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Autore: PervincaViola    09/10/2016    3 recensioni
Le parole di Thomas tessono la trama di una storia già letta.
«Raccontami qualcosa del nostro passato».
{One-shot; Newt/Thomas ♥; Spoiler The Death Cure; Enorme What if?}
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minho, Newt, Newt/Thomas, Thomas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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‘Kill me. If you've ever been my friend, kill me’





 


La lingua della memoria




 
La prima cosa di cui è cosciente è il lancinante dolore alla testa, qualcosa che sembra provocato da un chiodo piantato esattamente a metà del cranio, che si dirama con fitte costanti all'intero cervello, simili a gocce d'acqua che lavano via la nebbia di un sonno pesantissimo. Una luce calda, diretta sul suo viso, lo costringe ad aprire gli occhi: il soffitto che vede è di legno scuro e rozzo, le venature chiare degli alberi usati per realizzarlo spiccano sulla superficie. Scopre di essere disteso su una branda che sembra improvvisata, anch'essa di legno ricoperto tuttavia di morbide foglie, e soprattutto realizza che non riconosce il luogo in cui si trova. Con difficoltà cerca di mettersi a sedere, ma il movimento richiede uno sforzo al di sopra delle sue possibilità e con un gemito strozzato e un'altra ondata di dolore si lascia ricadere di nuovo all'indietro.
La seconda cosa di cui è cosciente è il movimento improvviso a lato del letto, seguito dal rumore di una sedia che finisce a terra: a osservarlo stupefatto è un ragazzo dai capelli castani e dall'aria stanca, che lo fissa quasi fosse la creatura più incredibile del mondo. «Minho» sussurra piano, quasi a se stesso, ma non staccando mai gli occhi da lui, e poi a voce più alta. «Minho, corri subito qui!» grida infine, e poi comincia a ridere, gli occhi lucidi. A entrare di corsa dalla porta, qualche secondo dopo, è un altro ragazzo, dai capelli neri e con il fiato corto, prima terrorizzato e poi, dopo avergli lanciato un'occhiata, tanto sollevato da doversi poggiare al muro, sorridendo.
«Si è svegliato» esclama a gran voce il primo ragazzo. «Newt si è svegliato!»
«Ho visto, Thomas, non c'è bisogno di rendermi sordo» lo rimbecca l'altro, eppure la sua bocca continua ad essere piegata in un sorriso, anche quando si rivolge a lui. «Ci hai fatto prendere un accidente, testa di sploff. Sei rimasto come morto per più di due caspio di settimane!»
Newt li guarda e scuote la testa; apre e chiude la bocca per dare voce alle mille domande che si agitano nella sua testa, tuttavia è una sola quella che, alla fine, gli sale alle labbra. «Chi siete?»

Non ricorda nulla, questa è la terza cosa di cui è cosciente. Nulla, davvero niente di niente; non la propria età, né i suoi genitori, o un posto da chiamare casa. Nella sua mente c'è il vuoto, un enorme buco nero da cui emerge solo la consapevolezza del proprio nome. Newt, mi chiamo Newt. Potrebbe essere anche buffo da dire, da vedere da fuori, se non fosse per la spaventosa sensazione di essere perduti.
Alle sue parole, i due ragazzi sbiancano, il sorriso congelato, morto sulle loro labbra.
«Non ti ricordi di noi?» domanda allora il ragazzo che ha parlato solo pochi istanti prima, sconcertato, mentre quello dai capelli castani sembra sul punto di piangere, e Newt non riesce a capirne il motivo. «Siamo Minho e Thomas, amico».
«Ci conosciamo?» domanda, scuotendo la testa, studiando i loro lineamenti, i loro corpi quasi da adulti. Non sono sconosciuti, non del tutto.
«Direi di sì, dal momento che abbiamo salvato le tue regali chiappe più di una volta» ribatte, quasi stizzito, il ragazzo dai capelli scuri – Minho. L'altro – Thomas – invece rimane in silenzio. Sono in qualche modo familiari, simili a spettri che emergono dalla foschia del passato, tuttavia a Newt risulta impossibile associare i loro volti e i loro nomi a qualcosa di tangibile. Forse li ha incontrati in un sogno.
«Dove ci troviamo?»
«In un posto sicuro» risponde laconico Mihno, serrando le braccia.
«I miei genitori dove sono?» chiede ancora, ma è consapevole che si tratta di un quesito sciocco. Sa di aver avuto dei genitori, ne è certo, però non riesce a ricordare il loro volto, né a dar loro un nome. C'è un orribile vuoto, ancora.
«Newt...» mormora Thomas, con voce più dolce. «Loro non... non sono qui».
Newt chiude gli occhi, delle schegge impazzite di ricordi gli turbinano nella mente. Il mondo è cambiato. Le eruzioni solari, gli ecosistemi distrutti. E una malattia orrenda. «L'Eruzione» ripete piano, consapevole, e gli altri due si scambiano un'occhiata e annuiscono.
«Senti, so che tutto questo può sembrare un caspio di casino, ed effettivamente lo è, però ci siamo passati tutti una volta, sai, nel Labirinto, e-» riprende Minho, ma Newt è stanco e vorrebbe piangere e non può sopportare di udirli parlare in una lingua che non può e non riesce a comprendere.
«Non ho voglia di parlare» lo interrompe quindi, secco, e volta a entrambi la schiena, facendo capire loro che la conversazione per lui è conclusa. «Non ho voglia di parlare. Andatevene» ripete ancora, avvertendo i loro occhi perforargli la nuca. Serra forte le palpebre e dopo una manciata di istanti sente dei passi pesanti allontanarsi, mentre il sonno lo avvolge fra le sue spire – quasi si ritrova a sperare di dormire per sempre. È già quasi scivolato nell'incoscienza, quando percepisce ancora le loro parole.
Sapevi di questa possibilità, dice una voce lontana e pregna di tristezza, forse quella di Minho. L'unica risposta è lo sbattere rabbioso di una porta. Poi è il buio.
 
«Salvalo».
Sogna l'oscurità. È negli occhi del Newt del sogno, impossibilitato a muoversi, e anche in quelli del Newt del presente.
«Salvalo, e farò tutto ciò che mi chiedi».
A parlare è una voce giovane e chiara, ma piena di disperazione.
«Abbiamo tentato con molti altri soggetti infetti, Thomas, ma anche asportargli la parte ammorbata di cervello sarebbe inutile. Ormai è uno Spaccato, presto supererà l'Andata».
L'altra appartiene a qualcuno di più anziano ed è quasi asettica, ma contiene un riflesso di cupa rassegnazione.
«Non osare chiamarlo in quel modo, non osare» ringhia quello che deve essere Thomas. «Lui è mio amico».
«Le probabilità di successo sono praticamente nulle, quelle di morte celebrale o di accelerazione del processo degenerativo assai più alte» continua l'uomo, senza particolari inflessioni nella voce. «Anche se sopravvivesse, potrebbe perdere del tutto la memoria, o regredire allo stato infantile. Infine il virus potrebbe contagiarlo nuovamente, poiché non ne è immune. È morto in ogni caso».
«Fallo!» ruggisce Thomas. «E avrai il mio, di cervello».
Un sospiro, il buio si riempie di suoni metallici e di altre voci, un ago s'infila nel suo braccio e il mondo sfuma via.




Si sveglia che è mattino e il sogno si è dissolto come bruma all'alba. Capisce che sono le prime ore del giorno dall'angolatura della luce che penetra dal piccolo buco che è la finestra; ode delle voci, nessuna delle quali gli suona familiare, tuttavia gli è impossibile scorgere cosa si trovi oltre l'apertura: è come se il futuro – esattamente come il passato – fosse chiuso. È in questo momento che lo colpisce pienamente la consapevolezza della propria condizione: non ha idea di dove si trovi, né come ci sia arrivato; curiosità e paura si mescolano nella sua testa, ma tutto è percorso da un sentimento di profonda disperazione.
Se chiude gli occhi vede frammenti di immagini nel buio, ma tutti sfuggono via prima che riesca ad afferrarli e comprenderli. Una vita senza ricordi è una vita a metà, pensa, e gli occhi gli diventano lucidi.
Deve attendere che i raggi del sole si facciano più intensi, prima che un Thomas dall'aria speranzosa faccia il suo ingresso nella stanza, portando con sé una serie di strisce di stoffa colorata.
«Hai ricordato qualcosa?» si affretta a chiedergli, ma l'espressione sul suo viso deve essere una risposta sufficiente, perché il suo sorriso si smorza immediatamente. «Presumo di no» considera, e fa per avvicinarsi con le bende variopinte.
«Cosa fai?» lo blocca, irrigidendosi immediatamente.
Thomas sembra sinceramente confuso. «Ti cambio le bende?» suggerisce, aggrottando le sopracciglia.
Newt si accorge solo in quell'istante del peso ai lati della testa, intuendo che deve trattarsi di bende simili a quelle che Thomas tiene fra le mani, e tuttavia non è ancora pronto a permettergli di avvicinarsi così tanto a lui, poiché, a conti fatti, rimane uno sconosciuto.
«Lasciale sul letto, le cambierò io» gli ordina, perentorio.
Come se avesse letto i suoi pensieri, il ragazzo sospira. «Eravamo dalla stessa parte, Newt, non eravamo noi i nemici» dice solo, facendo come gli ha chiesto.
La disperazione lo assale di nuovo alla gola. «Non ricordo nulla. Come faccio a sapere che stai dicendo la verità?» gracchia con voce stridula, sentendo gli occhi pizzicare.
«Dovresti semplicemente fidarti» afferma quietamente, con una supplica nello sguardo, qualcosa che Newt non si sente di accogliere. «Potremmo aiutarti a ricordare».
«Per il momento preferisco di no. Lasciami solo».

È pomeriggio inoltrato e Newt sta sonnecchiando, quando avverte la presenza di qualcuno accanto a lui.
«Ben svegliato, bell'addormentato» lo saluta Minho, con quell'irritante sorriso sarcastico sempre sulle labbra. «Questa mattina il piccolo genietto Tommy è uscito da qui con un muso lungo che quasi toccava terra. Si può sapere che gli hai detto?»
Newt decide di tacere, tenendo lo sguardo ostinatamente ancorato alla finestra, evitando gli occhi indagatori del ragazzo dai tratti orientali.
«Ti ho già detto che ci siamo passati tutti per una perdita di memoria, no? Se vuoi saperlo, io non ho fatto nemmeno la metà delle scenate che stai facendo tu» sentenzia, e Newt ha improvvisamente voglia di metterlo a tacere con un bel pugno sul naso, perché è pronto a scommettere che invece non ne sa proprio un accidente di quello che sta passando.
«Non hai il diritto di giudicarmi» sibila con rabbia, e subito si pente di avergli risposto, sentendolo ridere.
«Be', eravamo amici» sottolinea, quasi beffardo. «Quindi sì, direi che il diritto di giudicarti lo detengo eccome, pive, soprattutto dopo quello che io e Thomas abbiamo passato per trascinarti qui».
Vedendo che il silenzio continua a protrarsi, Minho estrae una mela dalla tasca dei pantaloni, lanciandogliela fra le mani.
«Certo che sei diventato proprio una gran testa di sploff» sbuffa. Poi infila la porta e se ne va così com'è arrivato, scuotendo il capo.

 
 


Il giorno seguente apre gli occhi che il sole non è ancora sorto e tutto è immerso nel buio. Le bende gli danno fastidio, perché non è stato semplice riuscire a togliere quelle vecchie, chiazzate di sangue, e sostituirle con le nuove senza guardarsi allo specchio, ma Newt conta comunque di aver fatto un buon lavoro. Senza accorgersene, ricade di nuovo nel sonno. Quando la luce del sole s'insinua dispettosa fra le sue ciglia, Newt apre gli occhi e scopre delle iridi celesti che lo osservano intensamente dall'altra parte della stanza. Aggrottando le sopracciglia, riconosce la figura di Thomas, e pensa che è strano, che deve essere arrivato prima ancora che il sole sorgesse.
Dopo un attimo di esitazione, Newt decide di ignorarlo ed è quasi facile, perché l'altro ragazzo non cerca nemmeno di parlargli. Quasi, però, perché Thomas non parla, ma non smette di guardarlo nemmeno per un istante. Giocherella con le bende multicolore fra le sue dita, talvolta si stiracchia e getta qualche occhiata fuori dalla finestra, eppure non parla. Semplicemente lo guarda, cercando di comunicargli qualcosa che Newt non riesce a capire. Certo che devi avere qualche rotella fuori posto, vorrebbe dirgli, eppure decide di non farlo.
Minho si fa vivo nel pomeriggio, con la sua flemma: gli lascia un'altra mela – Newt non lo vuole ammettere, ma sta morendo di fame e ha divorato in pochi morsi la succosa mela del giorno precedente – e gli spiega con poche parole che il suo stomaco deve abituarsi al cibo di nuovo. Si sofferma anche su Thomas, con un ghigno ilare, e poi rotea gli occhi, borbottando qualcosa sul fatto che fosse sempre stato un po' matto.
È sera, quando Thomas finalmente si decide ad alzarsi, posando sul letto le bende colorate e portandosi via quelle usate. Newt sospira sollevato, contento di essere di nuovo solo con i propri pensieri.

Eppure il giorno dopo è ancora lì e la scena si ripete identica a se stessa, e così anche l'indomani, e il giorno seguente ancora. Thomas si siede a gambe incrociate di fronte al suo letto, rimane immobile per ore. È già seduto con le sue bende colorate quando Newt apre gli occhi, la mattina; se ne va solo quando il sole è ormai tramontato e la luce è diventata viola. E per tutto il tempo semplicemente lo guarda, con occhi così espressivi che paiono parlare da sé. Voglio aiutarti a ricordare, dicono, Newt l'ha capito, fidati di me.
Così fa per tredici fottutissimi giorni, sfidando la sua pazienza e la sua testardaggine e forse anche il parere di Minho, che ha cominciato a lanciargli occhiatacce ogni volta che entra a lasciargli qualcosa da mangiare.
Il quattordicesimo giorno, Newt si arrende. Non è più solo con la propria disperazione e l'ostinazione di Thomas è qualcosa che non ha mai conosciuto e che non può nascere dal niente – devono essere stati amici. E non sa spiegarne il motivo, ma ha l'impressione che in qualche modo sia sempre stato incline ad interpretare la parte dell'eroe.
«Provaci» mormora piano, quasi sperando che Thomas non l'abbia udito e se ne vada. «Raccontami qualcosa del nostro passato».
C'è una vita intera di cui Newt non ha memoria, eppure – quando alza gli occhi su di lui – è certo di stare osservando il sorriso più luminoso del mondo rischiarargli il viso e, sbuffando, distoglie lo sguardo. «Spero almeno che non sia una brutta storia» aggiunge ironicamente.
Thomas ride. «Non del tutto».

Gli racconta del suo primo giorno in quello che lui chiama Il Labirinto: la mancanza di ricordi, la solitudine e la sensazione di aver perduto ogni punto di riferimento, tutti pensieri in cui si riflette Newt per primo. Gli racconta di Alby, Chuck e Gally, tutti nomi cui non riesce a collegare un volto, e poi anche di lui stesso, di come si fosse presentato sbeffeggiando affettuosamente Alby. «Eri molto più amichevole di adesso» lo stuzzica Thomas, facendogli un occhiolino, e Newt – stupendo persino se stesso – non fatica a credergli. Non è come ricordare, è qualcosa di diverso: è come se, ascoltando le parole di Thomas, nella sua mente si ricomponessero quelle schegge impazzite che sono i suoi ricordi. Si figura la Radura e il Casolare e le alte mura del Labirinto ricoperte di verde edera, minacciose ed incombenti.
«Cosa ci sarebbe di bello in quello che mi hai appena raccontato?» chiede infine, quando la luce del sole si è fatta arancione e la stanchezza lo chiama verso il basso.
Thomas sorride più furbescamente, mentre inizia a cambiargli le bende con delicatezza. «Noi. L'inizio della nostra amicizia».
Newt non può a fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso, alzando gli occhi. «Bella fregatura».

Quella notte sogna tutto ciò che Thomas gli ha raccontato, e anche di più: sogna la vita prima del suo arrivo nella Scatola, di Alby, Chuck e Gally che hanno di nuovo un volto, dei primi Radurai, della foresta così fitta che sembra ingoiare la luce; sogna l'incubo dei Dolenti con la loro pelle molliccia e i bracci meccanici per uccidere, degli effetti della Mutazione e degli occhi folli di Ben.
Il sogno muore il giorno dell'arrivo di Thomas, mentre socchiude le palpebre e lo vede seduto di fronte al letto.
«Ciao, Fagio» lo saluta Newt e potrebbe giurare di aver udito la voce di Minho urlare a Thomas di ridere più piano.
 
 


 
Quella di Thomas diviene una presenza costante. È sempre lì, poggiato alla parete quasi temesse il suo crollo, e gli occhi azzurri sono limpidi quanto un vero cielo terso – questo Newt riesce a ricordarlo. Thomas non si sposta di un millimetro, rimane seduto in quel punto a due metri da lui, la schiena contro il legno, e Newt sospetta che non c'entri affatto la mancanza di altre sedie nella stanza: è semplicemente il punto giusto perché possano sempre guardarsi dritto negli occhi. È il punto giusto perché possa indovinare ogni sfumatura che li attraversa durante i suoi racconti e sondare la veridicità del loro passato, anche se Newt non ne avverte più il bisogno.
Quella di Thomas diviene una presenza costante, e così le sue parole. C'è sempre meno luce mentre prosegue con la sua storia, perché la serenità della Radura aveva sempre scricchiolato e non era destino che tutto finisse con un lieto fine. I suoi ricordi impazziti gli mostrano una fantasia di sangue violaceo nella luce grigia del Labirinto in rovina, quasi nero sul corpo da bambino di Chuck e rosso cupo nella Zona Bruciata – forse non l'ha mai dimenticato, forse il colore e il lezzo del sangue rimangono semplicemente intrisi nella pelle – e se tutto non fosse mero passato quasi avrebbe paura di aprire gli occhi. E in questo miscuglio di sangue e rabbia verso chi ha avuto la forza di fare tutto questo a dei ragazzini, Newt non ha più bisogno di chiedergli quale sia il lato felice e senza ombre della storia, perché conosce già la risposta. La vede nei sogni alimentati dalle parole di Thomas: vede se stesso e Minho e Tommy e capisce che qualcosa di buono, da quella caspio di situazione folle, alla fine sono riusciti a cavarne.

La notte sogna tutto ciò che Thomas gli racconta, sempre. Sogna della fine del Labirinto e di scienziati tanto freddi quanto disumani e spietati, del caldo afoso, di palle di metallo liquido e della rossa tempesta di fulmini nella Zona Bruciata. Sogna Teresa, un nome che esce dalle labbra di Thomas in un sussurro, e l'Eruzione nel loro sangue, gli Spaccati e quella pazza di Brenda con il suo compare Jorge in mezzo a loro. Non si tratta solo di ricordare, davvero: è come riscoprire, rivivere qualcosa che non è mai morto, solo attraverso le parole di qualcun altro – Thomas.
Thomas che è sempre lì quando apre gli occhi. L'unica volta in cui non lo accoglie al mattino, subito la mente di Newt è riempita di pensieri spaventosi; e quando il Fagio si decide ad arrivare, dopo qualche ora – o quella che Newt ritiene sia qualche ora, perché nessuno si prende la briga di lasciare un orologio a un moribondo –, l'unico pensiero che lo assale è che dovrebbe strangolarlo per averlo fatto preoccupare in questo modo, e al contrario vorrebbe solo abbracciarlo.
«Sei in ritardo» brontola invece, quasi offeso, non appena lui varca la soglia, e per un attimo si domanda cosa ne sia stato della razionalità che era certo di possedere.
«Non sapevo avessimo un appuntamento» sorride Tommy. Non è così che l'aveva inteso Newt, non precisamente, però non controbatte, perché questa definizione suona così bene che non riesce nemmeno a spiegarselo.
«Sì, be', il nostro sarebbe una specie di caspio di appuntamento giornaliero, no?» borbotta imbarazzato, mentre l'altro si lascia scivolare contro la parete, nel posto giusto.
La luce è quasi argentata, quando Thomas finisce di raccontare di una stanza bianca e vuota che l'aveva visto come prigioniero per quasi un mese, quando si alza per lasciarlo riposare.
«A domani, allora. Puntuale» si premura di sottolineare prima di uscire e Newt annuisce soddisfatto.
Non se n'è reso conto subito, ma ora l'ha capito: Thomas è più di un amico, è un'ancora che lo tiene legato ad un passato che ha disperatamente bisogno di conoscere. Le sue parole tessono la trama di una storia già letta: Thomas parla la lingua della memoria.

 
 


Si alza dal letto dopo più di un mese e se non ci fosse Thomas a sostenerlo con un braccio attorno alla vita Newt è certo che stramazzerebbe al suolo. Il sole gli accarezza la pelle e quello che vede deve essere il Paradiso: una distesa infinita di alberi altissimi e erba verde, verdissima, puntellata di fiori gialli e viola e arancioni; e poi una parete di roccia scura che taglia l'orizzonte limpido e ancora più in là il blu cobalto dell'oceano. Newt si dice che, sì, deve trovarsi proprio in Paradiso. Non ci sono edifici tecnologici o case, questo no, solo qualche costruzione in legno traballante e tanti, tanti ragazzi che ridono e lavorano, mentre Thomas gli spiega che ora è Minho ad aver preso in mano le redini di tutto. Minho che si avvicina a lunghi passi e storce le labbra in un sorriso.
«Ti stai guardando attorno come un Fagiolino, pive» lo riprende sarcasticamente, ma con divertimento nella voce. «Se fossi un tipo più sentimentale ti direi che mi sei mancato» continua poi, e per un attimo i suoi occhi neri si addolciscono. «Purtroppo per te non lo sono, perciò ti consiglio solo di farti un bagno, perché hai un aspetto orribile».
Newt soffoca una risata. «E riposati finché puoi, perché non tarderò a mettere sotto anche te» aggiunge Minho con un ghigno a cui risponde con un sorriso, annuendo.
«Grazie, Minho» dice, sincero, e il Velocista gli indirizza un secco cenno del capo, per comunicargli che ha compreso.
Fagiolino, lo ha chiamato, e ora Newt non potrebbe riconoscersi di più in questa definizione: per lui è tutto nuovo, crede lo sarebbe persino con tutti i suoi ricordi. La serenità che vede, che può quasi toccare con mano, è difatti uno stato d'animo quasi del tutto estraneo alla sua memoria.
Per questo sorride davanti a decine e decine di adolescenti che stanno riscoprendo la vita, ma è una in particolare ad attirare la sua attenzione: una ragazza dai lunghi capelli scuri che li scruta da lontano.
«Brenda» la riconosce. «È la tua nuova ragazza?»
«Cosa?» trasecola Thomas, per affrettarsi ad aggiungere un deciso: «No, certo che no!»
«E allora perché caspio mi sta guardando come se ti stessi corteggiando?» soffia Newt, irritato, e vedendo il rossore diffondersi sulle gote dell'amico si rende conto di ciò che ha appena detto. Arrossiscono entrambi, ma la mano calda di Thomas non lascia mai il suo fianco.
«Minho diceva sul serio?» domanda quindi con noncuranza, cercando di ignorare il pizzicore all'altezza degli zigomi. «Cosa dovrei fare?»
«Tenere insieme i pezzi, come nella Radura» asserisce Thomas e – nascondendo gli occhi dietro le ciocche brune che gli ricadono sulla fronte – inizia a trascinarlo verso la delimitazione del prato. «Dopotutto, eri il Collante».
Lo accompagna nel cuore della foresta, dove alberi dalle chiome piene creano una piacevole frescura, e lì c'è un piccolo lago dalle acque verdi, così verdi che nel loro riflesso scompare anche il color petrolio dei suoi occhi. L'immagine che scorre sull'acqua è quella di un ragazzo pallido e magro, con la mascella squadrata; vede capelli biondi troppo lunghi, che sfiorano le spalle, e alcuni ciuffi più sottili dove intere ciocche dovevano essere state strappate dallo scalpo. Newt si specchia in una copia di se stesso stanca e sciupata, eppure quando accanto alla sua figura appare quella di Thomas, con le sue iridi azzurre e la chioma bruna, decide che i loro volti non si discostano così tanto, in fondo. Legge stanchezza sui lineamenti di entrambi – per questo non si stupisce che il nuovo leader sia Minho, e non Thomas, poiché è un affaticamento che prova lui per primo – e forse anche voglia di ricominciare. Voglia di ricominciare a vivere.

Il giorno in cui si rimette in piedi scopre di zoppicare dalla gamba destra, ma forse lo sapeva già, in realtà. È una storia che ha a che fare con il Labirinto e le sue alte mura e Alby. Non c'è bisogno che Thomas racconti anche questa.

È sulle rive ciottolose del lago che Thomas riprende a narrare di quel passato di cui non ha memoria; è lì che racconta della fine dell'isolamento cui tutti loro erano stati costretti, dell'Uomo Ratto e della lista che aveva diviso gli Immuni dai non Immuni – è con le dita affondate nella sabbia densa e umida e lo sguardo fisso sull'acqua che Newt scopre di non essere mai stato Immune all'Eruzione. «Hai avuto una reazione molto più contenuta della mia» rivela Thomas, quasi imbarazzato, e Newt inarca le sopracciglia.
E poi l'amico va avanti con la storia, parla della fuga a Denver, di Hans e del Braccio Destro, di Gally che non è mai morto, eppure queste schegge di ricordi si ricompongono solo in parte nella mente di Newt – riesce a immaginare tutto, ma non come se l'avesse vissuto. La verità è il suo cervello è rimasto fermo, congelato al momento dell'annuncio: la verità è non può evitare di interrogarsi su cosa accada nella tua testa sapendo, dentro di te, che non c'è mai stata speranza, che la tua fine è già stata scritta da qualcun altro. Si chiede come sia possibile fronteggiare un futuro di morte, che non esiste, e Newt semplicemente sa che non avrebbe potuto farlo davanti a Minho e Tommy, che dietro di sé non non avrebbe mai lasciato come ultimo ricordo quello di uno Spaccato.
«Ora sono guarito» constata a bruciapelo, alzando gli occhi sul viso di Thomas, a cui basta uno sguardo per intuire a cosa si stia riferendo e che annuisce piano.
«Come?» non può impedirsi di chiedere, sebbene tema la risposta – non esiste cura per l'Eruzione, questa è sempre stata una certezza. Tuttavia questa risposta non arriva: Thomas pare lontano mille miglia, come risucchiato dal passato.
«Mi lasciasti una lettera» butta lì dopo un tempo lunghissimo, eppure, a giudicare dal movimento repentino con cui abbassa gli occhi, pare pentirsene immediatamente.
«Una lettera» ripete Newt, interdetto.
«Esattamente. Mi dicesti di aprirla solo al momento giusto» mormora roco, come se ogni parola gli costasse un'immensa fatica.
«E cosa cacchio c'era scritto?» lo sollecita ancora, dal momento che l'amico non accenna a proseguire.
Thomas stringe le labbra e distoglie lo sguardo. «Te ne ricorderai al momento giusto».
 
 


«Non posso».
Sogna la disperazione. La rabbia è come un veleno che scorre dentro di lui; la sua umanità sta venendo divorata pezzo per pezzo dal virus. Più il tempo passa e più sente che lui stesso, ciò che Newt era, sta svanendo senza lasciare traccia – il futuro lo ha già dimenticato. Presto non rimarrà nulla della sua coscienza, di lui e della sua memoria. Perdere la propria anima è come morire, ma in una maniera più lenta e straziante, osservando la propria caduta in un baratro, cercando con le tutte le forze di ritrovare se stessi. Forse Alby aveva visto questo, pensa Newt, osservando la disperazione di Thomas, e a quell'idea gli salgono le lacrime agli occhi.
«Uccidimi! Fallo prima che diventi uno di loro!» lo prega con rabbia, ed è consapevole che si tratta di una richiesta ingiusta ed egoista, eppure è felice che sarà lui a farlo, perché andarsene per mano di qualcuno che ama è in questo momento la migliore delle morti. «Uccidimi».
Newt sa che tiene così tanto a questo pive del caspio che è l'unico a cui può chiedere una cosa del genere.
«Per favore, Tommy». Sono le proprie mani che lo guidano, mentre con lo sguardo cerca di fargli capire che non c'è nient'altro che avrebbe potuto fare – e che l'ha già perdonato. «Per favore».
Thomas sta piangendo, ma mantiene la canna della pistola puntata contro la sua fronte. È meglio così, si dice Newt, sentendolo caricare il colpo, è giusto così.

 
Si sveglia in un bagno di gelido sudore ed è certo – è la sensazione più bella del mondo – di essere vivo.

 


«Non hai mantenuto la promessa» gli dice una sera, al tramonto – non ha sognato la lettera, quella parte della storia si è rifiutata di uscire dalla foschia di ricordi perduti.
Thomas lo guarda sorpreso. I raggi rossi del sole gli incendiano i capelli, regalando loro riflessi dorati, e Newt gli porge un foglietto stropicciato, sul quale sono scritte poche parole – è impossibile non riconoscerlo. «Era nella tua felpa. Ti è caduto l'altro giorno, pive» lo canzona con un sorriso, ma non c'è ombra di divertimento sui lineamenti di Thomas.
«Speravo non te ne ricordassi» è tutto quello che esce dalle sue labbra e il silenzio cala di nuovo.
Newt sospira. «Perché non me l'hai raccontato?»
«Dannazione, Newt, cosa ti aspettavi che ti dicessi? ‘Oh, tra le altre cose, sai che mi hai pregato di ucciderti per evitarti una morte orrenda e io per poco non ti ho sparato in fronte?’» sbotta lui, ed è la prima volta da quando Newt si è svegliato, più di un mese prima, che scorge la rabbia nei suoi occhi. «Credi che sia stato facile?»
Newt rimane senza parole. I riflessi dell'acqua del lago giocano sul viso contratto di Tommy e in un istante realizza di averlo visto in questo stato solamente dopo la morte di Chuck. «Io...».
«Non avrebbe mai potuto esserci un momento giusto, lo sai?» sospira lui, questa volta più addolcito. «E non avrei mai potuto farlo, okay? Sentivo che non poteva finire in quel modo e salvarti era l'unica alternativa». Thomas cerca di sorridere, ma la sua voce è roca e rotta e Newt sente che lui stesso sta per mettersi a piangere come un bambino. Perché per un momento ha immaginato cosa sarebbe successo se i ruoli fossero stati invertiti, se lui fosse stato un Immune e Thomas no; ha immaginato Tommy supplicarlo di ucciderlo e, con una stretta al cuore, ha compreso ciò che ha dovuto passare davanti alla sua richiesta. Salvarlo sarebbe stata davvero l'unica opzione possibile.
D'istinto lo tira a sé e soffoca le sue parole contro la propria spalla; Thomas rimane rigido per un istante appena, prima di ricambiare con foga l'abbraccio, una mano che si aggrappa alla sua schiena e il cuore che batte rapido contro il suo.
«Non dovrei essere qui» afferma Newt lentamente. Tutti Immuni, meno lui.
«Probabilmente no, ma ormai non puoi più andartene» ribatte Thomas, non mostrando alcun segno di volersi scostare dal suo abbraccio.
«Senza di te ora sarei morto, o uno Spaccato fuori di testa» continua allora, e di fronte a questa constatazione lo avverte trattenere il respiro.
«Sì» risponde semplicemente; Newt si chiede se non avesse intravisto il suo futuro nell'istante stesso in cui lo avevano dichiarato non immune all'Eruzione.
«Spero che tu non ti faccia venire qualche complesso, adesso» scherza Thomas, in uno sbuffo che gli solletica la spalla. «Ti ho odiato quando me l'hai chiesto» confessa poi, sottovoce, e Newt non può che annuire e stringerlo più forte.
«Lo so. Grazie».

Infine non manca che una tessera del puzzle. «Non mi hai ancora raccontato come siamo arrivati qui».

«E Teresa?» chiede alla fine, quando il gorgoglio morbido dell'acqua rimane l'unico suono fra di loro, e in qualche modo pensa di conoscere già la risposta.
«Cosa ricordi di lei?» procrastina Thomas, preso nuovamente alla sprovvista da una sua domanda. Gli ha rivelato tutto, di come lui e Minho avessero fatto l'impossibile – trasportandolo a peso morto sulle proprie spalle – pur di trascinarlo al sicuro con loro, eppure quello di Teresa è un nome rimasto sospeso, impalpabile, con la consistenza della polvere nell'aria.
«Ricordo che non mi piaceva, ma che piaceva a te» afferma Newt, con un ghigno che vuole essere un sorriso. «E che era una gran saputella».
Le labbra dell'altro s'increspano per un attimo appena. «È morta per salvarmi. Come Chuck» riferisce poi in un sussurro, chiudendo gli occhi.
Newt rievoca il ricordo di Teresa, i suoi brucianti occhi azzurri e l'ovale perfetto del suo volto; a questo si sovrappone il visetto rotondo e infantile di Chuck e infine quello imbronciato e ben rasato di Alby. Qualcosa, in fondo all'anima, gli fa male.
«Mi dispiace» risponde d'impulso, stringendogli forte una mano, ed è la verità; perché a dispetto di tutte le sue convinzioni – giuste o sbagliate che fossero – persino Teresa Agnes, colei che fino all'ultimo aveva scelto di aggrapparsi all'illusione della bontà della C.A.T.T.I.V.O., avrebbe meritato un finale diverso. Lo avrebbero meritato tutti loro. «Sembra che la C.A.T.T.I.V.O. non fosse poi tanto buona alla fine, non trovi?» considera, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disprezzo.
«Ci hanno concesso un nuovo inizio» replica Thomas, dopo qualche istante di silenzio, senza traccia di rancore. «È già molto».
Le sue dita non hanno mai smesso di stringere la mano di lui. Un nuovo inizio – Newt assapora il significato di queste parole sulla lingua, lo sguardo incatenato a quello di Tommy. Forse è abbastanza.

 
 


 
Sogna la fine e l'inizio della storia.
Il colpo arriva direttamente sulla fronte e lo lascia tramortito. Il mondo diventa confuso, eppure c'è qualcosa di sbagliato, perché la realtà non scompare divorata dal nulla, come pensava sarebbe accaduto.
Si ritrova a terra, intontito, schiacciato dal corpo di Thomas e dal suo abbraccio di ferro. Sono circondati da Spaccati e il pive sta gridando a qualcuno di portargli delle corde, sovrastando le urla degli altri. L'ha colpito con il calcio della pistola, capisce Newt, l'ha colpito con il calcio della pistola e non l'ha ucciso.
Rinviene in quello che sembra un furgone, anche se non può guardarsi attorno per esserne certo, e Thomas è accanto a lui. Si china, gli parla all'orecchio e il suo fiato caldo gli sfiora piacevolmente il collo. «Non potevo fare quello che mi hai chiesto, mi dispiace» sussurra, vicinissimo al suo viso, con le guance ancora umide di pianto. «Stiamo andando alla C.A.T.T.I.V.O. e lì troveranno il modo di aiutarti, te lo prometto».
Newt scivola nel buio senza nemmeno accorgersene.
«Non ti abbandono».

 
C'è erba umida sotto il suo corpo, un cielo nero e trapuntato di stelle sopra di lui; Newt si tira a sedere con uno scatto, rabbrividendo nell'aria fresca della notte che ha dissipato il suo sogno. Volta il capo, osservando confuso delle torce in lontananza, e ricorda che è la sua prima notte fuori dall'infermeria: accanto a lui, nemmeno a distanza di un braccio, c'è Thomas. Thomas i cui occhi lo scrutano nell'oscurità, aperti e vigili.
«Qualunque cosa fosse, ora è finita» gli dice, accostandoglisi impercettibilmente – quasi avesse visto il suo sogno
–, ed è così sicuro e rassicurante, così vicino, che Newt non può che credergli.
Si lascia ricadere all'indietro sul morbido suolo erboso e inspira a pieni polmoni l'odore pungente della notte, misto a quello più intenso di lui; si addormenta come nel sogno, con le parole di Thomas che gli galleggiano nella mente e il viso rivolto verso di lui, senza neppure accorgersene.
 
 


È un nuovo futuro, davvero un nuovo inizio. Una rinascita per loro, mentre il resto del mondo va incontro alla propria rovina. È qualcosa di strano e folle e pensarci fa quasi paura.
«Mi hai chiesto dei tuoi genitori, il primo giorno» considera Thomas, mentre la brezza oceanica scompiglia i capelli di entrambi; Newt distoglie lo sguardo dalle onde e ripensa al suo risveglio, qualcosa che è diventato paradossalmente ineffabile, ora, rispetto a tutto il resto. Ricorda di essersi comportato da stronzo – a posteriori deve riconoscerlo – e, sì, ricorda anche di aver domandato dei propri genitori. «Non potrò mai raccontarti di loro» prosegue, dispiaciuto, mentre Newt non trova nulla di cui dispiacersi.
«Ero stato io a non voler ricordare. Se tornassi indietro rifarei la stessa scelta» si schernisce, scuotendo la testa, e non sta mentendo. La lingua di Thomas non potrà infatti dipingere il suo passato precedente al Labirinto, e neppure il volto dei suoi genitori, ma gli ha restituito quella che per lui è una vita intera – e questo è molto di più, qualcosa che non potrà mai ripagare. «Grazie per, be', per tutto il resto».
«Non avrebbe avuto senso salvarti allora e abbandonarti qui» scrolla le spalle Thomas, come se rischiare la vita fosse stato un nulla, e di nuovo Newt rimane schiacciato dall'interezza di ciò che è stato disposto ad affrontare per lui.
«Ti ho fatto penare parecchio» osserva quindi, mentre nella sua mente riecheggiano ancora le parole di Thomas – Non ti abbandono. «Più di quanto abbia fatto tu nel Labirinto» aggiunge, mentre un sorriso complice nasce sul viso dell'altro.
E allora Newt decide di seguire il suo istinto, prima ancora di poterlo soffocare dentro di sé: lo bacia velocemente sulla bocca, senza pensarci; le sue labbra sono morbide e umide, schiuse per la sorpresa – ma arrendevoli contro il suo bacio. E mentre si ritrae appena e lo osserva con gli occhi sgranati e le guance in fiamme, stupito lui per primo dal suo stesso gesto, si ritrova a pensare che non c'è posto più giusto di quello e realizza che avrebbe voluto farlo da sempre – persino in quella vita di cui non conservava memoria.
Inclinando la testa, con la coda dell'occhio, Newt studia la reazione di Thomas e vede che è arrossito anche lui, e che sta ancora sorridendo – il sorriso più luminoso del mondo.
«Direi che ne è valsa decisamente la pena».


 
 




Angolino della Vì:
Il mio primo esperimento in questo Fandom, yay :3 Le vere note saranno più in giù (e anche lunghissime), quindi mi limito a dire che, se vi è piaciuta (o no), un parere fa sempre piacere ♥


*lancia cioccolata calda e unicorni*

 
 
All'inizio ho reso Newt volutamente diverso da quello che conosciamo, per due ragioni: la prima è che, secondo me, in una situazione del genere sarebbe venuto fuori quel lato di lui che intravediamo solo quando racconta a Thomas del tentato suicidio, 'meno coraggioso', ma anche più naturale; il secondo motivo, che ci viene detto espressamente all'inizio del primo libro, è che subito dopo la perdita di memoria (appena arrivati dalla Scatola) tutti i nuovi arrivati passavano i primi giorni da soli, a piangere. Diciamo che ritengo anche questa è una reazione più che naturale.
Poi, la fantomatica cura: in pratica, quando Thomas si reca di sua spontanea volontà dalla C.A.T.T.I.V.O. si trascina dietro anche Newt, dopo averlo legato, e obbliga il nostro Uomo Ratto a far operare anche lui, asportando con tutti i loro macchinari tecnologici la parte di cervello infettata dall'Eruzione. Ho immaginato che questa cura non fosse stata utilizzata su altri Spaccati appunto perché la possibilità di guarire era minima e, oltretutto, un praticamente certo nuovo contagio (nessun luogo era al sicuro dall'Eruzione) avrebbe reso vano tutto il lavoro. Al contrario, il Paradiso che si presenta alla fine dell'ultimo libro è praticamente blindato rispetto al virus e, essendo gli abitanti tutti Immuni, Newt non può contrarre di nuovo la malattia.
La questione della perdita della memoria: a causa dell'operazione sopracitata, Newt perde la memoria (i ricordi non vanno perduti, ma non riesce ad afferrarli). Il suo nome gli è comunque rimasto impresso, poiché è una sorta di rimasuglio degli esperimenti effettuati nel Labirinto; ho immaginato che anche in caso di perdita totale della memoria quello non sarebbe mai stato cancellato.
Mia interpretazione del Paradiso: nell'ultimo capitolo narrato da Thomas non viene nominato nessun edificio, né alcun aiuto – tecnologico o non – fornito dalla Cancelliera Paige; per questo ho supposto che questo nuovo inizio della civiltà dovesse esserlo in tutto e per tutto, edifici compresi, che quindi dovranno essere costruiti a partire da legno, foglie ecc. (una sorta di ritorno al passato per avere un nuovo futuro).
‘Qualunque cosa fosse, ora è finita’ è presa da Un nuovo regno, Licia Troisi.
Come premio per chi fosse arrivato fin qui, lascio il mio video Newtmas preferito. Adesso potete piangere ♥
   
 
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