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Autore: sara_gi    30/10/2016    1 recensioni
Anna è una normalissima ragazza italiana, ferequenta l'ultimo anno delle superiori, pragmatica e poco incline a sognare a occhi aperti le piace studiare e passare il tempo con la sua migliore amica.
Aaron è una star del cinema, carismatico e affascinante è in realtà un ragazzo alla mano con un spiccato senso dell'umorismo che ama profondamente il proprio lavoro.
Dal testo:
- Vedi quella ragazza? Quella col giubbino rosa ed i capelli rossi?-
- Sì, la vedo, pessimo accostamento.- commentò riferendosi ai colori.
- Seguila.- gli disse reprimendo un sorriso al commento – Scopri dove va, come si chiama, tutto quello che riesci.-
Giorgio lo guardò con palese stupore – Stai scherzando?! Non non stai scherzando…- si corresse notando lo sguardo dell’altro – Come lo spiego al regista che me ne vado? “Sa il suo primo attore vuole che pedini una ragazza”?-
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Sotto i cieli della Superba

 

 

Era una luminosa giornata primaverile a Genova. Il sole splendeva caldo nel cielo terso di un abbacinante azzurro dove garrule rondini si esibivano in complesse acrobazie aeree.

Seduta al suo banco Anna, ultimo anno del liceo Artistico, osservava il cielo blu fuori dalla finestra desiderando essere ovunque tranne che chiusa in quella classe. Le piaceva studiare ma, quando fuori la natura regalava giornate come quella, le sembrava un delitto essere costretta al chiuso. Nel banco dietro di lei, Vera, la sua migliore amica espresse con un piccolo sbuffo appena udibile la medesima linea di pensiero. Anna nascose un sorriso e tornò a prestare attenzione alla professoressa Ceppi che stava spiegando l’ascesa del Fascismo prima della Seconda Guerra Mondiale. La maturità si avvicinava: poco più di due mesi e si sarebbero ritrovati ad affrontare l’esame e storia era una delle materie probabili per quell’anno…

Nonostante questo il suono della campanella, che annunciava la fine della lezione e l’intervallo di metà mattina, fu accolto con un generale sospiro di sollievo dai ragazzi. Appena la professoressa fu uscita Vera lasciò la classe ma ritornò subito con un gran sorriso e gli occhi che le brillavano.

- Indovina un po’?- disse sedendosi accanto ad Anna che stava riordinando gli appunti.

- Hai incrociato Luca che ti ha finalmente chiesto di uscire con lui?- butto lì la ragazza sapendo della cotta dell’amica per il compagno.

- No, Luca non centra.-

- Allora perché sei così allegra?-

- L’Accessi non c’è, ergo due ore di buco!-

- Evviva…- commentò Anna con scarso entusiasmo – Due ore di noia mortale col rischio di una nota di classe perché i nostri scalmanati compagni fanno troppo caos in corridoio. Proprio una bella notizia…-

- Errore: due ore di piena libertà per goderci questa fantastica giornata. L’hai dimenticato?- proseguì all’occhiata interrogativa dell’altra – Siamo maggiorenni, tesoro: possiamo uscire da scuola, gironzolare e rientrare senza che nessuno possa dirci nulla!-

A quelle parole, che corrispondevano a verità, lo sguardo di Anna si illuminò: uscire di li per un paio d’ore, girare per le vie del centro, fare shopping…

- Cosa stiamo aspettando?- chiese alzandosi ed infilando il giubbino di jeans.

Vera prese la sua giacca poi le due amiche scesero velocemente le quattro rampe di scale fino all’atrio e mescolandosi con la folla confusionaria dell’intervallo guadagnarono la porta ed in un batter d’occhio furono fuori dal cancello.

L’aria profumata dagli alberi in fiore che crescevano nel parco poco lontano le accolse sollevando ulteriormente il loro umore. Dopo pochi passi Vera si lasciò andare ad una risata liberatoria poi guardò l’amica e le fece segno di avvicinarsi.

- Ti rivelerò un segreto: avevo già intenzione di bigiare queste due ore. La proff. mi ha fatto un gran favore!-

- Perché volevi uscire?- chiese Anna genuinamente curiosa: Vera non era il tipo da saltare la scuola, non senza un buon motivo.

- Ti ricordi quando ti dissi che mio zio lavora per la Medusa?- attese un cenno dell’altra – Bene: due giorni fa l’ho sentito e mi ha detto che da ieri hanno allestito dei set con la Universal proprio qui, a Genova!-

- Stanno girando un film qui?-

- Sì, a quanto mi ha detto dovrebbe essere il prossimo blockbuster. Un film d’epoca, sai: dame in costume, duelli, cavalli… Ma la notizia vera riguarda il protagonista del film: Aaron Jones!- Anna rimase letteralmente a bocca aperta.

Aaron Jones era un giovane attore di venticinque anni diventato famoso da neppure un anno: aveva superato un provino, a cui aveva partecipato per puro caso, per un altro film d’epoca di ambito navale e si era ritrovato a tenere in mano l’Oscar come miglior attore non protagonista. Il film in se aveva vinto altre quattro statuette e aveva proiettato il ragazzo nell’Olimpo dei grandi attori. Vera ed Anna avevano visto quel film al cinema ed erano rimaste entrambe colpite dal giovane, anche se per motivi diversi: Vera lo trovava, col suo metro e ottantacinque i capelli castano-ramati e gl’incredibili occhi blu cobalto, divinamente bello. Anna era stata affascinata dalle sue indubbie qualità di attore: secondo lei si era più che meritato l’Oscar…

Raggiunsero in meno di dieci minuti la location dove stavano girando quella mattina: Piazzetta San Matteo. Un piccolo angolo di Genova nascosta da stretti carruggi dove il tempo sembrava essersi fermato ai primi del 1300. La chiesetta, a cui la piccola piazza doveva il nome, è una piccola costruzione in stile romanico col tetto a capanna, la facciata, ingentilita da un rosone con vetri dipinti, presenta le tipiche strisce orizzontali bianche e nere che la identificano come costruita sotto l’egida dei Doria che per secoli furono i Signori della Superba. Le stesse strisce decorano le tre alte ed eleganti case-torre che circondano i lati della piazzetta e che erano state le residenze dei Dogi di Genova.

Pochi scalini permettono l’accesso al sagrato della chiesa: uno spazio sufficientemente largo da ospitare una trentina di persone. E che infatti, al momento, ne ospitava poche di meno: attrezzisti con rotoli di cavi sulle spalle, tecnici che ritoccavano le rotaie delle macchine da presa, i due aiuto regista con delle cartellette in mano che istruivano le comparse in costume cinquecentesco e, in mezzo a tutti, il regista che parlava con un ragazzo in costume: Aaron Jones.

Vera trascinò l’amica fino ai piedi del sagrato facendosi largo a gomitate tra la folla di curiosi e fans già accalcati nelle viuzze laterali per vedere la scena. Riuscì a guadagnare due posti in prima fila ed indicò ad Anna l’oggetto dei suoi pensieri.

- Non è divino?- chiese sognante guardandolo.

Anna sollevò gli occhi al cielo per un attimo ma non potè trattenere un sorriso all’espressione di pura adorazione che si era dipinta sul volto dell’altra. Volse lo sguardo verso il giovane attore e, in quel momento, lui si girò ed i loro occhi si incrociarono.

Aaron era in piedi dalle prime luci dell’alba: il trucco, il costume, le prove della scena che stavano girando avevano occupato il tempo nell’attesa che la luce del giorno illuminasse le strette vie del centro cittadino. Genova lo affascinava: non aveva mai visto una città più labirintica. Le strette stradine, che uno degli aiuto regista gli aveva detto chiamarsi ‘carruggi’, si snodavano irregolari come serpenti attorcigliati incrociandosi e perdendosi più volte fino a creare un vero e proprio labirinto da cui era difficile districarsi se non si conosceva almeno un po’ la planimetria della città. Era antica, Genova, risaliva all’Impero Romano ma la sua struttura urbanistica non aveva nulla della lineare, perfetta geometricità delle città di impianto romano. L’esser stretta tra il mare ed i monti aveva costretto gli abitanti, già in tempi antichissimi, a svilupparne l’estensione in altezza: le case-torri medioevali di quattro, cinque o più piani si stringevano le une alle altre fronteggiando l’antico porto, l’unico spazio aperto della città. Non vi erano piazze, anticamente, a Genova: le poche esistenti erano state ricavate in tempi più recenti abbattendo alcune delle case. Perfino la facciata di San Lorenzo, il duomo della città, fino ad un secolo prima si apriva su di uno stretto carruggio. E ad Aaron quell’aria antica piaceva: nato a Boston, il primo grande insediamento colonico in America, apprezzava tutto ciò che possedeva una storia. E Genova, di storia, ne aveva tanta, e possedeva altrettanto fascino con quell’aria di mistero celato dalle facciate bicolore delle case storiche.

Era a Genova da cinque giorni, anche se il suo arrivo era stato tenuto segreto fino al mattino precedente, ed aveva fatto amicizia con uno degli aiuto regista italiani reclutati nella maggiore scuola di cinema di Roma: Giorgio. Giorgio era stato scelto per quell’incarico perché, oltre ad essere uno dei migliori del suo corso di regia, era nato e cresciuto a Genova e quindi conosceva bene le location scelte. Aveva cinque anni meno di Aaron ma questo non aveva impedito ai due ragazzi di diventare amici e Giorgio era stato felice di fare da guida al più grande mostrandogli la città in tutti i suoi aspetti. Stimolato dall’interesse che l’americano mostrava gli aveva raccontato anche un po’ della storia della Superba dandogli anche modo di calarsi meglio nel personaggio che, di li a qualche giorno, avrebbe dovuto interpretare.

Ed ora, a pochi minuti dall’inizio delle riprese della seconda scena, Aaron si stava guardando intorno in quell’antica piazzetta, una delle pochissime di epoca medioevale, divertito dall’interesse che tutta quella gente assiepata ai margini dell’area delle riprese gli dedicava. Era sorprendente per lui, tutta quella celebrità: un anno prima non se lo filava nessuno, oggi era una star internazionale…

Fu in quel momento che incrociò lo sguardo di una delle ragazze presente ai margini del sagrato della chiesetta. Alta poco più di un metro e sessanta, snella ma non un gran che possedeva però due cose assolutamente stupefacenti: i lunghi capelli di un caldo rosso tiziano naturale che si inanellavano in morbidi ricci e gli occhi. Verdi. Come smeraldi purissimi. No, si corresse, non come smeraldi ma come giada: chiari e limpidi. O forse era la luce del sole che le illuminava il volto a farli apparire così chiari, non lo sapeva. Ne fu affascinato e lo incuriosì il modo in cui lei lo guardava: stupita che lui la vedesse ma, soprattutto, priva di malizia. Non stava civettando con l’attore: stava guardando il ragazzo…

Un movimento della folla la sottrasse al suo sguardo. La cercò per qualche istante fino ad individuarla: stava allontanandosi lungo una delle stradine, quella che risaliva verso Piazza De Ferrari, gli sembrava. Svelto fece un cenno a Giorgio perché si avvicinasse e, senza farsene notare gliela indicò.

- Vedi quella ragazza? Quella col giubbino rosa ed i capelli rossi?-

- Sì, la vedo, pessimo accostamento.- commentò riferendosi ai colori.

- Seguila.- gli disse reprimendo un sorriso al commento – Scopri dove va, come si chiama, tutto quello che riesci.-

Giorgio lo guardò con palese stupore – Stai scherzando?! Non non stai scherzando…- si corresse notando lo sguardo dell’altro – Come lo spiego al regista che me ne vado? “Sa il suo primo attore vuole che pedini una ragazza”?-

- Al regista penso io, tu va. Muoviti! Quasi non la si vede più! Per favore!!!- aggiunse guardandolo negli occhi.

- Ok, capo. La star sei tu, dopo tutto.- lo prese in giro prima di dileguarsi tra la folla.

Certo che il giovane amico avrebbe fatto il possibile per accontentarlo, Aaron, si concentrò sul lavoro. Solo un ultimo pensiero gli attraversò la mente un attimo prima che il regista desse l’azione: chissà perché quella ragazza lo aveva incuriosito tanto, dopo tutto era appena appena carina…

Quando la folla spostandosi l’aveva sommersa sottraendola allo sguardo del ragazzo Anna si era un po’ spostata e aveva richiamato l’attenzione di Vera.

- Io mi allontano: sto soffocando qui.- disse all’amica.

- Ma stanno per girare!-

- Non importa. Tu resta pure: ti aspetto in De Ferrari. Andrò a prendere un cappuccino nella caffetteria del Palazzo Ducale.-

- Come vuoi, a dopo.-

Con un cenno Anna si allontanò risalendo per Vico San Matteo. Lasciarsi alle spalle tutta quella gente fu un vero sollievo, con passi leggeri ed indolenti si avviò verso il Palazzo Ducale godendo del tepore dell’aria. Si ritrovò a pensare ad Aaron Jones: certo che aveva degli occhi incredibili! Blu, di un assurdo blu cobalto. Ancora più belli dal vivo di quanto fosse vederli sul grande schermo. Sorrise ricordando l’espressione concentrata e professionale che aveva sul volto mentre parlava col regista. Poi qualcuno gli aveva detto qualcosa e lui era scoppiato a ridere, aveva una bella risata, che veniva dal cuore. L’attimo dopo l’aveva guardata. Era stato solo un caso, lo sapeva, ma era curioso: tra tutti i presenti aveva guardato lei, proprio lei.

“E probabilmente si sarà chiesto: cosa avrà ‘sta qui da guardare?” pensò con una piccola smorfia.

Ma non aveva distolto lo sguardo. Era stato così che lei si era accorta del colore dei suoi occhi. Decisamente blu e decisamente belli.

- Stai parlando come Vera!- si rimproverò sorridendo prima di entrare nella caffetteria e sedersi ad uno dei tavolini.

Giorgio si era tenuto ad una certa distanza per essere sicuro che lei non si accorgesse di essere seguita, aveva atteso che si fosse seduta ad un tavolino prima di entrare anche lui nella caffetteria situata in uno degli ambienti al piano terra del Palazzo Ducale. A quel punto l’aveva vista in volto ed era rimasto a bocca aperta: quella era Anna! Erano stati compagni di banco per due anni alle medie e lui l’aveva sempre considerata una buona amica ed un’ottima compagna di scherzi: ne avevano combinate di tutti i colori senza che nessuno, soprattutto i professori, sospettassero di loro: dopo tutto Anna con quel visino da angioletto e lo sguardo limpido non poteva essere accusata di aver combinato qualche scherzo, per altro mai di cattivo gusto, e, se lui era suo amico, non poteva altresì essere il colpevole… Quante risate si erano fatti…

Lasciando emergere un gran sorriso si avvicinò al tavolo della ragazza che, concentrata sul cappuccino, non lo aveva ancora visto.

- Ma guarda un po’ chi abbiamo qua!- esclamò allegro.

Anna sollevò di scatto il volto riconoscendo la voce e si alzò per abbracciarlo ricambiando il sorriso.

- Giò! Come sono contenta di vederti!-

- Come stai, Scricciolo?-

- Bene, felice di vederti! E tu?-

- Altrettanto! Sarà, quanto, due anni che non ci vediamo?-

- Fai pure tre: dalla rimpatriata con tutti i nostri ex compagni.-

- Accidenti… Non sembrava così tanto! Sei sempre al Barabino?-

- Sì. E tu che fine hai fatto?-

- Ho fatto il biennio al Klee, come sai, poi ho partecipato ad una selezione per una scuola a Roma e sono passato!-

- Congratulazioni! Addirittura a Roma! Ai tuoi deve essere venuto un colpo.-

- Qualcosa del genere.- annuì lui – Fortuna che la scuola mette a disposizione degli studenti anche un convitto altrimenti non so proprio dove sarei potuto andare. E tu cosa mi racconti?-

- Non molto. Prossima alla maturità, per nulla preoccupata, moderatamente pronta. L’unica notizia è che ho cambiato casa, l’anno scorso, e ho scoperto una cosa: odio i traslochi. Sono una cosa allucinante!-

- Immagino. Ed ora dove stai?-

- Eccomi qua!- esclamò Vera sedendosi – Ciao!- disse poi a Giorgio.

- Giò lei è Vera: da cinque anni la mia migliore amica. Vera lui è Giorgio.- concluse Anna.

- Giò per gli amici.- intervenne lui - E se sei amica sua,- disse indicando Anna – considerati amica mia.-

- Wow! Il famoso Giò! Anna mi ha raccontato qualcuna delle vostre avventure.- spiegò all’occhiata incuriosita del ragazzo.

- Ah, bene… Non è che devi credere proprio a tutto, sai? Cosa, esattamente, le hai raccontato?- chiese poi verso Anna.

- Bhé, fammi pensare… La gita a Torino…- Giorgio deglutì - Il libro di Roberta…-aggiunse facendolo quasi sbiancare.

- La gita a Cremona.- rincarò Vera – E’ la mia preferita!- aggiunse poi ridendo dell’espressione sconvolta del ragazzo.

- Accidenti, Rossa! Ma proprio non hai risparmiato nulla?-

- No, a dire il vero no!- concluse Anna unendosi all’amica nella risata.

Giorgio la guardò contrariato per un attimo poi si lasciò andare ad un sorriso.

- Ne abbiamo combinate proprio di tutti i colori…- commentò.

- E l’avete fatta sempre franca.- aggiunse Vera quasi scandalizzata dall’idea.

- Certo!- esclamò Anna – Chi mai poteva immaginare che questa piccola, dolce, innocente fanciulla potesse sfornare certe idee Macchiavelliche?- chiese con un sorriso che le fece luccicare gli occhi di ilarità.

- Nessuno.- convenne Giorgio – Ed ovviamente nessuno poteva accusare il custode di cotanto candore.- concluse con lo stesso sorriso.

Sarebbero rimasi li a parlare per ore se la pendola antica che campeggiava in un angolo del locale non avesse suonato richiamando l’attenzione di Anna.

- Vera, dobbiamo rientrare!- esclamò – Fra un quarto d’ora abbiamo figura!-

- Oddio, me n’ero dimenticata!- disse alzandosi – Ciao Giò, felice di averti conosciuto. Spero di rivederti. Anzi,- lo guardò – sabato sera noi due andiamo alle Cisterne. Se ti va potremmo vederci la.-

- E’ un’idea. Vi accompagno per un pezzo.- aggiunse poi.

Camminarono in fretta percorrendo via XX Settembre verso il basso fino al Ponte Monumentale poi svoltarono in via San Vincenzo ed, in pochi minuti, raggiunsero la costruzione in cemento, ferro e vetro che ospita il liceo artistico Barabino.

- Ciao, Giò. Ci vediamo sabato.-

- D’accordo, Scricciolo. Solo una cosa…- la trattenne – Da quando ti vesti di rosa?- chiese ironico.

- Lascia perdere, ok?- chiese con aria da martire – E’ un regalo di compleanno di una delle mia zie: è convinta che io adori il rosa…- concluse con un sospiro.

Si voltò entrando nell’edificio accompagnata dalla risata di Giorgio che la guardò scomparire all’interno della scuola.

Aspettò qualche minuto prima di entrare a sua volta e dirigersi in segreteria. Ci volle tutta la sua pazienza e le sue capacità persuasive per convincere la segretaria che non era un male intenzionato ma, alla fine, riuscì a farsi dare il numero di telefono di casa della ragazza quindi, quasi correndo, tornò al lavoro sperando che Aaron avesse trovato una scusa più che plausibile per la sua assenza: non ci teneva a perdere quell’opportunità.

 

Il sabato pomeriggio verso le sei Anna stava finendo il ripasso di scienze quando suonò il telefono.

- Ciao, Scricciolo!- esclamò gioviale Giorgio.

- Ciao!- si interruppe – Come hai avuto il mio numero?-

- Semplice: l’ho chiesto alla segretaria della tua scuola.-

- Alla faccia della legge sulla privacy…-

- Ti dispiace?-

- No, certo. Dimmi.-

- Per stasera, volevo farti sapere che sono con un amico. E che abbiamo prenotato un tavolo.-

- Un tavolo? Alle Cisterne? Vi avranno sbancato!- sorrise lei.

- Quasi… Comunque quando arrivate basta che diciate di essere in lista con Giorgio e vi faranno entrare.-

- Ok, grazie. Avviso Vera: andrà in visibilio all’idea. E ti adorerà più ancora di quanto già non faccia.- concluse con un finto sospiro.

- Perché, mi adora?- chiese con una punta di orgoglio lui, dopo tutto Vera non era niente male: minuta, bionda con grandi occhi azzurri e pelle diafana…

- Diciamo che potresti aver fatto colpo: da due giorni non fa che parlare di te. Una noia mortale!- concluse.

- Ehi! Ti stai riferendo a me!- si finse indignato.

- Appunto. Ci vediamo questa sera, grand’uomo!- concluse lei riattaccando.

 

Come previsto Vera fu entusiasta all’idea di non dover fare la coda per entrare. Le Cisterne doveva il nome all’essere stato aperto nel locale dove, un tempo, si trovavano proprio le cisterne del Palazzo Ducale. La struttura in mattoni a vista con colonne e volte a vela creava un piacevole contrasto con l’arredamento ultra moderno ed i laser che generavano coreografici giochi di luce nell’aria e sulle pareti pulsando al ritmo della musica a tutto volume.

Giorgio stazionava dalle parti dell’ingresso aspettando le due ragazze e, quando le vide, si attardò un attimo ad osservarle: Vera era vestita di nero, pantaloni in raso aderenti, decoltè col tacco alto ed un top in pizzo nero effetto bagnato. Fantastica. Ed Anna… Giorgio spalancò gli occhi: era irriconoscibile. Portava i capelli elegantemente raccolti con solo qualche ricciolo che le incorniciava il volto. Indossava un top verde scuro annodato con sottili lacci in tinta dietro il collo e dietro la schiena, lasciata nuda, ed era decorato da un dreamcatcer dipinto. Verde era anche la minigonna a vita bassa a tubino con un piccolo spacco sulla gamba destra, intorno alla vita portava una cintura sottile di cuoio ornata da innumerevoli frange, degli stessi colori del dreamcatcer, più corte da un lato che andavano ad allungarsi a punta sull’altro senza però superare la lunghezza, si fa per dire, della gonna. Ai piedi portava un paio di sandali dello stesso verde, allacciati a schiava, dal tacco vertiginoso. Un trucco leggero ma sapiente faceva risaltare gli occhi verdi, la bocca ben disegnata e l’incarnato chiaro. Incredibile.

Ripresosi il ragazzo le raggiunse e sorrise all’amica.

- Accidenti, Scricciolo: quasi non ti riconoscevo!- le disse abbracciandola.

- Grazie, Giò.- sorrise lei.

- Vera…- continuò lui guardando l’altra – Sei un autentico schianto.- concluse serio.

- Grazie, Giorgio.-

- Venite, vi accompagno al tavolo e vi presento il mio amico.-

Così dicendo fece strada dirigendosi verso i margini del locale dove si trovavano alcuni tavoli: quelli più tranquilli.

- Ragazze lui è AJ.- disse presentando l’amico che, vedendoli, si era alzato.

- Ciao!- salutarono in coro le due ragazze.

- Ciao.- rispose lui con pesante accento americano.

Vera spalancò gli occhi e si voltò verso Giorgio.

- Dimmi che non parla solo inglese…-

- Bhé, in effetti…- annuì lui facendola sedere.

Anna lo guardò scuotendo il capo con un sorriso prima di sedersi a sua volta e, guardando l’americano sfoderò la sua padronanza non eccelsa ma sufficiente della lingua inglese per presentare se stessa e la sua amica.

AJ, dopo un momento di preoccupazione, si rilassò visibilmente nello scoprire che almeno una delle due lo capiva ed era molto contento che fosse lei. Gli occhi nascosti da un paio di occhiali ‘da discoteca’ dalle lenti fumè che gli consentivano di vedere tutto senza farsi notare aveva osservato l’avvicinarsi di quella ragazza stentando anche lui a riconoscerla. Al tavolo si respirava un’atmosfera rilassata e festaiola così non ci volle molto perché i ragazzi si alzassero per raggiungere la pista e scatenarsi nel ballo. Si scambiavano ogni tanto qualche parola gridando per sovrastare la musica, a poco a poco la folla li separò ed Anna perse di vista i suoi due amici restando con AJ che, ballando, la condusse verso una zona meno affollata della pista. L’avevano quasi raggiunta quando un ragazzo li scontrò facendo cadere gli occhiali di AJ che riuscì a prenderli al volo prima che finissero per terra. Anna si immobilizzò a guardarlo, le era sembrato in qualche modo famigliare fin dal primo momento ed ora, fissando quegli occhi incredibilmente blu, lo riconobbe: era Aaron Jones! Lui si accorse che l’aveva riconosciuto, rinforcò velocemente gli occhiali e la strinse a se raggiungendo un angolo tranquillo.

- Non mi tradire.- le disse all’orecchio prima di iniziare a muoversi con lei al ritmo di un lento.

“In discoteca non suonano lenti…” fu il primo pensiero compiuto che le balenò in testa.

Un pensiero sciocco, quel tanto che le serviva per riprendersi dalla sorpresa. AJ era Aaron Jones e lei stava ballando con lui…

Intanto il Voice del locale stava annunciando che il lento era dedicato a due ragazzi che festeggiavano il primo anno di matrimonio.

‘Pieces’ di Dan Powell. Anna adorava quella canzone: l’aveva scovata in una raccolta di successi anni ’80 e se ne era innamorata. Ed ora stava ballando sulle note della sua canzone preferita stretta al ragazzo che metà della popolazione femminile mondiale riteneva il nuovo, incontrastato sex symbol… Era assurdo.

“Ora mi sveglio e scoprirò che è solo un sogno. Un bellissimo sogno.”pensò tra se sollevando appena lo sguardo fino ad incontrare quello di lui ”Ha degli occhi bellissimi…” aggiunse tra se come già aveva fatto tre giorni prima.

Aaron si stava beando della sensazione di averla stretta a se. Era incredibile quanto gli piacesse quella ragazza, averla accanto, sentirla parlare, ridere. Ballare con lei… Una scelta fantastica, quella canzone, si ritrovò a pensare osservando gli occhi verdi di Anna.

 

La domenica passò come in trance. Anna, dato il tempo piovoso, la passò in casa, studiando. La canzone di Dan Powell che usciva dallo stereo, lo aveva bloccato sul ‘repeat’, ed una diffusa sensazione di irrealtà. Si soffermava spesso sui ricordi della sera precedente: ancora non riusciva a credere che Vera non avesse riconosciuto il giovane attore. Per lei era rimasto solo ‘AJ’.

“Ma forse” si ritrovò a pensare “non lo avrei riconosciuto neppure io, se non lo avessi visto senza occhiali…”

Dan Powell continuava a cantare.

“Non mi tradire…” le aveva chiesto, sussurrato all’orecchio. E lei non lo aveva fatto.

 

Il lunedì mattina a scuola Vera non faceva che parlare della serata alle Cisterne: era entusiasta e, soprattutto, aveva scoperto che, in fondo, Luca non le interessava poi molto.

- E da quando?- le chiese divertita Anna.

- Da quando il tuo amico dagli occhioni scuri mi ha invitata a ballare.- sorrise.

Anna scosse la testa divertita. Per quanto la riguardava il capitolo Cisterne era chiuso, insieme al capitolo Aaron Jones. Quella mattina si era guardata allo specchio imponendosi di tornare con i piedi per terra, era una ragazza razionale così si era data ascolto.

La sua razionalità, però, fu messa alla prova già il martedì: all’uscita da scuola, appoggiato ad una macchina sportiva parcheggiata fuori del cancello, un paio di occhiali da sole ed un accenno di barba, stava l’oggetto dei suoi pensieri domenicali.

- Ehi, ma quello non è AJ?- le chiese Vera accanto a lei.

- Così sembra.-

- Quanto entusiasmo! Mi sembrava ti fosse simpatico.-

Anna non replicò poiché il ragazzo le era venuto incontro e, dopo un cenno di saluto a Vera che si allontanò un poco, la guardò sorridendo.

- Ciao, Anna.-

- Ciao.- rispose lei reprimendo il brivido che le era serpeggiato per la schiena all’udire la sua voce calda.

- Ti va di andare a bere un caffè?-

Anna lo guardò genuinamente sorpresa poi scosse il capo.

- No grazie, AJ.- rispose.

Questa volta fu lui a sorprendersi. Anna si irritò: pensava forse che si sarebbe sciolta e avrebbe accettato l’invito grata perché glielo chiedeva? Chi si credeva di essere?

“Aaron Jones, con ogni probabilità…” si rispose ironica.

- No perché non puoi? No perché ora non ti va? O no perché…-

- No perché no.- lo interruppe lei – Non è una gran risposta, lo so, ma rimane comunque un no. Ora devo andare.- fece per allontanarsi.

- Domani?- la trattenne.

- No, neppure domani. O il giorno dopo.- lo precedette lei – Non ho intenzione di accettare un caffè da te, Aaron.- proseguì abbassando la voce perché nessuno potesse sentirla – Ne nient’altro.- concluse allontanandosi.

Raggiunse Vera ed insieme proseguirono verso la stazione: dovevano sbrigarsi o avrebbero perso il treno del ritorno.

Il ragazzo rimase a guardarla andare via. Un mezzo sorriso gli piegò le labbra: gli aveva detto di no. E subito dopo lo aveva chiamato per nome…

- Ok, dolcezza. Facciamo a modo tuo…- mormorò estraendo il cellulare.

 

Il mattino seguente, a metà della prima ora di lezione, qualcuno bussò alla porta dell’aula, all’ordine dell’insegnante la porta si aprì ed un ragazzo di circa vent’anni si affacciò all’interno.

- Anna Guerrini?- chiese scrutando i volti.

Tutti gli occhi della classe si puntarono su di lei e Anna alzò timidamente una mano. Individuatala il ragazzo si fece avanti e posò sul banco una rosa rossa a gambo lungo in confezione regalo porgendole poi un foglio.

- Mi mette una firma, per cortesia?-

Fissando il fiore come se fosse un pacco bomba la ragazza scarabocchiò qualcosa sul foglio che aveva davanti rendendolo al fiorista, perché di un fiorista si trattava: ora vedeva la scritta sulla maglietta, che con un saluto se ne andò.

Il silenzio nella classe era assordante, Vera dietro di lei le intimò sottovoce di leggere il biglietto per vedere chi le mandava la rosa. Con un cupo presagio in cuore la ragazza obbedì ed aprì la bustina:

Vieni a bere un caffè?

Rispondi al più presto

AJ

Seguiva un numero di cellulare.

Ormai cremisi per l’imbarazzo Anna mise via il biglietto infilandolo in tasca poi prese la rosa e la tolse dal banco posandola sul davanzale della finestra accanto a lei. Quindi alzò lo sguardo sull’insegnate che la osservava con interesse.

- Scusi, professoressa. E’ solo lo scherzo di un amico.-

Poco convinta la donna decise di non fare commenti e riprese la lezione. Anna non aveva il coraggio di guardarsi in giro, sapeva che la stavano ancora guardando tutti e sentiva gli occhi di Vera fissi sulla propria schiena.

Quando la lezione finì l’amica la costrinse a girarsi ma prima che potesse dire qualcosa il professore di Chimica entrò richiamando tutti all’ordine ed iniziò a spiegare. Neppure mezz’ora dopo qualcuno bussò nuovamente alla porta. Con un senso di orrore Anna si vide recapitare altri fiori: un piccolo bouquet di roselline bianche accompagnate dal sorriso curioso del fiorista, lo stesso di prima, e da un altro biglietto:

Se il caffè non ti va

possiamo cenare.

Rispondimi

AJ

Seguiva sempre il numero di cellulare.

Alla fine della mattinata alla rosa ed al bouquet si erano aggiunti un mazzo di fresie ed una deliziosa composizione di gerbere. Anna desiderava morire. Non aveva risposto a nessuna delle domande dei suoi compagni che, appena scattato l’intervallo per il pranzo, l’avevano subissata. Si era limitata alla scusa dello scherzo ma nessuno le credeva.

Vera meno degli altri. Si era venuta a sedere accanto a lei ed aveva iniziato a fissarla con un sopracciglio alzato finchè Anna le aveva passato il primo bigliettino. Leggendo la firma Vera aveva sorriso prima di riconsegnarle il foglietto.

- Hai fatto colpo, tesoro.- le disse sottovoce.

- Se non la smette morirò di vergogna prima di sera.-

- Ti ha lasciato il suo numero: chiamalo e digli di smetterla.-

- Credi che lo farà?-

- No. Ma tu puoi sempre tentare.- concluse sorridendo.

Anna posò la fronte sul banco con un sospiro sconsolato. Avrebbe voluto dire all’amica chi si nascondeva dietro quelle iniziali ma era reticente per due motivi: non sapeva come Vera avrebbe preso il fatto che Aaron Jones le stava mandando dei fiori, e lui le aveva chiesto di non tradirlo. Salvo poi torturarla…

Prima che potesse prendere una decisione suonò la campanella e, preso il rotolo di disegni, seguì i suoi compagni nell’aula di figura.

Niente nudo dal vivo, quel giorno, il professor Storace aveva preparato una composizione di gessi riproducenti alcune delle statue più famose a partire dal David di Michelangelo e, atteso che tutti avessero preso posto ai cavalletti, diede il via alla lezione.

Si era ormai riseduto alla cattedra quando arrivò l’ennesimo presente: un mazzo di calle di tutte le varietà esistenti.

- Anna, potresti venire qui.- chiamò quando il fioraio gli ebbe riferito per chi erano.

Facendosi forza la ragazza raggiunse la cattedra e firmò la ricevuta del ragazzo che si ritirò. Il professore le fece cenno di sedersi su una delle sedie ai lati della cattedra poi, intimato agli altri di tornare ai propri disegni, concentrò l’attenzione sulla ragazza il cui colorito vermiglio rivaleggiava col rosso dei capelli.

Anna adorava il professor Storace. Aveva un grande affetto ed una grande stima di quell’uomo distinto che portava con grande carisma e fascino i suoi sessant’anni e che, ora, la stava osservando con un sorriso bonario ed un luccichio malizioso nello sguardo.

Così, pian piano, sottovoce, iniziò a raccontargli quello che era successo negli ultimi giorni a partire dal giorno in cui lei e Vera erano andate a vedere le riprese fino a quella imbarazzante mattina.

- E adesso non so cosa fare…- concluse.

- Perché non provi a chiamarlo e chiedergli di smetterla? Sempre se è questo che vuoi…-

- Secondo lei funzionerà?-

- Non lo so. E non puoi saperlo neppure tu, se non provi.- concluse mettendole in mano una carta telefonica.

Anna la fissò qualche istante poi, sollevati gli occhi fino ad incontrare quelli dell’uomo annuì lievemente.

Scese nell’atrio ma invece di dirigersi al telefono nell’area comune raggiunse quello vicino all’ufficio del Preside e, per questo, poco usato dagli studenti. Fissò l’apparecchio quindi, preso un bel respiro, compose il numero lasciando suonare. Aaron rispose al terzo squillo.

- Jones.- disse soltanto.

- Smettila.- disse lei a bassa voce – Lasciami stare!-

- Anna…-

- No!- lo interruppe – Non verrò a bere un caffè nè, tanto meno, a cena con te! Smettila!- riagganciò.

Fece due passi indietro e si sedette sulle sedie schierate lungo la parete di fronte al telefono. Rimase li qualche istante finchè i battiti del cuore non furono tornati normali poi ritornò in classe.

Dieci minuti dopo il fiorista le consegnò dodici rose a gambo lungo rosse come il sangue. Con un biglietto:

Ok, niente caffè e niente cena

Pranziamo insieme?

Indovina cosa succede se non

rispondi?

Sono testardo, dolcezza

AJ

Seguiva sempre lo stesso numero.

Nuovamente seduta accanto alla cattedra, senza una parola, Anna passò il biglietto al professore che, dopo averlo letto iniziò a sghignazzare. La ragazza lo guardò un po’ risentita ma poi si lasciò andare ad un lieve sorriso.

- Molto divertente.- commentò.

- Accetta.- le disse il professore.

- Come, scusi?- lo guardò allibita.

- Non la smetterà, quindi ti conviene accettare. Non il pranzo e certamente non la cena: prendici un caffè, alla peggio, se ti annoi o non ti piace la sua compagnia, te ne liberi dopo un quarto d’ora.-

- Già…- annuì – Ma se invece mi piace? Cosa faccio, professore? Finite le riprese lui tornerà in America ed io cosa faccio?-

- Vivi alla giornata, Anna. Il futuro è difficile da vedere…- concluse sorridendole.

Fissò a lungo il telefono prima di decidersi a sollevare nuovamente il ricevitore e comporre il numero.

- Ciao, Anna.- la salutò lui.

- Come sapevi che ero io? Non importa,- proseguì prima che le mancasse il coraggio – caffetteria del Palazzo Ducale tra un’ora e mezza. Se non sai dov’è chiedi al mio ex caro amico Giorgio: sono certa che saprà indicartela.-

- Non è colpa sua se sono testardo.- lo difese lui.

- No, hai ragione.- sorrise – E’ colpa tua…- riagganciò nuovamente.

 

Aaron fissò per un attimo il cellulare: era la seconda volta che gli attaccava il telefono in faccia. Sorrise, aveva accettato. Di malavoglia, odiandolo quasi, ma aveva accettato. Ora doveva solo fare in modo che non se ne pentisse.

 

Un’ora e dieci dopo, finita la scuola, con la benedizione del professor Storace, Anna si avviò al Palazzo Ducale dopo aver avvertito a casa che andava a prendere un caffè con le amiche. Vera l’aveva presa in giro dicendole che, per essere una che non diceva bugie, mentiva proprio bene. E lei si era sentita un verme.

Raggiunse la caffetteria e, sorpresa sorpresa, lui era già li. Lo raggiunse al piccolo tavolo d’angolo che aveva scelto: niente fiori, notò sollevata. Quasi a leggerle nel pensiero lui sorrise.

- Avevo deciso di portarti delle rose ma poi ho pensato che, con tutta probabilità, me le avresti tirate dietro.-

- E te lo saresti meritato.- rispose lei che non riuscì a non ricambiare il sorriso.

Una cameriera posò sul tavolo le loro ordinazioni e si allontanò. Anna guardò per qualche istante il suo cappuccino mescolando perché si sciogliesse lo zucchero.

- Dimmi, Aaron,- disse infine guardandolo – prendi sempre per stanchezza le ragazze che ti dicono di no?-

- A dire il vero, no. Fino ad oggi non avevo mai insistito. Probabilmente starai pensando che non ne abbia bisogno, che poche mi direbbero di no. Oggi come oggi potresti avere ragione ma, fino a una manciata di mesi fa, ero uno come tanti e più di una mi ha detto di no. Ho sempre rispettato la loro decisione.-

- Allora perché questa volta ti sei intestardito?- si incuriosì.

- Perché mi piaci.- rispose guardandola sorpreso.

Anna arrossì lievemente e tornò a concentrarsi sul cappuccino.

- E molto, anche.- aggiunse lui fissando a sua volta la propria tazza – Non chiedermi perché ma mi sei piaciuta da subito. Nonostante la giacca rosa…- concluse sorridendole.

Il pomeriggio trascorse tranquillo. Parlarono di vari argomenti poi lui le raccontò del proprio lavoro, della passione per la recitazione che lo accompagnava fin da quando era bambino. E dell’incredibile cambiamento che la sua vita aveva subito dall’uscita del suo primo film. Passarono un paio d’ore senza che se ne accorgessero, assorbiti dalla reciproca compagnia.

Fu il cellulare di Aaron a strapparli dalla tranquilla conversazione. Bastarono poche parole perché Anna comprendesse che si sarebbero salutati: lui aveva assicurato l’interlocutore che sarebbe arrivato in una decina di minuti. Si salutarono fuori dal locale ma prima di lasciarla andare lui le strappò la promessa che si sarebbero rivisti il giovedì per un altro caffè.

Tornando verso la stazione Anna si sentiva euforica e molto sciocca. Ciò che più l’aveva preoccupata si era concretizzato: Aaron le piaceva, molto. Per questo si sentiva una sciocca. Presto lo avrebbe rivisto e, questo, la rendeva euforica.

- Sei una pazza…- disse al proprio volto riflesso nel finestrino del treno.

Ma non riuscì a reprimere un sorriso.

 

Due settimane dopo, il Lunedì dell’Angelo, Anna si svegliò all’alba: ufficialmente aveva appuntamento con Vera per andare sul lago di Como per un pic-nic. La verità era che, oltre a Vera, ci sarebbero stati Giorgio ed Aaron. Si erano visti quasi tutti i pomeriggi, in quelle due settimane, a volte lei andava a vedere le riprese e poi andavano al ‘loro’ locale. Altre volte si incontravano direttamente nel Palazzo Ducale. Anna aveva ‘trascinato’ Aaron a vedere la mostra di pittura allestita nel piano nobile del Palazzo per farglielo visitare. Conosceva il palazzo quasi quanto casa propria e usando scale secondarie ed una porticina nascosta che raramente veniva chiusa gli aveva fatto vedere anche la Sala Grande quella in cui un tempo veniva amministrata la città.

La ragazza si riscosse notando che si stava facendo tardi e, presa la giacca ed il cestino con le provviste, uscì dal portone del palazzo proprio mentre arrivava la macchina dei ragazzi. O meglio le macchine: Aaron era alla guida di una Smart Roadster mentre Giorgio portava una Peugeot 206 Cabrio nera e rosso. Seduta accanto a lui Vera le fece un segno di saluto poi le indicò di salire sulla macchina di AJ. Aaron, occhiali scuri ed un’aria molto sexy, scese e sistemò il cestino nel bagagliaio poi tornò al posto di guida e partirono. Quando furono in autostrada Anna inforcò gli occhiali da sole e si lasciò andare contro il sedile gustandosi la gita. Il ragazzo guidava rilassato, con movimenti fluidi e sicuri, il vento che gli scompigliava i capelli castano ramati legati da un semplice laccio di cuoio.

Conversarono pigramente per tutto il viaggio finchè giunsero alla meta: il Lario comparve dinanzi a loro stretto tra le verdi colline. Il cielo limpido si rispecchiava sulle sue acque che sciabordavano placidamente contro le rive sabbiose. I ragazzi raggiunsero un prato che digradava dolcemente verso una piccola spiaggia e, stesi i teli, si lasciarono andare a terra assaporando l’aria già calda e l’atmosfera incantata del luogo.

Le ore passavano tranquille tra chiacchiere e risate. Dopo pranzo decisero di fare una passeggiata sul lungo lago e si avviarono a passo tranquillo. Chissà come, dopo poco, le due coppie si separarono ed Aaron ed Anna si trovarono a camminare da soli. Per lui fu naturale come respirare passare un braccio dietro le spalle della ragazza per tenersela un po’ più vicino e lei, dopo pochi passi, si trovò a sua volta a cingergli il fianco.

Tornarono alla macchina ore dopo per scoprire che la Peugeot non c’era più. Sul parabrezza della Roadster stava un biglietto nella grafia di Vera:

Noi andiamo, ci sentiamo

domani. Ciao

Vera

C’era anche l’ora in cui l’aveva scritto: poco più di mezz’ora prima. Si scambiarono uno sguardo sorpreso per quella partenza: in fondo Aaron aveva dietro il cellulare, se gli altri due volevano ripartire avrebbero potuto chiamarli. Poi però Anna intravvide un luccichio malizioso negli occhi del ragazzo ed alzò lo sguardo al cielo: ovviamente Giorgio non li avrebbe chiamati a meno di un’emergenza. Sorrise: in fondo lui e Vera desideravano stare da soli almeno quanto lo desideravano lei ed Aaron…

 

Il giovedì ricominciò la scuola e tutto tornò alla normalità. O quasi: vinta dall’ineluttabilità di quanto le stava accadendo Anna aveva ammesso con se stessa di essersi innamorata di Aaron e aveva smesso di fingere di farsi pregare per ogni uscita. Tanto più che ora che Vera e Giorgio facevano ufficialmente coppia sarebbe stato impossibile per lei evitare l’americano anche volendo. Ed Anna non voleva.

Dal canto suo Aaron era assolutamente pazzo di quella ragazza dagli occhi verdi. E non sapeva cosa fare: lei si era molto ammorbidita e ormai si poteva dire che stavano insieme ma, in fondo ai suoi occhi, il ragazzo leggeva la consapevolezza. Anna sapeva di non potersi aspettare molto da quel legame anche troppo fragile. Un legame a tempo determinato… Le riprese sarebbero durate ancora qualche settimana ma, per la fine di Maggio, lui sarebbe dovuto tornare a Los Angeles: il resto del lavoro si sarebbe svolto nei teatri degli Studios. E lui non avrebbe voluto lasciarla.

Gli stessi pensieri affollavano spesso la mente della ragazza. Vera, cui durante il pic-nic di Pasquetta avevano rivelato l’identità di Aaron e lei si era sentita molto sciocca per non averlo riconosciuto, era consapevole della tristezza dell’amica. Anche lei, però, non era molto allegra poiché con la partenza della troupe americana Giorgio sarebbe tornato a Roma. Certo, Roma non era distante quanto Los Angeles e lei e Giò si sarebbero rivisti il più spesso possibile. Anna invece non aveva neppure quella possibilità.

 

E il momento tanto temuto arrivò. L’ultimo giorno di permanenza di Aaron in Italia lui ed Anna lo passarono insieme passeggiando per la città. Al pomeriggio si rifugiarono nell’Acquario che, essendo giorno feriale, era semideserto. Camminarono lentamente tra le vasche osservando le evoluzioni dei pesci, immersi nel silenzio quasi assoluto degli ampi corridoi. Giocarono per un po’ con le Razze nella vasca tattile ridendo del modo in cui si lasciavano fare il solletico sull’addome per poi ricambiare con maestose piroette nell’acqua bassa. Si soffermarono poi in una sala in penombra in cui alti cilindri di vetro contenevano interi branchi di piccoli pesci multicolore. Li, appoggiata con la schiena ad uno dei cilindri, Anna ascoltò il ragazzo raccontarle a bassa voce del Sea World di San Diego e delle acrobazie dei delfini e delle orche. Poi, senza un motivo, Aaron si zittì e rimase a guardarla, in silenzio. Imprimendosela nella memoria così come appariva in quel momento: i capelli ricci che sembravano muoversi ad una brezza inesistente, gli occhi verdi e limpidi, circondata dalla luce emanata dal cilindro alle sue spalle in cui i pesci colorati sembravano danzarle intorno. Quasi che lei fosse una ninfa dei mari. Si avvicinò continuando a guardarla e, chinato il capo, la baciò con tutto l’amore e la tenerezza che provava per lei. Perché l’amava, di questo era consapevole, e l’avrebbe voluta nella sua vita. Anna si lasciò abbracciare e rispose al bacio lasciando che, almeno per quell’istante, la consapevolezza dell’imminente addio svanisse, cancellata da ciò che lui le suscitava nel più profondo.

Quella sera, alle dieci, lei, Giorgio e Vera lo accompagnarono all’aeroporto di Genova: avrebbe preso un volo per Malpensa da dove sarebbe partito per l’America. I due si separarono dall’altra coppia e rimasero soli per qualche minuto prima dell’imbarco. Si guardarono senza parlare: non c’era nulla che potessero dire, ormai. Lui doveva partire, lo sapevano entrambi, e lei non lo avrebbe trattenuto. Sapevano anche questo. Alla fine, quando gli altoparlanti chiamarono i passeggeri per il volo diretto a Malpensa, Anna lo guardò.

- Grazie…- gli disse.

- Di cosa?-

- Di tutto. Dei fiori, per cominciare.- sorrise – Mi sono resa conto di non averti mai ringraziato per quei fiori: erano bellissimi.-

- E tu li hai detestati dal primo all’ultimo.- rispose lui ricambiando il sorriso.

- Sì, ma mi sono anche piaciuti. E grazie per la tua insistenza.-

- Hai detestato anche quella.-

- Ma mi ha permesso di conoscerti. Di conoscerti veramente, e questo è un dono di cui voglio dirti grazie…-

- No, Anna. Tu sei stata il dono, un dono prezioso che probabilmente non merito ma al quale è così difficile…-

Gli posò due dita sulle labbra per impedirgli di finire la frase mentre una lacrima le rigava la guancia. Aaron gliela asciugò con una lieve carezza prima di baciarla e stringerla per un istante. Si guardarono ancora un attimo, occhi negli occhi. Poi lui raccolse il borsone e, fatto un cenno di commiato agli altri due amici poco distanti, superò il cancello d’imbarco senza più voltarsi. Sapeva che lei stava piangendo e non voleva che vedesse le lacrime anche nei suoi occhi.

Anna raggiunse di corsa la terrazza panoramica e si fermò ad osservare il decollo dell’aereo di Aaron: su quell’aereo stava andandosene il suo cuore. Rimase lassù finchè le luci dell’apparecchio non scomparvero inghiottite dall’oscurità allora tornò in sala d’aspetto e si sedette su una poltroncina ad aspettare che i singhiozzi si calmassero. Giorgio le andò vicino abbracciandola, cullandola nella speranza di alleviare il suo dolore e si maledì silenziosamente per aver lasciato che accadesse. Fin dal primo istante si era accorto che quei due erano fatti l’uno per l’altra. E fin dal primo istante aveva saputo che non sarebbero potuti stare insieme…

 

Tornare alla vita di tutti i giorni aiutò Anna a non pensare. Quando la malinconia si faceva troppo pesante si buttava a capofitto nello studio preparandosi per l’esame di maturità. Annullando nello studio ogni altro pensiero cercava di convincersi che, col tempo, sarebbe andata meglio…

Il venti di Giugno iniziarono gli esami. I quattro giorni degli scritti passarono tranquilli per la ragazza: sia il tema di letteratura che quello di architettura le piacquero, ispirandola. Le ultime ore della prova di architettura le passò con i colori in mano, abbellendo le tavole coperte dalle precise linee del progetto, dando sfogo alla sua vena creativa impreziosendo piante, prospetti e particolari degli interni che aveva estrapolato dalla schematicità del disegno architettonico.

Consegnò per prima, come era già successo per il tema di letteratura. Non avrebbe saputo i risultati degli scritti fino agli orali ma la cosa non la preoccupava: aveva dato il meglio ed era abbastanza tranquilla. Si sedette fuori su una ringhiera all’ombra di un albero carico di piccoli fiori bianchi e profumatissimi ad aspettare che anche Vera concludesse la prova: l’aveva guardata prima di uscire e l’amica le aveva fatto un cenno per indicarle che aveva quasi finito. Meno di un quarto d’ora dopo, infatti, la vide uscire e si diressero verso la stazione: avevano deciso di andare a Sestri Ponente, nella via del passeggio e di concedersi un gelato da Aldo, il loro locale preferito, per festeggiare la fine degli scritti: avevano due settimane prima della prova orale.

Due settimane che parvero volare. La mattina del suo turno Anna si alzò carica di energie, una serenità che non provava da tanto, da quando Aaron era partito, le albergava nel cuore insieme alla sensazione che qualcosa di positivo stesse per avvenire. Ventiquattr’ore prima le avevano cambiato una delle materie, ma non aveva importanza: era pronta. Sorrise alla propria immagine nello specchio e salì in macchina. Passò a prendere Vera e raggiunsero la scuola con sufficiente anticipo da fare le cose con calma.

Quando il professor Storace, che era il membro interno della sua sezione, la chiamò per l’esame si sedette davanti alla commissione che, dopo alcuni brevissimi convenevoli, la sottopose ad un fuoco di fila di domande. Anna rispose con voce chiara e pacata sfoderando tutta la padronanza delle materie che possedeva e, alla fine, gli esaminatori le fecero i complimenti sia per quella prova che per quelle scritte nelle quali, le dissero, aveva ottenuto due 9 pieni. Soddisfatta e sollevata si lasciò abbracciare da Vera, che aveva sostenuto l’esame due giorni prima con successo, poi strinse grata la mano al professor Storace che, in quegli anni, l’aveva tanto aiutata a crescere e senza il quale non avrebbe forse mai trovato il coraggio di vivere il periodo più prezioso della sua vita.

Chiacchierando con la sua migliore amica si avviò al piano terra. Erano ormai sugli ultimi scalini quando la sensazione di essere osservata le fece voltare lo sguardo fino ad incrociare un paio d’occhi blu cobalto. Il cuore le si fermò in petto: Aaron era li, davanti a lei. Senza neppure accorgersi di essersi mossa si ritrovò tra le sue braccia, stretta al suo petto ridendo felice e, allo stesso tempo, piangendo come una bambina. Lui la tenne stretta per qualche istante poi fece un passo indietro per guardarla negli occhi.

- Sposami.- le disse.

- Cosa?!- si sorprese lei.

- Sposami. Magari non subito, se non vuoi. Tra un mese, un anno, non ha importanza. Ma sposami. Ti amo, Anna. Ti prego, dimmi che mi sposerai.- concluse con una luce implorante negli occhi.

Anna sorrise, un sorriso luminoso che da solo valeva più di molte parole e lo abbracciò sussurrando un sì che veniva dal profondo del suo cuore.

Sapeva che non sarebbe stato facile, che si sarebbe dovuta trasferire al di la dell’oceano ma avrebbe trovato la forza, il coraggio per farlo. Finchè Aaron l’avesse guardata con quella calda luce d’amore in quegli incredibili occhi blu avrebbe trovato il coraggio per affrontare qualunque cosa…

 

 

Aaron Jones, ventiseienne sex symbol consacrato nuova icona del cinema dopo l’uscita del suo secondo film, presentò al mondo la fidanzata il Febbraio seguente alla vigilia della Notte degli Oscar durante la quale, per inciso, ottenne la sua seconda statuetta: quella come miglior attore protagonista.

 

Qual era il titolo del film?

 

Sotto i cieli della Superba




Nota dell'autrice
Per chi non fosse pratico della storia italiana (ho amici
stranieri che leggono in italiano, parto quindi dal presupposto
che anche qui ci possano essere utenti stranieri) "La Superba"
è il nome con cui era indicata la città di Genova ai tempi delle
Repubbliche Marinare. Laddove Venezia era "La Serenissima"
Pisa "La Bianca" e Amalfi "La Bella".
Spero il racconto vi sia piacuto!
Come sempre i vostri commenti sono benvenuti.
Grazie!

 

  
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