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Autore: xx1Dianaxx    15/10/2016    3 recensioni
Shin Illa.
Studentessa modello, ama la storia coreana.
Min Yoongi.
Cattivo ragazzo e playboy, arriva sempre in ritardo alle lezioni e ogni mese cambia colore di capelli.
Cosa succederebbe se, per fare insieme una ricerca, iniziassero ad avvicinarsi l'uno all'altra?
E se ci fossero in mezzo dei bigliettini nell'armadietto di Illa?
❝Siamo ancora giovani e immaturi,
metti fine a tutte quelle preoccupazioni.
Se sai di non poter tornare indietro,
vai avanti, attraverso i tuoi errori, dimenticandoli. ❞
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Incest, Incompiuta, Tematiche delicate
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1. ⚓

20 gennaio

"Sei bella."

Lessi il bigliettino pieghettato che avevo trovato nell'armadietto.

L'inchiostro nero spiccava sul foglio bianco quadrettato, la calligrafia piccola un po' tendente verso destra. Una calligrafia che già avevo visto da qualche parte.

Quel bigliettino era molto diverso da quelli che avevo ricevuto per quasi due mesi, dall'inizio del terzo anno delle superiori.

Ormai ci avevo fatto l’abitudine, a quegli insulti. Quei bigliettini erano qualcosa da cui non potevo scappare. Erano diventati qualcosa da tutti i giorni.

 

Mi guardai intorno.

Come al solito tutti nel corridoio mi fissavano, alcuni ridacchiando e altri ancora bisbigliando.

Da quando qualcuno in secondo superiore aveva fatto girare un pettegolezzo su di me, ero diventata lo spettacolo da baraccone della scuola.

Mai mi fu detto il perché di quel pettegolezzo.

Mai mi dissero che avevo fatto per meritarmi un pettegolezzo sul mio conto; capii solo che c’entrava un ragazzo che neanche conoscevo.

Da allora decisi di lasciar stare le cose superficiali come la bellezza e i ragazzi e mi dedicai totalmente allo studio. In poco tempo oltre a fenomeno da baraccone avevo anche un altro soprannome: la sgobbona dell’Apujeong High.

Il primo anno capii che nonostante fosse il liceo più importante di Daegu, non aveva niente che la distingueva dalle altre scuole superiori. Sotto tutti i punti di vista era uguale. Il secondo capii che non ero benvista dagli altri alunni. E il terzo che avrei dovuto cambiare scuola superiore se non volevo avere un ricordo negativo dei miei cosiddetti “anni migliori”.

Sapevo di essere vittima di bullismo. Lo sapevo benissimo ma la verità è che non facevo niente per modificare la mia situazione.

Non ne parlai con nessuno, neanche con mia sorella maggiore Mi-Cha. Fin da piccola ero sempre stata la ragazza timida della classe, a tratti anche asociale.

 

Strappai un piccolo pezzo da un foglio del quaderno d’inglese e, sotto il loro sguardo attento, lo appallottolai e lo buttai nel cestino mentre mi dirigevo verso la mia prossima classe, ancora vuota.

Volevo fargli pensare che non m’interessava niente di quello che pensavano di me, volevo fingere di essere una ragazza forte anche se la verità non era quella: ero forse una delle ragazze più sensibili e delicate che ci fossero mai state. Da piccolina ero una piagnucolona, piangevo per tutto, anche per le cose più improbabili, e niente era cambiato. Ero rimasta la stessa nonostante tutto.

Quando ricevetti il primo bigliettino d’insulti, piansi per quasi un’ora chiusa in uno dei bagni della scuola. Quando tornai a casa, mi chiusi in camera mia e piansi per molto tempo, fino ad addormentarmi.

Arrivata in classe, mi sedetti al banco di fronte alla cattedra e lessi diverse volte il biglietto che avevo conservato nella tasca della divisa scolastica. Lo girai e rigirai tra le mani e, in fondo al foglietto, quasi indecifrabile c'era una lettera, una S.

"Il biglietto è anche firmato... " pensai mentre un sorriso stupido mi compariva sul viso.

Pensai e ripensai a chi “conoscessi” il cui nome iniziasse per S.

Niente.

Vuoto assoluto.

O meglio, conoscevo alcuni ragazzi il cui nome iniziava per ‘S’ ma nessuno di quelli mi avrebbe lasciato un bigliettino anonimo nell’armadietto.

E se fosse stata una ragazza?

Ciò aveva molto più senso.

Conoscevo molte più ragazze il cui nome iniziava per ‘S’ ma nessuna di loro era… gay.

Da quanti io sapessi.

E se il ragazzo o la ragazza avesse sbagliato armadietto?

Ciò aveva ancora più senso.

Insomma, chi lascerebbe un bigliettino del genere nell’armadietto di una sfigata come me?

Nessuno sano di mente.

Nonostante ciò pregai e sperai che fosse per me, anche se le probabilità erano inesistenti, quasi nulle.

Sapere che qualcuno non aveva necessariamente qualcosa di negativo da dire sul mio conto mi rendeva semplicemente… felice.

 

 

 

Quando l’ultima campanella suonò, sistemai il libro e il quaderno di letteratura coreana nello zaino e mi diressi verso il cortile della scuola dove aspettai mia sorella.

Dopo qualche minuto la vidi uscire mentre chiacchierava con delle sue amiche. Appena mi vide, le salutò e mi venne incontro.

"Ciao" mi salutò. In risposta io le sorrisi.

"Come mai così felice?" mi chiese scrutandomi attentamente mentre imboccavamo una scorciatoia per arrivare a casa.

Mentalmente valutai i pro e i contro di raccontare dei bigliettini a mia sorella.

Era la mia cara sorellona a cui volevo molto bene e a cui ero legata e mi dispiaceva mentirle ma decisi di farlo.

Se le avessi raccontato del bigliettino positivo, inevitabilmente le avrei raccontato dei bigliettini meno positivi.

Anche lei, d’altro canto, non era mai stata molto sincera con me.

Ogni volta che provavo a chiederle cosa fosse successo e perché le persone sparlassero di me, lei cambiava argomento.

Una volta insistetti più del dovuto e lei si irritò, facendomi capire che lei sapeva il perché di quei pettegolezzi.

Mi rammaricò molto sapere che non voleva parlarmene. Infine compresi che era meglio non sapere, rimanere all’oscuro di tutto quello che stava succedendo intorno a me e di dedicarmi solamente ai miei studi.

Capii anche che mia sorella e mio padre dopo l’Incidente erano diventati molto protettivi nei miei confronti; mi avevano costruito una bolla in cui mi tenevano chiusa, dimenticandosi che prima o poi sarei cresciuta.

"Niente" mentii.

"Illa" mi chiamò, "lo sai che se succedesse qualcosa, potrai sempre parlarmene?" Si fermò.

"Lo so" le risposi frettolosamente, continuando a camminare.

"Tu mi nascondi qualcosa" sussurrò lei qualche istante dopo.

"Non sei l’unica ad avere segreti, Mi-Cha" mi fermai, "ci sono molte cose che neanche io so di te, no?" Smisi di camminare, guardandola dritto negli occhi castani.

Notai un velo di tristezza impossessarsi di mia sorella.

L’avevo colpita nel suo punto debole.

Il resto del tragitto verso casa fu silenzioso. Mi dispiaceva aver trattato male mia sorella ma infondo le avevo solamente detto la verità.

"Illa" mi chiamò mia sorella prima di entrare in casa, "Mi dispiace, piccola Illa" mugugnò, stringendomi in un forte abbraccio.

Mi morsi forte il labbro, tentando di non piangere.

"Ciò che facciamo papà ed io è solo per proteggerti" mi sussurrò all’orecchio.

Velocemente mi staccai dall’abbraccio e la scrutai attentamente, "Per proteggermi?" le chiesi ridendo ironica, "so proteggermi anche da sola."

Entrai in casa furiosamente e andai in camera mia.

Proteggermi… da cosa?

 

Lanciai lo zaino sulla sedia della scrivania e mi tolsi la divisa scolastica per mettermi il pigiama.

Nella tasca della camicetta bianca trovai il foglietto pieghettato, lo aprii e lo lessi diverse volte.

Anche questa volta notai la calligrafia tendente verso destra, simile a quella di qualcuno che conoscevo ma... chi?

In quel preciso momento vidi sentii la porta di camera mia aprirsi e comparire Mi-Cha.

Immediatamente alzai il cuscino e misi sotto il bigliettino.

"Illa" sussurrò lei, sedendosi accanto a me sul letto, "mi dispiace" continuò.

"Dispiace anche a me." La abbracciai.

Una volta sciolte dall’abbraccio, lei si alzò e mi salutò, uscendo dalla stanza, io iniziai a studiare le materie che ci avevano assegnato e a ripetere le lezioni per il giorno seguente.

Dopo quasi tre ore finalmente finii di studiare, sistemai l’astuccio e i vari quaderni e libri nello zaino e mi alzai, sgranchendo le gambe.

Aprii l’armadio e presi un paio di jeans e una felpa, li indossai insieme alle scarpe da ginnastica e aprii la porta per uscire di casa quando Mi-Cha mi interruppe.

"Dove vai?" mi chiese, spuntando dalla cucina con in mano una matita.

Probabilmente stava studiando.

"Al parco" risposi.

"Aspetta, mi vesto!" urlò correndo verso le scale.

"Mi-Cha" la richiamai quando aveva un piede su uno scalino e l’altro sul pavimento, "Posso andarci da sola." le sorrisi, uscendo di casa per evitare che potesse replicare.

Uscii dal cancello, svoltai verso sinistra e imboccai la via alberata che terminava nel parco.

Mi strinsi meglio nella felpa e ripensai a quello che era successo pochi minuti prima.

Perché mia sorella era così protettiva nei miei confronti?

Non mi dava fastidio era solo che… mi dispiaceva.

Dopo l’Incidente aveva quasi preso il posto di mia madre, come se si sentisse in colpa.

Mi dispiaceva che lei si sentisse così ma niente di quello che era successo era colpa nostra. Era successo e noi avremmo dovuto affrontarlo, parlandone con nostro padre e cercando una soluzione.

Niente di quello successe però; mio padre era quasi sempre in giro per lavoro per il mondo mentre mia sorella, nonostante la sua giovane età, si prendeva cura di me.

 

Arrivata al parco, mi sedetti ad una panchina ed osservai il sole tramontare. Dopo una lunga giornata di scuola, compiti, problemi e preoccupazioni, arrivava quel momento, quello che più adoravo perché il cielo diventava rosso caldo e le nuvole si perdevano all’orizzonte con gli ultimi raggi del sole.

Mi piaceva osservare il sole tramontare perché creava un’atmosfera di tranquillità e pace, dove io mi sentivo protetta, al sicuro.

Immersa nei rumori della natura, mi persi nei pensieri del bigliettino che quella mattina avevo ricevuto.

Chi era -S?

Era forse qualcuno che conoscevo?

Ma soprattutto, quei bigliettini erano per me?

-S avrebbe preso il posto dell’anonimo?

Venni distratta dai miei pensieri quando sentii qualcosa colpirmi la tempia destra e la testa spostarsi automaticamente verso il lato opposto. Portai la mano destra verso la zona dolorante ed iniziai a massaggiarla.

"Bella mira, Syub" urlò una voce maschile, seguita da delle risate.

Mi girai verso quelle risate e vidi otto ragazzi sul campo da basket distante qualche centinaio di metri.

Uno di questi ragazzi indossava un berretto una felpa rossa, dei pantaloni della tuta nero e delle scarpe da ginnastica. Stava ridendo così tanto che era appoggiato con i palmi delle mani sulle ginocchia.

Stava ridendo di… me?

Improvvisamente, presa dalla rabbia, raccolsi la palla da basket arancione che giaceva vicino ai miei piedi e mi diressi verso il laghetto del parco, non molto distante. Presi la mira e lanciai la palla che in poco tempo iniziò a galleggiare, spostandosi sempre più lontano dalla riva.

"Adesso prendetela" dissi, lanciando sguardi truci ai ragazzi che nel frattempo mi avevano inseguito.

Mi girai ed imboccai la strada verso l’uscita.

“Idioti” pensai durante tutto il tragitto per tornare a casa.

 

   
 
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