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Autore: AlbaD___    30/10/2016    0 recensioni
Dan Scott, avvenente uomo di successo e sindaco della città di Tree Hill, si è a lungo servito del glorioso passato sportivo e della posizione di prestigio assunta, per offuscare le sue più grandi frustrazioni.
Il desiderio di fama tanto agognato l’ha però condotto alla perdita della propria famiglia e al compimento di un violento crimine.
Rinchiuso nel carcere della contea, dopo essersi costituito per l’omicidio ai danni del fratello Keith, attraverso le cinque fasi del lutto ripercorre i principali avvenimenti che dall’adolescenza lo hanno condotto all’età adulta, condizionando irrimediabilmente i suoi rapporti personali e il prosieguo stesso della sua vita.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dan Scott, Deb Scott, Karen Roe, Keith Scott
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PARTE I
NEGAZIONE


1. SALTO NEL PASSATO



Come ogni mattina mi voltai dalla parte opposta del letto, per far cessare il tintinnio della sveglia delle 6:30. Dopo essermi rialzato, afferrai la tuta che sbucava da un cassetto lasciato aperto, la infilai prima di scendere al piano inferiore e, quando raccolsi una bibita energizzante, strizzai gli occhi alla vista della luce proveniente dal frigorifero. Una volta uscito di casa mi apprestai a percorrere le strade di Tree Hill, dando inizio alla mia routine giornaliera. Il riuscir ad osservare il repentino cambio di sfumature nel cielo contribuì a suscitarmi una sensazione di calma, seppur momentanea e apparente. Amavo cominciare presto la giornata e attraversare la città non più addormentata ma neanche sveglia al punto da essere immersa nella sua frenesia. Con le strade deserte riuscivo a percepire gli odori degli alberi e quelli più invitanti provenienti dai locali appena aperti, in cui veniva preparata la colazione. Persino la scuola sembrava un luogo più accogliente, priva della solita ressa che si formava ogni giorno davanti al suo ingresso. Percorso più di un miglio, mi ritrovai davanti la piccola abitazione di un verde stinto appartenente ai genitori di Karen, la mia fidanzata. Abbozzai un sorriso alla vista dell’eccentrica cassetta delle lettere a forma di gallo e osservai la staccionata bianca che recintava il giardino trascurato, ricordando di come una volta fosse colmo di rigogliosi cespugli di rose. La famiglia Roe aveva sempre abitato lì, la casa era appartenuta in precedenza al nonno di Karen ma in seguito alla sua morte era passata in eredità al suo unico figlio. Anche Karen era figlia unica e viveva sola da quando i genitori avevano abbandonato Tree Hill per impegni di lavoro. Era appena cominciato l’ultimo anno scolastico quando il signor Roe, dopo il fallimento e la successiva chiusura della fabbrica in cui lavorava come operaio, aveva ricevuto un'offerta da un'impresa avente sede in Europa. Abbandonare la scuola durante l’anno del diploma avrebbe potuto rappresentare un rischio, per questo motivo Karen aveva scelto di terminare gli studi e attendere la consegna dei diplomi, prima di raggiungere i genitori. In cuor mio ero ben consapevole di essere la principale causa della sua decisione, prima ancora della scuola. Per evitare che restasse spesso sola, un paio di volte la settimana mia madre andava a farle visita, per accertarsi fosse tutto a posto, mentre io trascorrevo la maggior parte delle giornate a casa con lei per tenerle compagnia, talvolta protraendo la mia presenza per tutta la notte.
Essendo uno studente all’ultimo anno, ormai quasi al termine, non era difficile riuscire a provare una sensazione di libertà, di avere ancora tutta la vita davanti, per crescere, sbagliare, rimediare. Se a tutto ciò si aggiungeva l’essere il ragazzo più popolare della scuola, capitano della squadra di basket, nonché fidanzato della capo cheerleader, ad essa era possibile affiancare una sensazione paragonabile all'invulnerabilità. Con l’avvicinarsi della finale del campionato di Stato, però, non mi sentivo affatto libero e la mia passione per il basket si era trasformata in vera e propria ossessione. Le pressioni cui ero stato soggetto negli ultimi anni, in quei giorni avevano raggiunto livelli altissimi e non facevano altro che aumentare il mio senso di oppressione. Contrariamente alla sera della finale, l'offerta di una borsa di studio da parte di un college diventava sempre più lontana. Non ero mai stato particolarmente attratto dalla scuola, rispetto al poter giocare a basket qualunque lezione mi sembrava noiosa. Riuscivo a prestare attenzione soltanto durante le ore di matematica, invece in quelle di storia e letteratura la mia concentrazione si azzerava completamente. Ecco perché l’unico modo per frequentare il college e continuare a giocare era riuscire ad ottenere una borsa di studio, altrimenti oltre alla mia carriera scolastica avrei potuto dire addio anche a quella sportiva. Dovendo poi continuare a guadagnare la stima di mio padre, avrei dovuto inevitabilmente vincere, perché tutto ciò che mi rendeva migliore ai suoi occhi era proprio la possibilità di riuscire a diventare un campione. Dai suoi racconti orgogliosi sapevo di aver cominciato a giocare a basket all’età di tre anni, nel campetto dietro casa, facendo rimbalzare una piccola palla o mettendo a segno canestri con dei calzini appallottolati. Due anni più tardi ero già nella Tree Hill Junior League in cui mi venne assegnata la maglia con su scritto trentatré, come il numero della mia registrazione. Tredici anni più tardi continuavo ad indossare quello stesso numero, mostrandolo con orgoglio durante ogni gara dei Ravens, la squadra della mia scuola.



Tornato a casa salii nella mia camera per fare una doccia e sistemare il borsone da palestra, nel quale infilai le scarpe e la divisa bianca con strisce laterali blu e nere.
– Buongiorno, Danny. – mi salutò mia madre, vedendomi entrare in cucina per la colazione.
Nonostante il mio nome completo fosse Daniel Robert Scott, era solita usare un diminutivo, in senso affettuoso. A differenza di mio padre, aveva un carattere calmo, paziente, rappresentava l'ago della bilancia della nostra famiglia, era lei a ristabilire l'equilibrio nei momenti di maggior tensione. Dopo più di vent'anni di matrimonio, non era mai riuscita ad opporsi al volere di mio padre ma nonostante ciò, in situazioni complicate, riusciva a renderlo maggiormente ragionevole. A guardarla, era difficile dedurre fosse mia madre, essendo di statura media con capelli biondi e occhi color ghiaccio rappresentava il mio opposto. Era un'ottima cuoca e difficilmente riuscivo a ricordarla in un ambiente differente da quello della cucina, in cui trascorreva gran parte del suo tempo destreggiandosi tra i fornelli, desiderosa di sperimentare nuove ricette.
– Buongiorno. – le risposi, scostando una sedia dal tavolo per potermi sedere.
– Sei stanco dopo la corsa? – mi domandò, intenta a preparare l’impasto dei pancake.
– No, in realtà mi sento in forma. – ribattei, afferrando dal centro della tavola una brocca con del succo d'arancia per versarmene un po' in un bicchiere – Sono passato davanti casa dei Roe, il giardino avrebbe bisogno di un tuo intervento. – aggiunsi dopo essermene ricordato.
– Ci penserò al più presto, non preoccuparti. – mi rassicurò, abbozzando un sorriso.
Da quando i genitori di Karen avevano lasciato la città era molto premurosa nei suoi confronti e cercava di darle una mano con le faccende domestiche, sapendo quanto fosse impegnata, non solo con la scuola ma anche con il lavoro.
– Come mai sei ancora qui? – intervenne mio padre entrando in cucina, ripiegando il giornale locale e poggiandolo sul tavolo.
– Whitey ha annullato gli allenamenti mattutini per lasciarci più tempo per prepararci agli esami di fine anno. – risposi con tono annoiato – Te l’avevo detto. – gli ricordai, voltandomi verso di lui con sguardo ammonitorio.
– Credevo scherzassi – replicò per poi occupare il posto sulla sedia accanto alla mia – Dato che ritengo sia assurdo. – affermò, scuotendo la testa.
– È assurdo che per una volta pensino più allo studio che al basket? – domandò mia madre, provando a prendere parte alla discussione.
– Senza basket non potrà ricevere la borsa di studio e senza borsa di studio può anche dimenticarsi di andare al college. – ribatté seccamente rivolgendosi a mia madre ma continuando a tenere lo sguardo fisso su di me.
– Non tutti hanno questa fortuna e per andare al college possono contare solo sullo studio. – aggiunse mio fratello Keith, una volta aver raggiunto il resto della famiglia e preso posto anche lui attorno al tavolo.
Forse neanche io avrei avuto quella fortuna, la borsa di studio, stranamente, tardava ad arrivare e temevo di potermi giocare tutto nella finale del campionato.
– Basta parlare di basket. – intervenne mia madre, servendo in tavola i pancake e invitandoci a mangiarli.


Terminata la colazione, mio padre uscì per recarsi nell’ufficio del sindaco poiché dal giorno della sua elezione era il suo assistente, mentre mio fratello raggiunse il body shop, l’officina della città in cui lavorava da un paio d’anni, da quando terminata la scuola aveva preferito trovare un impiego piuttosto che continuare gli studi.
Prima di andare a lezione salutai mia madre, ritornai a compiere lo stesso tragitto fatto poco prima di corsa e a metà strada passai per il Tree Hill Cafè, il locale in cui lavorava Karen.
– Lo so, sono in ritardo – mi disse frettolosamente, mentre sfilava da un lato all’altro del bancone.
– Buongiorno – dissi, afferrandola per darle un bacio sulle labbra – Ti manca ancora molto? – domandai, sedendomi sull’unico sgabello libero.
– Consegno questi ordini e arrivo. – m’informò, strappando alcuni fogli da un block notes, prima di sparire in cucina.
Per i dieci minuti successivi osservai l’orologio, posto sulla parete di fronte al bancone, muovere ritmicamente le sue lancette. Il tempo scorreva, eravamo sempre più vicini all’inizio delle lezioni ma Karen tardava a ritornare.
– Eccomi. – esclamò, sbucando improvvisamente alle mie spalle, reggendo lo zaino che poi infilò a tracolla.
– Tutto bene? – domandai, preoccupato per quel ritardo e per la sua espressione.
– Non… – provò a dire, abbassando lo sguardo – Non mi sentivo molto bene. – riuscì poi a terminare – Ma non preoccuparti, ora sto meglio. – mi rassicurò, afferrandomi per un braccio mentre ci incamminavamo verso l'uscita.
Non essendo molto lontana dal locale, arrivammo a scuola giusto in tempo per l’inizio delle lezioni. A metà del corridoio salutai Karen, occupata a raccogliere alcuni libri dal suo armadietto, e mi diressi verso l’aula in cui si teneva il corso di letteratura. Solo una volta in classe, cercandolo inutilmente all’interno dello zaino, mi resi conto di aver dimenticato ancora una volta il libro sul quale stavamo lavorando, ‘Il grande Gatsby’. Dopo essermi voltato attorno, nonostante non riuscissi a controllare fino alla prima fila, dovetti constatare fossi l’unico a non averlo, perché i secchioni di certo non potevano aver avuto una tale distrazione.
– Scott! – sentii nominare inaspettatamente alcuni minuti dopo l’inizio della lezione.
Essendo una voce maschile, di certo non poteva trattarsi della signora Meyer, l'insegnante di letteratura, e quando sollevai lo sguardo mi accorsi di uno studente che sbucava dalla porta.
– Coach Whitey vuole parlarti. – aggiunse, guardando dritto verso di me.
Il mio ruolo in squadra e le mie prestazioni durante ogni match avevano contribuito a rendermi popolare all’interno della scuola. Fu questo il motivo per cui quel ragazzino paffutello, con le guance punteggiate da piccole lentiggini, era stato in grado di riconoscermi, sebbene fosse solo al primo anno e non avessi mai avuto occasione di parlare con lui.
– È proprio necessario? – domandò la signora Meyer, annoiata per quell'interruzione.
– Ha detto che è urgente. – aggiunse la matricola, utilizzata da Whitey come tramite.
Il ragazzo tornò nella sua aula, mentre io percorsi il corridoio fino all’ufficio di Whitey, l'allenatore della squadra.
– Coach, devo ringraziarla – esclamai, dopo aver aperto la porta – Mi ha salvato da una noiosissima lezione di letteratura. – gli spiegai, sedendomi sulla sedia accanto alla sua scrivania.
– L’anno prossimo non sarò più in grado di farlo – disse, placando il mio entusiasmo – E ragazzo mio, farai meglio ad impegnarti duramente in ogni materia – aggiunse con tono paterno.
Lo scrutai cercando di capire il motivo di quelle affermazioni, senza riuscirci.
– Questa è per te – mi comunicò, poggiando sulla scrivania una grossa busta di un giallo spento – È da parte dell’UNC. – aggiunse, picchiettando con un dito sull’intestazione, per mostrarmela.
Afferrai la busta e cominciai ad aprirla con la mia solita impulsività, senza neanche fermarmi un attimo a riflettere sul suo possibile contenuto. Estrassi il foglio che era al suo interno, lo spiegai e iniziai a leggere mentalmente, spostando rapidamente gli occhi da una riga all’altra.
– Hanno accettato la mia richiesta per una borsa di studio – esclamai a gran voce, informando Whitey, riassumendogli il contenuto di ciò che avevo appena letto – Il prossimo anno giocherò con i Tar Heels. – dissi, quasi non credendo alle mie orecchie.
– Sapevo ce l’avresti fatta. – ammise, mentre un sorriso soddisfatto comparve sul suo volto.
Quello tra me e Whitey era un rapporto molto particolare, a seconda del nostro stato d’animo oscillava tra ammirazione e avversione. Sapevo riponesse gran parte della sua fiducia in me, soprattutto in previsione della finale, e che mi stimasse come atleta piuttosto che come uomo. Eravamo entrambi testardi, ci scontravamo spesso, specialmente durante gli allenamenti, a causa dei nostri differenti punti di vista sulle tattiche da adottare durante le gare, ma nonostante ciò riuscivamo sempre a giungere ad un compromesso.
– Mi hanno anche offerto di partecipare ad un camp estivo, subito dopo la fine della scuola – ripresi, proseguendo nella lettura – Per prepararmi meglio all’inizio del campionato. – aggiunsi.
– Sono davvero contento per te, figliolo – affermò, rialzandosi per poi colpirmi con una pacca sulla spalla in senso affettuoso – Cerca soltanto di non perdere di vista la… – provò a dire, riferendosi alla finale del campionato.
– Non lo farò. – lo anticipai scuotendo la testa.
In seguito alla notizia appena ricevuta ero più motivato che mai.
– In realtà ci sarebbe dell’altro – mi disse, facendosi serio – È stato tuo padre a consegnarmi la busta – continuò, dopo un attimo di esitazione, riprendendo il suo posto sulla sedia – Non voleva la trovassi prima di giovedì sera. – confessò, riabbassando lo sguardo, dispiaciuto per aver smorzato il mio entusiasmo con quella rivelazione.
– Perché avrebbe dovuto farlo? – domandai, non riuscendo a comprendere quel gesto.
– Forse temeva potessi distogliere la tua attenzione da uno degli obiettivi più importanti degli ultimi quattro anni – provò a dedurre, sollevando le spalle – Al contrario, credevo potesse servirti da stimolo per dare il massimo. – affermò, sperando di non sbagliarsi.
– Perché lei, a differenza di mio padre, ha fiducia in me – ribattei, convinto di ciò che avevo appena detto – Avrei dovuto aspettarmelo da lui. – proseguii con rabbia, stringendo i pugni.
– Ora faresti meglio a ritornare in classe – mi consigliò Whitey – Non vorrei suscitare dell’ulteriore astio nei miei confronti, da parte degli altri insegnanti – continuò ridacchiando – Visti i preparativi per il ballo, gli allenamenti sono anticipati di due ore. – aggiunse, rammentandomi di quel cambiamento.
– Sarò puntualissimo. – replicai, stringendogli la mano e ringraziandolo, dandogli appuntamento al termine delle lezioni.
All’uscita dell’ufficio, fui sorpreso nel ritrovare Karen davanti alla porta del bagno delle ragazze.
– Karen? – la chiamai, affinché si voltasse verso di me – Che cosa succede? – domandai, preoccupato per la sua espressione malaticcia.
– Continuo a non sentirmi molto bene. – rispose, stringendosi l’addome con un braccio.
– Forse faresti meglio a ritornare a casa – le suggerii – Vuoi che ti accompagni? – le proposi, cingendole le spalle per sorreggerla.
– Devo aiutare le ragazze con l’allestimento della palestra – rispose immediatamente, senza lasciarmi il tempo di insistere – Non preoccuparti, starò meglio. – provò a rassicurarmi nuovamente, accennando un sorriso, determinata a non mancare a quell’appuntamento – Come mai non sei in classe? – mi domandò dopo qualche istante, deviando il mio discorso.
– Whitey aveva bisogno di parlarmi – la informai, senza rivelarle troppi particolari – Ti dirò tutto stasera al ballo – continuai, suscitandole della curiosità – Passo a prenderti alle sette. – affermai, scoccandole un bacio su una guancia.
Prima di fare il mio ritorno in classe, le presi il volto tra le mie mani e la guardai dritto negli occhi, per assicurarmi ancora una volta che stesse bene e si trattasse soltanto di un malessere provvisorio. Ingannato dal suo sorriso rassicurante ed esaltato per la notizia di aver ottenuto la borsa di studio, mi convinsi che non ci fosse alcun problema.
Non ero neanche minimamente vicino a sospettare ciò cui stavo andando incontro.

Si dice che la cosa più triste
che un uomo debba mai affrontare
sia ciò che avrebbe potuto essere.
Ma se l’uomo dovesse affrontare ciò che era?
O quello che forse non sarà mai?
[Dan Scott 5x14]
   
 
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