Suffissi
(Can’t you swim?)
Grazie.
“Ehi tu, libera la
corsia!” esclamò con forza una piccola Miwako
Sato, capelli corti e
temperamento particolarmente peperino, sistemandosi meglio gli
occhialini da
piscina sul naso. Nella piscina coperta del quartiere frequentata
soltanto da
bambini era nota per essere l’unica che, alla sua
età, sapesse nuotare alla
perfezione. Nessuno riusciva a raggiungerla.
Guardando davanti a sé, la superficie dell’acqua
appariva intrisa dell’odore
abituale di cloro, piatta e cristallina. Tranne che in un punto.
Il bambino dagli occhi e i capelli castani a cui si era rivolta, Wataru
Takagi,
attaccato con tutte le sue forze al bordo marmoreo della vasca, la
fissò con
gli occhi spauriti.
Sembrava terrorizzato da lei, dalla piscina, dall’acqua e da
tutto ciò che gli
stava intorno. Forse era per quel motivo che, da quando era entrato in
acqua –
sempre in punta di piedi - , non si era mosso di un centimetro.
“Io… va bene” mormorò un
po’ rosso in viso e, con attenzione, ancora ben
stretto alle piastrelle, si spostò di qualche centimetro
verso sinistra. La
bambina sbuffò sonoramente.
Era strano. Cosa ci faceva in piscina se continuava a starsene
schiacciato
contro il bordo della vasca?
Con una scrollata di spalle, Miwako inspirò più
aria che poteva e si tuffò,
planando sulla piscina a volo di uccello e infrangendo la superficie
dell’acqua. Poi cominciò a battere i piedi e a
descrivere cerchi muovendo le
braccia. Giunse fino a metà corsia, nuotando sempre diritta,
poi, con una
capovolta spettacolare, rotolò su se stessa e
cominciò a percorrere la vasca
nel verso opposto .
Wataru continuava a fissarla con gli occhi spalancati, incredulo. Mai
aveva
visto qualcuno nuotare in un modo così perfetto, con una
tale eleganza. Le sue
gote si tinsero improvvisamente di rosso, quando notò che la
bambina, lo
sguardo fisso sul suo viso, stava nuotando verso di lui.
“Tu”
esclamò di nuovo la piccola,
quasi imperiosa, fermandoglisi di scatto davanti “che ci fai
ancora lì?”
Il bambino si morse un labbro e spostò lo sguardo lontano
dai suoi occhi
marroni, mentre cercava le parole adatte da articolare. Quando li aveva
incontrati, all’improvviso non aveva saputo più
cosa pensare.
“Io…” cercò lui di spiegarsi,
ma immediatamente Miwako lo interruppe con un
sorriso: “Non sai nuotare, non è vero?”
Il viso di Wataru toccò di scatto una sfumatura rosso vivo.
“Non… non ne sono tanto capace”
sussurrò a testa bassa, desiderando
ardentemente di sprofondare negli abissi più profondi della
piscina “ho
imparato da poco.”
La sua voce si abbassava sempre più di tono; le sue mani,
ormai bianche dallo
sforzo, stringevano ancora saldamente il bordo della vasca.
Che vergogna.
La bocca di Miwako si curvò ancora, disegnando un sorriso
più esteso.
“Potrei darti una mano” gli propose, contenta.
Il rossore sulle guance di quel bambino appena conosciuto
già le stava
simpatico.
Wataru alzò gli occhi, sorpreso. “Lo faresti
davvero?” domandò, la bocca ancora
spalancata.
Era proprio l’ultima cosa che avrebbe immaginato.
La bambina rise piano. “Certamente. Se vuoi.”
Lui annuì energicamente, cercando di non arrossire di
più, di mantenere
contegno, ma non ci riuscì.
Quella bambina aveva fatto scappare via tutto il suo coraggio.
Miwako rideva ancora, quando gli strinse la mano.
“Piacere, Miwako. Seguimi.” disse semplicemente.
Lui la strinse forte con la sua. Era piccola e morbida.
“Wataru. Grazie mille, Miwako san*”
replicò lui, candidamente.
“Ehi, perché ‘san’?”
protestò la
bambina infervorata, battendo violentemente le mani
sull’acqua.
Il bambino
sbatté le palpebre, dubbioso,
mentre spruzzi caldi e trasparenti gli inondavano il viso.
“Ma…” cominciò a dire
preoccupato. Era sicurissimo di non aver fatto nulla di
male: aveva applicato tutte le regole per una conoscenza rispettosa, le
aveva
dato del lei. Cos’era,
quindi, che
non andava?
Miwako,però, non gli diede spiegazioni. Aveva già
celato la sua irritazione e, un
sorriso divertito stampato sul volto, lo trascinò
velocemente dietro di sé.
Perché, dopo qualche esercitazione di nuoto - ne era certa -
tra loro non ci
sarebbero stati più suffissi.
*"San" è un suffisso giapponese che viene usato in situazioni
formali.
Una piccola Sato/Takagi (per me la prima) dedicata alla carissima Katia
- Rinalamisteriosa - perché mi
ha dato l'idea della piscina, perché ci divertiamo da matte
quando chiacchieriamo, perché è troppo
gentile con me. <3
Questa storia si è praticamente scritta da sola. Katia mi ha
proposto di scrivere una Takagi/Sato ambientata in una piscina, io li
ho immaginati bambini e questo è il risultato.
Spero possa piacervi almeno un pò. ^^
Mi farebbe piacere ricevere un parere, bello o brutto che sia,
perché ho davvero paura di aver rovinato questi splendidi
personaggi. ç_ç
Grazie mille. ^^
Un bacio,
Ayumi