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Autore: Leonhard    30/09/2016    4 recensioni
Cos'è successo prima? Cos'è successo dopo?
Questa raccolta di OS ripercorre i giorni che nessuno ha visto. Il prima della guerra ed il dopo, la partenza ed il ritorno dei dieci guerrieri dell'Armonia
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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GIDAN TRIBAL


Lui non aveva paura della morte. Sarebbe stato surreale, visto che in un’altra vita l’avrebbe dominata. Garland era stato chiaro, addirittura lapidario, addirittura traumatizzante e Kuja ne aveva pagato lo scotto con il suo equilibrio mentale.

La morte faceva paura, certo. Era una presenza costante nella vita di tutti i giorni, un capolinea che sembra sempre lontano fino al giorno in cui è davanti ai propri occhi. Kuja era crollato quando si era ritrovato a vedere per la prima volta quel traguardo e quando era ormai arrivato aveva capito cosa voleva dire vivere.

Forse chi diceva che si comprende il viaggio quando finisce aveva capito tutto…

L’albero di Lifa era laggiù, lontano; una macchia leggermente più scura stagliata nell’azzurro limpido del cielo ormai sgombro dalla Nebbia e sotto di esso il fratello che aveva tentato di salvare. Il motivo non lo ricordava o non l’aveva mai avuto, ma a chi importava? E a che sarebbe servita?

Non serve un motivo per aiutare qualcuno: ci aveva sempre creduto e sempre aveva seguito quel pensiero che gli aveva procurato persone care da cui tornare. Si volse e camminò fino ad un masso particolarmente grosso su cui potersi riposare.

Baciato dal sole e giocherellando distrattamente con la punta della coda, Gidan ripensò a quello che avevano passato in tutto quel tempo; sembrava quasi il giorno prima che avevano rapito la principessa Garnet, o meglio la principessa Garnet gli aveva chiesto di rapirla: in tutta sincerità, non riusciva a ricordare richiesta più bizzarra che aveva accontentato più volentieri. Lui e Garnet, intrepidi fuggiaschi in giro per il mondo: in quel momento era sembrato così emozionante e romantico. Che diamine, a Conde Petit si erano addirittura sposati!

E poteva giurare di aver visto un pizzico di divertimento confuso nella crudele indifferenza con cui l’aveva fatto. Dopotutto, aveva fatto divertire una donna e quella era la chiave del successo: perché avrebbe dovuto prendersela solo perché si era divertita un po’ alle sue spalle.

Sospirò: suo fratello era morto sotto le spire dell’albero di Lifa appena tre giorni prima e tutto quello a cui riusciva a pensare con lucidità era a Garnet.

No, non Garnet: a Daga.

Daga, la ragazza con cui aveva condiviso le avventure più assurde. Daga, con cui aveva scoperto le sue origini ed il motivo per cui era vivo. Daga, con cui aveva fronteggiato tanti di quei nemici da riempire un libro. Lei sapeva cos’era e lui sapeva come si chiamava veramente lei. E poi, lui aveva un debole particolare per le ragazze con i capelli corti.

Si sforzò di tornare con la mente sul fratello e si sorprese a trovare un pizzico di vergogna per l’impegno che richiedeva. Era un pazzo narcisista che più volte aveva preso la sua vita come un’eterna piéce teatrale, ma era pur sempre suo fratello.

Ma era veramente giusto che loro due si definissero fratelli? Allo stesso modo in cui Vivi chiamava nonno il Qu che lo aveva allevato: loro avevano acquisito la conoscenza da Garland e probabilmente per puro caso era venuto fuori che erano fratelli.

No, non era il termine adatto: lui era il sostituto di Kuja, il pezzo di ricambio. Aveva sempre rifiutato di pensare a quelle parole, buttandosi anima e corpo nella loro avventura e tenendo la mente occupata da ciò che c’era sul loro cammino.

Ancora mostri. Un altro nemico. Ancora uno. Un altro ancora.

Senza più appigli ne scuse, si ritrovò a pensarci: di tempo ne aveva da passare in solitudine e la strada verso Alexandria era lunga. Lanciò una fugace occhiata alla coda che oscillava placida a mezz’aria e si chiese cosa effettivamente rappresentasse. Il suo scontrino? La sua garanzia?

Ci fu un bagliore di luce che lo accecò. Velocemente estrasse le daghe e si preparò al combattimento, guardando altrove e pregando che nessuno lo attaccasse in quel momento. Quando la luce si dissolse, il Jenoma si ritrovò a contemplare una figura alta e snella dai lunghi capelli biondi ed un paio di corrucciati occhi azzurri.

“Gidan Tribal?” chiese. Lui rimase per qualche secondo come imbambolato, poi si riebbe con un sorriso smagliante.

“Per servirti, o luce del deserto” disse. Ripose le armi e spinse il suo sorriso verso la figura. “Non dire nulla: tu non puoi che essere una dea”. Il suo subconscio dalle origini sconosciute parlò nella sua testa.

Tanto per sapere, che fine ha fatto la tua Daga?

(Da qui ad Alexandria la strada è lunga…).

Anche la convalescenza dopo che lei ti avrà dato una ripassata lo sarà…

(Ho promesso che sarei tornato: non si è fatta parola del come).

“Sì…” commentò Cosmos. “Io sono Cosmos, la dea dell’Armonia”.

“Dell’Armonia?” commentò Gidan scuotendo la testa. “No, non è possibile: come minimo la dea dell’amore…ah ce l’ho! Tu sei la dea della bellezza!”. La figura ridacchiò divertita.

“Tu sei il primo guerriero che mi fa i complimenti” commentò. “È…strano”.

“Sono i tuoi guerrieri ad essere strani” replicò lui. “Devo avere gli occhi foderati di fette d’arrosto come minimo!”.

“Ho bisogno del tuo aiuto…” cominciò lei. “Sono impegnata in una guerra con il dio della Discordia, Chaos”.

“Fate l’amore non fate la guerra” commentò Gidan.

Sei una cosa atroce…

(Ah, stai zitto!).

“Le mie forze stanno venendo decimate dalle sue truppe e se continua così presto avrò la peggio: ho bisogno della tua forza” continuò la dea.

“Aspetta un secondo, hai detto un dio?” chiese il Jenoma, stranito. “Dovrei combattere contro…un dio?”.

“Se Chaos dovesse vincere porterà rovina e distruzione in tutti i mondi” puntualizzò Cosmos. “Distruggerà ed ucciderà finché ci sarà luce ed armonia…e non posso permetterlo”.

“Ci mancherebbe!” commentò Gidan. “Beh, se una fanciulla ha bisogno del mio aiuto come posso negarglielo? Non si fa, dico bene?”.

“Quindi…posso contare sul tuo appoggio?” chiese la dea con un sorriso. Lui sorrise.

“Ma certamente!” esclamò lui. “Ruberò la vittoria e te la porterò in dono”. Ci credeva veramente alle sue parole. Forse. O almeno gli avrebbe permesso di non pensare a cose più importanti.

Bravo, procrastina…

(Non parlare come Kuja, ti prego…). Un bagliore lo avvolse, mentre un pensiero non formulato invase la sua mente.

Un altro nemico. Ancora uno. Un altro ancora.
   
 
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