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Autore: sono_una_fanvergente_efp_    09/10/2016    1 recensioni
Cosa succederebbe se un giorno John Watson, assieme alle borse della spesa, portasse a casa un nuovo possibile coinquilino? E come reagirebbe il famoso consulente investigativo?
Ambientata in una realtà in cui John e Sherlock stanno finalmente assieme. Non ci sono spoiler della serie.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Johnlock pills'
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Il terzo coinquilino

Era un tranquillo pomeriggio al 221B di Baker Street.

Forse un po' troppo.

Nessun serial killer, nessun omicidio, nemmeno uno stupido problema sentimentale o un qualche caso di coniglio scomparso. Nulla, calma piatta.

Sembrava che tutti i malviventi di Londra avessero deciso di prendersi una vacanza con il risultato di scatenare in Sherlock Holmes uno degli attacchi di noia più gravi della storia.

John Watson, deciso ad evitarsi una crisi di nervi, era uscito al primo “John, mi annoio.” per andare a fare la spesa, non prima però di essersi assicurato di aver portato con sé ogni genere di oggetto che, in sua assenza, sarebbe potuto diventare dannoso per le pareti dell'appartamento.

Così, dopo aver imprecato un po' contro la tv e aver letto e soprattutto corretto l'ultimo post del blog di John, Sherlock, come d'abitudine, si era disteso sul divano sgualcito, occhi chiusi e mani giunte sulle labbra.

Ritenendolo troppo noioso, aveva deciso di non rifugiarsi nel suo palazzo mentale ma di provare a rilassarsi, mettendosi ad ascoltare il proprio corpo.

Ed eccolo il respiro calmo e regolare; inspira: la cassa toracica che si espande, i polmoni che si gonfiano e il diaframma che si abbassa; espira: l'aria che solletica le dita, i muscoli intercostali che si rilassano e le spalle che si abbassano.

Il battito del cuore; il sangue che scorre nelle vene, il muscolo cardiaco che lo pompa in tutto il corpo, instancabile.

E infine la sensazione di freddo, molto più recente, provocatagli dal piccolo cerchio d'oro bianco che gli fascia la base dell'anulare destro.

Perché si, John Hamish Watson, suo migliore amico e coinquilino, era da ormai quasi un anno diventato anche suo marito.

Ovviamente Sherlock Holmes pensava ancora che i matrimoni fossero una perdita di tempo per sentimentali ma John non era dello stesso parere.

Così quando il medico gli si era inginocchiato di fronte, porgendogli un anello e chiedendogli se volesse sposarlo, non aveva resistito davanti a quegli occhi speranzosi che tanto amava e dopo pochi mesi si era ritrovato sull'altare di una chiesa a giurargli amore eterno.

Eppure, nonostante la sua avversione per i sentimentalismi, il più giovane degli Holmes non aveva ancora il coraggio di togliersi la fede dal dito.

L'unica volta che lo faceva era quando doveva farsi la doccia e in quel piccolo lasco di tempo in cui l'anello restava appoggiato sul mobiletto del bagno si sentiva perso, come se gli avessero tolto una parte del corpo.

“Sentimentale” lo canzonò la voce di Mycroft nella sua testa ma Sherlock la ignorò.

Se per stare con John doveva essere un po' meno cinico del solito, si sarebbe sacrificato.

“E poi nessuno lo verrà a sapere.” si disse tra sé, sorridendo leggermente.

Ad un tratto, il portone d'ingresso del 221 sbatté piano e un rumore di passi invase l'appartamento vuoto.

Sherlock avrebbe riconosciuto quei passi tra un milione.

Leggermente zoppicanti ma decisi, marziali ma silenziosi.

John!

Senza aspettare che l'uomo entrasse dalla porta, il consulente investigativo si tirò a sedere slanciando le lunghe gambe e andò ad accoglierlo.

-Sei tornato, finalmente.- esclamò fingendosi scocciato per nascondere quanto in realtà fosse felice di vederlo.

Il medico, ancora con una mano allungata nel gesto di girare il pomello dell'uscio, sbatté gli occhi.

-Ciao anche a te.- sorrise, sporgendosi per dargli un leggero bacio sulla guancia ma Sherlock fu più veloce e, girando di lato la testa, fece toccare le loro labbra in un bacio veloce ma dolcissimo.

-Mi sei mancato.- gli soffiò John sulle labbra ancora vicinissime.

Sherlock in risposta gli scoccò un'occhiataccia.

-Sei tu che ci hai messo tanto.- protestò incrociando le braccia la petto. -Pensavo fossero finiti i tempi in cui passavi ore a litigare con le casse automatiche del supermercato pur di evitarmi.- concluse dando le spalle al marito, per evitare che quest'ultimo vedesse il sorrisetto che gli stava spuntando sulle labbra.

-Cosa?- esclamò incredulo il medico -Non ti sto evitando, dovevo fare la spesa, Sherlock. Il frigo è vuoto e non ho intenzione di mangiare per cena dita umane. E a tal proposito devo dire a Molly di vietarti l'ingresso in obitorio, non avranno più niente da seppellire se continuerai a...- ma dovette interrompersi perché Sherlock aveva iniziato a ridacchiare sommessamente.

-Si può sapere che c'è ora?- sbuffò esasperato John ma venne zittito dalle labbra del consulente investigativo unite alle proprie per un altro bacio, questa volta più appassionato.

-Scusa, John, ma non ho resistito. Avresti dovuto vedere la tua faccia.- lo canzonò Holmes non appena si separarono per prendere fiato.

L'ex-militare in risposta lo fissò truce.

-Ti odio.- borbottò andando in cucina per appoggiare sul tavolo le borse con la spesa.

-E io ti amo.- gli urlò in risposta Sherlock, stravaccandosi sulla sua poltrona. -Allora mi vuoi dire o no perché ci hai messo così tanto?

Nel sentirsi rivolgere quella domanda le spalle di Watson si irrigidirono appena.

-Ecco...io...- mormorò nervoso mentre il consulente investigativo si metteva sull'attenti. -Era proprio di questo che ti volevo parlare.- continuò e, senza aggiungere altro, abbassò lo sguardo sul fagotto che teneva tra le braccia.

Sherlock seguì il suo sguardo e non appena si posò su quello che John teneva in grembo, sbiancò.

-John, cos'è quello?- chiese con voce tremante indicando con un cenno del capo quell'ammasso di stoffa che poco prima aveva scambiato per una delle buste della spesa.

-Ecco...lui è un neonato.- rispose il medico mentre il suo coinquilino emetteva un lamento disperato.

-Lo so, lo vedo ma...perché?

-L'avevano abbandonato in un vicolo, stava piangendo non potevo lasciarlo lì.- si giustificò John -Sarà solo finché non gli avrò trovato un posto dove stare, poi se ne andrà, te lo prometto.

Sherlock fece una smorfia.

-John è un bambino! Piangerà, griderà, non riusciremo più a dormire la notte e poi sei così sentimentale che vorrai tenerlo e allora dovremmo portarcelo con noi mentre risolviamo i casi e lui si lamenterà piangendo e gridando. Ho bisogno di calma, io.- esordì il detective con tono petulante.

-Oh, avanti Sherlock. Non fare il melodrammatico.- lo rimproverò il dottore -Tu di notte non dormi comunque e duranti i casi può tenerlo la signora Hudson e comunque, per la cronaca, signor ho-un-QI-superiore-a-tutti-quelli-di-voi-insulsi-mortali-messi-assieme piangere è quello che fanno i neonati.

Sherlock lo fulminò con un'occhiataccia ed incrociò le braccia al petto, studiandolo.

Rimase così per un po', solo con lo scopo di irritare ulteriormente il marito, dopodiché si voltò di scatto e, dopo aver proferito un secco: -No.-, si diresse a passo spedito in camera da letto.

John, colpito dalla freddezza del coinquilino, decise che era meglio parlargli con calma anche se non poté impedirsi di alzare gli occhi al cielo, esasperato.

Prima però doveva sistemare il bambino.

Sempre tenendo il neonato stretto al petto, si diresse in cucina e, in un pentolino, mise a scaldare un po' di latte mentre in un altro mise a bollire dell'acqua nella quale avrebbe poi immerso un biberon per farlo sterilizzare a dovere.

Nel frattempo che i due liquidi si scaldavano, John si prese un secondo per osservare il bambino.

Avrà avuto si e no un paio di mesi.

Gli occhi, che ora lo fissavano curiosi e riconoscenti, erano di un azzurro chiaro, tendente al verde, mentre i capelli ancora radi erano di un dolce color cioccolato.

“Sembrano quelli di Sherlock” pensò il medico mentre un piccolo sorriso gli si dipingeva sulle labbra al pensiero del marito.

Ma quel sorriso non durò molto perché, prepotente ed improvvisa, l'espressione d'orrore del consulente alla vista del bambino si fece strada nella sua mente.

John non riusciva proprio a spiegarsi il perché di quella reazione.

Certo, Sherlock Holmes non era di certo il miglior candidato come baby-sitter dell'anno ma non aveva mai mostrato un'avversione così forte verso i neonati.

Doveva assolutamente capire cosa stava succedendo.

Ancora immerso nei suoi pensieri, il medico non si accorse della signora Hudson, entrata in quel momento, e quando questa gli urlò un “Attento, John, il latte sta uscendo dal pentolino” sobbalzò spaventato per poi allungarsi e spegnere il fornello.

-Grazie, signora Hudson.- sospirò, riempiendo il biberon e saggiando la temperatura del latte sul polso.

Solo allora la padrona di casa parve accorgersi dell'ospite.

-Oh, caro ma questo è un bambino.- strillò tutta contenta, allungando le mani perché John glielo passasse.

Il medico sorrise potendo quasi sentire la voce scocciata di Sherlock constatare quanto quell'affermazione esplicasse l'ovvio e per tanto poteva considerarsi inutile ed idiota.

Sherlock! Doveva muoversi.

-Si, signora Hudson. L'avevano abbandonato in un vicolo così ho deciso di tenerlo un po' qui finché non gli troverò una casa.- spiegò il medico ma la donna lo ignorò, troppo presa a coccolare il bambino.

John alzò gli occhi a cielo.

-Signora Hudson- ripeté e questa volta la padrona di casa si decise a distogliere l'attenzione dal neonato -Può tenere lei il bambino per un po', io devo parlare con Sherlock in privato?

-Oh, ma certo caro.- sorrise benevola la donna -Vada pure e dica a Sherlock che se non glielo lascia tenere, dovrà rinunciare al suo the mattutino.

John le sorrise grato dopodiché si diresse verso la camera da letto.

 

-Mi sa tanto che la signora Hudson si trasferirà qui da noi. Non ha fatto altro che riempire di attenzioni il bambino da quando è salita.- scherzò il medico entrando nella stanza ma Sherlock come d'abitudine fece finta di non averlo sentito.

-Ce ne hai messo di tempo.- sbottò invece il consulente senza abbandonare la sua consueta posizione: prono, gli occhi chiusi e le mani giunte sopra le labbra.

-Guardati sei già un genitore modello. I figli prima di tutto, non è vero?- continuò senza preoccuparsi nemmeno di aprire gli occhi.

John nel sentirsi rivolgere quelle parole, si irrigidì all'istante.

-Ah, è questo il problema?- esclamò il medico sulla difensiva -Pensi che ora che ci sarà William non avrai più tutta l'attenzione rivolta verso di te?

Nel sentire il nome con il quale Watson aveva chiamato il bambino, Sherlock si mise a sedere di scatto perdendo d'un tratto tutta la sua impassibilità.

-William?- chiese alzando un sopracciglio.

John arrossì.

-Si, beh, pensavo che dovesse avere un un nome, chiamarlo semplicemente “bambino” mi sembrava brutto.- mormorò imbarazzato.

-Si lo so ma perché William?- continuò imperterrito Holmes senza staccare gli occhi da quelli del marito.

Questa volta John sorrise e andò a mettersi in ginocchio sul letto, proprio davanti a lui.

-Perché è il tuo secondo nome ovviamente.- rispose dolcemente -E pensavo che colui che potrebbe diventare la seconda persona che amerò più della mia stessa vita dovesse avere un qualche collegamento con te.- sorrise.

Nel sentire quelle parole gli occhi di Holmes si spalancarono appena.

-Hai detto seconda.- constatò come suo solito, deciso ad avere l'ultima parola -Hai detto che è la seconda persona più importante della tua vita. Non la prima.

-Oh, lo so.- gli soffiò John sulle labbra -La prima rimarrai sempre tu.- e senza lasciare a Sherlock il tempo di ribattere, lo baciò con dolcezza.

Il consulente investigativo si aggrappò a lui, approfondendo il bacio e rendendolo disperato, come se ne valesse della sua stessa vita.

Non appena si staccarono per riprendere fiato, Sherlock affondò il viso nell'incavo del collo di John mentre quest'ultimo lo strinse a sé.

-Non possiamo tenerlo, John.- mugolò il detective -La casa non sarebbe sicura per lui; ci sono sostanze chimiche ovunque e pezzi di cadavere che potrebbe accidentalmente mangiare.- fece una pausa durante la quale il medico non disse niente. E come poteva? Da quel lato, suo marito aveva ragione.

-E poi nessun bambino dovrebbe avere come padre un sociopatico iperattivo.- continuò poco dopo Sherlock -Non sarebbe mai al sicuro con noi ed è già abbastanza difficile vedere te rischiare la vita ogni giorno.

Sentendo la disperazione nella voce del compagno, John lo strinse più forte a sé.

Prima di parlare il medico soppesò attentamente ogni singola parola.

-So che questa cosa ti spaventa.- iniziò piano -Forse ti sembrerà strano ma ho paura anch'io, anzi sono letteralmente terrorizzato dall'idea di non essere all'altezza di questo compito. Non ho nessuna esperienza nel campo e il fatto che passo gran parte della mia vita a rincorrere killer psicopatici non mi aiuta di certo. Avrei tanto voluto che la prima cosa che mi fosse passata per la testa, quando ho trovato William in quel vicolo, fosse stato il pericolo a cui lo esponevo portandolo con me ma non è stato così perché quando ho visto quel fagotto tremante me lo sono subito immaginato tra le tue braccia qui a Baker Street e ho capito quanto desiderassi avere una famiglia con te, Sherlock. E se tu lo vuoi, io sono pronto a rischiare.

Disse tutto d'un fiato col timore che, se si fosse fermato, le parole sarebbero potute volare via.

Per i primi istanti non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo ma non appena si decise ad incontrare gli occhi del marito, si stupì nel trovarli lucidi.

Sherlock Holmes non era tipo da lacrime, non ne versava quasi mai ma ora c'erano.

Appena accennate, due minuscole gemme ai lati degli occhi indecise se scivolare lungo le guance pallide o ritornare da dove erano venute.

Alla fine decisero di buttarsi.

-Sherlock...- lo chiamò incerto John, vedendo che il marito non accennava a muoversi ma non riuscì ad aggiungere altro perché il consulente investigativo si slanciò in avanti per stringerlo in un abbraccio da mozzare il fiato in gola.

Watson dopo un attimo di stupore iniziale, ricambiò la stretta affondando il viso tra i capelli ricci dell'uomo che amava più della sua stessa vita.

Rimasero così, in un silenzio rotto solo dai loro respiri impercettibili, per un attimo che sembrò eterno dopodiché Sherlock sciolse l'abbraccio, allontanandosi leggermente.

-Ci devo dormire sopra.- disse soltanto e John sorrise annuendo.

Gli avrebbe lasciato tutto il tempo di cui avrebbe avuto bisogno.

 

Erano passate ormai cinque ore da quando era andato a dormire, o almeno da quando John l'aveva costretto a stenderglisi accanto mentre dormiva.

Lui, Sherlock Holmes di addormentarsi proprio non ne aveva voglia.

Era steso su un fianco, la testa sorretta dalla mano e osservava Watson dormire mentre rifletteva su ciò che era successo durante quel giorno che era ormai giunto al termine.

Il consulente desiderava davvero tanto creare una famiglia con John; sarebbe stato l'atto che avrebbe coronato il suo più grande sogno. Eppure, ora che ne aveva l'occasione, era terrorizzato all'idea di non essere all'altezza.

Sherlock Holmes terrorizzato. Questa si che era una bella novità.

A un tratto, il filo dei suoi intricati pensieri volti ad autocommiserarsi vennero interrotti bruscamente da un pianto inizialmente sommesso, poi sempre più acuto e terribilmente rumoroso.

Per i primi istanti provò ad ignorarlo, magari se fingeva di essersi addormentato, sarebbe andato John a calmare William ma quando vide che il medico non accennava a muoversi, si alzò di scatto e con uno sbuffo raggiunse la vecchia camera di Watson, che era stata momentaneamente adibita a cameretta.

Non appena entrò nella stanza,il bambino sembro calmarsi appena e quando lo prese in braccio il pianto disperato di poco prima lasciò il posto a radi e leggeri vagiti.

Stringendo al petto William con delicatezza, Sherlock scese le scale fino ad arrivare in cucina dove mise a scaldare del latte.

-Guarda che mi tocca fare.- sbottò rivolto al neonato che nel frattempo si era calmato e lo osservava tra l'incuriosito e il divertito.

-Oh, certo prenditi pure gioco di me, piccolo diavolo, ma ricordati chi dei due prepara da mangiare.- lo minacciò sedendosi sulla poltrona ed aiutandolo a sorreggere il biberon.

Mentre William era impegnato a mangiare, Sherlock si prese un momento per studiarlo.

La prima cosa che notò furono gli occhi, di un azzurro più chiaro di quello di John ma quasi ugualmente bello. La pelle era rosea e paffuta, tipica dei bambini molto piccoli, mentre sulla testa spuntava qua e là qualche riccio di un castano meno scuro del suo.

Non appena William smise di mangiare, il consulente investigativo appoggiò il biberon sul pavimento dopodiché fece per riportare il bambino nel suo lettino quando si accorse che quest'ultimo gli si era assopito in grembo, stringendogli il dito indice a mo' di pupazzo.

Davanti a quella scena, Holmes sentì uno strano calore partire dal cuore e propagarglisi per tutto il corpo, facendolo sentire piacevolmente commosso.

Con uno sbuffo, si maledì in silenzio per essere così sentimentale ma alla fine, non avendo il coraggio di svegliare il bambino e non avendo neanche la voglia di separarsene, si sistemò meglio sulla poltrona, stringendo William al petto dopodiché, finalmente, riuscì ad addormentarsi.

 

Quando John si svegliò, il mattino seguente, capì subito c'era qualcosa di diverso.

Il letto accanto a sé era vuoto, cosa insolita ma non impossibile, ma quello che più lo fece rizzare a sedere, vigile e leggermente preoccupato, fu la totale assenza di rumore nell'appartamento.

Di solito, infatti, quando Sherlock si alzava presto ci teneva che lo sapesse tutto il vicinato, iniziando a suonare il violino alle cinque del mattino o nei casi più rari ma non impossibili un enorme boato scuoteva la casa e John sapeva che avrebbe trovato la colazione pronta e qualche mobile in meno.

Eppure quella mattina, c'era calma piatta e la cosa allarmò il medico più di un'esplosione.

Piano, con cautela, si diresse in salotto ma non appena vide il motivo di tanto silenzio tirò un sospiro di sollievo e non poté impedirsi di sorridere intenerito.

Sherlock era raggomitolato sulla sua poltrona e stringeva delicatamente a sé William, che dormiva sereno come l'uomo accanto a lui.

John, stando attento a non fare rumore, prese una coperta dal divano e la posizionò sulle spalle del marito dopodiché fece per andare a preparare la colazione quando una voce lo fece bloccare sul posto.

-John?- chiese Sherlock stiracchiandosi pigramente, stando però attento a non svegliare il bambino.

-Buongiorno.- lo salutò il medico, sorridendogli amorevolmente -Hai dormito qui tutta la notte?- gli chiese poi.

-No.- mentì il consulente -Solo un po'. William aveva fame così gli ho dato da mangiare e poi l'ho fatto addormentare.- spiegò, lanciando al neonato uno di quegli sguardi pieni d'affetto che era solito riservare solo al marito.

John sorrise, guardando la scena.

-Ti preparo un the.-mormorò poi lasciando un leggero bacio sulla fronte di Sherlock ma ancora una volta dovette rinunciare alla colazione perché la mano del consulente investigativo si strinse attorno al suo polso.

-John...- lo chiamò Holmes con voce incerta. Prima di continuare deglutì a fatica. -Ho pensato a quello che ci siamo detti ieri. Che mi hai detto ieri.- si corresse -E ho preso la mia decisione.- annunciò e John non poté impedirsi di trattenere il fiato.

Ma vedendo che Sherlock non accennava a voler proseguire, si costrinse a parlare.

-E...?- lo esortò mentre l'attesa lo distruggeva.

-E ho deciso che voglio tenere William.- annunciò il consulente -Avere una famiglia con te è tutto quello che voglio e sì, sono pronto ad affrontare questa sfida.- concluse con un sorriso timido mentre le guance gli si imporporavano appena, cosa che John gli avrebbe volentieri fatto notare se non fosse stato così concentrato ad impedirsi di scoppiare a piangere.

-Dici davvero?- chiese invece il medico, ancora incredulo e quando Sherlock confermò le sue affermazioni di poco prima, annuendo convinto, non riuscì più a trattenersi e gli saltò letteralmente al collo, unendo le loro labbra in un tenero bacio.

-O mio Dio, Sherlock. Abbiamo un bambino.- esclamò John tra un bacio e l'altro -Abbiamo un bambino.- ripeté.

E fu proprio in quel momento che i due si accorsero che William si era svegliato e li guardava incuriosito.

-Buongiorno.- lo salutò Holmes mentre John accarezzava piano i ricci del neonato -Noi siamo i tuoi papà.- continuò il consulente presentando lui e il marito. -William Watson Holmes, benvenuto al 221B di Baker Street.

   
 
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