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Autore: l_s    10/05/2009    5 recensioni
"Nessuno, da piccolo si rende conto di essere sbagliato: è tutto stupore, luce e inebrianti paure del buio, che risuscitano l'anima fino all'ebbrezza. E così fu anche per la nostra protagonista, che non si accorgeva di essere già in potenza un'Incomprensibile."
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autrice: Ringrazio Luka, Eugenio ed Eleonora, ovviamente. So che sono parole vane, ma mi avete davvero aiutato in un momento in cui avevo bisogno d'aiuto. Ancora una volta, direi. Grazie, perché vi preoccupate per me, perché ascoltate le mie urla, e rispondete, e mi impedite di perdere la testa e di gettarmi completamente alle ortiche. E' solo grazie a voi se sono riuscita a scrivere questa storia. Non riuscirò mai a fare per nessuno di voi la metà di quello che voi fate per me, e, alla fine, non lo so se ho ragione o no, ma so che non riuscirei mai ad annullarmi nella massa: sono troppo orgogliosa di essere diversa, e lo ostento, e me ne vanto.
Ma io non so cosa farei se non riuscissi più a scrivere, non lo so davvero.
Vi adoro.
Lucretia



Voglia


C'era una volta una bambina.
A prima vista poteva sembrare una delle tante, con i suoi saltelli e i giochi spensierati, ma non lo era, altrimenti non sarebbe stata la protagonista della nostra storia. O forse lo era ancora, e il danno sarebbe venuto solo dopo; ma io preferisco pensare che la sua anormalità non fosse una mera affezione dell'essere, ma qualcosa di più profondo, di eterno, di innato.
Nessuno, da piccolo si rende conto di essere sbagliato: è tutto stupore, luce e inebrianti paure del buio, che risuscitano l'anima fino all'ebbrezza. E così fu anche per la nostra protagonista, che non si accorgeva di essere già in potenza un'Incomprensibile: era troppo alta, con dei capelli gonfi di un colore assurdo, gli occhi rotondi ed enormi, che però non erano chiari, e il labbro inferiore macchiato da una voglia di lacrime e di sangue.
Nonostante ciò, dicevo, amava correre, giocare a nascondino, a mosca cieca, e a qualunque altro di questi giochi, pur con un complesso d'inferiorità che la permeava ogni giorno di più, quasi un senso di invidia verso gli altri bambini.
Tutto era colorato e fluorescente, per lei, quando un giorno, per strada, qualcuno la fermò.
"Ehi, tu!" le urlò, "Quanti anni hai? Non lo sai che il mondo fa schifo?"
Lei si voltò a guardarlo, e sbattendo gli occhi, vide il marcio intorno a sè.
"Ah!" disse, sorpresa.
"Ah!" disse, delusa.
"Ah!" disse, dolente.
"Ah!" disse, arrabbiata.
"Chi l'ha ridotto così?" chiese poi, non ppena il respiro l'ebbe soccorsa.
Ma l'interlocutore era già svanito nel nulla. "Nel marcio", corresse mentalmente lei.
E ora, cosa fare? Cominciare a ripulire, certo.
Così, prese un sacchetto e cominciò a raccogliere immondizia dalla strada. Dopo poco, vide delle altre persone correre sciaguattando nella poltiglia, e si affrettò a chiedere loro aiuto, perché da sola proprio non ce la faceva.
Uno di loro la guardò di sfuggita, e farneticò qualcosa sul fatto che dovesse scappare a lavoro.
Lei non si arrese, e per tutto il giorno, e anche per quelli seguenti, continuò a fermare passanti e chiedere aiuto.
Una donna, guardandola con indulgenza e pena e un'ipocrisia che le colava dai capelli, disse: "Scusa, tesoro, so che i giovani hanno bisogno di rendersi utili al mondo, e di lottare per cause nobili, ma, vedi, io ho questo belllissimo vestito che non posso assolutamente sporcare", e lei scosse la testa con vigore e si affrettò a protestare, ma quella seguitava a guardarla con quel mezzo sorriso di falsa comprensione, che le faceva venir voglia di morderla e di urlarle contro, così scappò via.
Pensò anche di cercare aiuto e rifugio nei ragazzi della sua età, ma quelli si allontanavano e la additavano ridendo di lei, o addirittura la fuggivano con ribrezzo, e, in un lieto torpore, sprofondavano in uno strato sempre più spesso di marciume, che li permeava, e li penetrava, ringraziato ripetutamente, e innalzato a ottava meraviglia del mondo.
E la bambina, che più bambina non era, non poteva far altro che scivolare ripetutamente, e rompere pezzi di sè, velocemente, inesorabilmente; e altrettanto velocemente si rassegnava all'evidente vanità del suo lavoro, e si rinchiudeva in se stessa, come primo e ultimo rifugio.
Spesso, in quelle sere buie in cui la Solitudine, sola, la cullava tra le braccia, carezzava con cura l'idea di abbandonare la sua bolla e sprofondare nello strato di marcio, che di anno in anno aumentava, e di lasciarsi annullare e decomporre da quello, invece che marcire sola nella sua individualità; ma sempre si inorgogliva, e si sorrideva scricchiolante, e realizzava di non desiderare davvero la felicità, o la compagnia, non quanto desiderava un'assurda Libertà, un'illusoria Realizzazione, anche se infelice. In quei momenti, la tristezza si faceva amica, quasi dolce, quasi calda e armoniosa, e serena e serafica la ingrigiva canticchiandole tenere e ariose ninne nanne.


Ora è cresciuta, la bambina, è invecchiata.
Cammina con fatica, chiedendo sostegno alla sua stampella, con la schiena ricurva e lo sguardo sempre fisso sui suoi piedi rattrappiti.
E' orrenda, ma se superate la paura e le rivolgete piano la parola, ella lentamente solleverà il capo, facendo scricchiolare la schiena deforme, e potrete osservare sul suo volto stanco una miriade di rughe che lo tirano verso il basso, memori dell'antica tristezza, e le labbra amaramente si tenderanno in una memoria di sorriso.
E se guarderete bene, oltre le rughe, oltre l'orrore, vi accorgerete che la vecchia macchia non c'è più: l'antica voglia è stata soddisfatta.

La beffa s'è compiuta. Andate in pace.



   
 
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