Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: Winchester_Morgenstern    02/10/2016    0 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
XXXIII - LIGHTS 
 
Jean lo vide accadere a rallentatore, orribilmente filtrato dai suoi occhi: il corpo di suo padre che, in una parabola discendente, crollava al suolo circondato da fiotti scarlatti, sospesi nell'aria per un battito di ciglio e poi improvvisamente giù, a impregnare il terreno, già zuppo del sangue delle altre vittime. 
Era stato così veloce che quasi non se n'era accorto, aveva capito la portata dell'accaduto solo all'ultimo istante, quando aveva visto la smorfia d'orrore che aveva corrucciato il volto di Jonathan e aveva fatto posare lo sguardo sul buco che gli si stava allargando nel petto, apparentemente comparso dal nulla. 
Per un secondo, solo un singolo e infinitesimale secondo, rimase bloccato a sua volta, la figura a terra che si sfuocava e la mente che ritornava indietro, mostrandogli immagini che si era ripromesso di non ricordare mai più
 
Ian sospirò di contentezza, affondando la testa albina nel soffice cuscino: — È proprio bellissimo, non è vero? — mormorò, coprendosi col lenzuolo per nascondere un timido sorriso. 
Isabelle scoppiò a ridere, finendo di piegare i vestiti che aveva lasciato ammassati sulla sedia accanto alla scrivania, e si sedette sul suo letto: — Sì, lo è. — rispose, sporgendosi per accarezzargli i capelli affettuosamente: — Ti piace molto, non è vero? — domandò, trattenendo un'altra risata. La prima cotta di Ian. Era esilarante, considerando che fino ad allora non aveva nemmeno dato sentore di sapere cosa fosse, l'amore romantico. 
Ian arrossì, diventando di un bel rosso pomodoro che risaltava splendidamente sulla sua pelle chiarissima: — Non proprio così tanto, è che... Insomma... È così... 
— Fammi indovinare, bellissimo? — concluse lei, sogghignando. 
— Sì! — rispose precipitosamente il Cacciatore, per poi spalancare la bocca: — Cioè... È alto, e simpatico, e divertente, e intelligente, e ha questi occhi... 
— Occhi bellissimi, e un sorriso bellissimo, e dei capelli bellissimi, e delle mani bellissime, e un culo bellissimo... 
— Papà! — urlò scandalizzato Ian, lanciando un'occhiataccia all'uomo appena appoggiatosi allo stipite della porta: — Smettetela! — borbottò poi, guardando trucemente anche Sebastian, che gli faceva le boccacce sporgendosi dalle braccia del padre e ripetendo: — Ian ha una cotta, Ian ha una cotta! 
Il quattordicenne scivolò ancor di più sotto le coperte: — Siete degli stronzi! — si lamentò, imbronciandosi. 
Jonathan tossicchiò per coprire una risata, ed entrò nella stanza: — Andiamo, non fare così, ti stiamo solo prendendo in giro. — tentò di rimediare, mentre Sebastian si slanciava in avanti, ansioso di essere poggiato accanto al fratello per strisciare sotto le coperte e abbracciarlo. 
Soltanto due o tre ore dopo, nel cuore della notte, Ian si destò lanciando un urlo straziante, così forte da graffiargli la gola. 
Era il dolore peggiore che avesse mai sentito, la peggiore tortura a cui potesse mai essere sottoposto, l'incubo peggiore in cui potesse mai essere intrappolato. 
Si gettò in avanti, annaspando e incontrando il corpo ancora addormentato del suo fratellino, che stava iniziando a svegliarsi a causa del rumore. 
Non riusciva a pensare, non riusciva a fare nulla, men che meno a sfuggire da quella morsa che gli stringeva sempre di più le ali, trascinandolo indietro. 
Voltò il capo per quanto poteva, incontrando lo sguardo assolutamente freddo di uno dei tre uomini che lo tenevano saldamente ancorato al letto. 
Da lì in poi era tutto un tremendo caos, qualcosa che era riuscito a ricostruire soltanto grazie a vaghi frammenti, sogni e conoscenza più o meno inesatta di quello che era successo. 
Sapeva esattamente cosa gli avevano fatto, ma non lo ricordava.
Strillava e strillava e strillava e non riusciva a capire perché nessuno lo aiutasse, perché suo padre non avesse già sfondato la porta e il cranio di quei pazzi. 
Invece no, nessuno l'avrebbe aiutato, c'era solo lui che con il suo peso schiacciava a letto Sebastian, che piangeva terrorizzato. 
— AIUTO! AIUTO! — Quelle parole furono seguite da mugolii insensati e grondanti di dolore. Erano passati dodici anni dalla sua permanenza nelle celle di Melchizedeck, e forse nemmeno quello era paragonabile alla tortura a cui lo stavano sottoponendo. — PAPÀ! PAPÀ, TI PREGO! 
 
Altri buchi neri, altri pezzi mancanti. Il nulla più assoluto. 
 
Lui tirava da un lato e i suoi aguzzini verso l'opposto, poteva fisicamente sentire le piume staccarsi dalle sue ali come se qualcuno gli stesse strappando via ciocche di capelli dalla testa, ma quello non era nulla. 
Avvertiva i muscoli che tiravano sempre di più e i due arti che iniziavano millimetricamente a staccarsi, l'affondare di una lama abbastanza pericolosa da affettare le ossa. 
Pensò di essere già morto, e in effetti avrebbe dovuto esserlo davvero, non fosse stato per una frase di troppo di uno degli assalitori: — Va' ad occuparti degli altri bambini. 
C'era il suo fratellino sotto di lui. Regina e Christopher, se non erano balzati nel letto a causa del loro udito sopraffino, stavano ancora beatamente dormendo nella stanza di fronte. 
Probabilmente fu quello che gli diede la scossa, l'energia necessaria a reagire nonostante volesse solo far terminare quell'agonia il più velocemente possibile. 
Ringhiò, e al posto di continuare ad opporsi si gettò indietro, cogliendo di sorpresa gli uomini in nero - ibridi, avrebbe riconosciuto in un secondo momento - e sbalzandoli appena, il tempo necessario per raccogliere Sebastian e schizzare fuori dalla porta, fiondandosi in quella di fronte. 
Se s'impegnava, ancora oggi riusciva a rievocare il dolore provato, sebbene non perfettamente, ma ciò che più aveva impresse nella mente erano le espressioni dei gemelli, che all'epoca avevano soltanto dieci anni. 
Non avrebbe saputo dire se le loro facce fossero completamente vuote, spoglie di ogni emozione, o cariche del terrore più nero. 
Non era mai stato un asso nelle questioni emotive, e con il panico che gli attanagliava le viscere lo era ancor meno. 
— Reg! Chris! Alzatevi e infilatevi le scarpe, ADESSO! — ordinò, cercando di mantenere il sangue freddo, mentre allo stesso tempo Christopher osservava con una calma che sarebbe risultata inquietante, non fosse stato che si trattava di un bambino non proprio normale in una famiglia per nulla normale: — Ian, sei tutto sporco di sangue. 
Il ragazzo posò Sebastian tra le braccia di Regina, che aveva finito a tempo record di infilarsi un paio di stivali: — Non lo devi mollare, capito? Per nulla al mondo. 
La maniglia della stanza girò e lui face scattare la chiave, appoggiandosi al legno e prendendo un profondo respiro, anche se non ne aveva il tempo. 
La testa gli girava e iniziava a sentirsi senza peso, per di più Christopher aveva ragione e ferite profonde come quelle, anche se non aveva potuto vederle, avrebbero potuto ucciderlo in cinque minuti o tre ore, per quel che ne sapeva. 
Doveva concentrarsi. Non poteva lasciarsi prendere dal panico. Concentrazione. 
Non poteva tornare indietro, ma allo stesso tempo non sapeva cosa si stava lasciando alle spalle. E quindi come ne usciva? 
Al di fuori della stanza c'era trambusto, stavano parlando, ma era troppo fuori di sé per riuscire a cogliere cosa dicevano, sapeva solo che molto probabilmente stavano cercando di entrare. 
Si riscosse quando vide Christopher alzare la finestra: chi diavolo stava facendo entrare?! 
Scattò in avanti, per poi rendersi conto che si trattava di Valentine e William. O meglio, del primo che trascinava il secondo, il quale aveva il volto coperto da una maschera di sangue. 
Oh Raziel santissimo. 
Ritornò indietro sentendo la porta cedere, e per qualche attimo esitò dondolando prima verso un lato e poi verso l'altro della camera. 
Alla fine confidò nel fatto che la serratura potesse reggere un altro po' e si gettò su Will, prendendolo tra le braccia e sentendo una fitta atroce alla schiena. Il mondo divenne buio per qualche attimo, poi riuscì a mettere a fuoco la faccia del bambino: — Cosa è successo? — chiese a Val. Aveva le mani che tremavano e il respiro corto, e non voleva nemmeno pensare a quello che stava succedendo... 
Se nessuno era venuto ad aiutarli, se i suoi cugini erano da soli e suo padre o sua madre non avevano sentito le sue urla... 
Non poteva pensare anche a loro, in quel momento, no. Era tutto sulle sue spalle - martoriate, tra l'altro -, e cazzo se era terrificante. Una morsa gelida gli serrava lo stomaco, e allo stesso tempo delle vampate di calore assurde gli si propagavano a ondate nel corpo. 
— Apri questa cazzo di porta, mostro! 
Come faceva a resistere così tanto, effetivamente? Elogi all'architetto. 
Si concentrò su Will: era vero che le ferite alla testa sanguinavano sempre più di quanto ci si aspettasse anche se erano lievi, ma lì... lì il capo non c'entrava nulla, no. 
Un lungo squarcio correva giù dalla sua tempia, attraversava la guancia e arrivava fino all'angolo delle labbra, dove terminava solo perché non poteva andare più oltre. 
Che qualcuno lo aiutasse. 
 
Non stava esattamente ragionando, in quel momento. Era un po' come l'effetto di alcune luci stroboscopiche in discoteca: alcuni movimenti sembravano fatti al rallentatore, altri soltanto lampi veloci, e non riusciva nemmeno a vedere parte delle sue azioni. 
Sapeva che ad un certo punto si era allontanato dal cadavere di suo padre, aveva afferrato Magnus per la collottola della camicia e l'aveva sbattuto di peso contro un'albero. 
— Dammi quella cazzo di evocazione. Adesso! 
— Ian, rifletti, era un piano Z, non puoi usarlo per ques...
— ADESSO! 
 
Indietro a circa nove o dieci ore prima del fattaccio. 
Ian tirò rabbiosamente su la zip del suo chiodo di pelle, estraendo poi una sigaretta e un accendino dalla tasca sinistra. 
— Non ti fanno bene, sai — accennò Jacqueline, martoriandosi con le dita la lunga treccia di capelli scuri. 
— Nessuno ha chiesto il tuo parere — rispose bruscamente, facendo scattare la rotellina per produrre una piccola fiamma. Prese una lunga boccata di fumo appena qualche secondo dopo, abbandonandosi con la schiena contro un albero e il capo reclinato verso l'alto: non voleva guardarla, in quel momento. Era stato così euforico per quell'appuntamento, e tutto d'un tratto riusciva a provare solo irritazione, per quei coglioni che li avevano interrotti, per lei che in fondo in fondo era identica a loro, e per tutti gli altri Nephilim bastardi. 
— I tuoi genitori lo sanno? — domandò ancora la ragazza. Doveva avere al massimo un paio d'anni più di lui, calcolò, quindi circa sedici. Certo che avrebbe anche potuto imparare a viverla, la vita che si ritrovava, piuttosto che perder tempo a far ramanzine. 
Ian rise appena: — Perché, vuoi andarlo a dire a mio padre? — domandò, col sorriso del gatto che si è appena mangiato il canarino. 
— N-no, però... 
Lui inclinò pigramente il polso, lasciando cadere un po' di cenere a terra: — Però cosa? 
— Lo sto dicendo per il tuo bene... 
L'ibrido dovette mordersi le labbra per non scoppiare a riderle in faccia: — Ma davvero? E non pensavi al mio bene, quando quei due cretini hanno iniziato a darmi della bestia immonda distruttrice di vita? L'Anticristo, sul serio? Potrebbero almeno avere la decenza di aggiornare il repertorio! 
Jacqueline si strinse nel cardigan grigio foderato di pelliccia: — Dai, lo stavano dicendo per scherzare, non volevano certo... 
Ian si voltò di scatto verso di lei, con gli occhi spalancati: — Per scherzare? Tu saresti divertita se ti dicessero una cosa del genere?! Saresti divertita se per gioco ti facessero espellere dall'Accademia? — sbottò, stringendo la sigaretta fra indice e pollice. 
La vide arretrare appena, e capì di averla spaventata. Ottimo, un'altra persona che lo considerava un mostro. 
— Tu volevi essere espulso — si sentì dire in risposta, cosa che lo irritò abbastanza da non fargliene fregare più niente dell'opinione che si sarebbe fatta di lui. 
— Certo, perché il sogno di ogni ragazzino è essere preso in giro da tutti! È ovvio che io poi abbia reagito, dopo tre mesi d'inferno! — si difese, per poi scuotere il capo: — Va' via. 
— Ma... 
— Va' via! Adesso!
Jacqueline serrò le labbra in una linea sottile, sistemandosi la tracolla della borsa con i libri sulla spalla e dondolando appena sui tacchi sottili - che diavolo se li era messi a fare, ad Alicante? Per inciampare nei ciottoli?! Adesso Ian la vedeva, ed era solo una stupida oca come tante altre - rosso vernice: — Sai che c'è, Morgenstern? Fottiti. Questi pregiudizi li stai creando tu. 
L'ibrido scoppiò a ridere: — Non è certo colpa mia se voi teste di cazzo continuate a dare la colpa di tutto alla mia famiglia, Saintcroix. Attenta alle radici, o finirai per terra. Non vogliamo certo rovinare quel tuo bel faccino, giusto? — domandò, sardonico, voltandosi di spalle e dirigendosi verso il sentiero che portava a casa sua. E pensare che si era fatto un'ora e venti di camminata solo per incontrarla, e adesso doveva farsela anche al ritorno. Cazzoni arroganti. 
Inalò ancora il fumo, chiedendosi perché mai era stato così stupido da credere di potersi, forse, costruire una vita lì in mezzo a loro, a quelli normali: non l'avevano accettato anni prima, e non l'avrebbero mai fatto. 
Rabbrividì, stringendosi nel giubotto: forse indossare qualcosa di così leggero a pochi giorni dal Natale non era stata una così grande idea, no. E tutto perché voleva fare colpo su una tizia che non gli interessava di cui a volte ricordava il nome e a volte no. Che idiota che era stato. 
Non era nemmeno sicuro che gli piacessero così tanto, le ragazze. 
 
Magnus era un tipo previdente, e per questo, nonostante le sue minacce, gli aveva anche messo addosso un incantesimo d'invisibilità, in modo che chiunque stesse combattendo non lo vedesse, e quindi non riuscisse a smascherarlo. Senza lentine e tintura, spiccava più o meno come una zucca in un campo di cocomeri. 
Gli sembrava ancora di essere in uno strano limbo in cui il tempo scorreva diversamente, sapeva di star recitando parole per un rituale di convocazione, e per di più senza nessuna precauzione presa contro un eventuale incenerimento. 
Eppure in quel momento non gli importava, cos'aveva ancora da perdere? Non c'era niente che potesse bloccarlo, magari essere colpito da un fulmine era il suo destino ed era per questo che Noah non ne aveva voluto parlare. 
Non fare l'idiota, Ian. Poi chi lo va a dire al tuo caro élios (1) che il suo fílos (2) è morto?, lo rimproverò una voce inquietantemente simile a quella di Regina, con lo stesso identico tono canzonatorio. 
 
— Mamma! — esclamò, mentre un sorriso a sessantaquattro denti si faceva strada sul suo volto. E pensare che solo qualche ora prima era così arrabbiato per quel disastroso appuntamento! 
Isabelle si voltò verso di lui, avvicinandosi: — Sì? — chiese, ridacchiando: — L'incontro con Jacqueline è andato bene? Ma non ti sei congelato con quel chiodo?! — chiese con aria di rimprovero, legandosi i capelli in una coda alta con un elastico che portava sempre al polso, mentre Sebastian la richiamava dall'altro capo della stanza: era seduto sul divano e avvolto in un plaid troppo grande per lui, intento a guardare con estremo interesse un cartone abbastanza vintage per gli anni venti del ventunesimo secolo, Curious George
Ian non capiva cosa ci trovasse di così tanto divertente in una scimmia pasticciona e un tizio tutto vestito di giallo, ma contento lui... 
— Allora? Era carina? — gli domandò suo padre, che si stava slacciando il farsetto della divisa davanti al grande specchio presente nel salone: se Ian non fosse stato al corrente del sangue demoniaco che gli scorreva nelle vene, non avrebbe saputo capacitarsi di come un trentunenne riuscisse a dimostrare più o meno un quarto di secolo. Si chiese se anche lui sarebbe riuscito a portarsi gli anni così bene, da grande, considerando che evidentemente i geni dei suoi genitori da qualche parte avevano fatto cilecca, dato che comparato agli altri maschi della sua famiglia era un nanetto da giardino. Che poi non era lui troppo basso, ma loro ad essere esageratamente alti! 
— A dire il vero, mi ha detto di andare a farmi fottere e se n'è andata col naso talmente in aria che quasi inciampava in un sasso, non guardando il terreno, ma non è questo l'importante! — spiegò, euforico. 
Jonathan lo guardò curioso dalla superficie riflettente, aggrottando le sopracciglia: — Ah no? E qual è? 
Ian sorrise e si avvicinò a lui, prendendogli l'indumento per posarlo nello sgabuzzino nascosto lì accanto, dietro un arazzo persiano: da piccolo si divertiva a tentare di allacciare tutti i pezzi della divisa di suo padre, e quella tradizione non era mai scomparsa del tutto. 
— Be'... — incominciò, mordicchiandosi le labbra: — Stavo tornando a casa qualche ora fa, e ho incontrato una persona... 
 
Quello che successe dopo, be', quello che successe dopo lo videro tutti. Non avrebbero mai capito chi ne era l'artefice, ma era impossibile ignorare un avvenimento del genere. 
All'inizio una piccola onda partì dal centro del lago e si distrusse prima di arrivare alla riva, muovendo appena l'acqua, ma nel giro di un paio di secondi lo Specchio dell'Angelo incominciò ad infrangersi e agitarsi, bagnando con gli spruzzi tutti quelli nei dintorni, Ian compreso. 
Una luce argentea iniziò a prendere forma appena sotto il pelo dell'acqua e poi ad emergere, come avvolta dall'oro più puro. 
Raziel prese forma in modo relativamente veloce: sembrava quasi un gigantesco angelo metallico, con le piume delle ali ricoperte di occhi. 
Ian pensò ironicamente che, prima della loro perdita, le sue fossero molto più belle. E mimetiche, anche, rispetto a quel tripudio accecante. 
Osi evocarmi ancora, figlio del caos? Ti ho già risparmiato una volta, oggi non ti farò lo stesso favore. 
Ian rabbrividì: un gelido vento gli stava accarezzando il corpo, scendeva lungo la spina dorsale e lo bloccava sul posto. 
— Mi rimetto alla tua benevolenza, mio Angelo. — sussurrò, abbassando il capo. Era un po' che non s'inchinava davanti a qualcuno. 
Io non sono il tuo Angelo, figlio del caos. Tu non sei un Nephilim. 
Sembrava quasi di essere ritornati indietro - o avanti, certo - nel tempo, all'Accademia: — Posso portare i tuoi marchi, Raziel. Lo sono quanto basta. — protestò, cercando di infonderci quanta più convinzione possibile. 
Quelle parole però gli erano state ripetute fin troppe volte per dar loro una qualche importanza, e per lui non era mai stato troppo difficile accettare di essere un ibrido, almeno crescendo. Quando era più giovane... Be', aveva cercato disperatamente di essere accettato. Solo col tempo aveva capito di andare benissimo così com'era. 
Mi hai già convocato una volta per esprimere lo stesso desiderio di oggi, ibrido, e già una volta ho rifiutato. Ho giurato sulla mia grazia di incenerirti, se ci avessi ritentato. Hai un motivo per cui dovrei salvarti? 
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue sguarde: — No — rispose, scuotendo il capo: — Puoi prenderla, la mia vita, se vuoi. Ma ti prego, devi riportarli indietro! — esclamò, disperato. 
Devo? Io non devo far nulla. Questa è tutta colpa tua, e ne pagherai le conseguenze. 
Era stato tutto fin troppo veloce. Non credeva di essere un abile oratore, ma pensava di avere almeno qualche minuto per riuscire a convincerlo. Forse... forse avrebbe dovuto farlo fare a qualcun altro, a Magnus, magari. 
Ma sapeva che avrebbe solo condannato a morte anche lui, in quanto figlio di Lilith. 
Non aveva concluso niente, se non quella di morire fin troppo giovane, e sapeva di non poter lasciare che le cose andassero così. Non aveva paura di andarsene, ma non era ancora il tempo. Troppe cose da fare, troppe persone a cui teneva e che non si sentiva pronto a lasciare... 
Inspirò profondamente e piegò le ginocchia, abbassandosi a terra in quella che sapeva essere una posizione di preghiera. 
Era la cosa più umiliante che avesse mai fatto, e si era ripromesso di non essere mai più inferiore a nessuno. 
— Ti prego, mi-Raziel. Farò tutto quello che vuoi, ma rimedia a questo mio errore. Non ne va di me, non m'importa se vuoi uccidermi, ma... ma così i miei fratelli non nasceranno, mia madre non sarà mai felice! Ti supplico. 
Mi supplichi, ibrido? Tu, che hai mietuto morti più di chiunque altro, e non hai nemmeno ascoltato le preghiere delle tue vittime? Non meriti il mio favore né la mia benevolenza. Non meriti niente. 
Ian serrò i pugni e prese un profondo respiro, artigliando il terreno. Si rialzò in piedi, guardando Raziel dritto in faccia: — E cosa ti dà il diritto di giudicare, eh? L'essere un angelo? Perché ti credi superiore a me, se anche tu non mostri pietà?! Io ho combattuto con le unghie e con i denti per cercare di avere quello che volevo, per rimanere in piedi, e lo sto ancora facendo. Ti ho supplicato, mi sono prostrato ai tuoi piedi ma non hai ritenuto nulla di tutto questo degno della tua attenzione. Avevo anche io ali come le tue, ma poi è arrivato qualcuno che me le ha strappate. Cosa farai, chi pregherai di salvarti quando questo accadrà anche a te? Allora, non sarai più miserabile di me. Tutto ha una fine, perfino gli angeli. Quindi uccidimi se vuoi, Raziel, ma ricordati che non sei migliore di nessuna di noi formichine intente a sopravvivere, mentre siedi sul tuo trono! 
Se doveva morire, allora l'avrebbe fatto con stile. Non sapeva dove sarebbe finito una volta al di là del velo, forse a Edom. Era un posto orribile, e voleva togliersi un ultimo sfizio prima di venir rinchiuso in quell'inferno. 
Il lampo lo colpì così velocemente che non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene, un fulmine così gelido da farlo sentire come se gli stessero stracciando l'anima dal corpo.
Ghiaccio liquido nelle sue vene. 
 Era questo che si provava a venire polverizzati? 
Non lo seppe mai, perché d'improvviso una luce calda e rassicurante lo avvolse, riportandolo improvvisamente coi piedi per terra. 
Un giorno non ci sarà più nessuno a salvarti dalla tua stessa linguaccia impertinente, cucciolo d'uomo. 
Era una voce carezzevole, questa, con quel tipo di tono che chiunque avrebbe associato alla sicurezza, ad una ninna nanna. 
Ian aprì gli occhi, incontrando un gigantesco volto senza occhi. Gli erano stati letteralmente scavati fuori, e per quanto ne sapeva la colpa era di suo nonno.
— Ithuriel — sussurrò, tossendo, ancora accasciato al suolo. Il suo élios non scherzava, quando diceva che lassù aveva qualcuno che gli voleva bene. 
Fatti indietro adesso che puoi, cucciolo d'uomo. Tuo padre è tornato indietro, ma sta ben attento a non commettere altri errori, non ci saranno altri desideri disponibili per te. 
Senza nemmeno rendersi conto di come, anche perché lui di certo non si era mosso, si era ritrovato davanti al cadavere di Jonathan, ancora in ginocchio. 
Isabelle era accanto a lui, e sussultò quando lo vide apparire dal nulla: — Ian... — sussurrò. Aveva le mani sporche di sangue, probabilmente proprio quello di suo padre, osservò il ragazzo, e continuava a fissarlo con aria vuota. Aveva distolto lo sguardo solo per posarlo su di lui: — Come... 
— Sssh — mormorò a sua volta, stringendo una delle mani di Jonathan. Attorno al polso aveva una sottile linea circolare, quasi come un braccialetto o un tatuaggio, ma Ian sapeva che era il punto in cui Melchizedeck gli aveva riattaccato la mano che proprio Isabelle aveva tranciato con la sua frusta. — Guarda —. 
Ed era una scena da osservare davvero: sembrava che qualcuno avesse iniziato a riavvolgere il nastro di una videocassetta ad una velocità impressionante, il sangue che sporcava il terreno e i loro corpi iniziò a muoversi, a ritornare indietro, lo squarcio provocato dalla spada nel petto del Nephilim iniziò a richiudersi come una spirale che si arricciò su se stessa per poi scomparire, senza lasciare nemmeno una cicatrice. 
Il corpo una volta morto sussultò e poi Jonathan scattò a sedere, stravolto e con gli occhi sgranati. 
Fu in quel momento che Ian riprese metaforicamente a respirare, a farlo con la consapevolezza che no, non aveva distrutto tutto. 
Christopher, Regina e Sebastian sarebbero nati, i suoi genitori si sarebbero sposati, e nel peggiore dei casi avrebbe avuto altri undici anni con loro. Nel migliore, al suo ritorno nel futuro sarebbero stati lì ad attenderlo, come aveva sempre sognato. 
D'un tratto ci fu un fragore assurdo, assordante, e non si riferiva alle grida di battaglia e di dolore tutto intorno. Sembrava quasi che le montagne avessero deciso di crollare tutte assieme. 
Si voltò di scatto, in tempo per vedere un lampo di luce dorata, quasi un'ona d'urto che si propagava nell'aria, Raziel ed Ithuriel che cozzavano l'uno contro l'altro per poi venir coperti dalle onde del Lyn. 
Loro vennero sbalzati indietro, quelli più vicini alla rivera caddero, caddero come corpi morti, perché erano ormai corpi morti. 
 
Panico. Urla. Sangue. 
Gli ibridi di Melchizedeck battevano i pugni contro la porta, Will piangeva, Val strillava, Regina e Christopher si aggrappavano l'uno all'altro coprendosi le orecchie, Sebastian era finito ai suoi piedi, sporco del sangue che gli colava dai tagli, e lui semplicemente non stava più capendo nulla. 
Era il caos assoluto, le lacrime gli scorrevano sul volto e il mondo si stava facendo nero, la cena di poche ore prima gli stava risalendo nello stomaco. 
Si accasciò a terra e vomitò carponi, mentre inconsapevolmente ondate di magia violastra si propagavano dal suo corpo, stremandolo ancora di più. Passò qualche secondo, poi un minuto, cinque. 
Il muro sulla sua destra iniziò a liquefarsi, il cemento e la pittura si disciolsero e un varco dello stesso colore dei suoi incanti si aprì nella pietra, mentre una sagoma si stagliava sulla superficie. 
Di fronte a lui, invece, la porta venne sfondata. 
L'alta sagoma uscì dal Portale, ed Ian l'avrebbe ricordata per sempre, per tantissimi anni a venire. 
Non era la prima volta che lo vedeva, anzi, ma fu come un punto di rinascita, un avanti strappo delle sue ali e un dopo strappo delle sue ali. 
Non lo chiamava ancora così, ma era lui. Era il suo èlios, grande e grosso e forte, ed era arrivato per salvarli tutti. 
 
 
 
 
(1) = èlios, sostantivo della seconda declinazione greca (greco antico, ovviamente) in caso nominativo, come sostantivo vuol dire sole, luce, raggio di sole. I significati della parola sono elencati in ordine di importanza per come sono intesi in questa fanfiction. 
(2) = fílos, nome della seconda declinazione greca in caso nominativo, come sostantivo vuol dire amante, compagno, amico, alleato e come aggettivo amato, caro, pregiato. I significati delle parole sono elencati in ordine di importanza per come sono intesi in questa fanfiction. 
 
 
A/N: Un paio di righe. 
Sì, siamo giunti alla conclusione di questa fanfiction. Manca solo un capitolo, che è l'epilogo, e che spero chiarirà almeno un po' alcuni dei parecchi dubbi lasciati in sospeso. 
Più che la scrittura di un aggiornamento, questo capitolo è stato un vero parto. L'ho riscritto più volte perché non mi soddisfava mai abbastanza, ed è stato solo grazie all'aiuto di Martina Balla, qui su EFP Marty Evans, che è quella santa della mia parabatai che mi sostiene dall'inizio di questa avventura e che proprio mentre concludevo questo capitolo è venuta a conoscenza proprio da me di una brutta notizia sul suo personaggio preferito e ha promesso di uccidermi, quindi se non avrete l'epilogo è colpa sua - scherzo, eh -; uno speciale grazie anche a Federica Improda, che tutti qui conoscete come proudtobea_fangirl - e se non avete ancora letto le sue long su Shadowhunters, filate a farlo! -, che ha per prima suggerito il soprannome fílos per Ian, vezzeggiativo che gli è stato affibiato da un personaggio speciale per lui che proprio Federica ruola con me, per aiutarmi a portare avanti alcune particolari scene di cui leggerete più avanti. E last but not least, santifichiamo anche @vashappeningirl98 , che ogni giorno è costretta a farmi da compagna di banco e a sentir parlare di personaggi di una saga che a stento conosce. 
Grazie, ragazze, anche se questo non è il tempo dei ringraziamenti e quindi vi ritroverete citate anche nell'epilogo, sorry not sorry. 
Infine, anche se non è la vera fine - that's only the start, girls, siamo solo ad un terzo di questa trilogia e manca ancora l'epilogo -, grazie a tutti voi meravigliosi lettori che siete arrivati al fondo di questo papiro. 
Sono tutt'ora impegnata nella correzione dei capitoli che vanno circa dal cinque al quindici, e mentre questi verranno revisionati e parzialmente riscritti andate a dare un'occhiata a quelli dall'uno al quattro, se non l'avete ancora fatto, e... Niente, ci rivediamo tra un paio di settimane - sarò puntuale, I swear - con l'epilogo. 
*Me incrocia le dita sperando che continuiate a restare sintonizzati su Radio Follia per leggere anche il sequel di questa fanfiction, City of Lies, e auspicabilmente anche quello dopo, City of Time. (Dite la verità, lo farete tutte per scoprire chi è il misterioso èlios e mi farete tutte tanto felice! xD)* 
Lucifer
P. S. Quasi dimenticavo, che ne pensate di questa strana conclusione? Come avete interpretato il finale? L'alternanza tra realtà e flashback in ordine cronologicamente errato vi è piaciuta? 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Winchester_Morgenstern