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Autore: tyelemmaiwe    31/10/2016    2 recensioni
La Quarta Era è ormai iniziata, e finalmente anche Celeborn è pronto a fare vela per le splendide sponde di Aman.
Peccato che la Terra Beata non sia proprio beata come se l’aspettava.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Celeborn, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Beata ignoranza

Appena la nave iniziò a rallentare, Celeborn fissò lo sguardo sull’orizzonte.

Per quanto si fosse imposto di affrontare il momento con tutta la dignità che ci si aspettava dal nipote di Elu Thingol e marito della potente dama Galadriel, sentiva comunque la trepidazione farsi rapidamente strada.

Stava per raggiungere la Terra Benedetta, la patria tanto sospirata dal suo prozio Thingol, la terra incantata e incantevole che la sua dama diceva di sognare ogni notte e in cui era tornata appena ne aveva avuta l’occasione, facendo le valigie con tanta rapidità da far pensare a Celeborn che le avesse già preparate in anticipo, forse da sempre… Ma no, era un pensiero sciocco. La sua cara sposa che lo amava, che lui tanto amava, che aveva creato una terra meravigliosa per portare un po’ di serenità anche nella travagliata Ennor, non poteva aver vissuto ogni momento col pensiero fisso al giorno della partenza. La nostalgia di cui tanto parlava era solo la normale nostalgia che tutti loro provavano, la tipica voglia di tornare a casa. La sentiva anche lui, in fondo…

Fu distolto dai suoi pensieri da un cambiamento di rotta: sì, stavano per approdare! Avrebbe finalmente visto i boschi sterminati vecchi come Arda stessa, gli immensi campi di grano più dorato di Anor, la gloriosa città delle Potenze, le meraviglie più straordinarie create dal suo popolo. I prati più verdi, le acque più limpide, le fontane più alte mai esistite. Tutto questo e anche di più.

“Siete pronto, sire?” la voce era di un’Elfa, ed era squillante e stranamente sbrigativa.

Celeborn si guardò intorno: a pochi passi da lui c’era una giovane Elfa dai capelli castani raccolti in una lunga e pratica treccia, il vestito color glicine che svolazzava agitato dalla brezza marina. Quando era salita a bordo? Non ricordava di averla mai vista sulla nave. La fanciulla lo guardava attenta, ma solo con un occhio: sembrava pronta a saltare giù dalla nave.

“Come, prego?”, chiese, educatamente.

“Io sono Gladiel, la vostra guida”, si presentò lei, girandosi del tutto verso di lui e rivolgendogli un breve inchino. “Mi è stato chiesto di accompagnarvi nel vostro primo giro della Terra di Aman, signore. È un omaggio che rivolgiamo a tutti coloro che non sono mai stati qui, perché non si sentano troppo spaesati, sapete com’è… Se siete pronto, cominceremo subito. Ci sono tante cose da vedere anche prima di toccare terra.”

La fanciulla aveva snocciolato il tutto con voce chiara e precisa, senza pause troppo lunghe, come un araldo esperto. Perplesso, Celeborn restò in silenzio. A cosa gli serviva una guida? Quasi tutta la sua famiglia si trovava lì, gli sarebbe bastato chiedere per apprendere tutto ciò che gli occorreva sapere, e anche di più.

“Io non credo di averne bisogno, fanciulla, ma grazie de…”

“È un omaggio per tutti, non vorrete certo restarne privo!” Trillò lei, vivace. “Iniziamo subito, questo vi toglierà dall’imbarazzo.”

Prima che Celeborn potesse fare anche solo un cenno per fermarla, la giovane si spostò, toccandogli il braccio mentre passava.

“Guardate da questa parte: quelle sono le Isole Incantate. Ora non funzionano più, naturalmente, non sono più necessarie. Vennero poste a difesa di questa terra nel primo anno del sole per tenere lontani tutti coloro che tentavano di avvicinarsi ad Aman. Non vennero meno al loro compito finché il Padre di Tutto non ci portò qui, nell’anno tremilatrecentodiciannove della seconda era degli Anni del Sole.”

Celeborn si guardò intorno: i pochi Elfi dell’equipaggio della sua nave, alcuni degli ultimi a lasciare la Terra di Mezzo, ascoltavano rapiti la fanciulla, enormemente interessati a ciò che diceva, e alcuni erano già andati con lei al parapetto di fronte, gli occhi puntati verso le isolette apparentemente innocue che si stavano avvicinando. Non ancora rassegnato, Celeborn finse di guardare le isole. Avrebbe assecondato quella giovinetta per un po’, sperando che si stancasse, e a terra avrebbe fatto chiamare la sua sposa e chiarito l’equivoco. Forse lo avevano scambiato per un signorotto qualunque, per un membro dell’equipaggio magari, o per uno degli Abari, per cui quelle spiegazioni sarebbero state sicuramente indispensabili per vivere lì.

Una leggera nebbiolina li avvolse, stranamente fastidiosa, soffocante.

“Un tempo questa nebbia era molto più fitta, tanto da costringere i poveri marinai a scendere sulle isole per sfuggire al mare” continuò la giovane. “I Fumellar che sono stati piantati sulle isole subito dopo la loro creazione hanno conservato il loro potere, e sono ancora pericolosi.”

Celeborn degnò appena di un’occhiata gli alti fiori rossi: erano inequivocabilmente i fiori di Lorien, di cui aveva saputo dalla regina Melian in persona. Non aveva bisogno di vederne altri.

“Erano loro a far sprofondare le vittime in un sonno infinito. Hanno continuato a prosperare attorno ai corpi, tenendoli bloccati nel loro sonno.” Proseguì Gladiel.

Corpi? Quali corpi? Celeborn era sicuro che a parte qualche decina di esuli Noldor, nessun altro avesse mai avvicinato quelle isole. Quale altro Elfo sarebbe stato così sciocco da…

“Si dice che le vittime siano molte centinaia, Uomini ed Elfi che nel corso degli anni sono finiti intrappolati nelle reti delle Isole Incantate a volte per caso, o per un errore di rotta. Di recente si è cercato di tutelare in parte i corpi, ma molti sono qui da parecchio tempo, purtroppo. Fare qualcosa per loro, anche solo un censimento, ormai è impossibile.”

Celeborn ricacciò indietro l’immagine. Li stava prendendo in giro. L’isola che stavano fiancheggiando non era… Notò almeno dieci o quindici corpi stesi a terra, e quella che stava guardando era solo una delle tante piccole spiagge. Giacevano uno accanto all’altro, i volti bianchissimi, le membra rigide come se fossero congelate. Era l’unica isola così piena. Doveva per forza essere così. Era solo un modo per spaventare i nuovi arrivati troppo ingenui per capire. Uno scherzo di pessimo gusto, ecco cos’era. Voleva chiedere alla sua sposa cosa ne pensava. Avrebbero potuto fare qualcosa perché simili scherzi non avessero più luogo. Doveva esserci qualcuno che poteva rintracciare e fermare gli altri fanciulli che, assieme a quella Gladiel, portavano avanti quella sciocca idea.

“Mi spiace, ma oggi non potremo fare il giro di Tol-Eressëa” stava dicendo Gladiel, imperterrita, lo sguardo fisso davanti a sé. “È presente un Uomo sull’isola, e il sapiente Pengolodh non vuole gite turistiche mentre tiene lezioni, rischierebbero di distrarre il suo allievo. Ci dirigeremo subito sul continente, se per voi va bene.”

“Io... Ma certo!” Rispose Celeborn di riflesso, sperando che la leggera impazienza del suo tono fosse sufficiente per ricordare alla fanciulla con chi aveva a che fare e che lui non era contento.

La nave proseguì ancora per qualche ora: superarono la grande Isola Solitaria, e in fine si avvicinarono ai moli di un maestoso porto dalle mura candide, sovrastato da palazzi di perla: Celeborn sussultò di gioia, per un momento dimentico di Gladiel e persino delle isole ricoperte di cadaveri. Alqualondë, dove viveva sire Olwë, il nonno della sua amata sposa! Aveva tanto desiderato poter visitare quel porto, e conoscere sire Olwë e la sua famiglia, con cui era imparentato due volte, di sangue e per matrimonio. Il porto era ancora più bello e imponente di quanto lo avesse immaginato: nessuno dei racconti che gli erano stati fatti aveva reso giustizia alla meraviglia dell’arco d’ingresso, scolpito nella viva roccia dal mare, o alle strade di pietre marine tanto belle da rivaleggiare con le perle sulle pareti e col bianco dei marmi delicatamente scolpiti.

Celeborn si sporse dal parapetto, rapito, guardando il porto avvicinarsi sempre di più.

“I moli sono stati ricostruiti con un lungo lavoro dai Teleri, dopo il fratricidio avvenuto durante la Lunga Notte. Quel giorno molti moli furono gravemente danneggiati dai Noldor mentre cercavano di impadronirsi delle navi, e in certi casi anche dai Teleri stessi che tentavano di impedirlo. Re Olwë esitò per alcuni anni prima di dare il via alla ricostruzione, in lutto per la perdita del figlio e per lo sterminio di gran parte dei suoi marinai. I Teleri rifiutarono l’aiuto dei Noldor pentiti per dieci anni, finché re Arafinwe e sire Olwë non riuscirono a stabilire un accordo che riaprì la collaborazione tra i due popoli, anche se si dice che fu considerato da molti Teleri più che altro un pagamento dei danni.”

Celeborn fissò la fanciulla, sconcertato. Aveva parlato di quel terribile massacro come se stesse parlando di una piantagione di alberi da frutto! Come osava? Non riuscì più a guardare il porto. Le immagini evocate con così poco tatto gli avevano distrutto ogni gioia, e il porto scintillante sembrava essersi frantumato davanti ai suoi occhi.

“Non dovresti parlarne così, come osi!” Le sibilò.

Lei lo guardò, abbassando un po’ gli occhi.

“Vi lascio un minuto per ricordare i caduti, signore. Perdonatemi, avrei dovuto farlo prima. Sapete, sono ancora nuova, questo è il mio primo incarico… Prego, signori, potete osservare un minuto di silenzio.” Pronunciò le ultime parole rivolta a tutti, e poi si fece da parte, distogliendo gli occhi.

Un momento di raccoglimento? Celeborn era sempre più furioso. Fissò lo sguardo sulle alte montagne dietro il porto, sperando che la fanciulla fosse mortificata al punto da smettere definitivamente con quella recita. Non fece in tempo a scordarsi della sua presenza che la nave attraccò, e Gladiel tornò al suo posto davanti a tutti, vicinissima a lui.

“Dobbiamo salire subito alle Pelóri, signori. Se arriveremo tardi, chiuderanno i cancelli del passo e non potremo salire a visitarle. L’esercito ai confini è molto severo sugli orari. Prego, seguitemi.”

Esercito? Orari? Questo era troppo.

Celeborn la seguì, deciso a raggiungere Tirion e a non muoversi più da lì finché non gli avessero detto dove trovare Galadriel. Continuarono a camminare a passo di marcia, finché, all’improvviso, una lancia non si parò davanti al petto di Celeborn.

“Prego, sto facendo fare il giro della terra di Aman allo sposo di heri Artanis e ai suoi compagni di viaggio, signore. Posso passare?”

Celeborn alzò gli occhi: schiere infinite di creature alte quanto gli Onodrim lo circondavano, le armature che scintillavano abbaglianti alla luce di Anor, le armi puntate verso di loro. La loro guida, che sembrava alta quanto un mezzuomo a confronto, fronteggiava uno dei più alti come se fosse una banale guardia in parata. Celeborn non fece in tempo a stupirsi, o a sperare, o a pregare, che il Maia, doveva essere un Maia, non poteva essere altro, fece un cenno e Gladiel ripartì.

Celeborn era esterrefatto. Come potevano stare al gioco? I servitori delle Potenze, figli del pensiero dell’Uno, che davano corda a quella fanciullina? Ci doveva essere un errore. Celeborn sentì un garbato colpetto sulla spalla: uno dei Maiar gli stava indicando divertito il sentiero che si inerpicava su per le montagne. Avrebbe voluto voltarsi, riprendere la nave e tornare indietro, ma lo sguardo di tutti quegli occhi luminosi lo fece desistere dal proposito di fuggire. Si ricompose, ostentando tutta la dignità di cui era capace, e salì il sentiero come se fosse ancora in Caras Galadhon e stesse percorrendo la città scortato dai suoi guerrieri.

Presto sarebbe comparsa Tirion. Presto, lo sapeva. Galadriel gli aveva detto che era al centro del Passo della Luce, non poteva mancare molto.

Dopo un’estenuante salita, Gladiel si fermò, e si voltò. Celeborn si guardò intorno: precipizi su precipizi di liscia, impenetrabile pietra grigia come il ferro e dura come l’acciaio. Nient’altro. Le montagne correvano ininterrotte da Sud a Nord, senza morbide e verdi colline a interrompere il paesaggio, e senza l’ombra di nessuna torre bianca che spuntava tra i picchi altissimi.

“L’antica città di Tirion venne distrutta dal crollo delle Pelóri del tremilatrecentodiciannove, quando l’empia armata del re dei mortali Tar-Calion tentò di scalare il Passo della Luce” annunciò la loro guida.

Celeborn si sentì sprofondare. Tirion era andata distrutta? Ma come, quando? Come avevano potuto permetterlo? E perché nessuno l’aveva ricostruita? Di sicuro i Noldor avrebbero potuto. Sapeva di cosa erano capaci, lo sapeva fin troppo bene. Costruivano città in pochi anni. Come era possibile che non avessero ricostruito la loro bella Tirion, di cui parlavano in tutti i loro canti più antichi?

“Come mai”, Celeborn si schiarì la voce, sforzandosi di portare a termine quella domanda prima di pentirsene, “come mai la città non è stata ricostruita?”

“Oh, perché è proibito ricostruirla qui”, rispose la fanciulla, con la solita voce alta e chiara, quasi priva di emozioni. “L’esercito che presidiava il passo dalla fuga dei Noldor è rimasto, ma i monti ora celano le Grotte degli Obliati , ed è vietato costruirci sopra.”

“Le grotte degli… Cosa?” Chiese Celeborn, agghiacciato.

Erano forse nuove Aule di Mandos, create perché le troppe guerre contro Morgoth lo avevano reso necessario? Ma perché degli Obliati, allora? Quelle aule servivano per purificarsi, per tornare alla vita e all’innocenza, così gli era stato detto. Che fossero per chi non poteva più tornare? Sì, doveva essere così. Là sotto c’erano Faenor e i suoi figli, e forse anche altri infami traditori della loro stirpe.

“Le Grotte degli Obliati, dove è stato imprigionato l’esercito del re Tar-Calion, signore.”

Le parole di Gladiel lo colpirono come un ramo caduto da un albero molto alto.

“Vuoi dire i loro spiriti, forse?” Provò a correggerla.

“No, signore, sono proprio qui sotto, Hröa e Fëa”, rispose la fanciulla, seria. “Sono stati puniti così dall’Uno in persona dopo il loro attacco. Resteranno qui fino alla Guerra Finale, dove torneranno a combattere.”

Lì, sotto strati di roccia, era pieno di Uomini ancora vivi, intrappolati da millenni? Era pura follia! Quello scherzo stava durando anche troppo. “Lo scherzo è bello quando dura poco”, aveva sentito dire una volta a uno dei mezzuomini amici del Portatore dell’Unico. In quel momento Celeborn capì quanto era vero quel detto. Avrebbe dovuto ascoltarli tutti con più attenzione.

“È terribile da pensare, signore, lo so… Alcuni dicono che nelle notti di mare calmo li si senta urlare”, continuò Gladiel, un po’ più cupa.

Celeborn avrebbe voluto scuoterla, ma si contenne. Era giovane, non voleva prendersela troppo con lei. Era una sciocca, ma forse c’era qualcun altro che muoveva i fili di tutto questo. Forse non era colpa di quella fanciulla ingenua. Tutta quella farsa era troppo ben congegnata perché dietro ci fossero solo giovani Elfi.

“Proseguiamo, per favore”, le disse, deciso.

“Certo, certo!” Si rianimò lei, ripartendo a passo di marcia.

Si fermarono poche ore dopo, in uno spiazzo dove qualche pianta era riuscita a crescere e dove c’era un piccolo lago limpido.

“Prego, signori, possiamo fermarci qui a mangiare qualcosa e a riposare”, disse la fanciulla. “Nel pomeriggio dovremmo arrivare alle tombe, e poi il giro sarà finito.”

Tombe?

“Non ci sono tombe qui”, la fulminò Celeborn, senza più riuscire a trattenersi.

Quella era la terra immortale, e l’unica persona a essere definitivamente morta non era in una tomba, gli aveva detto Galadriel, e quella fanciullina parlava di tombe? Era troppo.

“Le tombe degli ospiti mortali a cui è stato concesso il privilegio di passare qui gli ultimi anni della loro vita, signore. I portatori Bilbo Baggins, Frodo Baggins e Samwise Gamgee, e il Nano Gimli figlio di Gloin, che arrivò qui su concessione della vostra sposa dama Galadriel.”

Celeborn si sentì vacillare. Il Nano? Il Nano che lo aveva quasi spinto a cambiare idea su quella razza di accumulatori d’oro barbuti... La sua tomba era lì?

“Ma non... Non sono ancora vivi?” Balbettò, disperato.

Era convinto che se proprio le leggende che volevano che quel Nano fosse arrivato ad Aman erano vere, lo avrebbe trovato assieme al figlio di Thranduil, e avrebbe dovuto scambiare con lui solo un saluto. E invece doveva rendere omaggio alla sua tomba, alla sua tomba che si trovava nelle terre Immortali…

“No, signore, come potrebbero? Erano di stirpe mortale, e come tali sono morti serenamente quando è giunta la loro ora”, rispose pacata Gladiel. “Purtroppo non posso portarvi a visitare la tomba di Finwë Noldoran: normalmente sarebbe l’ultima tomba del nostro percorso, ma ora la stanno restaurando e non è aperta al pubblico. È una tomba antica, e ha bisogno di più manutenzione.”

Celeborn si arrese. La tomba di re Finwë, il nonno della sua amata, il re dei Noldor, il più caro amico di Elu Thingol? Non… Non era tornato nemmeno lui, allora. E la sua tomba era… In restauro? Era l’ultima goccia, per lui. Smise di pensare, di ascoltare, e per tutto il pomeriggio seguì la sua guida annuendo e camminando come inebetito. Come se fosse un mortale in età avanzata. In effetti, non si sentiva totalmente in possesso di tutte le sue facoltà mentali, come si diceva capitasse a quei poveri disgraziati in certi casi.

“Allora, mio caro, come ti è parsa la mia amata terra? È un luogo di incantevole pace e bellezza, vero?”

Celeborn ci mise qualche secondo per riconoscere la voce di Galadriel, e ancora qualche altro secondo per accettare che fosse veramente la sua: temeva uscisse da una statua parlante, perché un incantesimo andato male degli Istari aveva dato vita alle statue di dama Nerdanel, che ora oltre a parere vive lo erano per davvero, e non erano più state riportate alla normalità da quando, nell’anno del sole cinquecentonovanta…

Che cosa stava pensando? Celeborn si scosse e respirò a fondo per calmarsi. Era in una radura sotto alte mura candide, sotto un cielo azzurro cupo, gli ultimi bagliori di Anor al tramonto che illuminavano ancora la terra. Difronte a lui, la sua bellissima sposa gli sorrideva serena e paziente, vestita di bianco come amava fare negli ultimi tempi a Lothlorien, i capelli intrecciati con cura come sempre.

“Caro, ti senti bene?” Gli chiese, con voce dolce.

“S-sì, sì, ma certo. È una terra splendida, la tua. Pacifica e serena, proprio come speravo di trovarla.”

Galadriel gli sorrise, bella come il tramonto alle loro spalle. “Vieni: potrai vedere la nuova Tirion mentre andiamo a casa. È bella quasi quanto l’antica, ma non sarà mai, mai bella quanto la città dove sono nata.”

Celeborn annuì. Se c’era una cosa che aveva imparato dai Noldor, era che gli artisti non si ripetevano mai.

Galadriel lo prese per mano e si avviarono insieme verso le porte della città. Ma dopo pochi passi lei si voltò e aggiunse: “Gladiel, cara, domani mattina torna al porto, per favore: c’è una comitiva di Nandor che arriverà nella tarda mattinata.”



Note dell’autrice:


Rieccomi qui, ancora con una comica! Non l’avrei mai detto, e invece è spuntata fuori questa idea.

È un po’ inquietante pensare al fatto che, dopo la Terza Era, in Aman saranno comparse le tombe, che si vanno ad aggiungere alle Grotte degli Obliati, alle Isole Incantate che molto probabilmente sono ancora lì con tutti i loro… Ospiti sopra... Per farmi passare l’inquietudine, ho deciso di riderci un po’ su.

Ennor è la parola Sindarin per Terra di Mezzo.

I particolari degli uomini di Ar-Pharazôn bloccati ancora vivi sotto le Pelóri e di Tirion distrutta dal crollo sono due argomenti che ho trovato spesso in giro per il fandom, e che mi hanno fatta riflettere, perciò ho deciso di inserirli anche qui, anche perché gli spunti che offrivano erano irresistibili :P.

I fumellar sono i papaveri: il termine fumellar viene dai Racconti Ritrovati, dove viene anche detto che erano spesso usati da Irmo Lorien nei suoi “incantesimi”.

E sono fiori che a me piacciono, tra l’altro, per cui non mi è dispiaciuto affatto avere un’opportunità per farli comparire!

L’idea che crescessero sulle Isole Incantate però non è mia, ma è un Headcanon che ho letto nella storia in lingua inglese “Isles of sleep”, di Aerlinn.

Sempre dai Ritrovati, (e in realtà non solo, viene accennato anche in altri libri della HoME), viene anche l’accenno alla presenza di Uomini su Tol-Eressëa: pare che ogni tanto alcuni Uomini che si trovavano a navigare soli avessero la fortuna di imboccare la via Dritta e raggiungere così Aman.

Gladiel è un nome di mia invenzione: non ha significato, l’ho creato dal nulla cercando qualcosa che desse l’idea di una guida che parla senza sosta XD.

Il fatto che durante il fratricidio di Alqualondë sia morto anche un figlio di Olwë è un mio Headcanon.

Un grazie alla mia super beta Melianar, che mi ha incoraggiata a scrivere questa storia e che l’ha betata con pazienza fin nei minimi dettagli!

E un supergrazie a Kanako91 per avermi dato una mano col postaggio: grazie mille Kan!

Spero che la mia storia vi abbia divertiti!

Grazie per aver letto!

Tyelemmaiwe

  
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