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Autore: mikit    07/10/2016    1 recensioni
Per riportarlo in vita, Sanae inizia a raccontare a Tsubasa una storia che lei non avrebbe mai pensato di narrargli… Entrate nei pensieri della ragazza e scoprite insieme al Capitano questa storia… la sua storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Nota del traduttore (mari74): questo racconto, nella sua versione originale in francese, appartiene all’autrice Mikit ed è pubblicato sul sito fanfic-fr.net. Nato per quanto mi riguarda come esercizio di traduzione, ho avuto in seguito il consenso dell’autrice a pubblicare la versione in italiano su EFP. La storia mi è piaciuta e ho pensato che valesse la pena postarla per condividerla.
 
Per chi volesse leggere il racconto originale sul sito francese o contattare direttamente l’autrice, il link è il seguente:
https://www.fanfic-fr.net/fanfics/Animes-Mangas/C/Captain-Tsubasa/Pour-que-tu-ouvres-les-yeux-/48654.html

Ringrazio di cuore Gratia per il prezioso aiuto come beta reader e per avermi spronata con il suo entusiasmo a pubblicare questa storia.
 
 


Capitolo 1 – Punteggio Glasgow Coma Scale: 4
 

 
Lunedì 19 febbraio
Apertura oculare: nessuna. 1
Risposta verbale: nessuna. 1
Risposta motoria: estensione stereotipata. 2
 
 
Allora è vero quello che mi aveva detto Ryo? Che eri confinato in un letto d’ospedale? Ancora una volta… Ormai ci sono abituata. È quasi buffo, non credi Tsubasa? Che una cosa così tragica diventi un’abitudine.
 
Mi senti Tsubasa?
 
È una questione di tempo, credo. Lasciare tempo al tempo, come si dice. E a forza di farlo, si finisce per prendere le cose alla leggera, malgrado la loro gravità. E comunque non c’è altra scelta perché il fatto che tu ora stia così non dipende dalla nostra volontà. Dunque, andiamo avanti, cerchiamo di fare del nostro meglio con quello che abbiamo, quello che tu ci hai lasciato. Ma purtroppo mi rendo conto che ciò che ho di meglio sei tu. Credevo fosse qualcos’altro, ma no. Idea sbagliata. Hm, spero di non annoiarti troppo con le mie chiacchiere?!
 
Non voglio fingere di essere ottimista dicendo che andrà tutto per il meglio, perché entrambi sappiamo che se davvero andasse tutto per il meglio non saresti in queste condizioni. Non ho lezioni da darti. Tu sei sempre stato il migliore, ciò è incontestabile. E che qualcuno provi a dirmi il contrario: se la vedrà con me!
 
Se io sono qui è perché ho bisogno di parlarti, di vederti. È come una specie di droga, capisci? Ah, ma no certo, non puoi. Beh, allora prova ad immaginarlo. E comunque non posso impedirmi di pensare che avrei dovuto parlarti molto prima. Sì, sì, lo so a cosa pensi: “Ma noi ci siamo sempre parlati!”.
 
Tuttavia io intendo un’altra cosa, qualcosa di più delicato, di più fragile ma allo stesso tempo più forte… Strana come contraddizione, vero? Ma certo, io mi rodo con i miei “avrei dovuto”. Ci sono tante di quelle cose che avrei dovuto fare, ma che non ho mai osato mettere in opera.
 
Ad ogni modo vorrei chiederti: sarebbe cambiato qualcosa se te ne avessi parlato? Impossibile saperlo, ma io mi rispondo di sì. Forse. Ora ho il rimpianto di non averlo fatto, mi dico che se avessi provato, se avessi osato dirlo... Io… Io…
 
Mi metto a balbettare? È a causa tua! Tu mi hai sempre mandata in confusione. Ma io ne sono felice perché sei la cosa più bella della mia vita.
 
Sì, della mia vita.
 
Ma ti avviso: sei in trappola. Questa volta non puoi più fare l’ingenuo come prima, non puoi più prendere e andartene a giocare a calcio…
 
Aah, il calcio. È grazie ad esso che ci siamo conosciuti. Te lo ricordi? Lo spero perché io me ne rammento come se fosse ieri, anzi un’ora fa. È incredibile come tutti i miei ricordi in questo caso siano chiari e limpidi. No, ti giuro, è davvero strano. Beh, in realtà non è poi così bizzarro se ci pensi bene…
 
In breve, tutto ciò per dire che se ti sei stufato di sentirmi parlare, dovrai uscire dal tuo coma. Ti do un ultimatum come puoi vedere. Ti ho messo in trappola! Diabolica? No. Disperata. Dunque tu non devi farmi nient’altro che un cenno, solo un piccolo segnale ed io mi fermerò. Proprio così. Non più una parola. Muta e con la bocca cucita. Quindi se vuoi che smetta di parlare, vedi di farmelo sapere!
 
Mi senti Tsubasa?
 
Tsubasa?
 
I dottori hanno detto che non sanno se tu puoi sentirci, ma io so che ne sei in grado. So di cosa sei capace, e so che, malgrado questo velo davanti ai tuoi occhi, tu ci riesci.
 
Io lo sento. Altrimenti, che vengano a provarmi il contrario!
 
Dimmi: che cosa stai sognando in questo momento?
 
I sogni… Io ne so qualcosa. Alla nostra età, ci sono diversi modi di guardare all’avvenire. Beh, non per le persone come te, che sanno dall’età di quattro anni quale sarà il loro destino. Ma io penso a coloro che non hanno alcuna idea del proprio futuro. La maggior parte del tempo, lo si percepisce sfocato, con dei contorni più o meno delineati. Qualcosa che fluttua intorno a noi ma senza che si riesca a toccarlo, un po’ come un miraggio. Per me? Beh, credo che sia così… Ma per te, per il grande Ozora Tsubasa, vedo qualcosa di abbagliante, un astro, una stella, una palla di fuoco che puoi a malapena guardare tanto è brillante. Vedo la gloria. Ma non una gloria mediatica ed esibita. No. Una gloria personale e fiera. Un giorno, è certo! Un giorno il mondo intero saprà chi sei, e sono convinta che tra non molto tutti conosceranno il tuo nome. Già ora è molto famoso, ma dopo… quando tu uscirai da qua, lo so!
 
Il tuo nome resterà inciso nel cuore degli Uomini e nei loro ricordi per l’eternità. Ma soprattutto nei miei.
 
Soprattutto nei miei…
 
Certo che è triste essere poco più che maggiorenni e pensare già ai posteri. Ah, te lo giuro! Ma io so, nel profondo del mio animo, che per te questo avvenire glorioso è già tracciato.
 
Lascerai la tua impronta nel mondo del calcio.
 
Tutto è permesso. Abbiamo il diritto di sognare e di evadere, ma per te è diverso: il tuo non è più solo un sogno. Tu divorerai questo mondo.
 
O più tragicamente, è lui che inghiottirà te… Oh no, spero di no! Ma tu sai bene di esserti già trovato più volte di fronte a un muro. Senza sapere come fare per attraversarlo. Oltrepassarlo. Ho già letto la disfatta nei tuoi occhi, e anche la delusione. La tristezza, poiché sai bene come me che esiste un baratro, o ancora questo muro. Questo muro di mattoni indistruttibili. È orribile, spaventoso. Ma tu sai meglio di me come le lancette dell’orologio possano girare. Come il mondo sia disgustoso, ingiusto e senza pietà. So che sono pessimista ma bisogna esserlo di tanto in tanto, bisogna avere i piedi per terra. Non ti ricordavi più di me in questo modo, vero?
 
Ma pazienza… Sento che per te, Tsubasa, tutto andrà bene e sai perché? Perché essendo uno dei più grandi giocatori della tua generazione, troverai sempre un modo per cavartela se non potrai raggiungere il tuo obiettivo principale, anche se sono certa che alla fine ce la farai. Ma nell’ipotesi in cui tu non riuscissi, sai cosa devi fare. Perché, credimi, le delusioni non sono finite ora che stai entrando nella corte dei grandi, anzi si moltiplicheranno. Ma non ti preoccupare se dovrai raccogliere i cocci, lo farò io per te. E incollerò i frammenti uno ad uno se necessario!
 
Dammi la tua mano, mio capitano… Non la stringo troppo forte? Dimmelo altrimenti. È bello tenerti la mano, lo sai? Sì, so di essere troppo sentimentale. Ma cosa vuoi farci? D’altronde è pur vero che non ci tocchiamo praticamente mai. Salvo che per passarti una bottiglia d’acqua o un asciugamano, e nulla mi riempie più di gioia! Credi che sia pazza?
 
E sai una cosa, Tsubasa? Quando ti guardo in questo modo, vedo il ragazzino che eri… quanto tempo fa… otto, nove anni?
 
Ne è passato di tempo… Ne abbiamo fatta di strada entrambi. Un bel po’ da allora!
 
Ehi, mi è venuta un’idea. Ti andrebbe se ti raccontassi una storia? Perché malgrado la tua passione per il pallone, sono sicura che anche tu amassi i racconti quando eri piccolo!
 

 
Beh, considero il tuo silenzio un consenso!
 
Vedi, questo racconto l’ho letto da qualche parte in un vecchio libro della biblioteca. Era talmente bello che non sono più riuscita a cancellarlo dalla mia anima. E poi, due giorni dopo tu hai avuto questo incidente… Quindi significa molto per me narrarti questa bella storia. E tu sarai il primo a cui la racconto. Il solo forse. Consideralo come un regalo, d’accordo?
 
So che mi senti, Tsubasa. Dunque ascoltami bene perché è un po’ particolare:
 
*
 
È la storia di due ragazzi. Due fratelli. Ma non fratelli biologici, no. Non erano nati né dallo stesso padre, né dalla stessa madre. Non abitavano insieme. Erano fratelli nel cuore, come si dice, due metà. Fratelli di spirito. Loro si erano scelti senza che nessuno glielo avesse imposto. Il fato, il destino, la fortuna si erano messi insieme per riunirli e farli incontrare. E in breve tempo avevano percepito che qualcosa di forte li univa. Si intendevano meravigliosamente bene! Una vera fortuna! Erano sulla stessa lunghezza d’onda. Amavano semplicemente stare insieme. E quindi, in un modo naturale per i bambini, avevano deciso di essere i migliori amici del mondo e di non separarsi mai. Si vedevano a scuola, si vedevano dopo la scuola, durante il fine settimana e le vacanze. Il più spesso possibile. Era indispensabile, non potevano farne a meno.
 
E nel loro spirito infantile, ciò sarebbe dovuto continuare per sempre: sarebbero rimasti insieme per il resto della loro vita!
 
Dunque, come avrai capito, erano dei ragazzini molto giovani.
 
Il libro non dice i loro nomi, di certo perché ciò non aveva alcuna importanza… Ciò che conta in questa storia sono i soprannomi che si erano scelti: il primo aveva deciso per Eiichirô* e il secondo Hisaka*.
 
Eiichirô e Hisaka… Sì, lo so, possono far sorridere la prima volta. È davvero buffo! Ma da dove avevano preso questi nomi? Eh, ma è ovvio, semplicemente dalla loro passione comune: il calcio. Ebbene sì, ancora e sempre il calcio. l loro soprannomi riflettevano il loro modo di essere sul campo, quello di un virtuoso e quello di un ragazzino più… terra terra.
 
Ma erano entrambi bravi, sia l’uno che l’altro. Uno era solo più creativo mentre l’altro si accontentava di riuscire a fare cose già note, ma non è ancora il momento di parlare di ciò. Ti racconterò più avanti delle loro tecniche di gioco.
 
Dunque, come ti dicevo questa passione era divorante e comune. Un sogno ossessivo, un amore smisurato. Ecco, è buffo ma mi ricorda qualcuno. Nooo, non devi sentirti osservato Tsubasa!
 
E quindi il calcio era il loro motore principale, era un filo che li univa, un legame davvero molto forte. Erano pazzi, pazzi per il calcio. E ciò che amavano più di tutto il resto era giocare in attacco.
 
Ma era necessario saper usare bene il pallone.
 
Allora, il tempo passò ed ebbero quindici anni. Amavano sempre di più il calcio, erano ancora più fratelli! Nulla avrebbe potuto mai separarli. Dunque, a quell’età, Eiichirô e Hisaka avevano una visione chiara e netta del loro avvenire. Perlomeno di come lo sognavano, ovviamente. Il loro futuro era segnato da campi di erba verde, da linee bianche, da palloni, da scarpini, da sudore, da compagni di squadra ed avversari. Da goal, allenamenti, colpi di fischietto e perseveranza. E anche dalla vittoria.
 
Da star del calcio, da Dei del pallone.
 
Ecco ciò a cui aspiravano a divenire, che i loro nomi fossero gridati dalla folla in delirio, che fossero reclutati dai migliori club esistenti. Il mondo ai loro piedi! Già si vedevano così.
 
E lo sarebbero diventati insieme. Uno con l’altro. Un duo perfetto, in perfetta combinazione. I loro nomi uno accanto all’altro. Sarebbe stato in questo modo oppure niente, è chiaro! Insieme come dall’inizio, avrebbero giocato su quei campi infuocati bruciando il prato, spossando gli avversari ad un ritmo infernale. E insieme sarebbero entrati nell’Olimpo dei più grandi giocatori.
 
Questa passione per il calcio era nata qualche anno prima nello scantinato del nonno di Hisaka. Quest’ultimo, frugando qua e là, aveva finito per mettere le mani su un pallone da calcio. Un vecchio pallone, sai, di quelli con gli ottagoni neri e bianchi. Quelli dei cartoni animati. Insomma un pallone usato e malconcio. Ma l’aveva preso con mani tremanti, ammirando davvero l’oggetto che aveva scoperto.
 
Eiichirô non si era mosso, non aveva detto una parola. Ma in quel seminterrato buio, i suoi occhi brillavano. E quando il suo compagno gli passò la sfera, seppe d’istinto come fare certi passaggi o certe tecniche di gioco. Il pallone si risvegliava quando lo sfiorava con i piedi.
 
Come per incanto. Strano, vero? Come è stata la prima volta che tu hai toccato un pallone, Tsubasa? …  Ah, scusa! Stavo per distrarmi dalla mia storia. Allora dicevo: non trovo il modo di spiegarti… Mai Eiichirô aveva sfiorato prima di allora un pallone, eppure paf! La prima volta che lo fece rotolare per terra, mostrò qualcosa che assomigliava già molto al calcio.
 
Come spiegare questa cosa? Sai, la vita è piena di bellezza e d’ingiustizia, come dice il libro.
 
Quanto a Hisaka, eh beh, quando vide il suo amico giocare così bene a pallone, sentì qualche cosa al centro del suo spirito e del suo stomaco. Una sensazione veramente strana.
 
Sul momento, non cercò di capire, era ancora piccolo e non si preoccupò. Ma secondo il libro era soprattutto un misto di ammirazione, piacere, invidia e certamente gelosia. E tutto ciò costituiva qualcosa al contempo di doloroso e piacevole. Un bersaglio fatto di felicità, dove un dardo andava a piantarsi nel centro. Alla fine, in breve: ecco come il loro amore per il calcio ebbe inizio.
 
In principio, i due ragazzini si allenavano nel giardino di Hisaka. Di nascosto, dietro gli alberi. Non avevano davvero voglia che qualcuno li vedesse così. Non ne sapevano davvero il motivo… Illusione infantile senza dubbio.
 
Sai, non avevano nessuna nozione di calcio, a parte ciò che sapevano grazie alla scuola o alla televisione, ma era tutto lì. Quindi assai poco.
 
Dopo qualche settimana, erano frustrati di non poter poter progredire correttamente nella loro passione, così Hisaka mostrò il pallone e chiese ai suoi genitori di iscriverlo alla squadra di calcio della città. I genitori furono un po’ sorpresi ma accettarono.
 
Ma ciò costava parecchi soldi ed allora Hisaka promise ai suoi genitori d’impegnarsi il più possibile.
 
Debuttò quindi nella squadra juniores della sua città. Una buona recluta, si diceva. Ma i genitori di Eiichirô non poterono iscrivere anche lui, per ragioni finanziarie. Però andava bene così. Hisaka divideva i suoi corsi con lui e tutte le sere gli mostrava, ripetendoli, tutti gli allenamenti, le tecniche, i consigli.
 
Lavoravano per ore ed ore. Sognavano d’arrivare allo stesso livello dei loro idoli, humm… sì, erano pieni di sogni!
 
E così gli anni passarono e i due ragazzi non demorsero. Poi un giorno, al tredicesimo compleanno di Hisaka, i suoi genitori gli offrirono una tenuta completa da calcio. Una cosa fantastica! Non una maglietta da poco prezzo! Una della sua squadra preferita con sopra scritto il proprio nome, degli scarpini costosi e un sacco di altre cose. Dei calzettoni di marca. Sì, un vero regalo! Ma il più bello fu un pallone nuovo fiammante, era magnifico e doveva essere costato caro.
 
Dunque, a partire da quel momento adottarono i loro soprannomi e la cosa più bella fu che, grazie a una borsa di studio, Eiichirô potè entrare in squadra. Ora più che mai le loro vite sembravano delineate. Insieme come sempre. La vita vera! Si allenavano come dei forsennati. Ed entrambi progredivano insieme.
 
O quasi…
 
Per essere precisi, Hisaka stava diventando un calciatore senza infamia e senza lode. Se la cavava bene con la palla ai piedi. A forza di sgobbare, aveva acquisito un buon livello e poteva mantenere il suo posto in squadra senza sentirsi inutile o in imbarazzo. Ma era tutto qui: Hisaka era un giocatore come se ne trovano a migliaia nel mondo. Non aveva nulla d’eccezionale…
 
Quanto a Eiichirô: era un genio, sì un prodigio! Un virtuoso in effetti. Meritava più che mai il suo soprannome.
 
Da un bel pezzo aveva superato il suo amico. E di parecchio. Sembrava provenire da un altro pianeta. Un essere venuto da lontano, strano no? Era praticamente in grado di riprodurre qualsiasi stile di gioco. Anche se non conosco molto, ti parlo qui delle migliori tecniche mai realizzate. Questo ragazzo poteva inchiodare sul posto qualunque grande giocatore. Non ti ricorda nessuno, Tsubasa?
 
A me sì!
 
E al di là di questo talento fuori dal comune, possedeva un non so che in più… Aveva sicuramente qualcosa più degli altri.
 
Il feeling? La grazia? Quando aveva la palla ai piedi, succedeva qualcosa di… di magico! So che è sciocco da dire ma tu sei la persona più indicata per capire ciò che intendo.
 
Eiichirô era unico.
 
Ma di tutto ciò, Hisaka se ne rendeva ben conto poiché non era né stupido né cieco. Vedeva bene, durante le partite, la differenza quando Eiichirô avanzava dalle retrovie affrontando i difensori e segnando uno contro tutti. Era da solo. Hisaka non serviva ormai che a fare gli assist perché ogni volta era il suo amico a segnare. La gloria e la felicità erano per Eiichirô. Immancabilmente.
 
E lo scarto tra i due era decisamente palese.
 
E ti ricordi di questo piccolo dardo nel suo bersaglio? Ebbene, si era trasformato in un giavellotto. Era molto più doloroso. Allora, in quei momenti, Hisaka faceva di tutto per non pensarci. Per lasciarsi andare al solo piacere di guardare il suo compagno distruggere le linee nemiche, e offrire continuamente la vittoria alla loro squadra. Voleva continuare ad essere fiero del suo amico, suo fratello!
 
Per farla breve, erano entrambi insieme quando un giorno Eiichirô arrivò correndo verso Hisaka, un volantino in mano. Era il reclutamento per una squadra di maggiorenni molto più famosa di quella dove si trovavano attualmente, astenersi principianti. Una possibilità incredibile!
 
Allora Eiichirô chiese un parere al suo amico, ma quest’ultimo non aveva l’aria troppo convinta, credo che disse qualcosa come:
 
-Ma non vogliono dei principianti.
 
Tuttavia mi ricordo che Eiichirô rispose:
 
-Noi non siamo più dei principianti!
 
Hisaka riflettè ancora, poi disse:
 
-Ad ogni modo questa squadra è troppo lontana e i miei genitori non mi lasceranno mai andare da solo.
 
Eiichirô iniziò a camminare avanti e indietro in quella piccola stanza luminosa, e dopo un po’ Hisaka cercò di convincere il suo amico ad andare. Ma fedele alla loro amicizia, il primo disse:
 
-No, con te o niente! Allora lascio perdere.
 
Questa affermazione scaldò il cuore di Hisaka, perché sapeva che il suo amico aveva tutte le possibilità di ottenere un posto in quella squadra. Tuttavia scosse piano la testa senza aggiungere altro. Allora ripresero il loro pallone e giocarono come prima, senza parlare di nuovo di questo argomento spinoso. Ma ciò non voleva dire che Hisaka non ci pensasse più. No, al contrario, questa cosa lo perseguitava, lo avvelenava. Avrebbe talmente voluto andarci! Sì. Davvero voluto!
 
Quindi dopo aver ripensato nella sua testa al problema per tre giorni interi e tre notti insonni, Hisaka andò infine a trovare Eiichirô e gli disse che aveva cambiato idea e che ci sarebbero andati insieme. Aveva finito per ascoltare la voce del suo cuore e della sua coscienza. Il sorriso che apparve sul volto del suo amico lo convinse che aveva fatto la scelta giusta.
 
Allora salirono entrambi sull’autobus che li condusse lontano dalla loro infanzia. Hisaka portando il suo pallone ed Eiichirô il peso del suo genio.
 
Ma uno non sarebbe andato senza l’altro, no?
 
L’uno e l’altro erano assolutamente inseparabili.
 
*
 
Mi fermo qui per stasera Tsubasa. È tardi, domattina i tuoi genitori passeranno con tuo fratello a trovarti. Io tornerò domani sera per raccontarti il seguito, se tu ne avrai ancora voglia. Ad ogni modo ci sarò senz’altro!
 
Io… Io ti… Ti auguro una buona notte, Tsubasa.
 
 

 
Note: come ha segnalato l’autrice Mikit, questa storia le è stata ispirata dopo aver letto il libro dello scrittore Marcus Malte “la Scala di Glasgow” che parla di un padre che racconta una storia al figlio quindicenne in coma per cercare di farlo risvegliare.
 
La “scala di Glasgow”, o più brevemente GCS (acronimo di derivazione inglese, da “Glasgow Coma Scale”), è un parametro medico per valutare l’evoluzione dello stato dei pazienti in coma e si basa sulla somma dei punteggi attribuiti a tre diversi tipi di stimolazioni (oculare, verbale, motoria). Partendo da un minimo di 3 fino a un massimo di 15, il punteggio più basso indica un profondo stato di incoscienza e aumenta man mano vengono rilevate risposte agli stimoli.

 

Il titolo di ciascun capitolo non è altro che il punteggio relativo alle condizioni di Tsubasa secondo questa scala.
 
 
* Eiichirô significa -> La gloria.
 
* Hisaka significa -> Il saggio, il giusto.
   
 
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