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Autore: futacookies    13/10/2016    2 recensioni
Alejandro e Heather sono alle prese con il loro primo divorzio – l’estrema curiosità di Courtney e la disastrosa vita sentimentale di Gwen porteranno alla nascita di una amicizia inaspettata e inusuale.
Dal testo:
«Ha cacciato Alejandro da casa.», spiegò sbrigativa Courtney. Porse i cucchiaini alle due ragazze: «Ora, rattoppate la vostra anima con il gelato mentre io metto su un bel film!»
«Un horror?», propose Gwen. «Un film?», chiese conferma Heather.
«Bridget Jones!»

[Prequel di "Every braking wave"]
[Possibile OOC]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Gwen, Heather, Scott
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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The troubles
 
«Do you think it’s easier to give up on the trouble,
if the the trouble is destroying you?»
 
L’aria, quel giorno, era frizzante – forse perché erano le sette del mattino e il sole doveva ancora sorgere, o forse perché a sentirsi frizzante, era lei. Sembrava che nella sua vita nulla potesse andare storto: aveva da poco iniziato il lavoro dei suoi sogni, la sua coinquilina era la sua migliora amica, la sua vicina… – be’, no. La signora Tobloskij sentiva troppo ed era un’impicciona, ma c’era di peggio. E poi, aveva Scott, che forse non era esattamente l’amore della sua vita, ma dopo sei anni di relazione poteva anche permettersi di dire che sarebbe potuto esserlo.
Lo studio legale Fleckman&Fleckman&Strauss&Cohen non era molto distante dal suo appartamento e poco dopo si ritrovò nell’ascensore che conduceva al ventiduesimo piano del grattacielo che ospitava la sua sede di lavoro – le piaceva la tranquillità con cui riusciva a lavorare lì, l’ordine con cui erano disposte le scrivanie e la precisione con cui erano sistemati gli archivi. Le sembrava quasi che la pace che regnava lì rispecchiasse la sua vita privata.
Si sistemò nel suo ufficio – ancora non poteva credere di avere un ufficio tutto per lei! – e si mise a sistemare varie cartelle nella libreria, sperando che si presentasse un caso. Invece di un caso, però si presentò Edward Fleckman Junior, suo compagno in diversi corsi all’università e probabilmente l’unico collega che riuscisse a sopportare.
«Courtney», la chiamò, affacciandosi alla porta del suo ufficio, «questa la devi vedere!»
Incuriosita, si alzò e lo raggiunse. Quello che vide, in effetti, la sorprese – Heather Wilson, un metro e ottanta di acidità e relativi problemi. Aveva appena terminato un colloquio con Fleckman Senior e aspettava seduta su uno dei divano all’ingresso, sbattendo continuamente il piede sinistro.
Stava per chiedergli cosa ci facesse lì, quando vide Fleckman Senior avanzare verso di loro. «Io vado!», esclamò Edward, filandosela nel suo ufficio. Sibilò tra i denti un “Traditore!”, che forse non  sentì nemmeno e quando si girò il suo datore di lavoro l’aveva già raggiunta.
«Courtney, cara, permetti una parola?»
Non se lo face ripetere due volte. A pensarci bene, però, mentre le raccontava di come il marito di Heather volesse divorziare da lei – poveretto, e chi lo biasimava –, avrebbe dovuto dirgli che no, non permetteva una parola e non avrebbe assolutamente aiutato quella spina nel fianco a risolvere i suoi problemi legali.
«…e quindi capirai come sia di fondamentale importanza per noi che tu riesca a battere l’avvocato del signor Burromuerto.»
Burromuerto? Aveva capito bene?
«Il signor…?», domando a Fleckman, facendo segno di ripetere.
«Burromuerto, cara. Adesso Eddie non potrà più lamentarsi del suo, di cognome!»
Annuì accondiscende e disse che avrebbe accettato il caso – non avrebbe perso per nulla al mondo l’opportunità di godersi i problemi sentimentali di Heather. Non vedeva l’ora di incontrare Gwen a pranzo e dirle tutto.
Quando Heather la riconobbe, strabuzzò gli occhi – e, conoscendola, stava mandando giù parecchi rospi.
«Tu? Tu? Possibile che non ci sia nessun altro avvocato disponibile?»
Diciamo che il rospo non l’aveva proprio ingoiato, ma prima o poi l’avrebbe fatto.
«Heather, siediti.», la incitò, indicando la poltrona di fronte alla scrivania.
«Signor Fleckman!», strillò Heather, ma ormai era troppi tardi: la porta si era chiusa alle loro spalle e avrebbero tutti fatto finta di non sentirla – purtroppo, Heather era un problema suo.
«Heather…», ripeté con impazienza, «per favore, siediti e comincia a raccontarmi cosa è successo.»
«Pft, pettegola. Che c’è da sapere? Alejandro ha chiesto il divorzio e quindi ho bisogno di qualcuno che difenda i miei diritti.»
«Heather, collabora. Altrimenti non riuscirò a difendere proprio un bel niente.»
L’altra cacciò un versetto stridulo che segnava probabilmente l’inizio di una crisi isterica – infatti iniziò immediatamente a gridare di come fosse impossibile che lei fosse l’unico avvocato disponibile, che sicuramente c’era lo zampino di Alejandro dietro, che era il peggior complotto mai organizzato e lei avrebbe trascinato tutti loro in tribunale. Courtney per prima, ovviamente.
«Heather, calmati
«Di’ un’altra “Heather qualcosa” e il tuo fidanzato avrà seri problemi a trovare la tua lingua, la prossima volta che lo vedrai.»
Roteò gli occhi e ignorò quella minaccia – non che credesse che non lo avrebbe davvero fatto, ma lì stavano perdendo tempo quando lei avrebbe dovuto lavorare.
«Heather, ascolta.», le disse con il più irrisorio dei sorrisi, «Questo non è un complotto, io sono il tuo avvocato e sono dalla tua parte, ma se non mi permetti di fare il mio lavoro, dovrai cercarti qualcun altro. Chiaro?»
La ragazza sorrise a sua volta.
«Cristallino
Dopodiché si alzò ed uscì dall’ufficio, sbattendo ferocemente la porta.
 
*
 
«Non ci poso credere! Mi stai dicendo che era proprio Heather?», chiese Gwen, addentando la sua fetta di pizza. Durante la pausa pranzo si erano date appuntamento e adesso le stava raccontando nel dettaglio il breve e disastroso colloquio della mattina.
«Sì che lo era. Avresti dovuto vedere la faccia di Edward mentre se ne andava – pensavo che mi avrebbe strangolata
«Quindi Alejandro non ha avuto soltanto il coraggio di frequentarla, ma l’ha anche sposata! Ci credo che stia scappando da quella vipera. Poverino, se fossi diventata l’avvocato di Heather avresti potuto dargli un mano!»
«Credimi, l’avrei fatto.»
Gwen stava per aggiungere qualcos’altro quando si bloccò e cominciò ad arrossire. Courtney le rivolse uno sguardo interrogativo e si girò verso l’entrata – era appena entrato un ragazzo che, a giudicare dal completo che indossava, era un suo collega. Interessante. Come volevasi dimostrare, il ragazzo di diresse direttamente verso di loro, sventolando la mano in segno di saluto.
«Ehi, Gwen!»
«Ehi…», fece una breve, ma imbarazzante pausa, durante la quale fu chiaro che o si era scordata il suo nome, oppure le si era attorcigliata la lingua – Courtney puntava tutto sulla seconda.
«…Tony! Come va? Anche tu in pausa pranzo?»
Le tirò un calcio da sotto al tavolo. “Anche tu in pausa pranzo?”  – ma cosa c’era nel suo cervello? Segatura? Aria? Il nulla cosmico?
Il tizio però non fece caso ai piccoli incidenti in corso. «Sì, vengo spesso qui, il cibo è ottimo! Soprattutto la pizza!»
«Già», commentò Gwen annuendo, «la pizza è ottima!»
«Be’, potremmo venire a mangiare qui insieme, qualche volta…»
E Gwen non disse nulla – al che capì che se non c’avesse pensato lei, a risolvere la situazione, il tutto sarebbe terminato con una figuraccia epica.
«Ciao, Tony, sono Courtney, la migliore amica di Gwen», il ragazzo si affrettò a stringerle la mano, «mi dispiace riprendermela, ma stavamo parlando di cose importantissime. Tuttavia, credo proprio che se glielo chiederai in tempo Gwen verrà sicuramente a mangiare un pizza con te.», poi la guardò, «Conoscendola, anche due.», aggiunse. Tony si limitò a sorridere a entrambe e a mormorare un “allora vado”, dopodiché Gwen rimase in piedi a fissare il punto dov’era il ragazzo un attimo prima.
Guardò l’amica imbambolata e le tirò la gonna. «Gwen, giù. Adesso
La ragazza obbedì meccanicamente e si sedette. «Allora?», le chiese impaziente, «Non mi avevi detto di questo Tony. Com’è? Ti viene dietro, o sei tu che sbavi dietro a lui?»
A quelle parole Gwen sembrò riprendersi. «Io non sbavo. Di certo non per lui.»
«Mh, sì, certo. Gwen, hai un po’ di bava, proprio qui», le disse, indicando il lato della sua bocca. La vide portarsi immediatamente una mano al punto che le aveva indicato, e quando si rese conto che era uno scherzo, le restituì il calcio di poco prima.
«Sei terribile.», affermò, tornando alla sua pizza.
«Dai, dimmi di più!», chiese lamentosamente. Quel giorno sembrava che nessuno volesse raccontarle nulla – ma lei era una ragazza estremamente curiosa, quindi doveva assolutamente sapere tutto.
«È un tipo a posto, è simpatico, appassionato d’arte… e poi, l’hai visto, no? È molto carino.»
C’era qualcosa, nel tono dell’amica, che le suggeriva che forse non aveva ancora finito di parlare.
«Ma?»
«Lo sai. Non frequento un ragazzo da… Duncan, credo.», dopo aver nominato il ragazzo, entrambe repressero un brivido. «Otto anni senza frequentare nessuno sono tanti.»
«Ed ecco perché questa potrebbe essere la volta buona. Andiamo, Gwen, prima o poi comincerai a fare le ragnatele!»
L’altra dovette reprimere una smorfia. «Non mi sembrerebbe male.»
Courtney sbuffò, ma la guardò dispiaciuta – sapeva che le sue disastrose esperienze adolescenziali l’avevano resa piuttosto dubbiosa sull’amore, ma non riusciva a capire perché dovesse chiudersi così. Poco male, sarebbe riuscita a farle cambiare idea.
 
*
 
«Quindi», disse trionfante, guardando all’altro capo della scrivania, «sei tornata?»
«Non considerarla una vittoria personale. Non sono di certo tornata per te
Quando la pausa pranzo era finita, aveva trovato Heather ad aspettarla nell’atrio – in fondo, una parte di lei lo aveva immaginato, e quasi ci sperava. Probabilmente la sua era solo morbosa curiosità, o forse c’erano anche i sensi di colpa per tutte le occhiatacce che le aveva lanciato Edward, ma ne era stata davvero felice.
«Adesso, però, ti tocca dirmi tutto.»
E, con sua somma sorpresa, Heather parlò – sembrava quasi che ne avesse bisogno, di parlare con qualcuno. Forse era tornata per questo. Le raccontò tutto, nel vero senso del termine, ed era sicura che molte delle cose che le stava dicendo non le avrebbe riportate a Gwen.
«…e quindi, non siamo sposati nemmeno da un anno e già chiede il divorzio.»
C’era qualcosa, nella sua voce, che dimostrava che avesse preso la scelta di Alejandro come una sconfitta, come qualcosa che si aspettava sarebbe accaduto, ma che allo stesso tempo aveva cercato di evitare – be’, scoperta dell’anno, Heather Wilson, o Burromuerto, che dir si voglia, aveva dei sentimenti. Sentimenti che erano stati brutalmente calpestati e che erano sicuramente stati la ragione che l’aveva spinta sventolare bandiera bianca.
Sentì l’istinto irrefrenabile di dirle qualcosa di carino, che potesse consolarla, ma poi si bloccò – stava pur sempre parlando con Heather: non poteva trattarsi di una gigantesca questione karmica? Insomma, sapevano tutti che prima o poi avrebbe dovuto pagare per tutto quello che aveva combinato durante l’adolescenza. E l’infanzia. E l’età adulta. Insomma, per i suoi peccati.
Inoltre, si trattava sempre di lavoro – per amor di stipendio, pensò, avrebbe fatto molto peggio.
«Credi che ci sia qualche accordo che possa prendere con il suo avvocato, sai, per finire questa cosa il prima possibile?»
Heather le rivolse un occhiataccia. «Non c’è bisogno di essere gentili solo perché sto passando un brutto momento. Quando sarai tu, a passarlo, di certo non sarò gentile con te
Eccola lì, la cara, vecchia Heather – forse aveva appena realizzato quanto si fosse esposta, con il suo sfogo, e sentiva il bisogno di tornare all’attacco. E poi, di certo non avrebbe chiamato lei quando si sarebbe trovata in un brutto momento. A meno che non volesse far piovere sul bagnato.
«Comunque, c’è una linea di difesa che dovremmo prendere.», le comunicò, ricambiando lo sguardo al vetriolo di un attimo prima.
«Be’, è uno stupido, un bugiardo, un manipolatore e vuole ingannare la corte soltanto perché non è in grado di stare con me. Queste differenze inconciliabili, come le chiama il suo avvocato, non esistono.»
Courtney era indecisa sul da farsi: avrebbe potuto semplicemente ammonirla, oppure avrebbe potuto spronarla a fare di più – e dato che lei era molto, molto, molto curiosa di sapere più di quanto già non sapesse, fu unicamente il dubbio di un attimo.
«Ah, sì?», domandò in tono di sfida.
«Già.», asserì l’altra, secca. Poi ci pensò su. «Be’, lui potrebbe… in realtà io potrei… oh, al diavolo! Potremmo avere avuto una serie di discussioni finite una peggio dell’altra, ed ecco cosa gli fa pensare alle nostre differenze inconciliabili.»
«Tipo?», rincarò Courtney, fingendo di prendere appunti.
«Tipo il problema del gatto. Lui vuole il gatto fuori da casa mia, io posseggo quel gatto da più di dieci anni.», dal rossore del suo viso si capiva che quella era, tra tutte, la questione che più la imbestialiva.
«Be’, è una posizione abbastanza estrema, no?»
Heather la guardò quasi imbarazzata. «Di solito Bruiser fa la pipì sul suo letto del letto.»
«Ah.»
Per un momento, pensò a Pimplebottom e alla signora Tobloskij – si chiese se anche il gattone facesse pipì sul lato del letto del signor Tobloskij, e riuscì a stento a trattenere una risata.
«Certo, non è che Alejandro voglia proprio eliminarlo dalla mia vita – ma vorrebbe che dormisse in giardino! In inverno! E stiamo parlando di un gatto abituato a dormire sotto tre strati di coperte. Fa così solo perché è consapevole che dovendo scegliere tra lui e Bruiser, io sceglierei il gatto. E non esiterei nemmeno.»
«Oltre al problema del gatto, di cosa dovrei essere a conoscenza?»
«Be’, non so… c’è il problema del camino, quello delle cene con i suoi – un branco di svitati, soprattutto Josè –, quello delle cene con i miei, quello dello smalto – che metto sempre nella stessa stanza dov’è lui solo per dispetto –, quello del cibo spazzatura – non vado al Mc Donald’s da più di un anno! – quello della coperta che ci tiriamo a vicenda, quello dei turni in bagno, quello del mancato apprezzamento del suo lavoro, delle sue capacità, del suo blablabla. Se mi viene in mente altro, però, te lo farò sapere.»
Courtney avrebbe voluto esplodere in un bel: “E ci credo, che state divorziando”, ma evitò. Certo, erano una serie di piccolissimi dispetti, ma sembrava quasi che si stessero facendo la guerra – vivere una situazione del genere tutti i giorni doveva essere uno stress non indifferente.
Considerando che non sapeva più nemmeno cosa dirle, fu immensamente grata a Edward quando la chiamò per chiederle un “consulto professionale”. Non ci fu nemmeno bisogno di mandare via Heather – prese appuntamento per il giorno seguente e se ne andò.
 
*
 
La sua era stata di certo una giornata movimentata – e ricca di scoperte interessanti –, perciò quando vide Scott, con una valigia, in procinto di entrare nel portone, quasi non le venne un colpo.
«Scott!», esclamò, andandogli incontro.
«Ehi, Courtney!», lasciò a terra la valigia e l’abbracciò. «Sorpresa!», le disse, indicando il borsone.
«Già…», gli rispose, leggermente a disagio – ovviamente era contenta che fosse lì, ma… boh, forse voleva che almeno l’avvisasse, come tutte le persone normali. Eppure, anche quello era parte del loro rapporto: Scott appariva e scompariva a seconda degli eventi, e a lei non restava altro che accettarlo. «Be’», mormorò, «andiamo?»
In ascensore restò completamente in silenzio, ascoltando tuttavia con moderato interesse tutto quello che Scott le stava raccontando – in realtà, stava ancora pensando a Heather e al divorzio con Alejandro. In ogni caso, riuscì a comprendere il succo della situazione: c’era stata un’invasione di cavallette in campagna e quindi Scott avrebbe alloggiato da loro probabilmente per tutto l’inverno. Sorrise, e pensò che forse quella era la volta buona per ricucire definitivamente il loro rapporto.
Quando Gwen lo vide, restò di certo più sorpresa di Courtney – quando poi seppe per quanto sarebbe stato, quasi non le venne un colpo. «Quasi quasi», sussurrò al suo orecchio, «me ne torno da mia madre.»
«Esagerata.», la rimbrottò lei.
«Comunque», riprese Gwen, cambiando repentinamente argomento, «ho incontrato la signora Tobloskij prima di entrare: dice che oggi Pimplebottom è più agitato del solito quindi sarebbe meglio non fare troppi rumori molesti.»
«Forse sarebbe meglio se lei non avesse animali molesti.», commentò inacidita.
«Andiamo, Court, è soltanto un gatto molto cresciuto.»
«Io resto comunque una persona da procione.», affermò con un sorriso.
Nel sentire nominare i procioni come animali da compagnia, Scott fece una smorfia, ma disse a mezza voce: «Sempre meglio degli squali.»
Dopodiché, qualcosa si sciolse nell’atmosfera e si sentirono tutti meglio. Dopo aver mangiato la pizza che Gwen aveva ordinato – doveva ricordarsi di introdurre altro, nella sua dieta –, erano rimasti seduti sul divano, a guardare programmi televisivi scemi che probabilmente sarebbero stati in grado di distruggere il suo quoziente intellettivo, se lei c’avesse davvero prestato attenzione – era questa la cosa che più amava dell’autunno inoltrato: restare semplicemente sul divano, magari sotto una coperta, quando fuori fa troppo freddo per uscire, ma per fortuna non piove, così almeno il segnale della parabola non fa i salti acrobatici.
Stava quasi per addormentarsi con la testa sulla spalla di Scott, quando Gwen le strattonò un braccio. «Courtney! Courtney!»
«Gwen…», biascicò a mezza voce, «che c’è?»
La ragazza stava fissando un punto tra la libreria e la televisione e sembrava quasi non volesse fare movimenti troppo bruschi. «Courtney, non ti spaventare», disse, prima di condividere la sua scoperta, «ma credo che quello sia un topo.»
Non ebbe nemmeno bisogno di vederlo per diventare completamente lucida e saltare in piedi sul divano – non che avesse paura dei topi, ma erano pur sempre animali che vivevano nelle fogne, sporchi, portatori di malattie. Come c’era arrivato, un topo a casa sua? non terminò neanche di formulare che pensiero che sentirono Pimplebottom grattare contro la loro bellissima porta.
«Ecco perché quella bestiaccia rovina porte era tanto agitata oggi! Per il topo!», al solo ripeterlo le venne un brivido e risalì sul divano, da cui, nel frattempo, aveva trovato il coraggio di scendere. «Oh, ma io prima o poi le sigillerò la gattaiola! Così vediamo, se quel gatto dei miei stivali attenterà ancora all’integrità della mia porta di quercia!», Gwen tossì e lei si corresse: «Nostra. Della nostra porta di quercia.»
Quando il topo squittì, Courtney, che era stata talmente presa nella sua filippica contro la signora Tobloskij e i suoi gatti, sobbalzò. «Allora? Che state aspettando?», chiese con voce stridula a Gwen e Scott, «Acchiappate quel topo e portatelo via di qui!»
Scott sembrava quasi non aspettare altro. «Ai tuoi ordini, piccola!», disse ammiccando e si precipitò verso il suo borsone, dal quale cacciò una mazza da baseball che dovette sicuramente intimidire il topo, dato che quest’ultimo, con uno squittio più acuto dei precedenti, si diede alla fuga.
Scott lo seguì, lanciando un urlo belluino e Gwen lo seguì a sua volta, per impedirgli di fare un pasticcio di topo sul suo tappeto preferito. Courtney, intanto, osservava la scena un po’ inquieta e un po’ divertita, ma quando il primo tavolino andò giù, colpito dalla mazza da baseball, seppe che in molto poco tempo il soggiorno sarebbe andato in pezzi – nell’ordine, crollarono un quadro appeso alla parete, un secondo tavolino, alcuni dei libri su uno scaffale. Le pareti ricevettero alcuni colpi non indifferenti, la televisione barcollò pericolosamente e, quando l’inseguimento si spostò in cucina, fu sicura di aver sentito alcuni piatti infrangersi.
Al quel punto capì, con estrema sicurezza, che se non c’avesse pensato lei – come al solito – quei due non sarebbero andati da nessuna parte. Marciò a grandi falcate fino in cucina – mascherando magistralmente lo schifo e il terrore – e prese una tazza dalla credenza. Attese finché il topo non giunse davanti ai suoi piedi e lo intrappolò nella tazza prima che Scott ne facesse una poltiglia.
«In città è così che si catturano i topi – e con le trappole, anche –, ma di certo non in questo modo!», esclamò scandalizzata, indicando l’arma dell’orrore che le aveva quasi demolito casa. Scott stava borbottando qualcosa sul fatto che in città non avevano la minima idea di come acchiappare i topi e che se non fosse stata tanto intelligente non sarebbe riuscita a combinare un bel niente, quando Gwen sollevò una questione importante.
«Gente, e adesso che ce ne facciamo?»
«Lo diamo in pasto al gatto.», propose semplicemente Scott.
«No!», esclamarono le due ragazze in coro – Gwen probabilmente aveva tutte le sue idee animaliste per la testa, ma lei non avrebbe mai dato a Pimplebottom la soddisfazione di mangiare il topo per cui le stava rovinando la porta.
«Quindi, cosa proponete? Lo adottiamo?», chiese loro sarcasticamente.
«Esattamente. Domani lo portiamo dal veterinario e gli troviamo pure un nome.»
 
***
 
«So you can hurt me, and hurt me some more.»
 
Quella mattina si preannunciava simile alla precedente – avrebbe dovuto incontrare di nuovo Heather e non sapeva se la cosa la rendesse più curiosa del solito, o la infastidisse. Di certo, non avrebbe mai pensato che prima o poi sarebbe finita a difenderla, in qualunque occasione – che poi la stesse difendendo a discapito di Alejandro, era proprio un bel paradosso. Non le sarebbe potuto toccare quel bel pezzo di manzo messicano?
«Court!», esclamò Edward raggiungendola nell’atrio, «Che ne dici di un caffè?»
Arricciò il naso e lo osservò per bene: quando era gentile aveva sempre bisogno di qualcosa.
«Stai per chiedermi qualcosa di potenzialmente stressante?»
«Quando ti può stressare un caffè?», le chiese divertito, mentre si avviavano verso il distributore.
Si rilassò immediatamente – almeno c’era qualcuno che cercava di essere gentile con lei. Gwen si era prestissimo per chi sa quale progetto su cui stava lavorando al museo, e non l’aveva nemmeno salutata e Scott – be’, Scott dormiva ancora profondamente sul divano letto quando se ne era andata. Avevano avuto una piccola discussione, la sera prima: lui si sentiva personalmente offeso dalla critica mossa alle sue abitudini contadine – tuttavia c’era qualcosa, nei modi rustici di Scott, che proprio non riusciva a sopportare.
Era qualcosa che aveva a che fare con la sua incapacità di relazionarsi all’urbanità, di qualunque tipo: aveva perso il conto di tutte le volte in cui aveva dovuto recuperarlo da qualche zona sperduta della città, in cui era finito perché non riusciva nemmeno a capire una mappa della metropolitana; non ricordava quando era stata l’ultima volta che non l’avesse messa in imbarazzo ad un appuntamento – però era così dolce, e così innamorato di lei, ed in fondo poteva anche andarle peggio: non voleva circondarsi da gatti come la signora Tobloskij per riempire un vuoto che poteva occupare Scott.
Non si era resa conto di aver espresso tutti quei pensieri ad alta voce, finché Edward, che l’aveva ascoltata diligentemente, proruppe con un: «Oddio, questo dipende sempre dal caso – potresti finire con l’amare i gatti più di quanto non ami Scott
«Cosa?», chiese, leggermente confusa. Poi ripensò a quello che aveva appena detto e lo riprese scandalizzata: «Eddie!»
Si stavano allegramente punzecchiando quando una voce li interruppe: «Vedo, Courtney, che la tua concezione di lavoro è alquanto distorta.»
Non si sforzò nemmeno di trattenere una smorfia – finì il suo caffè, buttò la tazzina di plastica nel cestino e decise che sì, incontrare Heather la infastidiva. «Heather, che piacere. Non saresti dovuta arrivare tra…», diede uno sguardo distratto all’orologio, «…dieci minuti?»
«Di solito, mi piace essere più che puntuale.», affermò licenziosa.
«In ogni caso, crei disagio.», le rispose decisa. «Tuttavia, dato che prima vieni e prima te ne vai, prego, comincia ad accomodarti nel mio ufficio.», si girò verso Edward e mormorò: «Augurami buona fortuna!» e, mentre lui sollevò un pollice in segno di incoraggiamento, Heather esclamò: «Guarda che ti ho sentito!»
«Perché ieri eri più simpatica?», le chiese, quando si chiuse la porta alle spalle.
«Ieri», puntualizzò, «ero solo meno acida.»
Dopodiché ripresero a parlare di affari – Heather non era più solamente interessata alla difesa dei suoi diritti: voleva proprio lasciare Alejandro in mutande. Probabilmente, pensò, avevano avuto un litigio nel pomeriggio, il che spiegava il suo pessimo umore e il suo agguerrimento – e lei, ovviamente, doveva sapere. Non voleva però sembrare una pettegola sfacciata – cosa che non era assolutamente –, quindi cercò di far passare la sua domanda come un atto di gentilezza.
«Per caso», iniziò cauta, «avete avuto una discussione? Ne vuoi parlare?»
Uscì fuori che Heather ne voleva parlare – e Courtney si rese conto, dalla quantità di particolari che stava scoprendo, che la ragazza non aveva mai parlato a nessuno ella sua relazione con Alejandro. Forse era sentimentalmente timida. Oppure non aveva amici.
«Non mi fraintendere», disse, giungendo alla fine del suo racconto, «io odio quell’essere viscido e disgustoso, ma è pur sempre mio marito, e potrei anche amarlo, un pochino. Quindi, potrei esserci rimasta leggermente di merda, quando ha detto che tra noi era finita.»
Avrebbe tanto voluto dirle qualcosa come “vedrai che tornerà da te”, ma non se la sentiva di spararne una tanto grossa – e comunque, questa storia che Heather riusciva ad impietosirla doveva finire. Non poteva fare la stronza ventitré ore su ventiquattro e diventare un agnellino sacrificale quando entrava nel suo ufficio. Prima o poi l’avrebbe davvero consolata, e allora sarebbe stata la fine del mondo, sicuro. Intanto, però, poteva sempre offrirle una spalla su cui piangere – era pur sempre una buona azione, no? Il karma ne avrebbe dovuto tener conto.
«Dai, smettila di piangere su te stessa. Hai impegni per pranzo? C’è un ristorantino giapponese qui vicino che è la fine del mondo!»
«Stai cercando di essere gentile con me?», le chiese guardinga.
«Nah, è solo che Gwen mi ha abbandonato per pranzo e Scott odia mangiare pesce. Quindi ho bisogno di qualcuno con cui andare.»
«Frequenti ancora Gwen?», domandò incredula, sconcertata e forse un po’ schifata. «E… Scott? Davvero?»
«Parli tu che hai sposato Alejandro!», le rispose sarcastica.
«Quello che è. Comunque, per pranzo si può fare – basta che non mi ammorbi con la vita della darkettona.»
«Heather!»
Alla fine, però, non aveva potuto evitare di parlare anche di Gwen – se non altro perché l’aveva chiamata, entusiasta e balbettante, per dirle che domenica sarebbe andata a cena fuori. Con Tony.
«Ah, sapevo che te l’avrebbe chiesto!», le disse soddisfatta – e non poté non scoppiare a ridere quando l’altra iniziò a farle il verso. «Smettila!», sussurrò, ma evidentemente alzò un po’ troppo la voce, perché Gwen la sentì.
«Chi c’è con te? Aspetta, non me lo dire: sei con l’arpia.»
Courtney, pur non potendo essere vista, sorrise colpevole. «Definisci arpia.», chiese tra i denti.
Heather, spazientita, le strappò il telefono di mano: «Ciao, Gwen.», disse canzonatoria. Non attese nemmeno che le rispondesse e le ripassò il telefono. «Sei con l’arpia!», l’accusò Gwen – che chiaramente non sapeva se essere divertita o preoccupata.
«Sì, okay, son con l’ar…, oh, al diavolo! Sono con Heather. Sì, ne parliamo dopo. No, questo non posso dirtelo. Giusto, c’è anche Scott! Va be’, te lo dirò in ascensore.»
«Pettegola sfacciata.», la definì la ragazza, guardandola con molta disapprovazione – tuttavia Courtney rise di nuovo e la conversazione finì lì.
 
*
 
Poteva quasi dire di essere diventata amica di Heather: veniva tutti i giorni, si sfogava, le riferiva tutti gli spostamenti di Alejandro e se ne andava più leggera. Ciò nonostante, al di fuori delle mura lavorative non avevano mai avuto alcun tipo di contatto – quindi restò immensamente sorpresa quando la ragazza la chiamò di domenica, a prima mattina.
«Heather, a meno che Alejandro non ti abbia ucciso il gatto, non c’è davvero motivo per svegliarmi così presto.»
«Svegliarci, prego.», bofonchiò Gwen, terribilmente assonnata – quando il telefono aveva cominciato a suonare, erano quasi cadute dai letti.
«Dio, sono le nove. Non è così presto
«Brutta strega, tu non vai a lavorare ogni giorno alle sette!», ululò Gwen, in modo da essere sentita.
«Alejandro sta per uscire, e sono abbastanza sicura che la cosa abbia a che fare con un possibile tradimento. E potrei aver bisogno di una mano. Mi raggiungi?»
Courtney avrebbe voluto davvero dire di no – davvero, davvero, davvero. Solo che era talmente confusa e stordita che stava capendo metà delle sue parole. Borbottò un: «Sì, sì.» che la rese estremamente contenta, e attaccò.
«Gwen…», biascicò, «alzati. Questa davvero non te la vuoi perdere.»
«Passo.»
«Andremo a caccia di Alejandro.»
Gwen provò a dire qualcosa, poi chiuse la bocca che aveva appena aperto, e si alzò. «Spero che ne valga la pena.», borbottò minacciosamente verso di lei.
 
*
 
«Mi spieghi perché hai portato anche lei?», sibilò Heather mentre salvano in fretta e furia in macchina.
«Perché Courtney è generosa e non vuole tenersi tutto il divertimento per lei.», ripose Gwen, inacidita. Forse, ammise Courtney, portarsi dietro Gwen non era stata un’ottima idea, ma di certo sarebbe stato interessante. Sperava solo che Alejandro non le beccasse, altrimenti avrebbero davvero fatto una figura terribile.
«Cosa c’è di divertente in un marito fedifrago?», ruggì Heather, quasi paonazza. Non attese la replica di Gwen e attaccò direttamente Courtney: «Tu trovi tutto questo divertente?»
Ignorò tranquillamente la sua domanda e le ricordò che i tradimenti di Alejandro fossero soltanto una sua paranoia. «Sentite, lo so e basta. Siete con me o contro di me?»
«Sì, sì, siamo con te.», rispose sbrigativamente Courtney. «Heather, ha appena svoltato a sinistra!», proruppe appena l’altra si distrasse. Fece una manovra estremamente brusca e ripresero a seguirlo – sembrava quasi di girare intorno, cambiando percorso un po’ alla volta.
«Oh, ma nel momento in cui lo coglierò con le mani nel sacco, allora vedremo, chi vorrà il divorzio!»
Courtney, in fondo, la capiva: sapeva com’era, convivere con il dubbio che la persona amata ti tradisse, e riceverne la conferma avrebbe portato chiunque sull’orlo della crisi esistenziale – il problema si riduceva sempre all’accettazione di se stessi: si adduceva il tradimento al non essere abbastanza per l’altro, e non si trovavano altre ragioni. Poggiò una mano sulla sua spalla e l’accarezzò leggermente – non che la stesse consolando. Assolutamente.
«Ragazze…», cominciò Gwen, perplessa, «siete sicure che non si sia reso conto della cosa? Anzi, siete sicure che non lo stesse facendo a posta?»
Heather frenò bruscamente e parcheggiò a lato della strada. «Voglio vedere per quanto continuerà questa pagliacciata, prima di rendersi conto che ho scoperto il suo gioco!», sputò furiosa.
«In realtà, io ho scoperto il suo gioco.», provò Gwen, ma Heather la mise immediatamente a tacere. Effettivamente, però, videro passare l’auto di altre come minimo due volte, poi scomparve.
Più di mezz’ora dopo erano ancora bloccate lì. «A questo punto», rifletté Courtney, «non credo che comparirà miracolosamente. Forse dovremmo tornare a casa…»
«Assolutamente no.», affermò con decisione Heather. «Se questo fa parte di qualche suo trucchetto, non gli permetterò di umiliarmi. Capito lo schema, dobbiamo sfruttare le sue carte contro di lui.»
Quindi continuarono ad attendere che succedesse qualcosa, appostate su una praticamente deserta stradina appena fuori Toronto.
«Mi raccomando», mugugnò Gwen, stendendosi sui sedili posteriori, «se dovesse succedere qualcosa svegliatemi…»
Courtney lasciò che trascorresse altro tempo, lasciando smaltire il rancore di Heather – chiaramente, averle trascinate in una caccia all’uomo dall’esito non solo fallimentare, ma anche mortificante, doveva bruciarle parecchio. In fondo, loro due non erano poi talmente dissimili: forse era per questo motivo che le riusciva così facile afferrare la linea dei suoi pensieri e seguire i suoi sentimenti.
Quando l’orologio segnò le undici, Courtney stabilì che avevano aspettato abbastanza.
«Heather, basta. Chiaramente, abbiamo giocato male le sue carte.»
Si era stancata del loro silenzio, di Gwen che russava in sottofondo, di Alejandro che – per qualche strano motivo – stava operando qualche raggiro a danno di Heather, e non faceva altro che pensare al povero Scott, svegliatosi, aveva praticamente trovato la casa vuota.
L’altra non proferì parola, limitandosi ad accendere il motore – sfrecciarono per la strada, macinando metri su metri, finché non arrivarono a destinazione. O, meglio, arrivarono a casa di Heather. Avrebbe voluto farle presente che sarebbe stato molto, molto gentile da parte sua almeno riaccompagnarle a casa, ma dalla violenza con cui sbatté lo sportello e s’avviò all’ingresso, capì che non sarebbe stata una buona idea.
Svegliò rapidamente Gwen ed entrambe scesero dall’auto, pronte ad assistere alla scena davanti ai loro occhi: Alejandro stava camminando verso di loro, con la faccia tranquilla e innocente di chi non sa nulla delle colpe che gli si stanno imputando – sua moglie, però, era d’altro avviso. Marciando come una valchiria, lo raggiunse in quattro e quattr’otto, salutando con un sonoro schiaffo sulla guancia destra – quando poi lui tentò di parlare, anche la guancia sinistra fu colpita.
«Se pensi di potermi far credere cose che non esistono, o di fami credere che cose che esistono in realtà sono false, Al, e di riuscire così a confondermi le idee e di umiliarmi con chi sa quale scopo, be’, ti sbagli di grosso!»
«Ma, querida, tu sottovaluti il puro gusto della presa in giro.», ammiccò in risposta, con un’espressione particolarmente cattiva.
«Ma, Al, tu sottovaluti il puro gusto della rivincita.», disse, superandolo e raggiungendo l’ingresso. Poi entrò in casa e tutti sentirono chiaramente la serratura che veniva chiusa a più mandate. Si affacciò dalla finestra e urlò alle due ragazze, che stavano guardando tutto estremamente basite: «Mi dispiace, ma dovrete tornare a casa da sole!»
Alejandro rivolgeva alternativamente lo sguardo alla porta chiusa, ad Heather e alle pantofole che stava indossando.
«Avevi ragione», disse Gwen a Courtney, in un momento di totale silenzio, «questa davvero non me la volevo perdere.»
 
 *
 
Nel momento in cui Courtney mise piede in casa, sentì una serie di pentole che cadevano.
«Scott?», chiamò, affacciandosi in cucina, «Tutto bene?»
Notando come fosse ridotta la cucina – scodelle sporche, gusci d’uovo per terra, padelle nel lavello – pensò che fosse un miracolo che il ragazzo stesse bene. «Oddio!», esclamò di getto, «Sembra che tu abbia combattuto l’apocalisse a colpi di impasto!»
Lui sorrise innocentemente e indicò l’unica padella superstite, che si trovava sul piano cottura: «Ho fatto i pancakes!», guardò il pasticcio che aveva combinato, e si corresse: «Almeno, ci ho provato…»
Era sul punto di cominciare a fargli una ramanzina senza precedenti, perché poi, alla fine, avrebbe dovuto pulire lei – poi pensò ad Heather e Alejandro, e a quanto avesse nuociuto al loro rapporto i continui attacchi e le vicendevoli, cattive, punzecchiature e si trattenne. Anzi, si avvicinò al piatto su cui erano impilati già alcuni pancakes e ne assaggiò un pezzetto – la dose di zucchero era decisamente esagerata, tuttavia, si sforzò di ingoiare e di sorridergli incoraggiante.
«Ero sicuro che ti sarebbero piaciuti!», disse soddisfatto, poi aggiunse: «Chiama anche Gwen, magari ne vuole un po’.»
Al solo pensiero delle facce che avrebbe fatto l’amica dovette reprimere un brivido. «Sono sicura che Gwen preferisca continuare a dormire.»
«Altrimenti», strillò la diretta interessata dalla loro camera da letto, «con che occhiaie mi presenterò all’appuntamento, stasera?»
Non potendo fare troppo rumore nella sua camera, optò per passare la mattina sul divano con Scott, raccontandogli, più o meno, delle sue peripezie mattutine – e, più in generale, tutta la questione di Heather e del suo divorzio.
«Sai, in fondo è comprensibile: a lungo andare, stare con qualcuno che non ti apprezza è logorante – cerchi sempre essere migliore, per poi ottenere un pugno di mosche.», commentò Scott quando finalmente tacque.
«Sarà», borbottò lei, «ma per me si riduce tutto a una questione di dispetti. Poi soffrono – e non va bene. Quindi si lasciano. Scommetto che non è la prima volta che succede.»
Scott stava per aggiungere altro, quando la voce di Gwen lo bloccò: «Courtney! Muoviti! Emergenza!»
«Ma tu non stavi dormendo?», strillò in ragazzo in risposta.
«Non ci riuscivo.», ribatté lei. «Courtney, Courtney, Courtney!», riprese poi, «Non trovo una scarpa!»
«Solo una
Gwen annuì. «Sai quelle nere, lucide, col tacco appuntito, che non metto praticamente mai?», le disse, sollevando la scarpa sopravvissuta.
Se non avesse saputo che si sarebbe offesa, probabilmente si sarebbe sbattuta una mano sulla faccia.
 
*
 
«But you’re not my trouble anymore.»
 
L’unica cosa che le mancava, dopo aver passato il pomeriggio a cercare la scarpa mancante di Gwen e a ripulire la cucina dagli – adorabili – esperimenti di Scott, era Heather che si presentava a casa sua all’improvviso, apparentemente sconvolta e probabilmente in lacrime.
«Ho cacciato da casa Alejandro.», mormorò attraverso il citofono, talmente scioccata che pareva non credere alle proprie azioni. Non perse un secondo ad aprirle, e attese con trepidazione che uscisse dall’ascensore – appena la vide, trafelata a causa della fredda notte novembrina, con gli occhi rossi e un’espressione inconsolabile, dovette seriamente lottare contro l’istinto di abbracciarla e consolarla.
«Scusami», disse quasi immediatamente, «forse non sarei dovuta venire – solo che ero così agitata e…»
«Non sapevi dove andare?», le chiese Courtney. Lei si limitò ad annuire piano.
«Mi sento davvero una schifezza – mi sento così debole, vulnerabile, ferita. È una cosa che non provo molto spesso, e non è affatto piacevole.», dichiarò, come se stesse cercando di alienarsi dai suoi stessi sentimenti. 
«Pettegolezzi a parte, adesso devi raccontarmi tutto, seriamente – credimi, ti farà bene.»
Ricordava il momento subito dopo il tradimento di Duncan, il punto più basso che avesse mai raggiunto in tutta la sua esistenza, e si ricordava perfettamente di come la delusione e la frustrazione l’avessero consumata, poco a poco, perché non aveva nessuno a cui raccontare i suoi sentimenti – il fatto che la sua più cara amica, colei che avrebbe dovuto alleviare il dolore, ne fosse la causa principale, non aveva fatto che spingerla ancora più a fondo.  C’era anche una piccolissima cosa che avrebbe potuto fare per risparmiare a qualcuno – perfino ad Heather – quell’orribile calvario, allora l’avrebbe fatto.
«Be’», cominciò la ragazza, titubante, «dopo un po’ che tu e Gwen ve ne siete andate – in realtà, dopo parecchio tempo – ho fatto rientrare Alejandro, che si era semplicemente seduto sul mio bel praticello inglese. Abbiamo parlato, e sono finita a lanciargli contro tutte le sue cose e tutto il set di valigie che suo fratello ci aveva regalato per il matrimonio.», concluse rapida – chiaramente, non aveva voglia di sbottonarsi di più.
«Ehi, Courtney, tutto bene?», chiese Scott, affacciandosi da salotto – era stata talmente assorbita dalle vicissitudini di Heather, che non si era nemmeno accorta di aver lasciato la porta e di essere rimasta impalata nel corridoio.
«Sì, Scott, tutto benissimo. Senti, ti dispiace continuare a vedere la partita dal televisore della cucina? Credo che avrò bisogno del divano.», disse con una voce un filino imperiosa. Il ragazzo, però, non se lo fece ripetere due volte. «Scott?», lo chiamò un attimo dopo.
«Sì?»
«Stai lontano dai fornelli, questa volta.», nel momento in cui le rivolse il saluto militare ebbe l’improvviso e fortissimo desiderio di tirargli qualcosa contro, ma non si lasciò distrarre. Dopo aver fatto accomodare Heather consonamente, le chiese di raccontare tutto di nuovo. «Sta volta, però, mettici pure i particolari», le ingiunse. L’altra annuì, e prese un respiro profondo.
«Allora, il problema è che Alejandro credo che io sia paranoica e che non mi fidi di lui, per via di tutti i sospetti di tradimento – per la cronaca, lo scherzetto di oggi era dovuto a questo. Dice che essere accusato di una simile vigliaccheria è immensamente offensivo, che io non sono altro che una sciocca, un’insicura, una che ha il bisogno di essere sempre al centro dell’attenzione – che poi, se lui mi si dedicasse un minimo in più, probabilmente non sentirei la necessità di catalizzare il suo interesse.», fece una pausa, poi riprese: «Cosa avrei dovuto pensare? C’erano weekend fuori casa per lavoro che spuntavano come funghi, le serate tra amici – Alejandro non ha amici – che sembravano non terminare mai, e poi tutto il suo fare sempre così misterioso e vago. È naturale che abbia pensato che avesse un’altra – deve ringraziare che non sia stata io a chiedere il divorzio.»
Obiettivamente, Courtney sapeva che Alejandro aveva ragione. Ma chiedere il divorzio per una moglie gelosa? No, il suo naso da avvocato le suggeriva che ci fosse qualcosa di più sotto. Doveva continuare a scavare, evidentemente. «Tutto qui?», domandò a bruciapelo, con fare interrogatorio. Heather sembrava non aspettare altro che quella domanda.
«Ovviamente, no. Oltre ad essere offeso per le accuse false – ma dotate di solidissimo fondamento –, afferma che cerco continuamente di svilire la sua autostima – non riuscendoci, tra l’altro – e che gli provoco sempre un imbarazzo non indifferente con i suoi colleghi. Ora, è forse colpa mia se sono brutalmente sincera? Se, spesso, mi diverto a fargliela pagare per tutto quello che combina lui? – non pensare in alcun modo che io mi comporti così solo per dispetto. Non sono l’unica cattiva.», asserì convinta.
«Il fatto è che anche lui, pur non essendo così palese nei modi, ha i suoi modi per distruggermi – ignora il fatto che anch’io abbia bisogno di un lavoro, per sentirmi realizzata. Non sono mica come mamma Burromuerto, che si è accontentata di tre figli e un marito che praticamente non c’era mai. Dice che non c’è bisogni che lavori anch’io – mia madre crede che sia una cosa estremamente galante. Io la trovo disgustosamente maschilista, ma guai a dirglielo: ecco che non apprezzo i suoi sacrifici, che per me i suoi sacrifici non valgono e blablabla. E ogni santissima volta che litighiamo, così partono le ripicche – io faccio entrare Bruiser in camera, lui cerca di cacciarlo fuori, io gli brucio la colazione e lui non torna a cena, io vado a fare shopping spendendo una fortuna e lui dice che mi trova inspiegabilmente ingrassata. Prendo un qualunque tipo di impegno e improvvisamente spunta fuori un pranzo di famiglia con i suoi orribili parenti.»
Okay, pensò Courtney, la situazione era abbastanza atipica per una coppia, ma in fondo se si amavano abbastanza da sposarsi, sarebbero riusciti a sopportare tutte quelle piccole faide.
«Sei sicura», la interrogò, mantenendo un tono dubbioso, «che non ci sia altro motivo?»
«Oltre le quotidiane mortificazioni e la mia recente tendenza all’omicidio? Be’… diciamo che circa un mesetto fa potremmo aver avuto – in via del tutto ipotetica – una violenta discussione. Diciamo anche che Alejandro – sembra in via ipotetica – potrebbe avermi suggerito di cambiare atteggiamento e io – mantenendo questa via ipotetica – potrei… potrei… potrei avergli detto che se non gli andavo bene così, allora avrebbe dovuto trovare il coraggio di divorziare.», raccontò, dopodiché cominciò a guardarsi insistentemente le unghie.
Ecco, questo spiegava parecchie cose. «Lo hai letteralmente sfidato a lasciarti?»
«Sì!», esclamò lei, con voce estremamente acuta, «Non pensavo», aggiunse abbassando il tono, «che lo avrebbe fatto davvero. Ero convinta che mi amasse!»
«Quindi, lui ti ama, ma vuole il divorzio, perché tu, che lo ami a tua volta, lo hai sfidato.»
Oh, al diavolo le offese, lì la mano contro la fronte ci stava tutta. «Heather, lasciatelo dire: sei una scema. E lui è più scemo di te.»
«Come se non lo sapessi.», rispose piccata. «Il problema è che io non voglio divorziare. Insomma, spesso lo detesto, ma è pur sempre mio marito, dunque potrei amarlo. Moderatamente, ma comunque abbastanza da non voler essere lasciata.»
«Sai cosa ci vuole?», le chiese Courtney, cominciando a sentire un leggero languore, «Gelato. Il gelato aggiusta tutto.
«Il gelato fa ingrassare.», sostenne Heather. Courtney la guardò con sufficienza: «Allora ingrasserai.»
Nel momento in cui tornò da Heather con la vaschetta e due cucchiaini, sentirono entrambe la porta aprirsi – e apparve Gwen scalza e con una faccia di peste. «Facciamo che vado a prendere un altro cucchiaino.»
Gwen la ignorò completamente e si buttò a peso morto sul divano, non notando nemmeno Heather a pochi centimetri da lei.
«Gwen?», la chiamò un paio di volte Courtney, e dopo poco Heather aggiunse: «Darkettona!»
La ragazza fece finta di non sentirle per qualche altro istante, poi commentò: «Quello stronzo!», non attese nemmeno che l’assillassero con la richiesta di spiegazioni, che partì in un racconto dettagliatissimo e particolareggiato – e, soprattutto, lungo – del suo appuntamento.
«Era fidanzato! Capite, tutte quelle attenzioni, i sorrisini, gli occhi dolci – e poi era fidanzato! Ha detto che cercava una distrazioneio sarei la distrazione! –, che ero molto carina, e che gli piacevo – era fidanzato. Oddio, lo è ancora. È fidanzato.»
Courtney dovette trattenere una smorfia – tutta quella situazione era, in fondo, colpa sua: non l’aveva forse incoraggiata lei a frequentarlo? Si sentiva davvero una brutta persona, in quel momento. «Gli ho versato tutta la bottiglia del vino in testa – ho atteso fino all’ultima goccia – e me ne sono andata.», poi guardò Heather, e sembrò realizzare in quel momento che ci fosse anche lei: «Tu che ci fai qui?»
«Ha cacciato Alejandro da casa.», spiegò sbrigativa Courtney. Porse i cucchiaini alle due ragazze: «Ora, rattoppate la vostra anima con il gelato mentre io metto su un bel film!»
«Un horror?», propose Gwen. «Un film?», chiese conferma Heather.
«Bridget Jones!»
Le altre due probabilmente avrebbero voluto strangolarla, ma dal momento che erano entrambe sentimentalmente fragili ed erano andate da lei in cerca si consolazione, dovevano attenersi ai suoi metodi. Si risistemarono meglio sul divano e lasciarono scorrere il film.
«Certo che gli uomini sono proprio tutti stronzi.», commentò ad un certo punto Gwen.
«Concordo.», dichiarò Heather. Courtney guardò entrambe soddisfatta dell’accaduto – insomma, stavano così male da andare d’accordo.
«In fondo», riprese Gwen, «non abbiamo bisogno di un uomo per essere felici!»
«Non abbiamo bisogno di un uomo e basta!»
«Già! Insomma, sono inutili: fanno soffrire e sporcano casa. Perché qualcuno dovrebbe innamorarsi di loro?»
«Senza considerare che sono viscidi, manipolatori e bugiardi. Sono peggio dei…», si guardò intorno e vide la gabbietta del topolino che avevano catturato qualche giorno prima, «…topi!»
L’animaletto, come se si fosse sentito chiamato in causa, squittì a tutto volume, provocando una reazione terribile in Heather: «Non è finto?», chiese terrorizzata. «Perché dovremmo avere un topo finto?», le rispose Gwen. «Perché dovreste averne uno vero?»
«Non gli abbiamo nemmeno più dato un nome – Gwen aveva proposto Chris, ma credo che sarebbe offensivo. Per il topo.», rifletté Courtney a voce alta.
«Perché non lo chiamate Alejandro? Tanto, la differenza tra loro è talmente poca…»
«Il topo Alejandro.», scandì Gwen a voce alta. «Sai potrebbe funzionare!»
Courtney trovò che più che sofferenti per pene d’amore, quelle due sembravano ubriache – era certa di non avere alcun tipo di gelato liquoroso, in casa, ma improvvisamente l’assalì il dubbio.
«Ma sì», ricominciò Heather un attimo dopo, «al diavolo Alejandro!»
«Al diavolo Tony!», proseguì Gwen.
«Al diavolo tutti!», si accodò Courtney, probabilmente presa dal loro entusiasmo.
Continuarono con le loro considerazioni sugli uomini e la loro dubbia utilità finché non sentirono dei colpetti di tosse.
«Ragazze», le avvisò Scott, «guardate che vi sento!»
Heather gli rise in faccia, Gwen gli fece segno di tacere e Courtney arrossì abbastanza.
 
***
 
«Somebody stepped inside your soul.»
 
Il giorno del suo divorzio definitivo da Alejandro, Heather non sarebbe nemmeno voluta uscire di casa – tutti quei bei discorsi su quanto odiassero gli uomini erano esplosi come bolle di sapone. C’era anche Gwen quel giorno – nel frattempo, però, lei si era davvero sbarazzata di quel Tony orribile.
L’avevano praticamente trascinata in tribunale, costretta a entrare nella corte e a proseguire fino in fondo – non poteva certo costringere Alejandro a non divorziare! Le avevano fatto coraggio – a modo loro – e l’avevano consolata – a modo loro. Dire che fossero diventate amiche, tutte e tre, era forse esagerato, ma Gwen accettava la definizione di conoscente: conoscenti che mangiavano gelato insieme piangendo su un film di Bridget Jones.
Ecco, per salvare la situazione sarebbe servito un colpo di scena romantico – oppure avrebbe potuto ricattare Alejandro. Era quasi convinta che alla fine l’avrebbero fatto – ricattarlo, insomma – quando Heather, che comunque non si era piegata di fronte a nulla, affermò di non voler firmare le carte e richiese un colloquio con suo marito, che sorrise sornione tutto il tempo.
Per quanto lei e Gwen volessero sapere da morire quello che si stavano dicendo, era chiaro che non fosse una cosa piacevole per Heather – avrebbero giurato che la ragazza si stesse scusando. Quella sì, che era la fine del mondo.
Ovviamente, c’era da aspettarsi che Alejandro le avrebbe rinfacciato quella debolezza fino all’ultimo dei suoi giorni, ma Courtney, pensando a quanto era state male nelle settimane precedenti, trovò che fosse davvero poca cosa da sopportare.
«Cosa ne dici?», chiese a Gwen, osservando i due allontanarsi riappacificati, «tutto è bene quel che finisce bene?»
«Anche se è Heather?»
«Anche se è Heather.»

 
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Note dell’autrice:
I did it! Ce l’ho fatta – non credevo che avrei finito in tempo. Dato che oggi è il mio compleanno, ho voluto pubblicare questa one shot per festeggiare anche qui :)
Spero davvero che vi sia piaciuta, anche perché mentre la scrivevo ho avuto i miei dubbi sulla credibilità della trama – e, soprattutto, sull’IC dei personaggi (ecco perché l’avvertimento). Comunque, adesso devo andare a scuola, che già è tardi, per cui aggiungerò note più corpose tra domani e dopodomani!
Una bacio a tutti!
Fede♥

P.s.: la canzone che fa da sfondo alla storia è "The troubles", degli U2.
  
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