spegnendo le fiamme. Scese di un gradino. - Sei venuta per
un’altra opera di
persuasione? Ci hai già provato una volta. Non ti conviene.
Il
vestito bianco e argento di Glinda mandava barbagli luminosi, colpito
dalle
luci della sala. La Strega Buona del Sud alzò una mano,
quasi la stesse
zittendo. - Credevo fossi morta, Zelena.
-
Ti
piacerebbe, vero? Come vedi, sono viva e vegeta. E sono tornata.
-
Nessuno
di noi vuole combattere. C’è gente innocente,
là fuori. Possiamo trovare un
accordo?
Una
delle cose che detestava di più era proprio il tono benevolo
di Glinda. Un
tempo l’aveva abbindolata con tutte quelle fandonie sulla
possibilità di
cambiare, di essere diversa e non costantemente logorata
dall’invidia e dal
desiderio di vendetta nei confronti di sua sorella. Un tempo Glinda
l’aveva
fatta sentire accettata, l’aveva accolta, offrendole un posto
accanto alle
altre Streghe di Oz... posto che poi aveva ceduto a quella maledetta
ragazzina
venuta dal Kansas!
-
Sparisci,
Glinda. È passata l’epoca in cui mi sono quasi
fidata di te. Non sfidare la mia
pazienza. - disse Zelena, rabbiosamente.
-
Ho
fallito molto tempo fa. - ammise lei, avvicinandosi di qualche passo.
Sbirciò
la culla oltre la sua spalla. - Ho sbagliato e me ne pento, ma tu non
puoi
continuare a terrorizzare questa gente. Hai una figlia, adesso. Devi
pensare a
lei.
-
Ed
è quello che intendo fare, se non mi metterete i bastoni fra
le ruote! - gridò
Zelena.
-
Dov’è
il padre di quella bambina?
-
Il
padre non è affar tuo.
-
Gliel’hai portata via, vero?
Zelena
strinse i denti, fissando Glinda con gli occhi sgranati. Solo allora si
accorse
che non era sola. C’era un uomo, con lei, ma era rimasto sul
fondo, come
un’ombra, una guardia silenziosa che lasciava il lavoro alla
donna dotata di
poteri magici e si limitava a studiare la situazione. Era un uomo alto,
con la
pelle nera e le braccia e il collo ricoperti di tatuaggi a forma di
diamante.
Indossava una giubba di un rosso sgargiante e i pantaloni neri infilati
negli
stivali muniti di speroni. Portava una faretra piena di frecce a
tracolla e
stringeva l’arco nella mano sinistra.
Zelena
sollevò un sopracciglio. - Ti sei trovata una guardia del
corpo, Glinda? Non
una gran scelta, lascia che te lo dica...
-
Lui
è Fiyero, il principe dei Winkie. Il suo popolo e Oz sono
alleati da molto
tempo.
-
Sono
tuoi alleati, vorrai dire. Adesso fuori, tutti e due. Non osate mai
più mettere
piede nel mio palazzo! Dì pure alla tua protetta che il
nostro accordo è ancora
valido. O si presenta qui domani al tramonto con le scarpette o
userò il suo
orribile cane come pelliccia personale!
Toto
prese ad abbaiare. Azzannò una sbarra e tirò,
come se ciò potesse essere in
qualche modo utile.
Glinda
disparve in una nuvola bianca, portandosi dietro Fiyero.
Oltretomba.
Oggi.
Il
Granny’s era inondato della medesima luce rossastra che
opprimeva il mondo
esterno e filtrava attraverso le persiane abbassate. Alcune persone
sedevano ai
tavoli, bevendo cappuccini e caffè o leggendo giornali.
L’orologio appeso alla
parete segnava le otto e quindici, proprio come la Torre crollata.
Henry,
che aveva seguito Lily e Regina, si diresse subito in fondo, imboccando
la
porta che conduceva ai piani superiori. Era pensieroso e molto
concentrato.
Fece tutto come se avesse avuto un piano in mente.
Lily,
intanto, si approssimò al bancone. Dietro di esso, la Strega
Cieca vigilava sul
locale, annusando chiunque vi mettesse piede. Annusò anche
lei e Regina, mentre
i suoi occhi velati fissavano il nulla e gli stopposi capelli biondo
platino le
ricadevano sul viso in un’acconciatura molto discutibile.
-
Questo odore lo conosco! – esclamò, sporgendosi in
avanti, verso Regina. – La
Regina Cattiva! Io sono morta per colpa tua e di quei maledetti
bambini! Hai
portato con te anche Hansel e Gretel? Il forno sul retro è
pronto!
Più
di una testa si voltò di scatto nella loro direzione.
-
Dall’odore non sembri affatto morta, il che è un
vero peccato. E con te... beh,
non sono quei ragazzini. – Qualche altra annusata in
direzione di Lily. - È un
odore nuovo. Carne fresca. Giovane.
-
Non siamo morte. – precisò Regina. La sensazione
di essere osservata si era
fatta ancora più pressante. – Stiamo cercando una
persona.
-
Oh, una persona! E chi? – chiese la Strega Cieca.
-
Si
chiama Emma. – disse Lily, in fretta. –
È arrivata da poco. Lei è...
-
La
Salvatrice! – esclamò la Strega, sbattendo lo
straccio sul bancone.
-
L’hai vista? – domandò Lily. –
Sai dirci dov’è?
Regina
sentì che il cuore balzava in avanti.
-
Beh, no! Ma quel nome è molto famoso da queste parti.
Crudelia non ha fatto
altro che lamentarsi del modo in cui la Salvatrice l’ha
uccisa. – Rise, come se
avesse appena fatto una battuta molto spiritosa. – Che cosa
ti porto, intanto,
Lily? Pan di zenzero? Dei bambini?
Lily
aggrottò la fronte.
-
Scherzo. – precisò la Strega. – In ogni
caso, non posso aiutarvi. Non è passata
di qui. Non ancora. Però il pan di zenzero non è
male, te lo assicuro. Per te
niente, Regina Cattiva, sia chiaro!
Il
campanello del Granny’s trillò. Un uomo si
fermò davanti alla porta,
sistemandosi il colletto della giacca e puntando gli occhi argentei su
di loro.
Non
si era affatto sbagliata.
-
Murphy. – disse Lily, mentre avvertiva tutti i muscoli del
suo corpo
irrigidirsi. Nella sua testa passarono una serie di immagini poco
piacevoli:
lui che sparava in testa al proprietario della casa che avevano
svaligiato. Lui
che si sporgeva verso di lei davanti alle pompe di benzina,
sussurrandole
quanto fossero una bella squadra. Lei che gli sfilava la pistola dai
calzoni e
calava il calcio con forza sulla sua fronte. Sangue. La punta dello
stivale che
colpiva la sua testa.
-
Odile...
anzi, sarebbe meglio dire... Lilith. Non mi aspettavo di trovarti qui.
Che
sorpresa. – Sorrise, soddisfatto. – Qualcuno ti ha
dato la pedata che ti
meritavi?
-
Sono viva. – sentenziò, fissandolo in cagnesco.
– E tu invece... sei morto e
intrappolato.
-
Per colpa tua.
Regina
seguiva la discussione, perplessa, muovendo la testa da Lily a Murphy e
viceversa. Scosse il capo. – Non siamo qui per rivangare il
passato. Abbiamo da
fare.
-
Anch’io ho da fare. Al momento non sono venuto per Lilith...
purtroppo. –
Murphy si scostò ciuffi di capelli castani dalla fronte.
– Sono qui per voi,
Maestà. Benvenuta nell’Oltretomba.
Henry
tornò in quel momento. Nella mano destra stringeva una
chiave. Vide l’uomo che
stava parlando con sua madre e si fermò dietro di lei.
Regina si spostò, in
modo da mettersi tra il figlio e Murphy.
-
Per me? Perché? – chiese, guardinga.
-
Ci
hai seguiti da quando siamo arrivati, vero? – chiese Lily.
-
Oh, certo. – rispose Murphy. Tornò a rivolgersi a
Regina. – Ovviamente. So che
la Regina ha amato molto quando era solo una ragazza innocente... ha
amato
molto ed ora il suo primo grande amore vorrebbe vederla.
Regina
avvertì il gelo nelle ossa. Improvvisamente la sua
salivazione era azzerata.
Quando parlò di nuovo, a stento riconobbe la sua voce. -
Daniel?
Murphy
indicò la porta. – Andiamo. Venite con me. E...
portate pure il ragazzo e
Lilith. Niente scherzi o ve ne pentirete.
Poco
lontano dal Granny’s, Azzurro e Uncino si aggiravano per il
desolato cimitero
di Underbrooke e studiavano le tombe. Il posto era deserto, soffocato
dalla
luce malata e molto più grande della sua controparte, nel
mondo dei vivi. Alcune
lapidi erano dritte, intonse, con i nomi delle persone bloccate in quel
limbo
incisi sulla pietra. Altre, pur essendo dritte, erano solcate da crepe
inquietanti. Altre ancora erano rovesciate.
Tremotino
aveva detto che ogni anima intrappolata lì aveva una sua
lapide al cimitero.
Quindi se Emma si trovava davvero nell’Oltretomba, doveva
esserci anche la sua.
Killian
era seccato. Dopo un lungo vagare, colpì una tomba con la
punta del proprio
uncino e il contraccolpo gli riverberò nel braccio.
Avvertì una leggera scarica
elettrica, che lo costrinse a ritrarsi.
-
Ehi, sta attento! – disse David, raggiungendolo.
-
Che senso ha tutto questo? – chiese Killian. –
Tutte queste tombe... ce ne
saranno centinaia! Come troviamo quella di Emma?
-
La
troveremo. – affermò David. –
Sarà qui da qualche parte. Non dobbiamo darci per
vinti.
Il
vento scompigliò i capelli di Killian. Lui alzò
la testa, scrutando il cielo
rosso. Vide Malefica, in forma di drago, solcare le nuvole e dirigersi
verso i
boschi, a sud. – Ci siamo fidati di Tremotino, ma lui non ci
ha detto che cosa
ha in mente. E noi? A noi cos’è saltato in mente,
per tutti i diavoli? È il
Coccodrillo che ci ha detto di venire in questo cimitero!
-
Credo che Tremotino sappia quello che fa. – David vide delle
sagome in
lontananza. Persone che si muovevano fra le tombe. Erano distanti, ma
decise
che le avrebbe tenute d’occhio comunque. –
Continuiamo a cercare. E non
metterti nei guai. Abbiamo già abbastanza problemi.
-
Oh, quindi ti preoccupi per me. – disse Killian, sollevando
un sopracciglio. –
Non sapevo che ci tenessi.
-
Lo
faccio per Emma. – rispose. Tacque qualche momento. Parve
rifletterci, mentre
occhieggiava la tomba su cui il pirata si era accanito. Su di essa
capeggiava
il nome di un uomo: MURPHY LOGAN. C’era
una parte di lui che non aveva la minima voglia di vedere il nome della
figlia
su una lapide. C’era una parte di lui che ancora si ribellava
all’idea che Emma
fosse ingabbiata in quel posto. E si sentiva impotente,
perché non aveva idea
di come trovarla, né di come avrebbero fatto tutti loro a
portarla via.
-
Lo
so. Ma ammetterai che tutto questo fascino ha un potere anche su di te.
David
roteò gli occhi. – Sono un uomo impegnato. Come
te, del resto.
Killian
gli sferrò una pacca sulla spalla.
-
Va
bene. Forse hai ragione. – ammise David. – Diciamo
che mi sono... affezionato a
te. Non sei così male.
-
Ehi! – Biancaneve arrivò, correndo. –
Trovato qualcosa?
-
No. Non c’è traccia di lei. – rispose
Killian.
-
Nemmeno al parco. E neanche in biblioteca. – disse
Biancaneve, sistemandosi
meglio la faretra con le frecce in spalla. - Sembra che nessuno
l’abbia vista.
Città
di Smeraldo. Oz.
Ruby
e Mulan camminavano dietro a Dorothy nei boschi di Oz. La ragazza
procedeva con
la balestra in pugno, senza rivolgere loro la parola. Ogni tanto si
girava per
accertarsi che la stessero ancora seguendo.
-
Ho
combinato un bel pasticcio. - disse Ruby, parlando a bassa voce.
-
È
soltanto un cane. E conosco un modo per recuperarlo. Mi serve solo
qualche
ingrediente. - rispose Mulan.
-
Non
è soltanto un cane. Io credo che... per Dorothy sia molto
più di questo.
-
Ti
stai fidando del tuo fiuto? Lo recupereremo. Dorothy non
avrà bisogno di cedere
quelle scarpette.
-
Lo
spero. Tutto questo è successo per colpa mia.
-
Quando
non hai un’idea migliore, dai sempre la colpa a te stessa?
Ruby
stava per risponderle, ma poi mise il piede su una parte morbida del
terreno e
immediatamente una rete si chiuse su di lei, trascinandola verso
l’alto. Lanciò
un grido, mentre il mantello rosso le si aggrovigliava intorno alla
testa. Annaspò
e afferrò le corde con entrambe le mani.
Mulan
estrasse la spada e compì un giro su se stessa, aspettandosi
di vedere una
banda di soldati mandati da Zelena sbucare dal folto della boscaglia.
Ma
Dorothy non era altrettanto allarmata.
-
Credevo
che i lupi guardassero dove mettono i piedi. –
osservò la paladina di Oz,
agganciandosi la balestra alla cintura e incrociando le braccia al
petto.
-
Ce
l’hai messa tu, questa trappola? - chiese Mulan.
-
Mi
sembra ovvio. Ce ne sono altre lungo il sentiero.
-
Avresti anche potuto avvisarci. - disse Ruby, infilando la testa in uno
spazio
fra le corde.
-
Che
trappole sarebbero, se avvisassi i viandanti della loro presenza?
Ruby
sospirò. - Va bene. Come vuoi. Puoi farmi scendere, adesso?
-
Perché
non ti trasformi? Scenderai prima.
-
Perché...
potresti avere paura di me.
Dorothy
sembrò infischiarsene bellamente. - Io non ho paura di
niente.
Mulan
aveva sentito abbastanza. Notò una radice che sporgeva e la
usò come trampolino
per spiccare un balzo. Roteò la spada, tagliando la rete.
Ruby piombò in mezzo
all’erba e alle foglie, grugnendo. Mulan le tese una mano e
l’aiutò a
rialzarsi.
Ruby
incrociò lo sguardo di Dorothy, aspettandosi qualche altra
frecciatina.
Non
ce ne furono. La faccia di Dorothy parve cambiare. O meglio, non
cambiò
affatto, però Ruby vide due volti; quello della protettrice
del popolo di Oz,
duro e accigliato... e un’altra, poco sotto la superficie.
Durò pochi secondi,
ma non prima che lei si rendesse conto di averla già vista
da qualche parte. E
non poteva essere, perché non aveva mai incontrato Dorothy
in vita sua.
Poi
l’impressione disparve. Dorothy riprese a camminare,
voltandole seccamente le
spalle.
Zelena
ne aveva abbastanza di visite non programmate. Quella di Glinda
l’aveva
oltremodo irritata e i guaiti di quel maledetto cagnaccio le facevano
venire
una gran voglia di tirargli il collo.
Quindi
se la prese con alcune delle sue guardie, torturandole quel tanto che
bastò per
costringerle a supplicarla.
Poi
scese nelle prigioni. Era da quando Regina e i due idioti diventati i
suoi
alleati preferiti avevano lanciato l’ultima maledizione,
quella che aveva
portata anche lei a Storybrooke, che non vi metteva piede.
Le
mattonelle dorate cedettero il posto alla pietra nera e fredda. Gli
stretti
cunicoli la portarono dritta alle celle. Alcune erano vuote. In altre
c’erano
dei prigionieri, che la osservarono passare, alcuni timorosi, altri
terrorizzati dalla sua presenza, altri ancora troppo affamati o privi
di forze
per poter reagire.
-
La
Strega dell’Ovest. - disse un uomo, afferrandosi alle sbarre.
Il suo volto era
leggermente scavato. Aveva i capelli lunghi e in disordine, la barba
folta e
gli abiti laceri. La faccia scura rivelava tutta la stanchezza
derivante dalla
lunga prigionia, ma era anche un volto irridente. - Allora era vero
quello che
blateravano tutti. Siete viva. Vorrei dirvi che sono lieto di vedervi,
ma...
ecco, credo di non esserlo.
Calò
il silenzio. Nessuno osò fiatare, sapendo che il tono del
prigioniero l’avrebbe
certamente condotto ad una morte orribile.
Zelena
rise, divertita. Nel buio, i grandi occhi azzurri della Strega
brillavano come
gemme. Non aveva più la pelle verde, né il
consueto cappello a punta, ma
sprizzava perfidia da ogni poro. - Io, invece, sono molto lieta di
vedervi,
generale Shang. Spero non vi siate sentito troppo solo
quaggiù, per tutto
questo tempo. I vostri uomini sono scimmie volanti molto affidabili. Vi
ringrazio.
Shang
arricciò il naso. Gli occhi a mandorla sotto le sopracciglia
cespugliose continuarono
a fissare Zelena. - Uomini leali. Un giorno saranno di nuovo uomini
veri.
-
Un
giorno? Quando? Prima dovrete uccidermi. E sapete benissimo che non
potete
farlo. Non avete più nemmeno una spada.
-
Là
fuori c’è qualcuno che ha a cuore la gente di
questo posto. Se è coraggiosa
come dicono, allora... quel giorno verrà presto.
-
Oh,
sì. Non vedo l’ora! Così vedrete che
l’eroina in cui tutti ripongono le proprie
speranze non è altro che una povera sciocca!
La
risata della Strega riecheggiò per gli stretti corridoi
delle segrete, anche
dopo che se ne fu andata, richiudendosi la porta alle spalle.
Oltretomba.
Lily
ed Henry furono costretti ad aspettare fuori dal luogo in cui Murphy
aveva
voluto condurre Regina.
Non
le piaceva averlo intorno. Doveva guardarsi le spalle tutto il tempo e
questo
la rendeva nervosa. Non poteva permetterselo, perché doveva
rimanere
concentrata sull’obiettivo principale, cioè
salvare Emma. E andarsene da lì
alla svelta.
Henry
estrasse l’I-Pod dalla tasca della giacca. Provò
ad accenderlo. Dato che
dovevano aspettare, si domandò se quell’affare
funzionasse anche lì.
L’I-Pod
si accese e lui sorrise, soddisfatto. Almeno una cosa andava per il
verso
giusto...
Offrì
una cuffia anche a Lily.
-
Non sei preoccupato per tua madre? – domandò lei.
-
Sì. Lo sono. Ma Daniel non le farebbe mai del male.
È stato il suo primo amore.
– In realtà non era semplicemente preoccupato. Il
cuore gli batteva un po’
troppo forte. Temeva che fosse una trappola, ma Regina
l’aveva rassicurato,
dicendogli di aspettare lì. Tese di più la mano,
continuando ad offrire la
cuffia.
-
Non credo di poter ascoltare musica, adesso.
-
Sono i Rammstein. So che ti piacciono. Quando siamo venuti a cercarti
per la
bacchetta... li stavi ascoltando.
Lily
ci pensò su qualche istante, poi sedette accanto al
ragazzino. – Non immaginavo
che fossi il tipo da Rammstein.
-
Non lo sono. Diciamo che... preferisco altre cose. Però non
sono così male.
Lily
mise la cuffia nell’orecchio sinistro ed Henry
schiacciò play.
Murphy
portò Regina in fondo al corridoio. Bussò alla
porta e poi l’aprì, spingendola
dentro.
Sulle
prime non aveva capito per quale motivo l’avesse condotta
proprio lì. Non aveva
capito per quale motivo
Daniel si trovasse... nel suo ufficio.
Poi...
-
L’ho portata, Maestà. Così come mi
avete chiesto. – disse Murphy.
Il
fuoco scoppiettava nel camino. Le tende rosse erano tirate, lasciando
la stanza
in penombra. Su un mobile era stato disposto un cesto pieno di mele
rosse. Ogni
quadro, ogni mobile, ogni suppellettile era sistemato così
come nel suo vero
ufficio a Storybrooke. Solo che i dipinti erano diversi. Ce
n’era uno, accanto
al camino, che non aveva mai visto, un quadro che raffigurava una donna
vestita
di blu che stringeva un frutto, che inizialmente le parve una mela a
cui
mancava uno spicchio.
-
Sono felice di vederti, Regina.
-
Madre... – biascicò lei, fissando Cora con gli
occhi sgranati. - Sei qui...
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Angolo
autrice:
Ciao
a tutti e ben ritrovati.
Questa
fan fiction, come precisato nell’introduzione, è
il seguito di “The Lost Hero”
e fa parte di una serie.
Si
riparte da dove avevamo concluso e la storia si dividerà
spesso in due parti
(una ambientata ad Oz ed una nell’Oltretomba).
Buona
lettura e grazie a tutti quelli che leggeranno.