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Autore: Ella Rogers    23/10/2016    2 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Heith
 
 
Terra
 
“Mi dici che cosa ti prende?”
 
Pepper incrociò le braccia al petto e tenne lo sguardo fisso sulla figura di Tony, seduto sul letto con le spalle curve e lo sguardo ancora tra il furente e l’infastidito.
L’inventore si portò una mano ai capelli e finalmente ricambiò l’occhiata accesa della compagna.
 
“Li ho riuniti io, Pep. Ho deciso io di riunirli.”

Ad ogni parola, la rabbia di Tony sembrò gradualmente scemare e fu sostituita da una vena di tristezza.
Virginia fece ricadere le braccia ai lati del corpo e raggiunse l’uomo. Si sedette al suo fianco e gli poggiò una mano al centro della schiena, come muto ma tangibile sostegno.
“Ti senti responsabile nei loro confronti, non è così?”
Il successivo silenzio di Stark fu più che eloquente.
Un sorriso tenero e comprensivo piegò le labbra della ramata, che fece risalire la mano su per la schiena dell’uomo fino ad infilare le dita nei suoi capelli scuri.
“Tony ...”
 
“Sono le uniche persone che tollero in questo mondo che tenta di fregarmi ogni qual volta chiudo gli occhi. Prima di loro, la prospettiva di lavorare in una squadra mi avrebbe fatto ridere. Tu mi ci avresti mai visto? No, certo che no.”
Stark si lasciò scappare una mezza risata tesa.
“E invece eccomi qua, nei guai fino al collo perché fare a meno di quegli idioti è un’opzione che escludo senza nemmeno valutarla. Sai cosa ho realizzato, Pep? Ho realizzato che, nei brutti momenti, conterò senza ombra di dubbio su me stesso, su di te o su di loro, e credo che il me stesso lo metterei alla fine della lista. Non è che mi fidi molto di me stesso ultimamente. Senza lo SHIELD, senza Fury, loro avevano bisogno di un punto fermo e io potevo offrirlo.”

La lieve ruga di espressione che increspò la fronte della Potts incentivò l’uomo a spiegarsi meglio.

“Ho soldi, strutture e sono un genio. Inoltre, la Tower era perfetta. Dopo il Mandarino, ho capito che ero stufo di stare solo e ho capito quanto sbagliato fosse il mio atteggiamento di tenere lontano chiunque cercasse di tendermi una mano. Tu e Rhodey per primi. Ma quello che cerco di dire è che non voglio più essere solo. I Vendicatori mi guardano le spalle e se un altro terrorista dovesse venire a bussare alla mia porta, riceverebbe un’accoglienza con i fiocchi e la casa non crollerebbe, tu saresti al sicuro e io non rischierei di morire.”
 
Pepper continuò a rimanere in silenzio, lasciando a Tony tutto il tempo necessario per tirare fuori pensieri ed emozioni rimasti segregati fin troppo nel suo animo contorto.
 
“E se mi sono arrabbiato tanto è perché gli ultimi giorni sono stati infernali. Non sapere dove gli altri fossero finiti, se stessero bene, se saremmo riusciti a sistemare le cose e non posso credere di star parlando così, mi sento una dannata mamma chioccia e quel ruolo di solito è di Rogers non il mio anche se adesso lui è diverso e non riesco a capire cosa diavolo gli passa per la testa e ci ha divisi e so che forse era l’unica soluzione ma potevamo pensare ad altro perdio e-”
 
“Tony, respira.”
 
Stark interruppe bruscamente quel fiume incontrollato di parole assemblate un po’ alla rinfusa.
Respirò un paio di volte, riempiendo i polmoni finché poteva prima di svuotarli.
“E mi dispiace di averti coinvolta. Guarda dove sei finita per colpa mia.”
 
“Pensi che sia così ingenua da non aver messo in conto cosa avrebbe comportato avere una relazione con te?” gli domandò dolcemente Virginia, prima di scuotere appena il capo.
“Certo, non posso dire di essere felice in questo momento, perché sarei un’ipocrita. Ma, Tony, ho scelto io di rimanere al tuo fianco e scelgo di rimanerci, qualsiasi cosa accada.”
 
Tony la strinse a sé, forte. Virginia Potts era ufficialmente la sua unica certezza.
Inspirò con forza l’odore di lei e rilassò ogni singolo muscolo, sentendosi di colpo spossato.
“Finita questa storia, ci prendiamo una vacanza, promesso” le sussurrò in un orecchio.
Pepper sorrise tra sé e sé.
“Ottima idea, signor Stark. Promettimi solo una cosa.”
Tony si scostò per riguadagnare il diretto contatto visivo con Pepper e sollevò un sopracciglio, come ad invitarla ad andare avanti.
 
“Si tratta di James Barnes …”
 
 
 
                                                                ***
 
 
 
“Наталья.”
 
Fu come essere trafitta da un pugnale in pieno petto. Il cuore sembrò fermarsi e ripartire con un singulto.
Il tono profondo dall’accento russo che aveva appena accarezzato con incertezza il suo nome aprì una finestra su un passato che aveva tentato di cancellare con tutte le forze, invano.
Non si voltò. Attese che i passi pesanti di James si arrestassero e solo allora si azzardò a lanciargli uno sguardo da sopra la spalla, incontrando quegli occhi grigio azzurri dal taglio duro.
Sorrise freddamente e scosse il capo, mentre una mano andava a riassestare alcune ciocche rosse finitele sulla fronte.
 
“Джеймс.”
 
Fu quasi istintivo. Un’abitudine meccanica e rimasta insabbiata fino ad allora.
Il nome le era scivolato con sorprendente facilità sulla lingua e Natasha ne riconobbe il sapore.
Erano ancora sulla veranda, fermi a una manciata di passi dalla porta. I loro corpi tesi all’inverosimile, gli sguardi fissi nel vuoto.
La Vedova fece mezzo giro su se stessa e fronteggiò il Soldato.
 
“Speravo fosse un illusorio miraggio della mia memoria, ma a quanto pare mi sbagliavo. Il KGB ha sempre avuto il vizio di manipolare le menti e la mia non è stata un’eccezione. È il metodo migliore per assicurarsi ...”
 
“L’obbedienza. Non è diverso dall’Hydra” concluse Barnes.
“Perciò ricordi” aggiunse poi, con cautela.
 
“Quando ti ho affrontato a Washington qualcosa è scattato. Combattere contro di te è stato come vivere un deja vù” confessò la rossa, ma il suo tono rimase freddo ed atono.
Fissò l’uomo di fronte a sé, l’uomo che l’aveva addestrata quando era ancora una ragazzina, l’uomo che le aveva conficcato un proiettile nello stomaco e poi uno nella spalla. Lo fissò senza lasciar trapelare una sola emozione, non perché volesse nasconderle, ma semplicemente perché non aveva idea di cosa stesse provando in quel momento.
 
“Steve lo sa?”
Anche James aveva conservato un’espressione imperscrutabile, eppure il tono della sua voce tradiva un’ansia velenosa.
 
“No. Né lui e né gli altri sanno che se la Vedova Nera esiste è anche merito tuo. Sai, avresti potuto evitarmi un’orrenda cicatrice se ti fossi ricordato di me ad Odessa.”
 
“L’ho fatto. Saresti morta altrimenti.”
 
Natasha si ritrovò senza parole e con la gola improvvisamente secca.
Il suo passato, quello prima di Clint e dello SHIELD, quello prima di diventare la Vedova Nera, era intessuto di ombre e sfocato da una nebbia fitta.
Quando aveva pensato di poter sotterrare definitivamente quel passato, il secondo incontro con il Soldato d’Inverno era stato come un raggio di luce che squarcia la nebbia e dissolve il buio. E adesso le faceva quasi paura la nitidezza con cui si rivedeva bambina, nella fredda tundra della Russia.
E James Barnes era parte di quei ricordi a lungo rinnegati. James Barnes era stato il maestro delle future assassine del KGB. James Barnes le aveva insegnato ad uccidere nei modi più sofisticati e le aveva insegnato ad agire come un fantasma, invisibile e silenziosa.
 
“Il senso di colpa smette di torturarti prima o poi?”
Finalmente, sul viso della Vedova si manifestò quella che James identificò come triste solidarietà.
Entrambi avevano condiviso una parte della loro vita e, in fondo, avevano un vissuto analogo. Qualcuno li aveva trasformati in assassini senza chiedere loro il permesso e li aveva costretti a commettere azioni di cui avrebbero sentito il peso delle conseguenze per sempre.
 
“Imparerai a conviverci con i sensi di colpa. A tutti è concessa la redenzione, la possibilità di riscatto. L’ho capito con il tempo e grazie ad alcune persone.”
 
James sembrò soppesare accuratamente quelle parole, ma la sua riflessione fu troncata sul nascere, quando la porta di ingresso si aprì con uno scatto e Stark fece capolino.
 
“James Barnes, avanzo un armistizio per garantire un adeguato svolgimento delle mansioni che richiede la nostra parte di lavoro. Le ostilità sono rimandate a data da destinarsi. Lo faccio solo perché costretto da cause esterne, sappilo.”
 
La faccia di bronzo dell’inventore fece scuotere il capo a Natasha, che ringraziò Virginia interiormente.
James, invece, si era limitato ad annuire, preso del tutto alla sprovvista.
 
“Ci mettiamo a lavoro? Non vogliamo mica essere da meno della squadra di Rogers, no?” chiese allora Tony, piegando la bocca in un ghigno quasi inquietante.
 
 
Questioni irrisolte sarebbero rimaste tali, almeno per quel momento.
 
 
 
                                                          ***
 
 
 
Asgard
 
 
“Su Midgard incombe una grave minaccia e, essendo per metà figlia di quel pianeta, ho il dovere di prestare il mio aiuto.”
 
Lei era nata e cresciuta sulla Terra.
Certamente non aveva ricordi felici di quel soggiorno durato diciotto anni, ma gli eventi che poi le avevano permesso di capire chi fosse e che avevano dato un senso alla sua esistenza erano stati sufficienti a farle cambiare il modo di guardare al suo passato.
Aveva deciso di catalogare come dolore necessario il percorso che l’aveva portata quasi tre anni prima a partire dalla Terra, con l’obiettivo di riunire gli oneiriani.
 
Dopo un incalcolabile numero di viaggi nell’infinito universo, durante i quali aveva visto anche l’inimmaginabile - si appuntò di raccontare agli Avengers del simpatico procione parlante e del suo amico albero che più di tre vocaboli non conosceva -, era riuscita nell’impresa di rimettere insieme il suo popolo e, grazie ad una generosa concessione di Odino, aveva potuto usufruire di un territorio inabitato di Asgard per piantare le fondamenta della nuova città di Oneiro.
Nel giro di due anni dalla sua partenza, era riuscita a portare a termine il compito che aveva ereditato da suo padre, Azael.
Ma, diversamente da quel che aveva sperato, la possibilità di tornare sulla Terra era sfumata in un battito di ciglia, lasciandole un sapore amaro in bocca e riaccendendo la nostalgia che, ormai, aveva piantato le radici nel suo cuore.
Tra gli oneiriani, infatti, erano emersi subito contrasti interni.
Una parte del popolo era sopravvissuta sugli altri pianeti mescolandosi con gli abitanti autoctoni e rinunciando in parte alle proprie tradizioni.
C’erano ibridi nati dall’unione di oneiriani con diverse razze e Anthea provava per loro una sincera empatia, perché anche lei era un ibrido, metà oneiriana e metà terrestre.
Alcuni oneiriani avevano addirittura rifiutato l’offerta di seguirla, perché ormai si erano costruiti una vita e si erano troppo affezionati al pianeta che li aveva ospitati; ciò era capitato soprattutto con le nuove generazioni, quelle che non avevano mai visto Oneiro prima che sparisse.
E ancora una volta, Anthea aveva sentito una forte empatia, perché anche lei era nata su un pianeta che non era Oneiro e lì aveva tutto ciò che riteneva importante - indispensabile - per la propria esistenza. Aveva rispettato le loro scelte, asserendo con sicurezza che, in caso di ripensamento, le porte sarebbero sempre rimaste aperte.
 
Era stata in un certo senso obbligata ad accettare la corona e, rivelando come e perché Azael avesse deciso di donare il suo seme alla razza umana, era riuscita a placare gli insidiosi diverbi nati tra puri e ibridi.
La situazione era ancora tesa e lei si era inevitabilmente trasformata nell’elemento di equilibrio.
Sapeva di avere dalla propria parte gli ibridi per il semplice fatto di esserlo ella stessa, e sapeva anche di essere rispettata dai puri perché figlia di Azael e detentrice di un potere che assicurava loro protezione.
Anthea era conscia di non possedere un vero e proprio potere decisionale, eppure era sempre riuscita a far valere la propria volontà e non era mancata occasione in cui aveva scelto di fare di testa propria. E non era passato molto tempo dall’ultima volta che se ne era fregata delle regole, dato che tre giorni prima era tornata sulla Terra senza rendere conto a nessuno.
 
Si domandò se fosse possibile instaurare rapporti di reciproco rispetto e fiducia, dato che ogni cosa degenerava sempre in una lotta - implicita o esplicita - volta a primeggiare gli uni sugli altri.
Quando era nata, Azael le aveva donato la propria coscienza e, grazie a quella, Anthea aveva accesso ai ricordi di suo padre, perciò anche se non aveva mai visto davvero Oneiro, le pareva di conoscerlo come se ci avesse vissuto lei stessa e conosceva anche la Summa Legge a cui gli oneiriani d’élite erano ancora fastidiosamente attaccati.
Gli oneiriani si distinguevano gli uni dagli altri per il potenziale che ognuno di loro possedeva. Erano state stabilite delle vere e proprie fasce di potere e, naturalmente, l’élite occupava la fascia più alta, la stessa a cui apparteneva Anthea.
C’era, però, una differenza sostanziale tra lei e gli oneiriani dell’élite.
Lei era un ibrido, l’umanità la impregnava profondamente e totalmente, perciò era costretta a sottostare alle decisioni e alle imposizioni del Consiglio, detentore del potere decisionale e composto da quattro oneiriani scelti tra i più anziani e aventi poteri psichici straordinari.
Il Consiglio odiava quando lei si prendeva certe libertà, come improvvisare scappatelle sulla Terra.
Anthea si chiese come avrebbe potuto far valere le proprie ragioni senza rivelare il vero perché del suo viaggio.
Il “Credevo che la persona a cui tengo con tutta me stessa fosse in pericolo e l’ho raggiunta” avrebbe sortito conseguenze spiacevoli.
Gli anziani avevano la tendenza ad eliminare ciò che ritenevano una distrazione per lei e forse era per questo che, fin dall’inizio, l’istinto l’aveva portata a tenere segreti i sentimenti che la legavano indissolubilmente a Steve Rogers.
 
Adesso era proprio dinanzi il temuto Consiglio.
Doveva mantenere una maschera di razionale freddezza, impacchettando le emozioni per evitare di mostrarle.
Fredda e risoluta.
Certo, sarebbe stato più semplice comportarsi da statua di ghiaccio se il suo corpo avesse smesso anche solo per un dannato secondo di bruciare per quella estranea energia che girava indisturbata dentro di lei, portando le linee rosse ad estendersi a macchia d’olio.
Quando Anthea si rese conto che quelle stesse linee erano giunte a segnarle la coscia destra, sgusciando fuori dalla stretta uniforme, fu troppo tardi.
 
Gli occhi dall’incredibile trasparenza dei quattro anziani - anziani solo per età, perché il loro aspetto poteva corrispondere a quello di un umano di mezzo secolo - saettarono sulla gamba incriminata e, quando Anthea tentò di dire qualcosa, la zip della felpa si aprì con uno scatto secco e l’indumento le venne fatto scivolare via dalle spalle.
Ci impiegò qualche attimo a capire che uno dei quattro aveva usato il potere psichico e percepì, suo malgrado, gocce di sudore freddo imperlare la fronte e scivolare lungo la schiena.
Il piano della risolutezza era ufficialmente andato a funghi.
 
“Abbandoni il tuo posto senza chiedere il permesso e torni senza degnarci di una spiegazione, tralasciando anche di confessare come il viaggio su Midgard ti abbia ridotta” esordì uno dei quattro, dai capelli del colore della pece e dallo sguardo severo.
“Dimentichi che ha condotto qui degli umani, Antares” precisò un altro, guardando male la giovane.
 
“Non devo rendere conto a voi di tutte le mie decisioni. E quegli umani sono compagni fidati a cui non negherei mai il mio aiuto.”
E con questo, Anthea aveva appena mandato a funghi la freddezza necessaria a occultare le emozioni.
Il Consiglio non la avrebbe mai presa sul serio e l’avrebbe accusata di non essere obiettiva, perché emotivamente coinvolta.
Non era stato piacevole scoprire che gli umani non erano ben visti nei restanti otto regni legati alla Terra attraverso Yggdrasill. Gli umani erano considerati come arretrati inetti che credevano che un qualche Dio onnipotente avesse creato il mondo su loro misura, poveri ingenui che ancora si domandavano se fossero soli nell’infinito universo.
Il Consiglio aveva più volte affermato - anche dinanzi al popolo - quanto la scelta di Azael di donare il proprio seme alla razza umana fosse stata dettata dalla situazione di grande disperazione ed urgenza.
Si sbagliavano nel modo più assoluto. Su tutto.
Gli umani potevano forse essere più arretrati, ma i loro sentimenti, la loro fede, la caparbietà dimostrata anche dinanzi i misteri del cosmo che piombavano catastroficamente sulla Terra e vi lasciavano il segno, tutto questo li rendeva speciali e più forti di quanto apparissero in realtà.
Certo, c’erano umani ed umani, non tutti erano degni di rispetto, ma in fondo ovunque vi erano il bene e il male.
Luce ed oscurità erano indissolubilmente legate e impegnate in una perenne lotta, anche nell’interiorità di ogni singolo individuo.
 
“Compagni fidati? Concedi la tua fiducia a chi ha permesso che ti accadesse questo?”
 
“Non è stata colpa loro. Ci sono problemi sulla Terra. Gravi problemi legati in qualche modo anche ad Asgard. Legati a me.”
Perché la spada le apparteneva e l’aveva ritrovata sulla Terra, quando non avrebbe dovuto essere lì. Lo spirito che vi era racchiuso, inoltre, sembrava essersi indebolito. Aima rimaneva silente, nonostante Anthea avesse tentato di mettersi in contatto con lei, così da scoprire cosa fosse accaduto alla spada.
Sollevò l’arma che ora stringeva nella mano destra e, lasciando la presa, la spinse con la mente verso i membri del Consiglio.
“Qualcuno ha caricato la mia spada con l’energia che adesso è nel mio corpo. Gli effetti sono evidenti. Vorrei che usaste la vostra conoscenza per capire da dove provenga questa energia e se c’è un modo per tirarla fuori da me.”
 
Antares allungò un braccio per afferrare la spada sospesa a mezz’aria e, dopo averla osservata con estrema attenzione, tornò a posare il suo sguardo trasparente ed imperscrutabile sulla ragazza.
“Questa è la seconda volta che sparisci senza degnarti di avvertirci” esordì, con una calma che ad Anthea fece venire i brividi.
“Se hai bisogno del nostro aiuto, lo avrai. Sei pur sempre la nostra regina …”
 
L’oneiriana sentì il Ma forte e chiaro, prima che questo fosse scandito da Antares.
 
Ma non dovrai negarci le informazioni che, se necessario, decideremo di avere da te o dai midgardiani. E se questa storia si rivelerà condurre verso esiti spiacevoli, ti tirerai indietro, senza discussioni.”
 
Anthea lasciò che quell’ultimatum le scivolasse addosso come acqua bollente.
Sospirò, alzò il capo e i suoi occhi scintillarono enigmatici, accendendo in modo sinistro l’espressione imperscrutabile del volto pallido.
“Va bene” acconsentì, con voce ferma ed asciutta.
 
Antares parve soddisfatto e annuì solennemente.
“Vorremmo parlare con uno degli umani” disse, con tono che non ammetteva replica alcuna.
 
“Va bene” si ritrovò a ripetere la giovane e, anche questa volta, non ci fu segno ad increspare il suo viso.
 
 
*
 
 
Li aveva condotti lungo immensi corridoi dagli altissimi soffitti, fino ad una spaziosa sala.
Marmo bianco e marmo rosa si fondevano sulle pareti e sul pavimento, conferendo un senso di luminosità. C’erano tre ampie finestre sul lato diametralmente opposto alla porta d’ingresso e, sotto di esse, delle panche di lucido e chiaro legno.
Numerose spade di svariata forma e lunghezza erano affisse ai muri e il resto della stanza era vuoto, così il suono cadenzato di passi creava un’eco leggera.
 
“La sala delle armi, dove noi guerrieri ci esercitiamo” spiegò Andras, facendo segno ai terrestri di accomodarsi sulle panche.
 
Sam e Clint accettarono l’invito, mentre Steve rimase in piedi, visibilmente teso, così come tesa era divenuta l’atmosfera in quel salone.
 
“Cosa vi porta qui, midgardiani?”
Andras si portò vicino ai tre umani e allacciò le mani dietro la schiena, in attesa di una risposta.
Clint fece per aprire bocca, ma Rogers lo precedette.
“Problemi. E non vorremmo averne altri.”
 
L’oneiriano storse il naso e dedicò al biondo un’occhiata di sufficienza.
“La sfrontatezza è un’altra caratteristica di voi umani. Credete ancora che tutto giri attorno al vostro pianeta?”
 
“Se non erro, si era stabilito che la Terra girasse attorno al Sole, quindi no.”
Sam non era riuscito a trattenersi e adesso sogghignava compiaciuto.
Barton sbuffò un accenno di risata e, senza rivolgersi a nessuno in particolare, diede voce a un pensiero che alleggiava nella sua testa da un po’.
“Speriamo che la ragazzina finisca in fretta e che trovi un rimedio per le mappe geografiche che ha addosso. Il tempo non è dalla nostra parte. Non lo è mai effettivamente.”
 
Sulla faccia di Andras l’iniziale fastidio venne sostituito da palese ostilità. E Barton ebbe il sospetto che forse non era stata una brillante idea apostrofare ragazzina quella che era a tutti gli effetti una sovrana.
 
“Sa che contiamo sul suo aiuto. Non ci deluderà” fu il tranquillo commento di Rogers e, ancora una volta, tutta l’attenzione di Andras si posò su di lui.
L’oneiriano si prese qualche attimo per squadrare da capo a piedi il giovane super soldato e sembrò analizzarlo con maniacale accuratezza.
“Come l’hai conosciuta?” chiese, dopo qualche attimo, incontrando gli occhi chiari del soggetto che in qualche modo stava stuzzicando la sua curiosità.
 
Steve si irrigidì sul posto, mentre Clint simulava un attacco di tosse per nascondere la parola ‘Menti’, un’accortezza che, visto l’atteggiamento non proprio amichevole dell’oneiriano, avrebbe prevenuto ulteriori casini.
 
Fortunatamente non ci fu il bisogno di iniziare un’arrampicata sugli specchi, perché Anthea varcò la soglia della stanza in quell’esatto momento.
 
“Cosa ti è successo?”
La voce incredula e preoccupata di Andras ruppe il silenzio.
L’oneiriano le andò incontro e la costrinse a fermarsi, posandole con fermezza le mani sulle spalle. Osservò le linee rossastre che le solcavano la pelle e con una mano le afferrò il mento, così da sollevarle il capo per poterla guardare direttamente negli occhi.
Erano estremamente vicini e Anthea desiderò sfuggirgli all’istante.
“Un incidente. Ora-”
“Sembra grave.”
Questa volta il tono di Andras era marchiato da velenose insinuazioni e il suo gettare un’occhiata ardente in direzione dei midgardiani fece tendere Anthea.
“Ho bisogno di parlare con loro. Sto bene.”
Nonostante non lo avesse convito - il pallore e il respiro accelerato non sostenevano lo sto bene -, la ragazza si sottrasse alle sue mani e tentò di allontanarsi, ma venne prontamente afferrata per un braccio.
“Andras ... ”
“Scusami per la fredda accoglienza di prima, ma il tuo vizio di andare via senza avvertire è discutibile.”
Anthea si sforzò di sorridere.
“Sono io a dovermi scusare” disse frettolosamente e divincolò il braccio, cercando di non mostrarsi terribilmente agitata.
Andras invece non fece nulla per nascondere il fastidio dovuto a quel modo di fare brusco, ma si arrese a guardarla andare verso gli umani.
 
“Vogliono parlare con uno di voi” annunciò.
“Sei tu il Capitano, Rogers. A te l’onore.”
Clint mise una mano sulla schiena di Steve e lo spinse avanti.
“Tu non eri l’ambasciatore?” fu il sarcastico commento di Sam e Barton fece spallucce.
“Mi sono appena dimesso.”
 
Anthea cercò gli occhi chiari del super soldato.
“Non hanno voluto sentire ragioni.”
Steve annuì appena, ma non prima di aver fulminato Barton con lo sguardo. Quel che andava fatto andava fatto e, soprattutto, non aveva molte possibilità di far valere le proprie ragioni in un luogo di cui non conosceva nemmeno le regole.
Quindi si limitò a seguire la ragazza.
 
 
 
Quando i due furono nel corridoio, Steve dovette dare voce ad un pensiero che aveva iniziato ad infastidirlo.
“Quindi è un’abitudine andare via senza avvertire” puntualizzò, con tono falsamente disinteressato.

I loro passi impattavano sul pavimento marmoreo, creando un’eco profonda.

“Cosa stai insinuando?”
Anthea si era istintivamente messa sulla difensiva e teneva lo sguardo fisso dinanzi a sé, nonostante sentisse addosso quello azzurro di Steve.
“Credi che stia insinuando qualcosa?” chiese allora il super soldato, come per tastare il terreno, anche se non c’era cautela nella sua voce.
“Perché non lo stai facendo?” fu l’ulteriore domanda della ragazza, quasi la loro si fosse trasformata in una sfida di sottili insinuazioni.

“Ho la sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa.”
La confessione asciutta di Steve provocò in Anthea un breve sussulto.
“Non sono obbligata a raccontarti tutto.”
Finalmente, lei si voltò a guardarlo e ingaggiarono una lotta di sguardi parecchio affilati, come se cercassero di leggersi l’anima a vicenda.
“No, non lo sei.”
Un sorriso amaro piegò la bocca del biondo, che chinò il capo per sfuggire agli occhi bui di lei.
“No, non lo sono” rincarò infine l’oneiriana, in un sussurro appena udibile.
 
Calò un silenzio interrotto solo dai loro passi e saturo di parole non dette che, accatastandosi le une sulle altre, innalzarono un muro tra i due giovani.
Erano in aperto conflitto, trascinati dalla corrente delle emozioni a cozzare tra loro.
Fu Steve a rompere il silenzio, incapace di starsene zitto e incapace di capire cosa stesse accadendo, cosa li avesse portati sull’orlo del precipizio senza che se ne accorgessero, in pochi e fugaci secondi.
“Mi spieghi cosa diavolo ti prende?”
 
Anthea emise un sospiro e si scostò freneticamente ciocche di capelli dalla fronte.
“Sei così freddo. Lo sei da quando ti ho tirato fuori da quella maledetta base, nonostante tu abbia affermato di avermi perdonata. Non sei la persona che ricordavo. Sto mettendo a rischio tutto per te e per i Vendicatori, lo capisci questo?”
“Non ti ho obbligata” fu la replica immediata del Capitano, nei cui occhi chiari si accese una scintilla di pentimento, ma questa si dissolse in un battito di ciglia, non lasciando alcun segno del proprio passaggio.

“No, non l’hai fatto.”
No, non l’aveva fatto. Anthea era tornata sulla Terra senza che il pensiero dei rischi l’avesse sfiorata.
In quell’istante si pentì amaramente. Si pentì amaramente di non esserci stata per tutto quel tempo, per averlo raggiunto solo quando era troppo tardi per evitargli dolori che lo avevano segnato nel profondo.

“I tuoi sbalzi d’umore mi confondono e vuoi sapere una cosa? Nemmeno tu sei la persona che ricordavo.”
Steve stava premendo su tasti dolenti, gli stessi che la giovane aveva tastato poco prima.
 
Erano cambiati entrambi ed era impossibile far finta di niente, ricominciare come se non fosse mai finita. Sarebbe stato da ipocriti e avrebbe comportato l’insabbiarsi di crepe che intessevano le fondamenta del loro legame, crepe che avrebbero finito per crescere ad ogni scossa subita dal loro rapporto. E, presto o tardi, tutto sarebbe crollato.
Steve e Anthea erano molle compresse all’inverosimile, pronte a scattare con violenza.

“Almeno il mio umore cambia! Il tuo è perennemente gelido!”
Non era del tutto vero, ma Anthea non era abbastanza lucida per ragionare con attenzione sulle parole che abbandonavano senza controllo la sua bocca.
Steve le parve perso dinanzi quell’accusa, ma lo vide riprendersi in fretta.
“Sei ingiusta. Tu sai-”

“Cosa ti è successo e cosa sta succedendo? Sì, lo so. Il tuo atteggiamento non ti aiuterà, Steve. Forse non te ne accorgi, ma stai affrontando da schifo queste nuove difficoltà.”

“E questo cosa significa?”

“Hai smesso di lottare.”

“Mi prendi in giro?”
Il tono di Steve si era fatto duro e la domanda era venuta fuori impreziosita da note di sarcasmo.
 
Anthea scosse il capo. Le iridi rilucevano di rabbia mista a tristezza. Allungò un braccio e puntellò l’indice destro nel punto in cui batteva il cuore del giovane per cui avrebbe rischiato tutto.
Qui. Hai smesso di lottare qui. E mi chiedo dove sia finito lo Steve che ti dice Va tutto bene e Possiamo farcela anche quando sembra che sia giunta la fine, quello che mi ha convinta di meritare amore e amicizia, quello che tira fuori il meglio da tutti. Abbiamo passato insieme poco tempo, ma il quanto è ininfluente dinanzi al come lo abbiamo vissuto. E quel come mi ha permesso di conoscerti davvero e tu non sei così.”
“Io ...”
“So che la situazione sulla Terra si è trasformata in una personale battaglia contro demoni del passato che credevi di aver seppellito, ma se non reagirai sul serio, lascerai a questi maledetti demoni la possibilità di portarti via tutto. La squadra ha bisogno di te, non della tua ombra.”
 
La mascella di Steve guizzò, contraendosi quasi con violenza. Con una mano le strinse il polso e allontanò il suo dito dal petto, mentre le pupille fissavano il vuoto oltre le spalle della giovane.
 
“Mi stai facendo male” sussurrò Anthea, ma non fece nulla per liberare il polso dalla presa ferrea del super soldato, che di colpo abbassò lievemente il capo per far intrecciare i loro sguardi.
“Steve ...”
“Io voglio solamente che-”
 
Uno brusco movimento d’aria, il suono stridulo e metallico di una spada che viene sguainata e lo scudo venne strappato dalle spalle di Rogers da una forza invisibile, per poi cadere a terra inerme.
La schiena del giovane Capitano cozzò contro una delle pareti del corridoio e un’affilata lama gli venne premuta pericolosamente sulla gola.
 
Il successivo rimbombo di passi fu seguito dal tendersi dell’arco di Occhio di Falco, al cui fianco si fermò Wilson.
 
“Quell’arma è inutile contro di me, arciere.”
Andras non distolse lo sguardo dal ragazzo che aveva osato toccare Anthea, recandole dolore.
Con una delle mani gli stava stringendo ciuffi di capelli dietro la nuca, costringendolo a sollevare il mento quel tanto che bastava ad avere una perfetta visuale del suo collo.
 
Quando la prima goccia di sangue sgorgò dalla gola del suo compagno, Clint scoccò la freccia senza esitare, ma quella si bloccò a un palmo dalla testa di Andras.
‘Maledetti poteri psichici’ fu l’imprecazione interiore di Barton, che si preparò al peggio.
 
“Ti avevo avvertito, arciere. Ades-”
 
Steve non rimase a guardare. Non ne era mai stato capace.
La contrazione rapida dei dorsali lo proiettò in avanti e le mani andarono a stringersi attorno gli avambracci di Andras per spingerli indietro ed evitare che la lama gli tagliasse di netto la gola.
L’oneiriano si ritrovò piegato in due, quando una ginocchiata gli si piantò nello stomaco, e preso dalla rabbia sollevò la spada con la chiara intenzione di affondarla nella carne dell’umano.
 
“Capitano!”
 
A Rogers bastò un fulmineo spostamento delle pupille alla sua sinistra per intercettare la traiettoria dello scudo che Sam aveva recuperato e lanciato con forza.
Uno schiocco secco e stridente riverberò nell’intreccio di corridoi e Steve strinse i denti, mentre contrastava la spinta violenta della spada sullo scudo stretto in pugno.
Prima che potessero anche solo pensare alla mossa successiva, furono violentemente separati da una forza tanto invisibile quanto tangibile, che li portò a sbattere contro le opposte pareti del corridoio.

Anthea si frappose fra loro e si voltò a guardare Andras.
“Sei impazzito?”
La voce le tremò sensibilmente e dalle mani strette a pugno colò del sangue, segno che si era conficcata le unghie nei palmi con esagerata violenza.
 
Andras le puntò il dito contro.
“Permetti ad un umano di urlarti contro e di toccarti in quel modo e chiedi a me se sono impazzito?” la accusò, occhieggiando all’ombra del livido attorno al polso che il midgardiano le aveva stretto.
“Ho il dovere di proteggerti da ciò che ritengo una minaccia per te.”
Anthea emise un ringhio di rabbia.
“So badare a me stessa. E loro non sono una minaccia!”
“Se sapessi badare a te stessa, non saresti ridotta in questo stato!”
“Non-”
 
“Il tuo coinvolgimento si sta rivelando maggiore di quanto ci hai lasciato intendere.”
Il caos aveva spinto Antares a lasciare la sala del Consiglio e la sua espressione fece tendere Anthea come una corda di violino.
Le cose si stavano mettendo male. La situazione le era sfuggita di mano con incredibile facilità.
 
“Credo che siamo nella merda” sussurrò flebilmente Wilson.
“Senza credo” lo corresse Barton.
 
“Gli umani ti hanno forse plagiata in qualche modo?” sbottò Andras, in un moto di pura rabbia.
Era evidente che non vedeva l’ora di dare una bella lezione a quei terrestri irrispettosi.
 
Rogers assottigliò lo sguardo e i muscoli del suo corpo si tesero all’inverosimile. Era stufo di dover ascoltare tutte quelle idiozie, stanco di avere il dito puntato contro anche quando non ce n’era motivo.
“Steve” lo supplicò Anthea, nel momento in cui lo vide camminare verso l’ultimo arrivato.
Ma Steve era stanco anche di attendere che un po’ buon senso entrasse nelle teste di quegli individui.
La sua vita era un susseguirsi infinito di ostacoli e non aveva ancora intravisto una piazzola dove potersi fermare per riprendere fiato.
Le parole di Anthea erano ancora vivide nella sua testa e lo avevano colpito nel profondo.
Era vero. Aveva smesso di lottare davvero senza rendersene conto.
Il ritorno di Schmidt era stato più traumatizzante di quanto avesse ammesso a se stesso e il modo in cui si era sentito durante la permanenza nelle mani del nemico lo faceva tremare interiormente. Nel momento in cui aveva incontrato gli occhi infossati di Teschio Rosso, qualcosa dentro di lui era scattato.
“Fa male, Steve?” erano le parole che non smettevano di risuonargli subdolamente in testa.
E sì, dannazione, faceva male. Cosa non lo aveva chiaro, ma la sensazione di essersi spezzato era talmente forte da riversarsi sul suo fisico.
Era stanco.
A testa alta, si piazzò di fronte ad Antares.
“Volevate parlare con noi? Allora parliamo. Non siamo qui per creare problemi, perciò ci scusiamo per i fraintendimenti che potrebbero essere nati.”
 
“Accetto le tue scuse, umano. Vediamo di chiarire questi fraintendimenti.”
Antares fece qualche passo, accorciando le distanze tra sé e il ragazzino audace.
 
Il battito del cuore di Anthea subì un’improvvisa accelerazione. Le tremavano le mani e sperava con tutta se stessa che i Vendicatori non facessero stupidaggini, perché gli oneiriani d’élite sapevano portare rancore sorprendentemente bene ed essere pericolosamente suscettibili, nonostante l’apparente freddezza che ostentavano.
 
“Da dove vogliamo cominciare, dunque?”
Clint affiancò il Capitano e sostenne lo sguardo di Antares, in attesa dell’inizio di un noioso dibattito.
 
“Prima vorrei capire una cosa.”
Gli occhi di Antares scintillarono, assumendo quelle sfumature dorate che mostravano l’insorgenza dei poteri psichici. Le pupille si mossero con uno scatto fulmineo, piantandosi su Anthea, ferma alle spalle degli umani.
Antares percepì il potere della giovane dilatarsi, impregnare l’aria e sussurrare una muta minaccia, come se lei avesse intuito i suoi piani.
Un sorriso enigmatico gli si dipinse in faccia, quando capì che quegli umani significavano più di quanto avesse immaginato per la ragazza.
 
“Non lo faresti” la sfidò il membro del Consiglio.
“Non lo dia per scontato” fu la risposta secca della ragazza. Era sì giovane ed inesperta, ma aveva la forza necessaria ad imporsi e ne avrebbe fatto uso se necessario, affrontando a viso aperto l’autorità indiscussa del consigliere.


Quello scambio di battute tra i due oneiriani portò Barton ad indietreggiare e, nel farlo, tirò Rogers per un braccio, per fargli capire che non era saggio rimanere troppo vicino a quell’individuo dall’aspetto austero e gli occhi spiritati.
Antares, in risposta, tese un braccio e artigliò la spalla destra del Capitano, impedendogli di allontanarsi.
“Potremmo cominciare dal principio. Cosa vi lega alla nostra sovrana?” chiese con falsa accondiscendenza, mentre studiava con meticolosità le emozioni che facevano capolino sul viso di Anthea.
Rogers rimase zitto, perché le insinuazioni sottese tra i due oneiriani sfuggivano alla sua comprensione. La mano di Antares sulla spalla sembrava pesare quanto un macigno e, in qualche modo, lo costringeva a rimanere lì dov’era.
Era circondato da alieni a cui sarebbe bastato un pensiero per spezzarlo come un rametto secco. Si domandò se esistesse una scappatoia alla soggiogazione provocata da quel potere.
Sentì Anthea avvicinarsi alle proprie spalle e la vide comparire al proprio fianco. Notò che la ragazza continuava a perdere colore e le linee rossastre sulla pelle si erano arrampicate fin sopra il suo collo, sfiorandole l’orecchio destro.
 
“Il principio non è importante. Abbiamo bisogno di-”
Anthea fu bruscamente interrotta da Antares, affatto disposto a cedere.
 
“Ho chiesto di parlare con uno degli umani e non intendo essere interrotto.”
Il consigliere dedicò una lunga e profonda occhiata alla mezzosangue. Aveva sempre sospettato che lei tenesse per sé informazioni che non voleva condividere in alcuna maniera.
Da quando Oneiro aveva ripreso vita, Anthea era stata sulla Terra già tre volte, nonostante avesse affermato che non vi erano oneiriani su quel pianeta. Eppure, Antares aveva saputo che, spesso, la giovane sovrana aveva raggiunto il guardiano del Bifrost per chiedergli di Midgard.
Antares sapeva bene che Anthea stava solo aspettando il momento giusto per passare la corona e lasciare Oneiro. Lei stessa l’aveva dichiarato, promettendo però che sarebbe rimasta fin quando vi sarebbero state difficoltà nella ricostruzione del regno. Niente l’aveva dissuasa da quella decisione e il consigliere era pronto a tutto pur di scoprire cosa ci fosse di tanto importante sulla Terra da spingerla ad abbandonare il trono, perché il potere di Anthea era prezioso, nessun altro oneiriano era mai stato tanto potente, nemmeno lo stesso Azael.
Antares non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire la mezzosangue e la sua preziosa forza. Se avesse eliminato la cosa che la premeva a partire, lei sarebbe rimasta.
E adesso, adesso che aveva di fronte quegli umani, poteva dire con certezza che la cosa fosse un chi.
Prima di allora, Anthea non gli aveva mai mostrato tanta ostilità. Quando aveva toccato il ragazzino audace poi …
 
“Mentre voi fate sfoggio della vostra superiorità, quella cosa che è nel corpo della vostra sovrana si sta allargando a macchia d’olio. Da ciò che sono riuscito a capire, avete molto tempo da sprecare in inutili dissertazioni, ma noi no, noi non abbiamo tempo da sprecare. Perciò meno parole e più fatti, vostre altezzosità.”
E questa era la caparbietà priva di qualsiasi tipo di inibizione formato Sam Wilson.
 
Steve e Clint trattennero a stento un sorrisetto, mentre Antares si dimostrava basito e sorpreso. La sfacciataggine di quegli umani era alquanto fastidiosa.
 
“Questo affronto è imperdonabile” si intromise Andras, palesemente insofferente alla presenza dei midgardiani.
 
La tensione stava raggiungendo picchi talmente elevati da far presuppore una prossima scarica a valanga. Fortunatamente qualcosa, o meglio, qualcuno evitò che la situazione degenerasse ulteriormente.
 
 
“Placate gli animi. È uno spreco impiegare energie per battaglie che non sono fatte per essere combattute.”
 
Una luce di sollievo baluginò negli occhi di Anthea alla vista della lunga barba bianca che oscillava ritmicamente ad ogni passo avanzato dal suo possessore.
Il millenario Damastis parve congelare ciò che stava accadendo nel bel mezzo del corridoio con la sua sola presenza. Emanava un’aura quasi mistica, il viso era segnato da rughe non troppo profonde per il tempo che aveva vissuto e che sembrava essere lungi dallo scadere. Aveva assunto un’espressione di blando rimprovero e che in alcuni tratti sfociava in paterna apprensione.
 
Sia Andras sia Antares persero l’aria superba di cui si erano circondati e trattennero il fiato, diversamente dalla giovane oneiriana, la quale mostrò una rinnovata tranquillità.
 
“Vorrei occuparmi io della questione corrente, se non vi dispiace” furono le pacate parole di Damastis, ma tale pacatezza non corrispondeva alla possibilità di ricevere un rifiuto.
Di fatti, Antares non poté che muovere debolmente il capo per simulare un cenno d’assenso, mentre a stento tratteneva il fastidio per quell’inaspettata intromissione. L’oneiriano dalla lunga barba bianca si palesava solo in situazioni eccezionali e, data la saggezza che da tutti gli era riconosciuta, era impensabile opporsi alle sue decisioni.
 
“Seguitemi, prego.”
 
Steve, Sam e Clint si voltarono in contemporanea verso Anthea, che annuì sommessamente mentre si incamminava nella direzione presa da Damastis.
 
Per Antares, però, la questione non sarebbe di certo terminata lì. Lo stesso, sfortunatamente, valeva per Andras.
 
*
 
La sala del palazzo dove furono condotti era illuminata da decine di fievoli fiammelle di candele dalla cera rossa, le quali stavano sospese a mezz’aria ad altezze diverse, in uno schema dominato dalla casualità. Drappi di seta rossa ricoprivano le pareti e il pavimento pareva un rettangolo di petrolio solidificato, sulla cui superficie le fiammelle disegnavano tanti puntini dai bordi frastagliati.
La stanza era vuota.
Steve si accorse che l’impattare dei suoi passi contro il pavimento non creava alcun suono. Sam, invece, allungò un braccio e sfiorò una candela proprio dinanzi a lui, provocandone un leggero spostamento.
 
L’atmosfera era surreale, quasi ci si trovasse all’interno di una dimensione onirica.
 
“Sembra la versione realistica della dimora di un chiromante” fu il commento spontaneo di Clint.
Non vi fu eco della sua voce.
 
“Questa è la stanza della meditazione” spiegò Anthea, occhieggiando ai tre Vendicatori che camminavano proprio dietro di lei.
“In questo luogo è possibile raggiungere l’apice della concentrazione, perché si è totalmente isolati dall’esterno.”
 
Arrivarono al centro della sala e Steve alzò il capo, costatando che non riusciva a vedere il soffitto, nascosto da una cortina di fitto buio. Si chiese quanto tempo Anthea avesse trascorso lì dentro, con lo scopo di riuscire a gestire meglio il suo potere.
Quando l’aveva vista combattere sulla Terra, era rimasto sorpreso dalla sicurezza che lei aveva acquisito. Si muoveva con la leggerezza del vento e la fluidità dell’acqua, il suo viso non faceva trasparire alcuna emozione, anche se era evidente lo stato di profonda concentrazione che le era indispensabile per controllare i poteri che le scorrevano nelle vene.
Anthea era una macchina perfetta. Una macchina che aveva il potere di creare e distruggere e, molto probabilmente, lei non ne era consapevole fino in fondo. La sua unica e pericolosa falla era l’assurda facilità con cui le emozioni potevano plasmarla e soggiogarla. Steve faceva fatica a prevedere le reazioni che la giovane mezzosangue poteva avere dinanzi le più disparate situazioni. Era dannatamente difficile leggerla e capirla, soprattutto ora che era cresciuta e maturata tanto.
Si domandò se esistesse ancora qualcosa di reale fra loro e se il sentimento che li aveva uniti anni prima non si fosse ormai estinto.
Steve posò gli occhi sulla schiena di Anthea e percorse la linea del collo, delle spalle e dei fianchi, cercando di richiamare alla mente l’immagine della ragazzina che aveva visto la prima volta, coperta solo da un candido camice da ospedale. Gli sembrava che la parte umana della ragazza fosse sbiadita, lasciando alla parte inumana lo spazio per evolvere e crescere più nettamente.
 
Poi, come se avesse percepito il tocco di quello sguardo, Anthea si volse indietro per incrociare gli occhi del super soldato e, in quel fugace istante, il cuore di Steve ebbe un sussulto.
Si fissarono con enigmatica intensità finché non furono richiamati alla realtà.
 
“Disponetevi in cerchio per favore.”
 
Damastis attese che la sua indicazione fosse seguita e si ritrovò affiancato da Rogers e Anthea. Fece un cenno del capo a quest’ultima tendendo al contempo una mano.
La giovane sovrana gli consegnò la spada e l’anziano carezzò la lama con i pallidi polpastrelli, prima di lasciare che l’arma scivolasse dalla sua presa e si unisse alle candele in quella stasi contro la forza di gravità. In seguito, le sue iridi si tinsero di puro oro e si posarono sulla mezzosangue.
 
“Apri la mente, mia cara.”
 
Anthea esitò. Mai, prima di allora, aveva lasciato che qualcuno entrasse nella sua testa. L’ultimo che l’aveva fatto era stato Loki e quell’intrusione aveva rischiato di farle perdere il controllo.
Non era ancora pronta per abbassare le sue barriere interiori. Non aveva ancora raggiunto il giusto equilibrio. Però era Damastis a chiederlo e di lui Anthea si fidava ciecamente.
Quel simpatico vecchietto l’aveva aiutata e le aveva insegnato tanto. Se adesso riusciva ad usare il suo potere senza combinare disastri, era merito di Damastis e della sua infinita pazienza.
 
Così Anthea chiuse gli occhi ed aprì la mente.
 
Passarono infiniti istanti di silenzio, un silenzio irreale. Nessuno osò muoversi o respirare più profondamente di quanto servisse per buttare nei polmoni l’ossigeno strettamente necessario.
 
“Ho visto abbastanza. Vi chiedo di mantenere la calma, qualsiasi cosa verrà detta” esordì infine Damastis, mentre la ragazza riapriva gli occhi un po’ frastornata.
L’anziano aveva usato guanti di seta nella sua testa ed era stato attento a non urtare porte che non erano pronte per essere aperte.
 
Damastis prese fra le dita fredde una mano di Anthea.
“L’energia che impregnava la spada ed ora circola nel tuo corpo è antica quanto l’universo stesso ed essa si manifesta solo durante una particolare occasione. La Convergenza.”
 
“Quella avvenuta nel novembre di due anni fa?”
Clint non era riuscito a trattenersi. Aveva letto la documentazione sulla Convergenza riportata nei file dello SHIELD dopo i fatti di Greenwich. Se nel corpo di Anthea c’era davvero quell’energia capace di annullare le razionali leggi della fisica, allora si prospettavano guai ancor più devastanti.
 
Damastis non parve affatto infastidito dall’interruzione, anzi, piegò la bocca raggrinzita in un sorriso paterno e annuì piano.
“Giovane umano, sai quali sono i veri effetti dell’energia della Convergenza?”
 
Barton ci pensò su un attimo.
“Ehm … annullare le leggi della fisica e aprire portali che collegano vari mondi?”
 
Damastis sorrise ancora.
“Il potere della Convergenza è in grado di sgretolare le invisibili barriere spaziotemporali che separano universi, mondi, dimensioni. Essere ovunque nel medesimo istante senza esserne davvero coscienti. Entità separate divengono un’unica unità. Gli effetti della Convergenza hanno un tempo limitato, ma possono essere permanenti se in qualche modo si riesce ad imbrigliarne l’energia, un processo che richiede capacità estremamente particolari. Naturalmente ci sono degli effetti collaterali al manifestarsi di una tale energia. Le leggi che governano la natura subiscono una deformazione non trascurabile.”
 
Ad ogni parola pronunciata da Damastis, Steve sentì crescere nello stomaco un vuoto di inquietudine. Cosa poteva fare quell’energia ad un corpo? Quali deformazioni avrebbe potuto generare?
Entità separate divengono un’unica unità.
Il super soldato voltò il capo ed incontrò lo sguardo inespressivo di Anthea.
 
“C’è un modo per tirarla fuori da me?” chiese la giovane con voce tremante.
Entità separate divengono un’unica unità.
“Deve esserci un modo” sbottò infine, facendo tremolare le fiammelle delle candele.
 
Damastis rimase impassibile dinanzi quello scatto d’ira. Ancora una volta sorrise con fare paterno e posò delicatamente una mano sulla schiena della ragazza.
“Può estrarla solo chi è stato in grado di dominarla e rinchiuderla nella spada.”
L’anziano saggio sospirò profondamente, prima di continuare.
“Ho guardato dentro di te, mia cara. Sono andato parecchio in fondo, sfruttando la tua attuale debolezza e la fiducia che riponi nella mia persona. Tu hai imbrigliato l’energia della Convergenza e tu hai fatto sì che arrivasse nel tuo stesso corpo. Ma non puoi saperlo, perché il tuo Io è scisso in due entità separate. Credo che tu abbia compreso di cosa sto parlando, mia cara.”
 
Anthea si sentì mancare. I suoi occhi persero lucidità e divennero vacui.
“Non è possibile. Io la controllo, io sono riuscita a vincerla tre anni fa e …”
 
Entità separate divengono un’unica unità.
 
“Il giorno della Convergenza …”
L’oneiriana pronunciò quelle quattro parole in un sussurro appena udibile, mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto.
Dopo la battaglia del Brooklyn Bridge, Anthea aveva rinchiuso nei meandri della propria mente l’Altra, ovvero la sua parte più oscura, quella dominata dalla sete di sangue e di potere.
Era possibile che durante il giorno della Convergenza si fossero abbassate anche le barriere interiori, così che la sua parte più oscura fosse riuscita a riemergere e ad agire indisturbata, fuori da ogni controllo?
Come diavolo era potuto accadere?
 
“Perché nel tuo essere ci sono crepe più profonde di quel che immagini. È l’assenza di stabilità, mia cara. Non hai ancora trovato la tua stabilità, perciò non puoi avere il pieno controllo del tuo Io” asserì Damastis, che aveva letto i pensieri che le stavano vorticando in testa.
 
“Scusate, qualcuno potrebbe spiegarmi, perché davvero non capisco di cosa state parlando.”
Sam credeva gli sarebbe venuto un crampo al cervello nel tentativo di decifrare quei discorsi che per lui non avevano né capo né tantomeno coda. Con tutti quegli Io e Tu, gli veniva in mente solo il demenziale indovinello ‘Io sono Io, Tu sei Tu, chi è più scemo Io o Tu?’. Però, quasi certamente, quella cretinata con c’entrava nulla, no?
Afflitto, il pararescue guardò prima Steve, che però pareva essere lontano mille miglia dalla realtà, e poi Clint, trovando in quest’ultimo l’aiuto che sperava di ricevere.
“Sarebbe lunga da raccontare amico, quindi cercherò di essere breve. Anthea ha una specie di doppia personalità, per capirci, e noi Vendicatori abbiamo visto la sua parte cattiva tre anni fa, quando lei è entrata a far parte delle nostre vite. Per essere più preciso, la sua parte cattiva ci ha quasi ammazzato ma poi lei è tornata in sé e le cose sono finite bene. La Convergenza deve aver liberato la parte cattiva e la parte cattiva …”
 
“Ha fatto sì che l’energia della Convergenza finisse prima nella spada e poi nel corpo di Anthea, così che …” Rogers esitò e fissò le iridi azzurre in quelle buie della giovane oneiriana “… entità separate divengano un’unica unità.
 
“Questo significa che la parte cattiva si è costruita una via d’uscita, giusto? Si fonderà con la parte buona?”
Clint si era rivolto direttamente a Damastis, intenzionato a capirci di più.
 
“Non esattamente, giovane umano. È sì vero che l’entità malvagia ha trovato una via d’uscita, ma è più probabile che voglia prendere il controllo.”
 
“E come possiamo fermare quella …?”
 
Heith. È così che si chiama, giovane umano. Un’entità capace di manovrare gli eventi senza che nessuno si accorga del suo intervento, e che può far sorgere nella mente delle sue vittime i pensieri che vuole si pensino. Non esiste una strada certa per fermarla. Heith è la conseguenza di una deformazione della personalità dovuta all’errato controllo di un grande potere. Ecco perché noi oneiriani abbiamo a cuore l’addestramento dei più giovani.”
 
“Heith?”
Wilson cercava di stare al passo con la spiegazione, ma più quella andava avanti, più era impossibile trovarci un senso. Vi erano di mezzo concetti che sfuggivano alla comprensione umana.
Heith e Anthea erano la stessa persona, ma non lo erano e … che grandissimo casino!
‘Beh, è come soffrire di personalità multipla’ pensò infine il pararescue e fu soddisfatto di quella conclusione un po’ più umana.
 
“Perché sento questo dannato nome solo adesso? Perché non me ne hai mai parlato?”
Era evidente la disperazione che si stava facendo largo nella ragazza, che mai avrebbe creduto di dover di nuovo affrontare la Furia celata dentro di sé. E, invece, eccola punto e a capo, in balia delle emozioni e del potere che le scorreva nel sangue.
 
“Continuavo a sperare di sbagliarmi, mia cara. Ma oggi ho avuto la spiacevole conferma ai miei sospetti. Il nome di Heith risale a millenni fa, quando questa entità oscura si manifestò per la prima volta in una giovane oneiriana dai poteri immensi e una forte instabilità interiore. Da allora, ci impegnammo a far sì che un fatto simile non accadesse ancora” spiegò con calma Damastis, ma questa volta un leggero turbamento trasparì sul suo volto rugoso.
 
“E come avete fermato Heith la prima volta?”
Era stato Steve a porre la domanda, anche se temeva la risposta. In quel momento non riusciva a pensare ad altro che non fosse il pericolo che correva Anthea.
 
“Toglierle la vita fu l’unica soluzione. Fu colui che lei amava ad ucciderla, l’unico di fronte al quale lei abbassava tutte le sue barriere, rendendosi vulnerabile.”
 
A quella rivelazione seguì il dominio di un buio fitto e denso. Le candele si erano spente in un soffio, tutte insieme.
 
“Heith …”
 
La voce che pronunciò quel nome parve provenire dall’oltretomba.
L’istante successivo, le fiammelle ripresero vita, sprigionando un calore intenso e accecando i presenti, ad eccezione di colei che era la causa di quell’innaturale evento.
Entrambi gli occhi di Anthea stavano piangendo sangue. Le lacrime scarlatte le rigavano le guance e si schiantavano sul pavimento nero, senza emettere alcun suono.
Adesso la giovane poteva dare significato a quel pianto vermiglio.
Erano le crepe del suo Io a sanguinare.
E sì. Prima della Convergenza non le era mai accaduto. Dopo le rivelazioni di Damastis, poteva affermare che lacrime di sangue e momenti di vuoto non l’avevano mai afflitta prima della Convergenza.
Ogni volta che il sangue aveva solcato il suo viso, una nuova crepa si era generata. Ogni volta che aveva avuto un momento di vuoto, Heith aveva agito.
 
Copiose gocce rosse continuarono a sporcarle il viso pallido e sembravano non avere fine, come se il suo Io si stesse sgretolando irreversibilmente.
L’invisibile barriera che separava Anthea e Heith stava andando in frantumi sotto l’influsso inarrestabile dell’energia della Convergenza.
 
 
“Non erano questi gli accordi, Heith.”
“Come mi hai chiamata?”
“Con il tuo nome.”
“Hai sbagliato persona. Io non ti ho mai visto prima.”

 
 
Il ricordo di quell’assurdo scambio con Teschio Rosso la fece tremare come una foglia.
Aveva preso accordi con quell’uomo folle e pieno di odio nei confronti di Steve?
 
‘No, ditemi che non è vero, ditemi che questo è solo un dannato incubo … vi prego …’
 
Eppure non c’era altra spiegazione. L’esistenza di Heith dava senso a tutte le stranezze accadute negli ultimi anni.
Era stata Heith a tornare sulla Terra dieci mesi prima. Heith era tornata da Steve.
Ma perché?
Molto probabilmente sempre Heith aveva portato la spada sulla Terra per ragioni che Anthea stentava a figurarsi.
 
Sotto gli sguardi scioccati dei Vendicatori e quello apprensivo di Damastis, Anthea parlò, ponendo fine all’ennesimo scomodo ed estenuante silenzio.
“Quante volte sono tornata sulla Terra?”
“Tre, mia cara.”
La giovane serrò i denti, perché nella memoria non c’era traccia di una delle tre volte, dato che era convinta di aver raggiunto Midgard solo due volte.
“Hai visto cosa ha fatto in quelle occasioni?”
“Mi dispiace, mia cara. Ho visto solo ciò che Heith vuole che io veda. Nemmeno il mio potere può nulla contro di lei.”
“E, oltre la Convergenza, cosa ti ha lasciato vedere?”
Di fronte quella domanda, Damastis si voltò a guardare Steve, perso in pensieri pungenti e freddi.
“Ho visto tre volti. Il suo - l’anziano indicò Rogers - uno rassomigliante ad una maschera rossa e quello del principe di Asgard.”
 
 
“Perché stai facendo questo? Sono tuo amico.”
“Non lo hai compreso? Eppure dovrebbe essere chiaro. Vendetta.”
“Non voglio combattere contro di te.”
“Combattere, non combattere … cadrai in ogni caso, Thor.”
 
 
Anthea annuì lentamente e la vacuità del suo sguardo rasentò la trasparenza. Si sentì morire dolorosamente e lentamente.
“Ho bisogno di rimanere sola. Io … io devo capire cosa ho fatto quando Heith ha preso il controllo. La risposta è dentro di me, devo solo cercarla.”
Si mise le mani fra i capelli e diverse ciocche le ricaddero sul viso esangue. Le linee rosse sulla pelle sembrarono pulsare, mentre si inerpicavano fin sopra la guancia destra e verso la tempia. Quei segni innaturali erano un macabro conto alla rovescia, la cui fine sembrava essere spaventosamente vicina.
“Devo trovarla … Thor …”
La giovane tremò al solo pensiero di aver fatto del male al dio del tuono, uno dei suoi più cari amici.
 
“Non devi fidarti di ciò che vedi, mia cara. Lei ti lascia vedere solo ciò che vuole tu veda. Fa tutto parte del suo gioco. Lascia che …”
 
“No. Heith è una mia responsabilità. Non voglio che qualcuno rischi la vita standomi troppo vicino. Vuole giocare? Bene. Allora giocherò anch’io.”
La rabbia dell’oneiriana era tangibile. Le fiammelle si rafforzavano con spasimi improvvisi, sospinte da un potere che degenerava verso una profonda instabilità.
Anthea aveva perduto anche il caduco equilibrio che aveva conquistato faticosamente in quegli anni. Dentro di lei si stava scatenando un terremoto dagli effetti devastanti, effetti che le avrebbero portato via lucidità e il controllo sopra i suoi stessi poteri.
L’oneiriana si sentì di nuovo una bambina insicura ed inesperta. Un ringhio di frustrazione le graffiò la gola, mentre si chiedeva come avrebbe potuto evitare di crollare definitivamente.
‘Sei più forte di così! Reagisci!’ si impose, urlando interiormente, ma fu vano.
 
“Lasciatemi sola” ripeté, atona.
 
Damastis si arrese, consapevole che nulla avrebbe potuto contro la ferma decisione della giovane sovrana. Annuì piano ed abbassò il capo, in un muto segno di commiato.
Non aveva il potere di aiutarla, nonostante avrebbe tanto voluto farlo. Però, qualcun altro avrebbe potuto fare la differenza.
L’anziano, prima di abbandonare la stanza, cercò lo sguardo del ragazzo dai limpidi occhi azzurri e, trovandolo, piegò la bocca in un sorriso triste e che gridava una sola parola.
Aiutala.
Il giovane super soldato ricambiò flebilmente quel sorriso.
 
Clint rimase abbastanza interdetto nel vedere Damastis andare via. Non aveva ancora chiari alcuni dei discori nati e sviluppatisi in quegli ultimi minuti, ma di una cosa era convinto.
Anthea non doveva affrontare quella Heith da sola. Qualsiasi cosa fosse accaduta, ora non aveva importanza. Bisognava guardare avanti e pensare alla prossima mossa, perché il tempo stringeva e una parte della squadra attendeva il loro ritorno sulla Terra.
L’arciere fece per dare voce a quei pensieri, ma le parole gli rimasero bloccate in gola quando intercettò gli occhi di Steve.
Senza pensarci due volte, Barton prese la direzione dell’uscita e costrinse Sam a seguirlo con un unico e deciso gesto della mano.
 
La porta della stanza della meditazione si chiuse senza emettere alcun suono.
 
*
 
“Perché non li hai seguiti?”
La rabbia di poco prima era scomparsa. La voce di Anthea venne fuori tremolante ed incerta.
 
“Durante la mia vita ho affrontato battaglie che mai avrei creduto di poter vincere. Sai cosa mi ha permesso di vincere, Anthea?”
 
Steve si portò a un passo dalla ragazza, che gli stava dando le spalle e che non sembrava intenzionata ad affrontarlo faccia a faccia.
Il biondo però non demorse e andò avanti.
 
“Sono riuscito a vincere perché non ero solo, perché ho sempre potuto contare su persone straordinarie che mai mi avrebbero lasciato cadere e che comunque erano pronte a cadere con me.”
Sospirò piano e proseguì.
“Per quanto lo sforzo di guardaci le spalle possa essere grande, ci sarà sempre un punto cieco che gli occhi sono impossibilitati a raggiungere. È un qualcosa di costituzionale, un qualcosa che rivela il bisogno di avere qualcuno che si prenda cura di quel punto cieco, che lo protegga per noi.”
 
Le spalle di Anthea sussultarono impercettibilmente e, l’attimo dopo, i suoi occhi bui si immersero in quelli limpidi di Steve, trovandovi un solido sostegno che le permise di essere invasa da una nuova sensazione di sicurezza ed equilibrio.
L’oneiriana rimase attonita, incerta su cosa dire o fare. Aveva le guance impiastricciate di sangue, ma le lacrime avevano smesso di colare come cera fusa dai suoi occhi.
 
“Permettimi di aiutarti, come tu hai aiutato me.”
“Non ci sono sempre stata quando ne hai avuto bisogno, Steve.”
“Beh la cosa è reciproca.”
 
Anthea chinò il capo, interrompendo il contatto visivo. Ripensò alla cruda discussione che aveva avuto con lui nel corridoio e fu sorpresa da un distinto senso di nausea.
 
“Perché? Perché vuoi aiutarmi pur sapendo che probabilmente sono una delle cause di ciò che adesso sta accadendo sulla Terra? Potrei aver fatto del male a Thor e poi io … Teschio Rosso …”
 
Il super soldato le pose entrambe le mani sulle spalle e si sorprese a pensare ancora a quanto fosse cresciuta.
“Ascoltami bene. So che ti senti in colpa e che reputi le azioni di Heith come tua totale responsabilità. Ma, Anthea, sei tornata sulla Terra per tirarmi fuori dai guai mettendo a rischio ciò che hai costruito qui e, inoltre, non avresti esitato a combattere al mio fianco. Venire qui mi ha permesso di vedere più chiaramente e sappi che non ho intenzione di lasciarti cadere perché, in un modo o nell’altre, sei importante per me. E poi, sono certo che Thor è vivo. Tu non avresti permesso che gli accadesse qualcosa di irreversibile.”
 
La giovane non riuscì a trattenere il sorriso che piegò le sue labbra e, impulsivamente, circondò con le braccia il collo di Steve, stringendolo a sé con forza.
 
“La stabilità è un’intima condizione interiore e il suo raggiungimento non segue una univoca strada. Deve trovare la sua e solo il tempo potrà aiutarla.”
Le parole di Damastis le risuonarono nella testa proprio in quel momento. Aveva sempre pensato alla stabilità come a qualcosa di astratto, di raggiungibile tramite allenamenti sfiancanti e lunghe meditazioni. Solo adesso capiva quanto quel suo modo di pensare fosse sbagliato.
La sua strada per raggiungere la stabilità interiore era una ed una soltanto. Era Steve Rogers.
Quando le distanze tra loro si annullavano, Anthea si sentiva viva.
 
“Credi che sia possibile ricominciare da dove eravamo rimasti tre anni fa, prima che io partissi?” chiese flebilmente l’oneiriana, con la fronte premuta contro la spalla del super soldato.
“Sinceramente … non lo so. È difficile … io …”
“Va bene così, Steve. La mia era una proposta assurda. Scusami.”
 
Anthea si tirò indietro, sciogliendo l’abbraccio.
“Okay. È ora di mettersi a lavoro” affermò, convinta.
Si sedette sul freddo pavimento, con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia.
 
“Come posso aiutarti?”
Steve alzò un sopracciglio con fare perplesso e Anthea gli sorrise.
 
“Non andare via.”
“Non lo farò.”
“Questo mi basta.”
 
La giovane oneiriana chiuse gli occhi e scivolò in un profondo stato di concentrazione.
‘Preparati a giocare, Heith.’
 
 
 
                                                                                   ***
 
 
 
Terra
 
“Ci siamo! Ha funzionato! Anche se non c’erano dubbi, data la mia sconfinata genialità.”
 
Tony era chino sul computer che aveva preso dal fornitissimo jet. La sua espressione era simile a quella di un bambino che scopre una dispensa segreta di dolciumi.
Natasha fu subito dietro di lui, gli occhi puntati sullo schermo e l’espressione seria leggermente addolcita dalla buona notizia.
 
“Quindi?”
 
L’inventore indicò il puntino rosso che lampeggiava sullo schermo.
“Ho tracciato un algoritmo che incorpora i dati sulle innaturali emissioni di calore dell’Extremis e quelli sulle sue leggere ma persistenti radiazioni. Utilizzando poi l’aggancio con il mio personale satellite, sono riuscito a localizzarli.”
 
“Li stanno spostando” convenne la Vedova, accortasi del costante movimento del puntino rosso.
 
“Esatto. E vista la strada che stanno seguendo, credo non sia difficile immaginare dove li stiano portando.”
 
“Al Pentagono.”
 
“Ancora esatto, Romanoff.”
 
Tony si alzò dalla sedia e si stiracchiò la schiena. Occhieggiò all’ora segnata nell’angolo destro dello schermo del pc e sospirò stancamente.
Erano già passate quattordici ore da quando Steve, Clint, Sam e Anthea erano partiti e mancavano quindi trentaquattro ore allo scadere del tempo a loro disposizione.
 
“Questo va a nostro vantaggio. I cinquanta Ultra Soldati, il corpo artificiale di Daskalos, lo scettro, il Tesseract, Bruce … è tutto al Pentagono. Possiamo ancora farcela.”
 
Natasha annuì alle parole del compagno, ma non si espresse. Era troppo presto per farsi prendere dall’entusiasmo e comunque restava il problema di come diavolo abbattere cinquanta macchine omicide inscalfibili e immortali.
 
Lo sbattere della porta d’ingresso annunciò l’arrivo di James.
“Ho finito di smontare la moto nel capanno qui affianco come mi avevi detto” annunciò il Soldato, rivolto all’inventore, che rispose con un energico “Bene”.
 
“Sai che Clint ti ucciderà quando lo verrà a sapere?” domandò la rossa, fulminando il genio.
“Oh, andiamo Nat! Gli dirò che la sua moto è stata sacrificata per offrire all’umanità un futuro migliore. Capirà.”
Natasha sorrise con fare accattivante.
“Se lo dici tu, Stark. Mal che andrà, ti userà come bersaglio mobile per i suoi allenamenti.”
 
Tony stava per ribattere a dovere, ma fu interrotto da un secondo cozzare dei cardini della porta.
Pepper giunse trafelata in salotto e, senza esitazione, diede voce ad un’altra buona notizia.
“JARVIS ha terminato il suo compito al jet. Abbiamo la comunicazione sicura.”
 
“Perfetto. Andiamo a parlare con papà Fury” esordì Stark, ricambiando il sorriso della compagna.
“Non fa così schifo questo piano, in fin dei conti” si lasciò scappare poi, felice però di non averlo ammesso davanti a Rogers.
 
 
 
 
 
֍֍֍
 
 
 
 
 
Le catene tintinnano. C’è odore di sangue.
Qualcuno piange.
 
“Heith.”
 
“Ti aspettavo.”
 
 
 
 
 
 
Note
Lo so, sono una persona orribile perché sono scomparsa e vengo fuori solo ora. Mi scuso tantissimo per il ritardo, ma ho avuto altro per la testa in quest’ultimo periodo.
Spero che ci siate ancora e che questo nuovo capitolo vi piaccia.
 
Un saluto e un abbraccio alla New Entry, _Ash, grazie di aver deciso di seguire la storia ♥
 
Grazie a the little strange elf - finalmente ce l’ho fatta, visto? Scusa per l’attesa infinita! Un abbraccio grandissimo ♥
 
E devo assolutamente ringraziare la mia Sister Ragdoll_Cat, per il sostegno inestimabile che mi doni ogni giorno e lo sprint che mi hai dato per continuare questa storia!
Ti Voglio Bene ♥♥♥
 
Beh, è tutto. Grazie a tutti coloro che leggeranno ♥
Alla prossima!
 
Ella
   
 
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