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Autore: LadyStark    18/10/2016    1 recensioni
Dal testo:
"Perché se lei lo avesse tradito, suo fratello glielo avrebbe rinfacciato? Ovviamente.
Perché l’amore non è mai un vantaggio. "
[Sherlolly]
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Sono tornata. Sarà l’insonnia, sarà aver rivisto nuovamente la serie, ha iniziato a frullarmi in testa questa cosa e niente, si è praticamente scritta da sola, che io lo volessi o no.
A voi la mia follia. Ovviamente mi farebbe enormemente piacere sapere cosa ne pensate.
 
 
Era una giornata più torrida del previsto a Londra. Questo lo faceva infuriare. Non lavorava bene con tutto quel caldo.
- Potresti cambiarti e indossare un t-shirt – disse John all’amico che continuava a borbottare lamentele – hai mai indossato una t-shirt? –
Sherlock lo ignorò continuando a camminare davanti a un vecchio ventilatore che la signora Hudson aveva trovato, cercando di trovare una tregua dal caldo che gli impediva di pensare rapidamente.
Erano passati alcuni tempi da quando lui era scampato all’esilio per una sfida ancora più impossibile. In tutto il paese l’immagine di Moriarty era riapparsa. Ma lui era morto. O almeno così il mondo credeva. Quel video era stato analizzato più e più volte da tutte le forze che potevano esistere, di alcune John ignorava perfino l’esistenza, meravigliandosi ogni volta che vedeva Mycroft Holmes aggiornarli sugli sviluppi del caso.
D’un tratto Sherlock si voltò di scatto, dando le spalle al ventilatore, prese la giacca e la infilò rapidamente prima di uscire.
- “Ma no, che senso ha indossare un abbigliamento adatto al caldo, la mia classe ne risentirebbe, perché sono Sherlock Holmes e sono l’unico essere vivente capace di irritare gli altri stando zitto!” – borbottò John prima di uscire di casa seguendo l’amico.
Durante il tragitto in taxi, il consulente investigativo era rimasto in silenzio ma il suo nervosismo era palese. I suoi occhi si muovevano rapidamente, riordinando informazioni che solo lui conosceva. John aveva imparato a lasciarlo stare quando si trovava in quei momenti, ma non poté fare a meno di notare l’espressione di paura che gli si dipinse sul volto per un attimo, non appena riemerse dai suoi pensieri.  
Quando il taxi si fermò davanti al Bart’s, il medico militare scese, immaginando che il suo amico sarebbe entrato nel laboratorio dove era solito effettuare le analisi, probabilmente chiedendo a suo modo come stesse la dottoressa che in quel laboratorio ci lavorava. 
Si fermò di colpo, mentre dalla sua bocca usciva un rantolo a metà tra il disperato e il sorpreso. Sherlock, davanti a lui di qualche passo si voltò rapidamente. Vedendo John immobile sui gradini dell’ingresso dell’ospedale tornò rapidamente sui suoi passi, sussurrando all’amico l’unica frase che gli sembrava poter essere consolatoria:
- Hai la pistola? –
John Watson, ritornando presente a se stesso, annuì deciso e riprese a camminare accanto al Detective.
Mentre salivano le scale John estrasse la pistola caricandola, ricevendo la silenziosa approvazione di Sherlock.  Era improvvisamente nervoso e la sua tensione aumentava mano a mano che, seguendo l’amico, riconosceva la strada che stavano percorrendo come quella che li portava dritti dritti nel laboratorio di Molly Hooper.
John Watson cercò di ragionare lucidamente, scoprendo che i suoi pensieri erano completamente agli antipodi di quelli che potrebbe avere un qualsiasi umano armato in un momento di stress e che dipingevano sul suo viso diverse espressioni: determinazione quando pensò “Molly è in pericolo o Sherlock non mi avrebbe chiesto di caricare la pistola.”, stupore quando aggiunse “Finalmente si è accorto che le vuole bene, o non avrebbe quella faccia tesa.”,  un leggero fastidio quando ammise che  “Mary aveva ragione su di lui, le devo comprare quelle scarpe che continua a chiedermi” e infine puro terrore quando la sua mente fece affiorare il pensiero “Se Molly è ferita o è nei guai e Mary ha davvero ragione, chi riuscirà a sopportare Sherlock?”.
Quando arrivarono davanti alla porta del laboratorio, John afferrò un braccio di Sherlock, facendolo voltare. La tensione sul volto dell’uomo era visibile, e per un secondo il medico militare si trovò in difficoltà nel cercare di parlargli. Lo fissò negli occhi per un periodo di tempo che parve interminabile. Avrebbe voluto dirgli che sarebbe andato tutto bene ma conosceva il suo amico. Sherlock Holmes raramente sbagliava sul livello di pericolo che stavano correndo e quando lo faceva, spesso lo faceva al ribasso. Si limitò quindi ad annuire e sussurrare un “Se tu sei pronto io sono pronto”.
Sherlock Holmes annuì e si voltò; sentì una leggera sensazione di vertigine invaderlo e il calore defluire dalle sue mani mentre stringeva la maniglia della porta. Serrò le labbra accorgendosi di avere provato in passato quella sensazione. Baskerville. Dubbio. Paura. Scosse la testa cercando di negare l’evidenza delle sue emozioni.
- Sherlock! – esclamò Molly Hooper non appena vide la figura dell’uomo entrare a passo spedito nel laboratorio.
John lo seguì la pistola puntata  contro una minaccia che non riusciva a vedere.
Molly sussultò nello scorgere l’arma in mano al medico militare. – Cosa succede? -  chiese ritraendosi istintivamente.
John Watson abbassò la pistola contento di vedere la sua amica sana e salva – Sherlock era preoccupato fossi in pericolo – disse abbozzando un sorriso imbarazzato.
- Io non sono preoccupato John – intervenne l’unico consulente investigativo al mondo, senza staccare gli occhi da una Molly visibilmente confusa – io so per certo che qui c’è la presenza di un pericolo – si avvicinò alla patologa, con lo sguardo freddo, indagatore – ma quelli in pericolo siamo noi –
Molly trattenne il fiato, sovrastata dalla figura di Sherlock che davanti a lei la scrutava. John Watson dietro di lui temeva, o sperava, di aver appena staccato un biglietto per assistere a un’overdose del suo migliore amico.
- Sherlock cosa stai dicendo? – chiese frustrato
- Sto dicendo che dovresti sparare alla dottoressa Hooper prima che lei spari a noi – sentenziò Sherlock Holmes.
Il silenzio che seguì era talmente perfetto che era quasi possibile sentire il battito dei cuori dei tre presenti.
Molly deglutì cercando di trovare una spiegazione logica al comportamento dell’uomo. Sollevò una mano, ma Sherlock fu più rapido di lei nel bloccarle il polso, stringendolo fino a farla gemere di dolore.
- Sherlock! – esclamò John, ma l’occhiata che gli rivolse l’amico lo zittì prima che potesse continuare a parlare.
- John sii gentile, chiama Lestrade, poi apri il fascicolo relativo a Moriarty Jim. Leggerai il referto dell’autopsia firmato dalla dottoressa Hooper in cui viene redatta come causa della morte l’emorragia dovuta al proiettile che gli ha perforato il cranio e fatto uscire le cervella. Cosa c’è di strano in tutto questo? – domandò stringendo maggiormente il polso della donna che emise un nuovo verso di dolore, portando istintivamente l’altra mano a cercare di liberare il suo polso dalla stretta di Sherlock Holmes. Il consulente investigativo le afferrò anche l’altro braccio e Molly non riuscì a impedire a una lacrima di uscire dai suoi occhi.
- Sherlock – mormorò abbassando il capo, incapace di reggere lo sguardo di lui, così freddo, così rancoroso, così profondamente arrabbiato.
John si avviò verso lo schedario cercando di raccapezzarsi all’interno di quella situazione surreale. Lesse il referto e si rese conto che Sherlock aveva ragione. Poi si sentì sprofondare.  La gola gli si seccò, quasi a non volergli fargli pronunciare le parole che la ragione gli aveva piantato là, davanti agli occhi, scritte a caratteri cubitali. – Il corpo. La lapide. Non c’è stato alcun funerale. Non c’è stata nessuna bara. Come se non ci fosse stato nessun corpo – mormorò con voce strozzata.
- Per l’appunto – la voce di Sherlock era ancora più profonda del normale. Cupa e roca – Quindi come sarebbe stato possibile che la Dottoressa Hooper abbia potuto effettuare un’autopsia? E soprattutto dove sarebbe finito quel cadavere? –
- Sherlock – sussurrò Molly – mi fai male –
- Falsificandola. Ovviamente per te non è stato difficile. Hai falsificato la mia autopsia, non avrai avuto difficoltà nel farlo una seconda volta. Perché però? Eh, Molly? Perché hai falsificato, perché avresti dovuto farlo, se non per nascondere al mondo intero, per nascondere a me, che in realtà il caro Jim non era morto? Da quando sei diventata il suo cucciolo scodinzolante, come diceva lui*? Da quanto, Molly? Rispondi! – Sherlock aveva finito con l’urlare e stringere ancora di più i polsi della donna. John si avvicinò all’amico frapponendosi fra lui e Molly: poteva anche essere davvero come diceva lui, ma questo non lo giustificava dal farle male in maniera gratuita mentre lei piangeva.
- Sherlock smettila. Lasciala. Lasciala, le stai facendo male – disse fermo il  medico militare mettendo le sue mani su quelle dell’amico, chiaro segnale di fargli allentare la presa sulle braccia della donna.
- Lei ha fatto male a tante persone – ringhiò contro il consulente investigativo. Se non lo avesse conosciuto, John Watson avrebbe potuto affermare di aver udito del dolore nella frase che Sherlock aveva sputato fuori, come se ne sentisse il bisogno, ma non volesse
- Sherlock Holmes, tu ora lascerai i polsi di questa donna, perché indipendentemente da cosa possa aver fatto in questo momento è disarmata e tu le stai infliggendo un dolore inutile e smodato. La accompagnerai a Scotland Yard, dove avrà modo di spiegare la situazione. – tuonò John – chiaro? -. Sherlock rimase interdetto per un attimo, per poi lasciare lentamente i polsi di Molly, sui quali erano ormai visibili i segni lividi lasciati dalle dita dell’uomo.  – In quanto a lei, dottoressa Hooper, ci seguirà in silenzio, senza provare a scappare. Sono stato chiaro? –
Molly trattenne il fiato per un secondo sentendosi in trappola. Se John Watson aveva usato quel tono così duro e autoritario non osava pensare a quale trattamento poteva riservarle il consulente investigativo. Annuì, ricacciando indietro le lacrime, cercando di sopprimere le sue emozioni, almeno per il momento. D’un tratto il contatto con Sherlock Holmes le provocò un moto di disgusto, ritrasse di scatto le braccia al petto, massaggiandosi i polsi doloranti. Non avrebbe mai creduto che Sherlock, nonostante i modi brutali con cui l’aveva tratta durante i loro anni di conoscenza, si sarebbe spinto a farle del male fisico.
- Chi mi assicura che ci seguirai? – chiese iroso Sherlock alla donna. John si accorse della sfumatura nella voce dell’amico, l’aveva sentita solo una volta ma gli era impossibile da dimenticare. Sherlock Holmes era in dubbio.
Anche Molly parve cogliere quell’inflessione nella voce di Sherlock e lo fissò sorpresa. Mai lo aveva visto in quelle condizioni, mai si sarebbe sognata di immaginarlo in preda alla rabbia e al dubbio. Sostenne il suo sguardo, cercando di non pensare al dolore, non solo fisico, che stava provando, ma era inutile, non riusciva a impedire alle sue mani di tremare.
- Dannazione guardala! – esclamò allora John – davvero credi cercherà di scappare? Dove? Conosci dove abita, dove lavora ed è terrorizzata! Vuoi legarle i polsi con dello spago? O trascinarla per i capelli come un troglodita? –
Molly chiuse gli occhi. Non doveva cedere. Non ora. Sapeva benissimo che al prossimo sguardo indagatore di Sherlock avrebbe capitolato e non poteva permetterselo. Sapeva a cosa stava andando incontro e si era preparata a questo. Doveva rimanere presente a se stessa. Doveva rimanere lucida. Doveva farlo per se stessa e per tutto quello che aveva costruito.
Sherlock si ricompose, avvicinandosi alla donna. Sembrava tornato quello di sempre, consapevole del suo fascino e pronto a usarlo per ottenere quello che voleva. Accarezzò con un dito il mento di Molly, sorridendo ironico – Non servirà lo spago – soffiò sulle labbra della donna – giusto Molly? –
John aprì la porta del laboratorio, seguito da Sherlock Holmes, che stringeva la mano di Molly Hooper nella propria. Solo fino a qualche minuto fa, pensò, la vista di quella situazione lo avrebbe piacevolmente sorpreso, avrebbe avvisato subito Mary e Lestrade. Avrebbero passato serate intere a prendere in giro Sherlock per essere sceso dal  piedistallo de superuomini e aver finalmente accettato di essere un comune mortale. Invece ora non riusciva a guardare per più di un secondo quella coppia che camminava mano nella mano come se fosse la tortura peggiore che potevano subire.
 
 
Avevano passato tutto il tragitto in taxi in silenzio. John guardava prima Sherlock, poi Molly, nella speranza che uno dei due scoppiasse a ridere avvertendolo che era stato vittima di uno scherzo. Invece Molly guardava fisso davanti a sé, gli occhi sbarrati per evitare che le lacrime scendessero lungo le sue guance, mentre Sherlock, continuando a tenerle la mano, osservava il traffico londinese fuori dal finestrino.
- Sherlock, mi fai male – sussurrò la donna quando la presa dell’uomo si fece troppo stretta.
Sherlock si voltò per osservarla e per un attimo il dubbio tornò prepotentemente in cima alle sue emozioni. Poteva davvero Molly Hooper aver tradito la sua fiducia? Poteva davvero quella donna che gli stava chiedendo silenziosamente di allentare la presa per alleviare almeno di un poco il dolore, aver avuto una mente così perfida? Poteva un gesto come quello di tenere la mano a qualcuno, così intimo e portatore di calore, destare così tanta sofferenza?
- Non sono solito usare le maniere forti con chi è più debole di me. Entrerai a Scotland Yard davanti a noi, se proverai a scappare John sarà autorizzato a spararti – rispose mormorando il consulente investigativo. Molly trovò il coraggio di guardarlo negli occhi, incurante del fatto che la sua sagoma apparisse sfocata a causa delle lacrime che sgorgavano copiose e silenziose sul suo viso.
- Grazie – sussurrò.
Sherlock tornò immediatamente a fissare la strada, mentre John guardava l’orologio e contava i minuti che li separavano all’arrivo a destinazione.
 
 
Molly Hooper era rinchiusa in una sala interrogatori, seduta composta con i palmi delle mani appoggiati al tavolo. Sui suoi polsi i segni delle dita di Sherlock stavano lentamente scomparendo. Non aveva smesso di piangere fin da quando Sherlock Holmes, entrando negli uffici aveva praticamente ordinato al Detective Ispettore Lestrade di assisterlo in un interrogatorio. Lestrade era accorso ma quando aveva visto una Molly Hooper col viso chino e le spalle tremanti per i singhiozzi si era bloccato e per qualche minuto si rifiutò di credere che quella scena stesse accadendo veramente.
Molly piangeva. Piangeva silenziosamente, ma in continuazione. Nel giro di pochi minuti tutti gli affetti della sua vita, tutte le certezze della sua vita le stavano crollando sotto i piedi e ogni volta che ripensava agli avvenimenti sentiva il fiato mancarle e una fitta allo stomaco.
Se solo Sherlock non le avesse urlato contro, se solo l’avesse chiamata prima… i suoi pensieri vennero interrotti dalla porta che si apriva e dall’ingresso di Lestrade e di Sherlock. Il primo si sedette davanti a Molly, salutandola e porgendole un bicchiere d’acqua e dei fazzoletti che lei però rifiutò. Sherlock Holmes la fissava in piedi, davanti alla porta, come a bloccarle ogni via di uscita.
- Molly, mi dispiace ma…- iniziò Lestrade
- Stai solo facendo il tuo lavoro, Greg – lo interruppe lei – puoi iniziare quando vuoi.  -  prese un respiro profondo e cercò con tutte le sue forze di non guardare alla sua sinistra, dove Sherlock la fissava.
 
Dall’altra parte della stanza, John aveva appena terminato una chiamata a sua moglie, che ignara delle sue raccomandazioni  si era detta già sulla via di Scotland Yard, e che avrebbe lasciato la loro figlia neonata a una babysitter.  Non riusciva a capacitarsi di quello che aveva visto. Cercò di raccogliere le informazioni che Sherlock gli aveva snocciolato prima di entrare nella sala, convinto che la testa gli sarebbe comunque scoppiata entro sera.
“Sherlock stai bene? Perché Molly è qui? Cosa è successo?” aveva domandato Lestrade davanti allo scombinato trio.
“Chiedilo direttamente a lei, magari ti può fornire anche qualche informazione su come Moriarty sia tornato. Se sei fortunato magari scopri che non è neanche morto.” Aveva ribattuto Sherlock.
Lestrade aveva chiesto prontamente a Donovan di accompagnare Molly in una sala interrogatori, senza però spiegarle il motivo. La donna lo aveva guardato dubbiosa ma non era permessa di mettere in discussione un ordine del suo superiore e scortò Molly nella sala interrogatori in fondo al corridoio.
“Sherlock vuoi spiegarci cosa diamine ti è preso?” aveva domandato allora Lestrade, a metà tra lo sgomento e l’arrabbiato.
“Avevate dei cecchini – iniziò Sherlock – quando sono ‘morto’ avevate tutti dei cecchini che vi tenevano sotto tiro. Lo aveva detto Moriarty, erano su di te, su di te John e su Miss Hudson. Ovviamente non erano su mio fratello in quanto sarebbe stato impossibile e alquanto inutile mettermi in ansia per la sua vita, ma non erano neanche su Molly. Non era stata nominata da Moriarty, non era in pericolo. Perché non era in pericolo?”
“Perché è come mi hai detto tu no? – intervenne John – ha fatto un errore. Moriarty intendo. Pensava che lei non contasse nulla invece si è sbagliato. Per questo non aveva un cecchino per lei”
“O forse perché aveva un piano più a lungo termine. Pensaci John: davvero credi che si sia avvicinato a Molly per scoprire quanto lei fosse vicina a me? E poi se ne sia allontanato una volta scoperto che, a parer suo, lei non poteva essergli utile? Non insultare la sua intelligenza!”
“L’intelligenza di un morto?”
“Non negherai fosse un genio”
“Adesso basta – era intervenuto Lestrade – Sherlock, Molly è una professionista, una nostra amica e…bhe, ha sempre avuto un debole per te, è innegabile. In che modo credi che lei, lei tra tutti noi, possa aver aiutato una persona come Jim Moriarty?”
“ Non lo so” aveva scandito Sherlock guardando per terra.  Lestrade si era incamminato nuovamente verso il suo ufficio, lanciando un’imprecazione decisamente poco professionale all’indirizzo di Sherlock Holmes.
John Watson aveva avvicinato l’amico. “Tu lo sai. Tu temi che lei abbia fatto il doppio gioco. Tu hai paura che lei ti abbia tradito. Tu hai paura che lei ti abbia tradito perché se così fosse dovresti fare i conti sul fatto che una persona che per te contava, per te conta, ti ha ferito e data la tua capacità emotiva degna di un neonato hai il terrore di come potresti affrontare la cosa. Sherlock tu hai paura perché le vuoi bene.  Temi perché Molly è una delle poche persone che sa, per quanto tu lo nasconda al mondo, che sei un essere umano e che hai dei sentimenti. Temi che lei, conoscendo la tua umanità, scarsa e nascosta ma presente, ti abbia usato per altri scopi. Tu hai paura non che lei sia un’agente di Moriarty, hai paura che lei possa non esserci per te perché questa cosa ti ferirebbe più di Mary e del suo proiettile piantato nel tuo petto. Hai una fottutissima paura, ammettilo!”
Sherlock lo aveva guardato, in silenzio, poi era uscito raggiungendo Lestrade.
 
Sherlock non aveva ancora parlato, osservava Lestrade fare domande a Molly, senza in realtà registrarle per davvero. Osservava Molly  e ripensava alla parole di John. Aveva paura, su quello ormai erano tutti d’accordo, ma sul perché lui avesse paura non sapeva a chi dare ragione.
Perché aveva paura? Perché aveva mal riposto la sua fiducia? Sì.
Perché la persona in cui aveva risposto la fiducia era Molly? Sì. Perché?
Perché questo avrebbe significato che le sue deduzioni sulle persone non erano così infallibili come credeva?  Non solo
Perché non riteneva possibile che Molly Hooper agisse in un modo così subdolo? Scava più a fondo Sherlock.
Perché se lei lo avesse tradito, suo fratello glielo avrebbe rinfacciato? Ovviamente.
Perché l’amore non è mai un vantaggio. E la sua sofferenza davanti a un possibile tradimento di Molly ne sarebbe stata la prova inconfutabile.
L’amore?  
- Allora Sherlock, ti  è sufficiente? – chiese uno sconsolato Lestrade.
- Lasciaci – soffiò Sherlock. Non poteva far capire di non aver ascoltato una parola di quello che si erano detti. Non a Lestrade che questa volta, ne era sicuro non si sarebbe limitato a prenderlo in giro o insultarlo. Il Detective uscì dalla sala interrogatori dicendo che avrebbe fatto una chiamata. Una volta che la porta fu chiusa,  Sherlock prese posto davanti a Molly e la fissò a lungo.  Cercò di non dedurre nulla, ma era impossibile per la sua mente non lavorare: sguardo basso, lacrime silenziose e spalle curve. Molly Hooper era colpevole.
 
 
- Allora è vero che sono sempre le acque chete che causano i danni maggiori  -
John alzò il capo, riconoscendo Sally Donovan come la proprietaria della voce che aveva appena pronunciato la frase.  Decise di ignorarla facendolo più come favore personale verso la donna che come forma di maleducazione.
Il sergente evidentemente però non colse l’antifona continuando a parlare
- Non mi sarei mai aspettata che una come Molly Hooper potesse rivelarsi così. Ecco perché ha schiaffeggiato il tuo amico strambo. Capiva che non sarebbe durata molto la sua copertura –
- Sergente non la stanno chiamando in servizio? – chiese una voce alle sue spalle. John sorrise a sua moglie che facendo una semplice domanda, era riuscita  a mettere in difficoltà la ricciola e farla allontanare silenziosamente.
- Raccontami tutto, John – disse poi Mary sedendosi accanto al marito.
 
 
Sherlock guardava Molly, incapace di proferire parola. Aveva le mani chiuse a pugno, nella vana speranza che non tremassero.
La paura aveva preso il sopravvento. Perché? Perché Molly Hooper era l’unica persona alla quale aveva affidato la sua vita, che lo aveva aiutato senza esitazioni, perché quello che le aveva detto era vero. Perché lei era la persona che contava. Lei contava.
Quel pensiero lo colpì così forte che a stento trattenne l’impulso di scaraventare il tavolo dell’interrogatorio contro la porta.
Molly, dopo un tempo che le parve interminabile e avendo probabilmente finito le lacrime da versare, si passò una mano sul volto, poi sospiro e con voce rotta e flebile iniziò a parlare:
- Sherlock, io… -
- Da quanto? – domandò lui, la sua voce faceva trapelare la rabbia – da quanto Molly? –
- Subito dopo aver aiutato te a “morire” – disse lei, incredibilmente atona. Forse, pensò la donna, con le lacrime se ne sono andate vie le emozioni.
- Ecco perché non eri al mio funerale –
Molly controllò rapidamente la stanza ma fu la voce di Sherlock a confermarle che nessuno li stava guardando o riprendendo. A quelle parole, al posto di irrigidirsi, Molly sospirò. Protese le mani sul tavolo, sporgendosi un poco, ma parlando comunque sottovoce.
- Sherlock Holmes, credi davvero che io abbia mancato il tuo funerale di mia spontanea volontà?  Davvero sei così cieco? – chiese sento gli occhi ricominciare a pungerle.
Sherlock la fissò: nella sua mente l’immagine di suo fratello che lo derideva si insinuava potentemente. Cercò di focalizzarsi su Molly, sugli occhi di Molly. Chiuse i propri e si diede dello stupido.
 
 
- Avete chiamato Mycroft? –
- No Mary. Stavo per farlo ma vorrei prima discuterne con lui – rispose Lestrade che si era diretto dai coniugi Watson con quella che era a tutti gli effetti una confessione in piena regola. Molly Hooper aveva falsificato l’autopsia di Moriarty. Non sapeva lo scopo per cui doveva farlo ma lo aveva fatto e saltuariamente inviava a un indirizzo di posta elettronica che la contattava mascherato da spam, la situazione delle indagini di Sherlock.
John fissava il nulla, incredulo. Mary invece leggeva il rapporto che aveva rubato dalle mani di Lestrade.
- Quindi in realtà sapevano che lei era vicina a Sherlock, che lui si fidava di lei. – disse Mary pensierosa.
- E che per quanto lui possa negarlo le vuole bene – aggiunse Lestrade.
- Aspettate un attimo – intervenne allora John – e se fosse il contrario? Se chiunque ci sia dietro questa storia avesse dato per scontato che Molly non sarebbe stata una leva sufficiente per Sherlock e avesse deciso il contrario? Sherlock è la leva di Molly, ne siamo tutti consapevoli. Se avessero minacciato lei? –
Mary baciò il marito: - Ecco perché ti ho sposato! – disse
- Molly ha confessato, John! – esclamò Lestrade.
- Perché se non si assumesse la colpa o rivelasse tutta la verità Sherlock sarebbe in pericolo. E se non lo ha detto nemmeno a te, significa che la persona che la minaccia è vicina. Chiama subito Mycroft! – concluse Mary perentoria.
 
 
- Ti hanno usata. E ci sono riusciti bene – mormorò Sherlock.
- Hanno provato a usarmi contro di te come fine, non riuscendoci e quindi hanno pensato di farlo come mezzo. Sherlock…non potevo permettere che ti accadesse qualcosa – Molly abbassò lo sguardo, colpevole di aver mentito, nonostante mentendo avesse salvato la vita dell’unico consulente investigativo al mondo.
- Chi è stato? Dovrà esserci stato qualcuno con cui ti avrà dato le informazioni -  sospirò – Molly sei stata… -
- Stupida lo so –
- Coraggiosa – Sherlock si alzò  e le andò vicino – sei stata incredibilmente coraggiosa, e io invece, credo di aver commesso un terribile errore – le afferrò i polsi, questa volta gentilmente accarezzandoli – perché l’idea che tu potessi aver veramente tradito la mia fiducia, per un attimo mi ha fatto… -
Molly sorrise e d’impeto gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo, incurante della situazione,  del loro rapporto, del momento, di tutto. Voleva solo sentire di non averlo perso, aveva bisogno di aggrapparsi a lui, quasi fosse l’unica sua salvezza.
- Dimmi chi è stato Molly – sussurrò Sherlock al suo orecchio
- Non posso – rispose lei allontanandosi un poco – non posso dirtelo Sherlock, è per la tua incolumità –
Sherlock Holmes sorrise caldamente – Io però posso dedurlo giusto? –
 
 
Lestrade aveva fatto entrare John e Mary nel suo ufficio, chiudendo la porta.
- Ditemi che siete sicuri di quello che credete. È dei miei uomini che state parlando, dopotutto – disse ormai disperato.
- Greg, ti fidi di Molly? – chiese Mary. L’Ispettore annuì
- Anche io mi fido di lei – aggiunse John -  lei è sempre stata disponibile e premurosa, è come l’ha definita Donovan, un’acqua cheta. Insomma neanche lei si era aspettata che potesse schiaffeggiare Sherlock, figuriamoci tramare alle sue spalle! –
- Molly ha schiaffeggiato Sherlock? – domandò Lestrade.
I coniugi Watson si fissarono preoccupati.
 
 
Sherlock  si aggirava per la stanza degli interrogatori riordinando le idee:
- Sei stata contattata subito dopo il mio finto suicidio, quindi è  qualcuno che lavora nelle forze di polizia o dell’ospedale. Più probabile la polizia, se fosse stato qualcuno dell’ospedale avrebbe cercato un modo diverso di mettersi in contatto con te e con me. Quindi polizia, serviva qualcuno che potesse avere libero accesso ai casi, ma che allo stesso tempo non abbia una posizione troppo di rilievo, sarebbe stato più rischioso. Escludendo i neoassunti e i pensionati il campo dei sospettati è di una ventina di persone – disse velocemente.
Molly si alzò andandogli incontro : - Sherlock, pensa ti prego. Non puoi controllare venti persone –
Sherlock sbarrò gli occhi: - Ti ucciderà. Non appena usciremo di qui, ti ucciderà perché non ha più bisogno di te. Chi può ucciderti? Chi riuscirebbe a passarla liscia? –
- Chi lo ha già fatto una volta – rispose Molly sconsolata.
La porta della sala interrogatori si aprì e fu allora che Sherlock capì
- Già, chi ha mantenuto il suo posto in polizia nonostante abbia, per l’opinione pubblica, costretto al suicidio un innocente, rischiato di portare le indagini a un punto morto e cercato di provocare le persone vicine a me, screditandomi in ogni modo? Me lo dice lei, sergente Donovan? Chi è veramente insignificante da non causare alcun sospetto, alcuna domanda sui suoi comportamenti? –
Sally Donovan entrò nella sala degli interrogatori, la pistola carica puntata all’altezza del petto di Sherlock Holmes.
- Complimenti per le deduzioni, strambo – disse la donna.
Molly chiuse gli occhi un attimo prima di sentire lo sparo.
 
 
La voce di Mary che la chiamava la riportò alla realtà e quando aprì gli occhi registrò con sollievo la scena, nella sua mente.
Sally Donovan, era per terra distesa in una pozza del suo stesso sangue. Molly non fu in grado di stabilire se fosse viva o meno. Davanti a lei Sherlock Holmes stava  in piedi, guardando sull’uscio della porta Lestrade e John Watson, che teneva in mano una pistola ancora fumante.
Mary le tese una mano e Molly le si aggrappò al collo lasciandosi andare a un pianto liberatorio.
 
 
- Sally Donovan si riprenderà tra due settimane, e verrà trasferita in una prigione di massima sicurezza dove sarà mia premura interrogarla per scoprire eventuali complici -  sentenziò Mycroft Holmes nel salotto di Baker Street dove erano riuniti tutti.
- Le motivazioni per le quali abbia deciso di lavorare per Moriarty non sono ancora chiare ma come lo abbia fatto sì: lavorare nella polizia le consentiva di avere accesso a informazioni riservate, ma non ha mai voluto mettersi troppo in mostra. In una mail in cui chiedeva notizie su di me, Molly frustrata le ha raccontato di come mi ha preso a schiaffi a causa di… - Sherlock per un attimo indugiò nella spiegazione – di un diverbio. Pensava che fosse una cosa di dominio pubblico per questo si è tradita parlando con John. Ma d’altronde non ho mai considerato Donovan un esempio di intelligenza –
La spiegazione fornita da Sherlock sembrava aver portato un po’ di calma e dopo qualche convenevole, a uno a uno tutti gli ospiti di Baker Street lasciarono l’appartamento. Per ultima rimase Molly.
- Sherlock io.. –
- Molly –
Dissero insieme i due. Molly si avvicinò all’uomo, guardandolo negli occhi – Grazie –mormorò.
- Molly, ti ho inferto del male fisico immotivato e ingiustificabile, ti ho accusato di lavorare per uccidermi e ti ho fatto rischiare la vita. Credo che tu debba rivedere le tue priorità e le motivazioni per cui ringraziare la gente -  rispose Sherlock.
- Si ma tu hai capito la verità. E ora sto bene –
- Molly sarai sempre in pericolo – sentenziò Sherlock sedendosi sul divano – e non per causa tua. Non solo. Oggi è stata la prova inconfutabile che l’idea che tu possa…che tu possa non essere come sei….mi fa…..paura – le parole faticavano a uscirgli dalla bocca, nella testa risuonavano le parole di suo fratello “Amare non è un vantaggio”, ma scelse di ignorarle.
Molly si sedette accanto a lui, nervosa : - Che cosa facciamo allora?- domandò. Lui allungò una mano fino a raggiungere quelle di lei, poi diede un lieve strattone, costringendo Molly a cadere all’indietro, facendosi più vicina a lui. Le poggiò le labbra sui polsi, chiedendo scusa ancora una volta, silenziosamente.
Poi, con sorpresa della donna, lui le cinse le spalle passandole una mano tra i capelli.
Molly si sentì tranquillizzata, nonostante sapesse che quello che era successo non era che l’inizio, nonostante avesse bisogno di cibo e riposo, non avrebbe scambiato quella situazione per nulla al mondo.
Sherlock si sentì stranamente in pace, senza il bisogno frenetico di un caso da risolvere. Si diede ancora del cretino per aver dubitato di Molly e si promise di non dubitare dell’affetto dei suoi cari.
- Sherlock? – chiamò Molly ad un tratto.
- Mmm – rispose lui
- Che…che cosa siamo noi? –
Sherlock cercò di elaborare le informazioni per fornire la risposta migliore. Non erano una coppia, non per il momento, ma non erano neanche amici, non più, non solo.
Alla fine lui le si avvicinò e le sfiorò la guancia con le labbra. –Per quanto mi riguarda, Molly, tu sei il mio vantaggio -.
Molly arrossì, sorrise e si accucciò nell’abbraccio di Sherlock Holmes.
 
*Nella 2x03, nel colloquio tra Moriarty e Sherlock, a un certo punto il primo parla di John, definendolo per l’appunto un animale da compagnia, dicendo dopo “Devo trovarne uno anche io”. Non ho potuto fare a meno di cogliere la palla al balzo
 
 
Eccomi!! Dunque, non so se il senso si è capito o se il delirio ha preso il sopravvento. Ovviamente mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate. In ogni caso vi ringrazio tantissimo per essere arrivati a leggere fino alla fine.
Grazie a tutti
LD
  
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