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Autore: Celty23    27/10/2016    2 recensioni
Questa storia partecipa al "Sesshouamru's contest" indetto da supersara sul forum di EFP
Sesshoumaru è famoso per il suo odio per gli esseri umani, solo con la piccola Rin si comporta in maniera differente. Qualcosa però ha scatenato questo suo odio, l'incontro con una ragazza umana e un ricordo che continua a tormentarlo.
Allora è la mia seconda storia nel mondo di Inuyasha quindi spero piaccia ^^' e io faccio schifo a scrivere le introduzioni >.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RICORDI DI UN PASSATO LONTANO


Sesshoumaru era giovane a quei tempi, giovane e sciocco. Nella sua lunga vita centenaria non gli era mai capitato di provare qualcosa che non fosse disprezzo per un essere umano, figurarsi qualcosa come l’affetto, o lontanamente assomigliante all’amore. Ma si sa, tutti hanno un momento di debolezza, che ci fa vergognare di noi stessi e dei nostri pensieri, e lo custodiamo gelosamente nel nostro cuore, nella nostra memoria, per non svelarlo a nessuno.
Prima che Naraku venisse al mondo, prima che Inuyasha nascesse e suo padre si invaghisse di quella donna umana, Izayoi; Sesshoumaru era solito viaggiare per le terre dell’ovest, curioso di scoprire i luoghi e le persone che un giorno avrebbe dovuto governare, che sarebbero stati suoi di diritto. Aveva superato da tempo il suo primo secolo di vita, ma esternamente dimostrava solo una quindicina d’anni, si poteva definire come un giovane demone adolescente. E in quell’età si fanno degli sbagli, che ti segnano per tutta la vita. O finché non incontri qualcuno che ti cambia.

Pioveva, il cielo era scuro a causa delle nuvole grigie e impediva al sole di illuminare la foresta. Alcune gocce d’acqua scendevano leggere sulle foglie, creando una melodia udibile solo a Sesshoumaru, perché era l’unico essere vivente in grado di ascoltarla e apprezzarla. Quando aveva visto l’orizzonte oscurarsi e gli uccelli volare lontani alla ricerca di un rifugio, lui non si era mosso dal suo giaciglio, ovvero il ramo di un’enorme quercia; non si era spostato nemmeno quando le prime gocce avevano iniziato a scendere sempre più copiose sul suo volto e sui suoi vestiti.
Ascoltava in silenzio quella melodia rapito, perché le nuvole gli stavano raccontando la loro storia, come il resto della natura che lo circondava, il vento fresco che gli muoveva il pelo candido della coda, la corteccia che gli scaldava la schiena dritta.
Un rumore gli fece aprire gli occhi, rivelando le iridi ambrate al cielo grigio, dei rami secchi si spezzavano e dei passi veloci si facevano sempre più vicini. Sesshoumaru storse il naso infastidito da quell’interruzione, la melodia ormai era persa e presto avrebbe incontrato uno di quei miseri umani, che sarebbe scappato via appena si sarebbe accorto di chi aveva davanti, ed era giusto così.
«Oddio che pioggia! Doveva arrivare il diluvio universale proprio quando ero andata a raccogliere dei fiori?!» 
Una femmina umana dunque, Sesshoumaru chiuse nuovamente gli occhi e attese che la disturbatrice se ne andasse permettendogli di tornare ad essere un tutt’uno con la natura, col mondo circostante.
La pioggia scendeva copiosa.
I passi si avvicinavano sempre di più.
Poi rallentarono fino a fermarsi.
L’aveva visto.
«Hey tu!» 
Ma l’urlo che si aspettava di sentire non arrivò, facendogli aprire gli occhi per la sorpresa.
«Sì dico proprio a te! Ma non hai paura di ammalarti stando lì sotto l’acqua?»
Si girò ad osservare che aspetto avesse quella folle, e scoprì che era solo una ragazzina di circa quindici anni, lo osservava saltellando sul posto per scaldarsi mentre attendeva, invano, una sua risposta. I corti capelli neri erano fradici e le erano rimasti incollati al volto, facendola sembrare ancora più piccola. Sesshoumaru si girò di lato ignorandola completamente, mentre cercava di recuperare la concentrazione persa.
«Che maleducato che sei! Spero che ti venga un accidente!»
«Io non mi ammalo…»
Non seppe perché le rispose, sorprendendo così oltre che lei anche se stesso, se non avesse saputo che era impossibile per un demone ammalarsi avrebbe detto che invece era così, ma nessuno dei due aggiunse altro e lei se ne andò subito dopo.
La pioggia tornò ad essere l’unico suono accompagnata dal vento fra le foglie, e Sesshoumaru chiuse nuovamente gli occhi, chiedendosi però cosa l’avesse spinto a rispondere a un’umana.

«Sei ancora qui! Lo sapevo!»
La pioggia era finita da un pezzo ormai ma il giovane demone non si era mosso, decidendo di farsi scaldare dai dolci raggi solari, che erano spuntati prepotenti subito dopo la tempesta. Ma la quiete era durata poco, e la ragazzina di qualche ora prima era tornata e ora lo fissava con due grandi occhi marroni sorridendo.
Perché era lì?
Perché era tornata?
Perché voleva vederlo?
«Ormai sei anche praticamente asciutto! Io comunque mi chiamo Kaname! Tu invece?»
Nessuna risposta, perché avrebbe dovuto infondo? Lui voleva solo stare solo e in pace, immerso completamente nella natura. a ciò sembrava impossibile in quel bosco.
«Proprio maleducato…»
La corvina si sedette sul prato accanto al tronco della quercia e sembrava del tutto intenzionata a non muoversi da lì.
«Però non è stata stupida l’idea di asciugarsi sotto al sole! Io mi sono dovuta cambiare completamente e qualche ciocca dei capelli è ancora umida… I tuoi invece sono perfettamente asciutti oltre che lisci! Non ho mai visto quel colore di capelli, sei straniero? Ciò spiegherebbe anche i tuoi vestiti…»
La ragazza continuava a parlare ininterrottamente, ma Sesshoumaru aveva finalmente compreso come mai non fosse fuggita prima, lo credeva un debole essere umano come lei, non aveva capito che era un demone.
«Ma mi stai ascoltando?»
Pigramente Sesshoumaru girò la testa puntando i suoi occhi ambrati in quelli scuri di Kaname, e si chiese come potesse essere così stupida da non accorgersi che lui non era umano.
«No»
Quella semplice risposta fu in grado di zittirla, lasciandola a bocca aperta per lo stupore e con le pupille dilatate per l’indignazione, lasciando allibito lo stesso giovane demone. Non pensava che bastasse un semplice no per zittire quell’insulsa umana, forse se le avesse detto chiaro e tondo che voleva essere lasciato in pace lei se ne sarebbe andata definitivamente.
Quell’idea lo allettava molto, ma prima che potesse prendere una decisione la corvina si alzò indispettita per la piega che avevano preso gli eventi e se ne andò sbuffando. Sesshoumaru la osservò andare via, la vide farsi strada tra le foglie dei rami più bassi e sistemarsi la gonna ampia sporca di terra, la osservò finché non scomparì completamente dietro un tronco, ma sentiva comunque grazie al suo udito demoniaco i suoi passi e il suo sbuffare incessante. Rivolse nuovamente lo sguardo verso il cielo azzurro, percorso da qualche nuvola solitaria e bianca come i suoi capelli, ma la sua mente non era più occupata dai sentimenti della natura, pensava a quella ragazza.
In tutti quegli anni aveva sempre considerato gli esseri umani delle creature inferiori, deboli e insignificanti rispetto a loro demoni, rispetto a suo padre, il grande e possente demone cane, e a lui, il principe dei demoni. Per questo non li aveva mai calcolati più di tanto, la vita umana era solo uno sbuffo d’aria rispetto alla loro, lunga e secolare. Però lo incuriosivano, quel modo di pensare così diverso, quei sentimenti che lui non conosceva perché superiore alle semplici e pure emozioni, lo attiravano come una falena era attratta dal fuoco.
Quel che Sesshoumaru non sapeva a quel tempo però era che, proprio come le falene si bruciavano le ali se si avvicinavano troppo alla fiamma, anche lui si sarebbe scottato nel profondo.

«Guarda un po’… Il cafone di ieri è ancora qui…»
Il mattino seguente il demone cane non si era mosso da quell’albero, la sera prima aveva osservato il cielo cambiare lentamente colore, finché la notte non aveva preso il sopravvento portando con se il freddo, ma lui non se ne era accorto.
Kaname ora lo osservava dal basso con le braccia incrociate e le guance gonfie, cercando di mostrarsi arrabbiata e indignata per la sua presenza. Sesshoumaru la guardò con fare annoiato dalla sua posizione sopraelevata, per poi ignorarla con i gesti, ma la sua mente si chiedeva perché fossi lì, perché fosse tornata, e perché lui non la cacciava via.
«Maleducati come ieri vedo… Immagino che nemmeno oggi mi dirai come ti chiami?...»
La ragazza sbuffò e iniziò a incamminarsi verso una meta sconosciuta, il demone sentiva i suoi passi schiacciare il leggero strato di foglie presente sul terreno, ma riusciva a sentire anche rumori molto più lontani, uno in particolare attirò la sua attenzione.
«Se vai da quella parte incontrerai un’orsa con i suoi cuccioli…»
La sua voce bassa risuonò nell’aria come un elemento estraneo, e non fece in tempo a chiedersi il motivo del suo gesto che la ragazza si era già fermata, aveva fatto retromarcia e ora era ai piedi dell’albero che lo osservava curiosa.
«E tu come fai a saperlo?!»
«Li sento…»
«Che udito fino! Io non sento nulla… Mia madre mi ripete spesso che probabilmente diventerò sorda da vecchia dato che già adesso quando cerca di svegliarmi non la sento minimamente, probabilmente sarei finita in faccia all’orsa senza nemmeno accorgermene! E chissà che fine avrei fatto! Grazie mille! Non pensavo che ti preoccupassi per me!»
Quelle parole lo fecero girare di scatto preoccupato, lui si era davvero preoccupato per un’umana? Ma quando incrociò lo sguardo con quello di Kaname la vide sorridere grata sia col volto che con gli occhi, si sedette per terra appoggiando la schiena contro il tronco e iniziò a giocare con dei fili d’erba. Sesshoumaru la osservò dall’alto, forse era vero che si era preoccupato, in fondo prendersi cura dei propri sudditi era il compito di un sovrano. Chiuse gli occhi con il cuore più sereno e si rilassò contro il legno duro, cercando di estraniarsi nuovamente e di fondersi con la natura che aveva attorno, ma in qualche strana maniera il suo naso cercava il profumo della ragazza studiandolo.
«Sesshoumaru…» Prima non le aveva risposto, non le aveva detto come si chiamava perché lo riteneva stupido, non l’avrebbe mai più vista e nemmeno gli interessava, ma allora perché ora invece aveva deciso di rivelarglielo?
«Che cosa?... Oh! E’ il tuo nome! Che strano nome, sembra quello di una creatura mistica, si vede che sei straniero… E dimmi da dove vieni? Le terre sono diverse da qui?...»
Il demone la lasciò parlare senza degnarla di una risposta, ma si chiese come era possibile che una persona potesse essere così stupida e lenta di comprendonio.
Come poteva non aver ancora capito che lui era un demone? Ma lui perché non glielo aveva rivelato?

I giorni passarono e Sesshoumaru continuava a rimanere su quell’albero, sdraiato su quel ramo ad osservare il cielo e ad ascoltare il vento. Mentre Kaname continuava a raggiungerlo in quella foresta, tutte le mattine si sedeva sull’erba umida accanto al tronco, e gli parlava, gli raccontava del suo villaggio e di se stessa, nonostante non le rispondesse quasi mai, se non in monosillabi.
Il demone ogni volta che vedeva il cielo tingersi di una sfumatura arancione, con le nuvole rosate che lo facevano sembrare un quadro, diceva a se stesso che il mattino dopo se ne sarebbe andato, allontanandosi da quel mondo umano e tornando a girare per terre sconosciute. Ma ogni volta che il sole risorgeva le sue membra non volevano muoversi, costringendolo a rimanere lì, ad aspettare che la corvina arrivasse a tenergli compagnia con il suo chiacchiericcio. Non poteva provare quei sentimenti così umani, lui, un demone potente e vecchio di secoli, eppure, sentiva che non provava completa indifferenza per quell’umana, ma non sapeva come descrivere quelle sensazioni.
Un giorno però, lei aveva detto una parola che gli aveva fatto drizzare le orecchie, che lo aveva fatto riflettere a tal punto che non l’aveva ascoltata per il resto della giornata, riflettendo e analizzando.
«Noi siamo amici no?!»
Amici…
Una singola parola che poteva avere così tanti significati…
Ma cosa voleva dire essere amici?
Forse era per quel sentimento, per quella parola, che non voleva rivelarle che lui era un demone, e non un semplice essere umano come lei.
Ma fu proprio questa sua distrazione che gli fece perdere quel poco che aveva guadagnato.
Sentì un leggero fruscio dietro un cespuglio, poco distante dall’albero su cui lui era, un demone minore comparve all’improvviso. Le pelle scura gli ricopriva il corpo piccolo e tozzo, le mani erano artigliate e le falangi più grosse di quelle normali, il muso era allungato e dalla bocca perdeva della bava giallognola.
Kaname si congelò sul posto, osservava la creatura con gli occhi sgranati e annaspando alla ricerca di aria, Sesshoumaru riusciva chiaramente a sentire l’odore della paura invaderla completamente, mentre la fame e il desiderio di uccidere provenire dal demone. Iniziò ad avvicinarsi e la ragazza non sembrava intenzionata a muoversi, il demone cane aveva nascosto la sua aura per tutto il tempo, quindi non era ancora stato visto da quello stolto demone inferiore.
Senza rifletterci troppo utilizzò una delle sue fruste di luce, puntò l’indice verso il nemico e lo decapitò con un solo colpo, lasciando rotolare la testa sul terreno freddo. Per la prima volta dopo un mese scese da quell’albero con una grazia tipica dei demoni, si mise davanti alla ragazza per impedirle di vedere il cadavere della creatura e per controllare come stesse. Kaname fissava davanti a se senza osservare nulla, gli occhi spalancati con le pupille dilatate per il terrore, il respiro era regolare ma sentiva il suo cuore battere all’impazzata. Non si muoveva di un muscolo.
«Kaname?...»
Sesshoumaru fece un passo verso di lei preoccupato, ma appena si mosse lei scattò in piedi e lo fissava terrorizzata. Non gli fu difficile capire da cosa fosse spaventata, il suo odore e i suoi movimenti parlavano chiaro, e si sorprese a soffrire per questo, quello sguardo carico d’odio e disprezzo lo disturbavano.
«Mostro! Sei un demone!»
Ora se ne accorgeva, ora vedeva chi era veramente, e lo disprezzava, era spaventata da lui.
La ragazza fece un passo indietro inciampando su una radice sporgente, Sesshoumaru non si mosse per aiutarla e lei continuò a indietreggiare strisciando sul terreno umido.
«Volevi uccidermi… Tu mi hai ingannata!»
«Io non ho fatto nulla e non volevo farlo…»
«Menti! Sei un demone!»
Questa volta non replicò, aveva capito che era tuto inutile, che essendo lui un demone e non un essere umano quei giorni che avevano passato insieme erano spariti, perché lui voleva ucciderla. Kaname riuscì finalmente ad alzarsi e scappò via dandogli le spalle, la sentì urlare mostro e demone per diverso tempo, e all’improvviso sentì una morsa stringergli il petto. Pensò di essere stato ferito dal demone senza che se ne rendesse conto, ma quando controllò trovò le vesti del loro solito bianco immacolato e l’armatura intatta.
Cos’era quel dolore?
Perché quando l’aveva vista andare via si era sentito tradito?
Sesshoumaru guardò il cielo sperando che potesse rispondere alle sue domande e ai suoi dubbi, ma non ricevette risposta.

Era passata poco meno di una settimana da quel giorno e Sesshoumaru non era ancora riuscito ad andarsene definitivamente da quella foresta, ogni sera si allontanava e partiva, alla ricerca di cosa non lo sapeva nemmeno lui, ma ogni mattina ritornava su quell’albero, ad attendere che accadesse qualcosa.
Il demone maggiore osservava la natura attorno a se, il cielo tingersi di arancione e gli animali muoversi lontani da lui, per paura di essere attaccati, a un certo punto un odore attirò il suo interesse, e prima che potesse rendersene conto era già in cammino che seguiva le tracce di fuoco e sangue.
Arrivò al villaggio dopo pochi minuti e lo trovò completamente devastato, le fiamme divoravano le case, facendole crollare su se stesse, mentre i banditi uccidevano chiunque incrociavano sul loro cammino, uomini, donne e bambini. La trovò quasi subito, era stesa a terra ricoperta di sangue, suo e di altre persone, lo sguardo dolorante perso nel vuoto, quando lo vide però cercò di allontanarsi, di scappare da lui nonostante non le avesse mai fatto nulla.
«Stammi lontano demone!» Un leggero rivolo di sangue le uscì dalla bocca per lo sforzo.
«Sei solo un mostro! Un mo… stro…»
Il suo cuore rallentò progressivamente, e alla fine si spense, e con quello cessò anche il suo dolore, ma si accese un sentimento tutto nuovo, che lo bruciava dall’interno come le fiamme sulle case. Era rabbia, rabbia verso di lei per avergli fatto conoscere quei sentimenti, così fasulli e ingannatori, per averlo allontanato perché era un demone, ma soprattutto con se stesso perché era stato curioso. Si era abbassato al livello degli esseri umani, quando lui era un demone maggiore, ma non sarebbe successo mai più, nessuno avrebbe saputo di quel suo momento di debolezza, lei era morta, e lui non ne avrebbe parlato.
Sarebbe diventato forte.
Avrebbe succeduto a suo padre come gran generale.
Non si sarebbe fatto battere da nessuno…
Non avrebbe mai più provato sentimenti umani…

Suo padre gli dava le spalle, stava per andare a salvare quella misera umana e il figlio mezzo-demone che aveva avuto da lei, lo sapeva, ma non riusciva a capirne il motivo. Era ancora ferito gravemente dalla precedente battaglia, eppure il grande generale cane sarebbe andato a morire per salvare un essere, che sarebbe comunque morto dopo pochi anni. Perché tutto questo?
Il volto di Kaname gli comparve in mente come un lampo, facendolo infuriare internamente, ma senza lasciar trasparire nulla all’esterno. Non l’avrebbe mai dimenticata.
«Sesshoumaru… Tu hai qualcosa da proteggere?...»
Eccola la domanda, che lo avrebbe perseguitato ogni notte, che non gli avrebbe mai dato tregua, interrogandosi su cosa intendesse suo padre quando gli pose quella domanda e che insegnamento stesse cercando di trasmettergli con quelle semplici parole.
Tu hai qualcosa da proteggere?...
Qualcosa da proteggere?...
Qualcosa…

«…Sesshoumaru…»
«Signor Sesshoumaru…»
Il grande demone aprì gli occhi ambrati, era in un bosco e i leggeri raggi solari attraversavano le foglie estive degli alberi, Rin era davanti a lui, che lo osservava sorridente e con la testa leggermente inclinata.
«Signor Sesshoumaru si era addormentato?»
«Piccola impertinente! Non lo sai che il sommo padron Sesshoumaru non si addormenta mai! Perché lui non ha bisogno di dormire come una debole umana quale sei tu!»
Il piccolo kappa entrò nella sua visuale agitando a destra e a manca il bastone che gli aveva donato anni orsono, mentre rimproverava la piccola Rin.
«Ma Jaken… Allora tu sei un demone debole come me dato che dormi insieme a me la notte! E comunque non credo sia possibile… Tutti hanno bisogno di dormire…»
«Ma come ti permetti!...»
Sesshoumaru non stava più prestando attenzione alla loro conversazione, invece si stava concentrando sulla cucciola d’uomo, su Rin, che nonostante avesse saputo fin da subito che lui era un demone gli aveva sorriso, che lo considerava un eroe che sarebbe venuto sempre a salvarla perché era buono. Pensava a quella ragazzina che aveva salvato dall’abbraccio della morte e che lo seguiva da allora, poi le parole di suo padre gli tornarono in mente proprio come nel sogno.
«Tu hai qualcosa da proteggere?...»
Ora aveva una risposta a quella domanda.
Si alzò in piedi e si diresse verso la bambina, che in quel momento stava facendo la linguaccia a Jaken per qualcosa che le aveva detto, e le poggiò una mano sulla testa, come segno di gratitudine per averlo salvato da quel ricordo che lo stava logorando dentro, che gli aveva fatto odiare gli esseri umani per un tempo indefinito. Rin alzò lo sguardo sorpresa, i grandi occhi scuri lo osservavano spalancati cercando di capire cosa stesse pensando, e poi gli sorrise come faceva ogni giorno.
Chissà se aveva capito davvero il significato del suo gesto, oppure se era solo contenta di ricevere delle attenzioni dal suo signore.
Sì, aveva qualcosa da proteggere, non era nulla di fisico o concreto, erano solo i ricordi, i ricordi del tempo che aveva trascorso con Rin e che avrebbe trascorso in futuro con lei, perché lei era umana, e non sarebbe potuta vivere per sempre. Il ricordo sì.
Prima aveva sognato quella ragazza, secoli prima era sicuro che non l’avrebbe mai più dimenticata, il suo viso, il suo odore, il suo nome, eppure ora se cercava nei suoi ricordi vedeva solo un’immagine sfuocata non ben definita, e un’altra persona si sostituiva a lei. L’immagine di Rin.


Angolo Autrice
Buongiorno a tutti! Spero che questa piccola One-shot vi sia piaciuta e spero che Sesshoumaru non sia troppo OOC ^^' non è stato facile riuscire a renderlo giovane e adolescente, però credo di aver fatto del mio meglio e io sono piacevolmente soddisfatta u.u
La mia testa malata ha generato questa idea tipo a luglio, ma mi è piaciuta da morire e l'ho trovata come una possibile spiegazione per il suo odio. Mentre la domanda finale mi è venuta qualche giorno fa (per fortuna perché non sapevo come concluderla se no >.<) e spero vi sia piaciuta la risposta che Sesshoumaru si è dato.
Credo di non aver altro da dire! Fatemi sapere che ve ne pare e a presto :3

 
   
 
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