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Autore: workingclassheroine    10/10/2016    5 recensioni
Quando la bottiglia aveva terminato il giro proprio davanti al suo maledetto amico, John non era riuscito a trattenere un sospiro di delusione.
Con Paul sta davvero troppo, maledizione, di quel troppo che ti porta a conoscere il colore del suo dannatissimo spazzolino da denti e il modo in cui si sfiora l'angolo delle labbra con il pollice quando è a disagio.
Un troppo che, in effetti, non è mai davvero troppo, ma John deve convincersi sia così per preservare la propria salute mentale, perché a volte ha semplicemente bisogno di dirsi "Ok, qui finisce Paul. Qui inizia il resto della mia vita".
E sa che se non lo fa, se ogni tanto non se lo ricorda, va a finire che il pensiero di Paul gli ruba il resto dello spazio disponibile e non c'è modo di distinguere dove inizi e dove finisca, il maledetto McCartney.
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Buon compleanno, floret, ti voglio bene!
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla sorella che ho avuto la fortuna di trovare, 
buon compleanno, fiorellino.
 


La bottiglia ruota vorticosamente, acclamata dalla folla che la circonda gesticolando, come se la cosa potesse in qualche modo servire a fermare il suo folle giro in un punto preciso.
Paul accenna una smorfia disgustata, e provvede ad accendere l'ennesima sigaretta della giornata, aspirando con voluttà il sapore acre della nicotina che gli scivola giù per la gola.
Sulla sua spalla una testa rossa si solleva pigramente per stampargli un bacio sulle labbra. 
"Stai fumando troppo" gorgoglia la ragazza, per poi tornare a fissare il vuoto con un sorriso da idiota.
"Vaffanculo" ribatte Paul, perfettamente calmo.
Jane è ubriaca ormai da un terzo di questa maledetta e caotica serata, e nonostante la sbronza Paul si sta decisamente annoiando. 
Non che di solito Jane sia particolarmente di compagnia, ma la sua pelle bianca e una camera da letto lasciata aperta da un padrone di casa incauto riescono a creare un buon diversivo, nella maggior parte dei casi.
Il problema è che stavolta sono a casa di Richie, e Richie ha specificato che vi conosco davvero troppo bene e che se vi trovo a scopare in casa mia vi faccio finire le bacchette su per il culo. 
E ci ha anche tenuto a dir loro che li sta letteralmente pregandosupplicandominacciando, per cui anche il solo pensiero di disobbedire suona un po' come un tradimento.
C'è da dire che, davvero, Paul con i Beatles non si annoia mai, ma ora ci sono tutte queste persone intorno a loro e lui può contare sulle dita della mano le parole che sono riusciti a scambiarsi nel corso della serata.
Un bel paradosso: uno diventa un dio della musica credendo di dare una svolta alla propria vita e finisce per annoiarsi a morte.

Dalla parte opposta del cerchio John fa roteare del whiskey nel bicchiere di vetro che si è preoccupato di svuotare almeno una decina di volte, ipnotizzato dal movimento rotatorio del liquido. 
Cynthia gli ha ripetuto mille volte di non perdersi nel suo mondo e cercare di divertirsi, almeno per quella sera, ma c'è questa sensazione alienante che è semplicemente più forte della volontà di John. 
Si sta annoiando a morte.
Sono seduti per terra, di fronte a una bottiglia che gira, come dei tredicenni con gli ormoni a mille.
"Si chiama sette minuti in paradiso" ha spiegato Ringo qualche minuto prima, con una faccia talmente entusiasta che John si è sentito in dovere di chiedergli "Di' un po', figliolo, hai sporcato le tue mutande?". 
Non lo ha sentito -o forse ha fatto finta, difficile dirlo- e tutti gli altri hanno applaudito e buttato una bottiglia di birra vuota per terra, pronti a giocare.
Non è proprio l'idea che ha John del divertimento. 
Voglio dire, finché si tratta di ubriacarsi e festeggiare lui è più che disponibile a buttarsi nella mischia e magari rompere anche qualcuno dei preziosissimi soprammobili di cristallo di Richie, ma questa sembra una maledetta festa per ragazzini.
A ventitré anni si suppone che i giochi con la bottiglia siano stati messi da parte, cestinati e persino bruciati dalla memoria, ma a quanto pare -e John, da bravo amico, si è premurato di sottolinearlo- il padrone di casa ha un secondo tasso di crescita dimezzato, oltre a quello fisico.
"Amore, non mi sembra tu ti stia divertendo" interviene Cynthia, sfiorandogli possessivamente il volto in una carezza.
John si scosta, vagamente irritato, e non si impegna neanche nel negare.
Se vogliamo dirla tutta, non si sta divertendo perché la sua adorata mogliettina è aggrappata al suo braccio da quando sono entrati nella fottuta casa, ben decisa a difendere con le unghie e i denti ciò che crede sia suo. 
Ci manca poco che si metta a ringhiare contro qualsiasi essere di genere femminile si avvicini a John, e la sensazione di avere accanto un cane da guardia invece che una donna non è propriamente esilarante.
Lo avevano messo in chiaro, questo: John non è fatto per il matrimonio, in alcun universo parallelo, e qualsiasi tentativo di renderlo, non dico fedele -John rabbrividisce alla sola parola- ma quantomeno devoto è inesorabilmente inutile.
Si volta, un'espressione amabile sul volto "Cynthia, amore, se non allenti la presa sul maledetto braccio temo dovranno amputarmelo".


Paul schiaccia il mozzicone contro la porcellana decorata del posacenere, maledicendosi per aver finito entrambi i fottuti pacchetti in poche ore. 
Adesso non ha davvero nulla di meglio da fare se non seguire l'andamento del gioco, e di quella maledetta cosa che si ostina a ruotare in mezzo a loro.
Come rispondendo ai suoi silenziosi pensieri la bottiglia inizia a rallentare il proprio giro, seguita dagli schiamazzi degli invitati, e le basta un'ultima oscillazione per puntare dritta sul primo partecipante.
John se ne accorge un po' in ritardo, come al solito, e trova immediatamente gli occhi di tutti che lo osservano curiosi.
Paul gli rivolge un sorriso complice e vagamente sofferente.
Sicuramente le ragazze che gli si accalcano intorno non aspettavano altro che questo, che Oh!John si liberasse della mogliettina e fosse libero di accogliere le loro fervide preghiere, e a Paul non dispiacerebbe neanche scaricargli Jane, che in questo momento gli fa formicolare la spalla e non è molto di compagnia.
O forse non vorrebbe scaricargli proprio nessuno, e trascinarselo semplicemente in qualche pub a bere birra scadente e parlare di musica, che è poi quello che sanno fare meglio.


"Beh, ora che devo fare?" chiede John, con un'occhiata distratta a tutto il cerchio.
Richie ride, e alza le braccia al cielo mormorando un "Io lo sapevo" tragico e accorato che fa sorridere tutti.
"Non hai ascoltato una parola di quello che abbiamo detto?" si accerta George, fulminando John con uno sguardo fra lo stizzito, il divertito e il è-John-va-accettato-così.
"Era in dubbio?" conferma John, facendo schizzare al cielo gli occhi dell'altro.
Ringo simula un verso rabbioso e si accascia a terra, rassegnato, "Ora noi facciamo girare di nuovo la bottiglia, Johnny caro" rispiega pazientemente "E chiunque venga puntato deve seguirti in una stanza e rimanere chiuso con te lì dentro per sette minuti"
"Il mio prototipo di inferno" commenta George, chinandosi in avanti per evitare lo schiaffo che John tenta goffamente di sferrargli sulla nuca.
"E che dovremmo fare in quei sette minuti, quindi?" chiede, ritirando una delle lunghe gambe verso il petto.
Richie gli rivolge una discreta strizzata d'occhio, "Quello che volete, ovviamente".
Cynthia fulmina entrambi con uno sguardo, evidentemente valutando l'idea di azzannare il collo di Richie e staccargli la testa, ma sul viso di John sta già prendendo forma una maliziosa consapevolezza.
"Oh" si limita a dire, divertito "Allora fate girare quella maledetta bottiglia".

"Bene ragazzi, divertitevi" augura un George paonazzo per le risate, chiudendosi la porta dello sgabuzzino alle spalle.
John sposta nervosamente il peso da un piede all'altro, maledicendo il piccolo Harrison in tutte le fottute lingue del mondo.
"Beh" esordisce quindi, voltandosi verso la persona che avrà la fortuna di passare sette lunghi minuti con lui, "Questo sì che è imbarazzante".
Paul ridacchia, alzando le spalle come per scusarsi.
Quando la bottiglia aveva terminato il giro proprio davanti al suo maledetto amico, John non era riuscito a trattenere un sospiro di delusione.
Con Paul sta davvero troppo, maledizione, di quel troppo che ti porta a conoscere il colore del suo dannatissimo spazzolino da denti e il modo in cui si sfiora l'angolo delle labbra con il pollice quando è a disagio. 
Un troppo che, in effetti, non è mai davvero troppo, ma John deve convincersi sia così per preservare la propria salute mentale, perché a volte ha semplicemente bisogno di dirsi "Ok, qui finisce Paul. Qui inizia il resto della mia vita".
E sa che se non lo fa, se ogni tanto non se lo ricorda, va a finire che il pensiero di Paul gli ruba il resto dello spazio disponibile e non c'è modo di distinguere dove inizi e dove finisca, il maledetto McCartney. 
Paul è così, e John non può davvero fargliene una colpa, almeno finché non si potrà realmente andare da qualcuno e rimproverarlo di essere il pensiero più egocentrico e ingombrante che esista.

John è distante, e Paul sa che avrebbe di gran lunga preferito essere rimasto con una di quelle biondine che gli ronzavano attorno poco prima.
Ed in qualche modo -un modo storto e malato, accidenti- la cosa ha il potere di farlo sentire irrimediabilmente triste.
"Hai una sigaretta?" chiede piano, mettendo quanta più distanza possibile fra lui e John.
L'amico fruga un po' nelle tasche prima di mostrargli il pacchetto vuoto "Sembra che il tabacchino abbia chiuso i battenti, ragazzo mio" 
"Stai zitto" borbotta Paul, e scosta qualche scopa con un movimento brusco, per poi appoggiare finalmente la schiena contro il muro intonacato.
"La combinerai uno schifo" lo avvisa John di malavoglia, accennando con il mento alla costosa giacca scura di Paul, già impolverata.
"Ricorda una cosa, Johnny boy. Posso permettermi di comprarne altre cento, di queste maledette giacche" ribatte l'altro, evitando attentamente il suo sguardo.
E, credetemi, è un lavoro abbastanza difficile quando si è in uno sgabuzzino di appena qualche metro quadrato.
John gli rivolge un sorriso complice, avvicinandosi di un passo "Ci stiamo montando la testa, amore" sussurra, divertito.
Paul si lascia sfuggire un sospiro soddisfatto nel sentire quel soprannome, che John usa solo quando sono soli, e si appiattisce ancora un po' contro il muro. 
John è stupido, lo sfiora di continuo e lo chiama amore, e Paul non può fare altro che scappare da lui e dagli effetti che provoca sul suo corpo.
Jane non crea pericoli, in tal senso, perché lei è bella e sempre perfetta, e Paul sa che non potrebbe mai innamorarsi veramente.
Ma John è proprio il tipo di idiota che Paul sa di poter amare, e per questo scappa, di continuo.
Anche se John sembra ritrovarlo sempre.

"Guardiamo il lato positivo" riprende John, ben deciso a non lasciarsi scoraggiare dall'umore dell'amico.
Momenti del genere capitano spesso, con Paul che si incupisce senza motivo e John che gli ricorda che "Quello è il mio ruolo, figliolo".
E non ha mai il coraggio di chiedere cosa ci sia che non va, perché ha una pazza paura di sentirsi rispondere che c'è qualche problema con Jane, che la ha di nuovo tradita con un'altra, che al contrario si è reso conto di amarla, o non sono affari tuoi, John.
E lui davvero non può sopportare di non sentirsi parte della vita di Paul, perché Paul stesso è affare di John. 
"Tipo che sei in uno sgabuzzino con Paul McCartney quasi ubriaco ma comunque bellissimo?" sembra tranquillo, ora, il solito Paul narcisista che fa sorridere John e gli fa venire voglia di pizzicargli il fianco per dargli fastidio.
Così John ride, piazzandosi di fronte a lui con le braccia incrociate e uno scintillio pericoloso negli occhi, "Credi? Ero quasi certo di essere chiuso in uno sgabuzzino con un borioso figlio di puttana" 
La risata con cui Paul risponde suona estremamente maliziosa, come John non può fare a meno di notare.
E non dovrebbe esserlo.
"Comunque intendevo dire che così eviterò il terzo grado di Cyn su cosa abbia fatto in questi sette minuti" prosegue John, senza osare staccare gli occhi da quelli grandi e profondi dell'amico, quasi Paul sia una specie di serpe terribilmente velenosa e pronta ad attaccare.
E la serpe sorride ancora, angelica e letale.

Paul si cura di suonare incredibilmente interessato mentre si avvicina ancora un po' a John, "Dici?" sussurra, spalancando innocente i grandi occhi scuri.
Le dita sfiorano con dolcezza il viso di John, congiungendo con segmenti immaginari i sei nei -Paul conosce a memoria l'esatta posizione di ognuno- che macchiano la sua pelle sulla linea della mascella.
È così bello, John.
Un tipo di bellezza che ti costringe a guardarlo per ore e a chiederti cos'abbia poi di tanto speciale, quale sia il piccolo, sporco segreto di John Lennon.
Paul glielo chiederebbe, lo farebbe davvero, lo fermerebbe nel bel mezzo di una conversazione e direbbe "Dimmi, Johnny, perché mi fai perdere la testa?" se solo non sapesse che, in realtà, non lo sa neanche John stesso.
Se ne rende conto quando ogni tanto lo guarda, gli chiede scusa per avergli rovinato la vita, gli chiede se gli sarebbe piaciuto fare il medico, gli chiede se ne è ancora sicuro.
Ma Paul ne è sicuro, nonostante tutto, e lo abbraccia per dirgli che lo sarà sempre, e che non sa immaginare una vita migliore di così.
E anche ora John non capisce, Paul riesce a percepirlo, si sta chiedendo cosa siano quei ghirigori che le lunghe dita bianche di Paul disegnano sul tessuto pregiato della sua camicia.
"John?" chiama piano, dolcemente, "Eviterai il terzo grado solo perché sei con me?".

"Sì" conferma a mezza voce John, osservando attentamente la mano dell'altro che giocherella con la sua cravatta.
Le dita di Paul hanno acceso piccoli focolai nel punto in cui hanno sfiorato la sua pelle, e la vista di John si è fatta più annebbiata del solito in risposta al suo tocco.
E il suo maledettissimo migliore amico ha un tono dannatamente innocente mentre chiede "Per Cynthia non rappresento un pericolo?" e stringe la presa sulla cravatta di John, attirandolo contro il proprio corpo.
"A quanto pare no" e John davvero vorrebbe che la sua voce non suonasse così spezzata, fragile in un modo che fa sorridere Paul e gli fa venire la strampalata idea di posare le mani sui fianchi di John per stringerlo ancora di più a sé.
E John avrebbe solo bisogno di respirare, perché Paul brucia come l'inferno e si sente in un'apnea soffocante e irreversibile, ma lui non glielo concede, e continua a parlare, a chiedere.
"E quelle puttanelle bionde invece sì?" domanda Paul, con una smorfia maligna che gli deforma per un attimo il volto, ma che è sparita prima ancora che lui riesca a interpretarla.
E John sa che non dovrebbe dirlo, che dovrebbe allontanarsi da Paul e ignorare l'eccitazione che gli attanaglia il basso ventre, ma, maledizione!, ha bevuto troppo per ragionare lucidamente.
O, almeno, è quello che si ripete per giustificare il fatto che restare contro il corpo di Paul sia maledettamente facile e piacevole, e giusto.
"Così pare", mormora, anche se sa che quelle parole li condurranno alla rovina, che a quel punto separare Paul dal resto sarà impossibile e deleterio.
Ma non può pensarci, non quando le labbra di Paul si accostano al suo orecchio, e il suo fiato rimanda delle scosse elettriche lungo la sua spina dorsale "Se c'è una cosa che odio, John Lennon, è essere sottovalutato" mormora Paul, ed è così vicino che le sue labbra gli solleticano il lobo e l'intera maledetta situazione gli fa venire voglia di prenderlo a schiaffi e farci l'amore subito dopo.
Ed è in quel preciso istante che John decide di essere dannatamente stanco di farsi prendere alla sprovvista.

"Lo so" 
Paul raggela, a quelle parole, indifeso e ammutolito fra le braccia di John.
La mano destra dell'uomo strattona lievemente il retro della camicia di Paul, fino a liberarla dalla stretta dei pantaloni.
"Ma dovresti essere più onesto, amore" prosegue John, e Paul si lascia sfuggire un sospiro quando la mano dell'uomo si allarga sulla sua schiena, al di sotto del tessuto, "A te non piace essere sottovalutato da me".
"John-" Paul boccheggia, aggrappandosi disperatamente alle sue spalle, e Dio, se proprio deve morire che sia ora.
Le labbra di John si strofinano contro la pelle morbida e profumata del suo collo, e Paul sibila, gettando la testa all'indietro.
"Che c'è? Hai qualche obiezione da fare al mio discorso?" chiede John, corrugando le sopracciglia con aria divertita, e Paul gli sorride, il cuore caldo e gonfio.
"John" mormora a fatica, mentre l'altro continua a cospargere la sua pelle di piccoli baci umidi, senza badargli troppo, "Testa di cazzo, vuoi ascoltarmi?" ripete, a voce un po' più alta, e l'interessato si stacca appena, sbuffando. 
"No. Stavo pensando che è un peccato che non ti possa lasciare segni" lo precede John, tracciando con il pollice la curva morbida del suo collo "Ti starebbero d'incanto".
Paul rabbrividisce al tocco, e non può far altro che sentirsi assurdamente felice, anche se entrambi l'indomani faranno finta di niente e liquideranno la faccenda con un "Ero ubriaco, dimentichiamoci tutto"
"Tua moglie e la mia ragazza ci aspettano di là" mormora, abbandonandosi sulla spalla di John e lasciandosi cullare, "Sono perverso se credo che la cosa renda tutto più eccitante?".
"Tu sei eccitante" ribatte John, e sembra così sincero che Paul non vede niente di male nel premere le labbra contro le sue in un breve bacio.
"Grazie, anche tu non sei male" ammette, e concede a John un occhiolino sfacciato.
"Fingerò di non aver sentito".

"Credevo facessi finta di non sentire solo le cose importanti" la voce di Paul sembra quasi amara nel dirlo, e John non può che dargli mentalmente ragione.
"Paul, amore, non puoi proprio farmi la ramanzina più tardi?" si limita a suggerire, le mani che si muovono impazienti sotto la camicia spiegazzata dell'altro.
Paul sbuffa, evidentemente restio ad ammettere che, in effetti, è davvero il caso di rimandare, "La hai sempre vinta, vero?" sussurra piano, carezzandogli i capelli con un gesto che non ha nulla di erotico o lascivo.
È solo dolce, dolce come è sempre Paul, come quando ad Amburgo fingeva di credere all'aria da strafottente che John metteva su, per poi addormentarsi con le dita allacciate al suo avambraccio, la notte, a ricordargli che non era solo e andava bene, ogni tanto, avere paura.
"Ti sbagli" sussurra quindi, direttamente contro il suo orecchio, come un segreto, "Ho sempre perso tutto ciò per cui ho lottato".
Paul gli raccoglie il viso fra le mani e lo guarda dolcemente, come sa fare solo lui, o come forse sanno fare tutti, ma quei tutti non hanno mai gli occhi così belli e non lo amano mai così tanto.
"Niente pensieri tristi, John. Non con me" mormora Paul, e lo bacia.

La testa di Paul, già pesante e annebbiata per l'alcool, sembra collassare a quel contatto. Sfiora le labbra di John con le proprie; una, due volte, poi il vuoto. 
Ogni singolo neurone liquefatto, la lingua che inciampa ovunque, imbarazzata, timorosa. John che sorride contro di lui, senza spostarsi, la sua mano sulla nuca, un leggero strattone ai capelli. E lui potrebbe rimanere lì per sempre, a studiare la consistenza delle labbra di John, il lieve retrogusto del whiskey, il sapore che esplode nella sua bocca, si mischia alla sua saliva. "Non amo particolarmente il whiskey" borbotta infine, "Amo te". 
Domani, quando farà sciogliere un'aspirina sotto la lingua e inizierà a ricordare la serata, si pentirà di queste parole. 
Stasera no, stasera è stanco, stanco di macchinazioni, sottintesi, parole a metà. L'alcool e la vicinanza di John lo fanno sentire caldo e sincero, senza paura, senza voglia di nascondersi. 
"Cristo, principessa" ride John, "Sei più ubriaco di quanto pensassi". 
"John, promettimi che non berrai più whiskey, ti fanno diventare amaro" piagnucola Paul, gettandosi maldestramente fra le sue braccia. John sorride, "A malapena mi reggo in piedi, puoi evitare?". 
"Non hai promesso" ribatte, senza badargli. 
"Te lo prometto" acconsente John, e Paul sta per tirargli uno schiaffo in risposta a quegli occhi puntati al cielo. 
"E promettimi che mi amerai per sempre" prosegue, bisognoso, e queste sono parole sue, sono le sue labbra che baciano John, un bacio umido e innocente, senza traccia di malizia. 
"Paul" mormora John, addolorato, la mano destra sulla guancia bollente dell'altro.
Paul inclina il capo, dolcemente, e strofina il viso contro le sue dita; una sola lacrima gli riga il viso. 
"No, va bene" si affretta a balbettare, "Voglio dire, non è che tu sia costretto".


John si morde il labbro inferiore, a sangue, e asciuga con il pollice la traccia bagnata sulla pelle di Paul.
Vorrebbe dirgli che è vero, non è costretto, è solo che dare un nome a tutto questo sembra impossibile, ora come ora, fuori luogo, fuori tempo. 
Tutto troppo veloce, flash dello spazzolino di Paul (rosso) accanto al suo (verde), voglia di baciarlo ancora, di svegliarsi al mattino e andare a lavarsi i denti insieme. 
Qualcuno armeggia con la serratura, all'esterno, e John si allontana di scatto, con un movimento repentino che, può notarlo, spegne gli occhi di Paul.
"Buonasera, piccioncini", George, ovviamente. 
Richie spunta da dietro la sua spalla, con un bicchiere di vino in mano che sembra dover cadere a terra da un momento all'altro e la testa che ondeggia lievemente. 
"Dove diavolo eravate finiti?" chiede Paul, stizzito, lisciandosi distrattamente la camicia.
"Ci eravamo dimenticati di voi" esulta Richie, alzando in aria il bicchiere e versandosi buona parte del vino sulla camicia, "Ma George ha detto di dirvi che non trovavamo la chiave" rivela, con aria cospiratoria.
George si batte una mano sul viso, divertito, "Grazie, Richard. Spero che tu non debba mai coprire un omicidio". 
John guarda Paul allontanarsi, mentre gli altri due continuano a discutere e George cerca di convincere Richie che, no, non ha davvero ucciso qualcuno e no, non ho ucciso la regina, non piangere.
"È sempre un piacere starvi a sentire, figlioli, ma devo proprio andare" dice, battendo una mano sulla spalla di entrambi, "Statemi bene, e tieni Richie lontano dal piano bar". 
Corre, per quanto gli è possibile, ignorando Cynthia che tenta di fermarlo con un urlo di rimprovero, e si fionda fuori casa. 
Paul sta aiutando Jane, completamente ubriaca, a salire in macchina, e John si prende qualche secondo per osservare la scena, divertito. 
"Penso che ti serva aiuto" interviene, allacciando la cintura di Jane e sbattendo la portiera in malo modo.
Paul lo guarda con occhi vuoti, senza rispondere, e solo la decenza impedisce a John di afferrarlo per un polso e tirarselo contro.
"Senti, volevo dirti-" inizia, a disagio.
"Lascia stare" mormora l'altro, chinando gli occhi a terra, "Possiamo parlarne domani".
"No- Paul, te lo prometto" balbetta John, afferrandogli discretamente una mano e allacciando le dita a quelle dell'amico "Volevo solo dirti questo. Sì, te lo prometto".


Paul lancia un'occhiata nervosa all'interno dell'auto, rassicurato all'istante dall'affascinante immagine di Jane che dorme beatamente, la bocca aperta e la testa riversa contro il finestrino.
"Te l'ho detto, non sei-"
"Maledizione, vuoi stare zitto?" impreca John, a voce così alta che Paul deve portarsi l'indice alle labbra per ricordargli che Jane dorme, e che in generale non è buona norma fare i maledetti froci in mezzo alla strada, "Non te lo sto dicendo perché devo, lo dico perché ti-"
"No" sibila Paul, spingendolo via con una forza che lo fa barcollare, "No, John, non osare. Non dirlo. Non ora, non in queste condizioni"
Non ora che hai un alibi, non ora che è l'alcool a parlare con te e per te.
John tace, sembra capire.
"Te lo dirò domattina, Paul" dice, prendendogli nuovamente la mano.
Paul si avvicina, e posa un bacio leggero sulle sue labbra. 
"Domani sarò felice di risponderti" 
John sorride, ancora ad occhi chiusi, "Non vuoi darmi anticipazioni su quello che dirai?".
Paul affonda gli incisivi nel labbro inferiore, sforzandosi inutilmente di non ricambiare quel sorriso, "A domani, John".
Lo bacia ancora, un'ultima volta.
"A domani, Paul" sussurra John. 

Domani è un altro giorno, un'altra vita, si vedrà.

  
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