Closed Door
Com'è
silenzioso questo posto.
Com'è
freddo, solenne, immerso in un dolce buio di eterno riposo.
Eccola, Fen
Hollen, la porta del sesto livello di Minas Tirith.
L'ingresso dal
quale i sovrani di Gondor entrano senza più uscire.
Fen Hollen era
un massiccio cancello che delimitava il regno dei vivi da quello
sconosciuto delle tombe dei Re, una rappresentazione tangibile
dell’eterna e misteriosa divisione dei due mondi.
Con mani
tremanti, Eldarion aprì Fen Hollen, spalancandola quasi con
urgenza, impaziente di fuggire da quel luogo di morte.
Dalla morte di
Re Elessar. Dalla morte di suo padre.
Il freddo
pungente del vento invernale che soffiava sulla Via Silente lo
investì senza pietà, gonfiando con il suo fiato
il mantello di tessuto elfico. Eldarion si strinse nelle spalle per
farsi calore, mentre l’odore immobile della morte penetrava
nelle sue narici senza alcuna pietà un’ultima
volta.
“Che
cosa succede?”
Non aveva mai
visto Legolas e Gimli con tali espressioni spente sui loro visi
usualmente gioviali. Per lui era quasi impossibile che fossero in grado
di intristirsi in quel modo.
“Vostro
padre giace sul suo letto tombale preparato per lui, Altezza.”
Il tono glaciale
dell’elfo rispecchiava interamente quel che con struggente
mestizia voleva comunicargli.
Senza aspettare
altre parole, le gambe di Eldarion corsero più che poterono
per raggiungere il sesto cerchio di Minas Tirith.
La morte ama le
sue vittime, le avvolge nelle sue spire obliando ogni cosa, ma
è impietosa per chi rimane.
Ne aveva
affrontati di lutti Eldarion, spesso così dolorosi da
credere di non avere via di scampo, ma mai erano stati così
atroci, mai così dilanianti. Se la morte era un Dono, in
quel momento per Eldarion aveva un sapore amaro.
Rivolse la sua
attenzione alla sua mano sinistra, sentendo un oggetto gravarci
all’interno. Aveva lo scettro di Arnor, e,
ricordò, sulla testa la corona alata di Gondor.
L’opprimente angoscia gli aveva fatto dimenticare di averlo
appena ricevuto, e non tardò a comprendere che la
responsabilità insieme all’onore piombavano su di
lui come un macigno, schiacciandolo improvvisamente sotto il loro peso.
La sua mano
forte stringeva lo scettro di Arnor, nonostante la debolezza stava
piano piano impossessandosi del suo corpo.
La sua testa era
ornata della corona alata del Re, splendidamente intarsiata di gemme.
La sua figura
incarnava la potenza di un Re che stava per lasciare il mondo per cui
tanto aveva combattuto.
E non tutti
erano disposti ad accettare questo. E Eldarion era uno di quelli.
Aragorn era
stato Re di Gondor e di Arnor, era stato un membro della Compagnia
dell'Anello, era stato la promessa esaudita della resurrezione della
stirpe di Elendil considerata perduta.
Questo dicevano
le cronache.
Ma le cronache
non parlano mai dell'uomo, del marito e del padre.
Le cronache non
parlano mai della lenta e felice esistenza di un principe immerso nella
dolce saggezza di un grande Re degli Uomini, né della
sensazione che si prova quando ci si ritrova d'un tratto a capo di un
regno antico e potente, mentre la determinazione di un erede al trono
scivola via come la vita del padre e del maestro che era Aragorn.
Eldarion
sentì una stretta al cuore al pensiero. Era sicuro della
solidità della sua istruzione, dei suoi valori, gli stessi
che gli avrebbero permesso di essere un sovrano degno e giusto, ma solo
ora si rendeva conto della perdita che la Terra di Mezzo subiva con la
morte di suo padre.
Sapeva che Re
Elessar lasciava nelle sue mani un regno forte e duraturo, e lui doveva
dimostrare di esserne degno proprio nel momento di maggiore turbamento.
Ma come? A chi aggrapparsi? A cosa?
Suo padre lo
condusse al cortile del livello più alto di Minas Tirith.
Eldarion
Gli prese la
mano, posandone il palmo sul tronco dell’albero bianco di
Gondor.
Andrò
a morire, dicevano i suoi occhi. Ma Eldarion era troppo rapito da
quell’intimo momento per accorgersi di ciò.
“Piantai
il seme di quest’Albero e lo vidi crescere per diventare
com’è ora; e sarà qui fino alla
fine.” Rimarcò l’ultima parola come se
la fine fosse lontana, forse per dare a suo figlio la certezza che
tutto sarebbe rimasto in tal senso ancora per molto. “Abbi
cura e nutri amore per lui come faresti con tua madre e con le tue
sorelle. Come io ho amato Arwen Undómiel.”
Vide le sue
sorelle affrante percorrere la Via Silente dalla parte opposta alla
sua, reggendo la loro madre distrutta da un dolore quieto. Al di
là del cupo velo di lacrime dei suoi occhi si poteva
distinguere i frantumi della sua illusione che prendevano ora
un’altra forma: quella del sonno senza ritorno dei mortali.
Il pensiero gli
riempì il cuore di immensa tristezza, ma lui non era in
grado di capire quale dolore Dama Arwen provava in quel momento. Sua
madre aveva a lungo lottato per l'esito felice della storia con il suo
consorte, pur sapendo che la morte si accompagna sempre
all’amore.
Ne era
consapevole, Dama Arwen, quando cadde innamorata di un mortale. Sapeva
che il suo amore non sarebbe stato infinito come la sua antica natura e
che il prezzo andava pagato.
Eldarion avrebbe
voluto convincersi che mai e poi mai avrebbe avuto un amore
impossibile, ma come si può così stupidamente
prevedere una cosa simile? Come si può impedire ad altri?
Sentì
sua madre gemere impercettibilmente e irrigidirsi, e Eldarion
alzò gli occhi cerulei per poter incontrare la sua angoscia.
E come se al loro interno avesse letto l’urgenza di correre
dal Re, lasciò indietro le ragazze per precipitarsi dal
marito, mentre le lacrime trasparenti si confondevano nel candore delle
sue guance.
“Non
permettere che le tue lacrime cadano in presenza di alcuno. Coloro che
ora sono nell’angoscia, avranno bisogno della tua
forza.”
Queste furono
alcune delle tante parole di commiato del Re a suo figlio, mentre un
sorriso gli colmava le labbra e l’ombra della morte gli
ottenebrava gli occhi.
“No,
padre. Non lo farò.”
Ma non
poté obbedire. Non quella volta.
Eldarion
udì un tonfo sordo alle sue spalle fendere il suono del
vento. Si voltò. Era Fen Hollen che chiudeva i suoi
battenti.