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Autore: Drago Rosso Sangue    01/11/2016    0 recensioni
"Non proferiva parola, respirava appena, eppure era vivo, e Cain non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita, mentre osservava fiducioso il minuto profilo di Jezebel.
Gli si avvicinò con cautela, affondando la mano nelle ciocche argentee che gli nascondevano il viso come una tenda, prendendogli il mento tra le dita e sollevandogli la testa, per poi scostargli, con delicatezza, i capelli, così da mostrare alla notte il suo volto stanco, solcato da profondi lividi violacei.
Appariva come un cadavere.
Non poteva essere altrimenti, così gelido, così pallido, un calco di cera, un moribondo.
La sua fragile bellezza, che tanto colpiva da lasciare senza fiato chiunque, splendeva freddamente sotto la luna piena, la quale si prendeva cura di lui dall'alto, come un'amica, come una madre, la madre che molti anni prima l'aveva abbandonato."
Questo è un omaggio a Kaori Yuki Sensei, la quale, grazie ai suoi incredibili disegni, ha aiutato me coi miei.
Buona lettura a tutti!
Drago :3
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Path of Redemption


  «Dobbiamo assolutamente tenerlo con noi?»
  «È fondamentale, signore. Ha salvato la vita ad entrambi. Glielo dobbiamo.»
E su questo aveva ragione.
Riff aveva sempre ragione.
Ma come si poteva dimenticare l'odio, i tentati omicidi, il male e la sofferenza causati da quell'uomo, così in un attimo, come se nulla fosse mai accaduto?
Riff lo sorreggeva con la propria schiena forte, e l'altro rimaneva appoggiato a peso morto sulla spalla di quel giovane maggiordomo, come privo di vita; non si muoveva, nemmeno un accenno, neanche accorgendosi dei piedi nudi insanguinati che sfregavano sul lastricato di pietra.
Le vesti da medico lacerate ovunque, i capelli grigi inzuppati del caldo liquido rosso.
Cain si costrinse ad aiutare il proprio servitore, sostenendo parte del corpo martoriato del dottore.
Lui non aveva permesso a Riff di morire.
Tantomeno aveva permesso a Cain stesso di morire.
E allora perchè era ancora così restio a porgergli aiuto?
La croce di ossidiana gravava sul petto del conte, proprio all'altezza del cuore, esercitando una pressione col proprio peso, come a voler terminare il lavoro che il suo vero possessore aveva cercato di compiere da tutta una vita, ma che aveva abbandonato proprio quando aveva avuto sotto le mani guantate la perfetta occasione per portarlo a termine, sacrificandosi, invece, egli stesso.
La croce di ombra.
Nonostante tutto l'aveva donata a lui anni addietro, un ricordo struggente, un frammento della sua anima, una scheggia del suo cuore.
La notte era gelida, l'aria sferzava le tre figure, giocando con le loro vesti tra i vicoli della Londra addormentata; la luna sbucava timida dalla spessa coltre di nuvole, bagnando i volti sconvolti dei giovani, uno terrorizzato, uno sofferente, e uno completamente immobile, come se l'anima fosse scivolata via dal suo corpo nel momento in cui era svenuto.
Tutto era silenzioso e deserto.
I londinesi assopiti neanche si erano accorti della distruzione della setta Delilah, continuando imperterriti a crogiolarsi tra le braccia di Morfeo che portava loro il sonno, come se nemmeno avessero avvertito le grida, l'energia negativa che impregnava l'aria, il terremoto provocato dal crollo della loro diabolica sede sotterranea.
La residenza degli Hargreaves era ancora lontana, troppo per Cain, indebolito dal veleno del padre in circolo nel suo sangue, troppo persino per il forte Riff, il quale lottava contro il dolore lancinante al braccio destro, ormai solamente un'impalcatura di candide ossa, e troppo anche per il povero dottore bisognoso di cure al più presto, abbandonato sulle spalle degli altri due, trascinato come un semplice cadavere, sospeso nel limbo tra la vita e la morte.
Una civetta sfrecciò sulle loro teste, tubando in modo lugubre.
Forse era una semplice maledizione. 
Oppure poteva essere un diabolico avvertimento.
Una piuma si staccò con leggerezza dalle ali possenti del rapace, volteggiando in cerchio nell'aria notturna, posandosi, poi, come una carezza sui capelli grigi del dottore.
Il giovane conte e il suo maggiordomo si bloccarono ad osservarla, trattenendo i faticosi respiri, ma i loro occhi si interrogavano reciprocamente, temendo il peggio: stava per calare la falce del cupo mietitore?
No, Jezebel Disraeli respirava ancora, a malapena, sì, ma era ancora vivo. 
Jezebel... Il dottore che odiava gli uomini, l'uomo più pazzo, crudele e tormentato della Delilah, l'amante degli organi interni, dei bulbi oculari, l'unica persona, l'unico familiare che voleva realmente bene a Cain, nonostante l'odio, che l'aveva salvato persino da se stesso, che non l'aveva mai abbandonato, che stava cedendo la propria vita per concedere un'altra possibilità a Riff, a Cain stesso, sempre.
Le vie di Londra sembravano schiacciarli e soffocarli tra le loro mura di mattoni, tre candidi spettri, tre insulsi fantasmi sconvolti dal passato in una notte di presente.
La luna li osservava beffarda dall'alto del suo trono argenteo nel cielo, controllando il mondo ai suoi piedi con diabolica ironia, celata sotto il distaccato interesse tipico degli astri.
Cain alzò il volto stanco per osservarla, trafiggendola con il suo profondo sguardo verde dai ricami d'oro.
In quel momento, la scarpa gli si impigliò in una crepa del selciato.
Cain cadde, trascinando i suoi sventurati compagni sul porfido di Londra, quel lastricato nudo, freddo e stanco avvolto dal silenzio dell'omertà.
Gemette di dolore, sentendo la dura pietra fendergli le ginocchia.
Il suo maggiordomo era accucciato al suolo, dolente, stremato, e si teneva contro il petto il braccio immobile e tremendamente lesionato, lacrime silenziose gli rigavano il bel volto angelico, brillando come diamanti alla soffusa luce lunare.
I suoi occhi si posarono su Cain, come conforto, come a comunicargli che ce l'avrebbe fatta, e successivamente sul corpo martoriato del dottore.
Col busto riverso a terra, Jezebel pareva realmente privo di vita: il soprabito era strappato sulla schiena, lunghe rette un poco oblique, provocate dalla letale frusta del Cardmaster, i lunghi capelli sciolti, sparpagliati scompostamente ai lati del capo, parevano cenere eterea e inconsistente, pronta a lasciarsi trasportare lontano dal primo alito di vento.
Una fitta al cuore.
Cain cercò in tutti i modi possibili di trattenere le lacrime, le quali minacciavano di scendere inesorabili dai suoi occhi come due fiumi che sfondavano gli argini in un giorno di intensa tempesta.
Girò il viso dalla parte opposta del suo fratellastro, asciugandosi le guance con la manica sgualcita.
Smorzò un singhiozzo, mentre le braccia del suo amato Riffael gli avvolgevano le spalle, cullandolo con il loro rassicurante calore, che tanto aveva temuto di perdere.
Si strinse a lui più che potè, cercando di alleviare l'immenso dolore che gli attanagliava il petto, il peso della croce di Jezebel sul cuore.
Era insolito, ma il braccio destro di Riff lo stringeva come se avesse ancora la carne addosso.
Lo sfiorò con un brivido, percorrendo tutta la lunghezza dell'ulna.
Subito dopo scoppiò in un pianto lacerante, finalmente abbandonando la propria maschera e lasciando che la disperazione gli fluisse nelle vene, e abbracciò con foga il suo amato maggiordomo, affondando le dita nei suoi serici capelli azzurri, sempre perfettamente in ordine, bagnando di lacrime la sua camicia bianca, in alcuni punti macchiata di sangue, riversando tutta la tristezza cha gravava su di lui e sulla sua vita. La sua vita era dannata, peccaminosa, colma di scandali, fin dal primo giorno in cui aveva fatto conoscenza con quel mondo che sembrava odiarlo e beffeggiarlo, esclusa era per lui la via dell'espiazione.
Poteva essere, lui, Cain Hargreaves, un figlio di Dio?
L'aria immobile fu lacerata da un lamento.
Cain, in preda al panico, osservò il viso pallido del suo maggiordomo, in quel momento pericolosamente vicino al suo, un'espressione rigida sul volto tirato.
Si sentì un nuovo gemito.
Jezebel Disraeli si agitava sul lastricato, nel tentativo di mettersi in piedi, quasi stesse lottando contro un incubo della propria mente nel letto di casa.
Graffiava la pietra con le unghie, la sofferenza impressa a fuoco sul viso emaciato.
Tremava come un pettirosso d'inverno, ma non per il freddo, bensì per il dolore, quella nera figura che lo sovrastava con le sue vesti maligne, e si specchiava negli occhi blu del dottore, ghignando del suo stato pietoso, delle sue ferite, della sua anima distrutta.
Cain si sciolse dall'abbraccio di Riff per soccorrerlo, come spinto da una forza invisibile.
Il suo cuore accelerò i battiti nel posare lo sguardo sul suo fratellastro in quelle condizioni miserabili: sembrava perduto, con lo sguardo assente, come se la sua essenza si trovasse in un altro universo, lasciando l'involucro di carne in balia dei ricordi.
Assieme al fedele Riffael, il giovane conte riuscì a sollevare il dottore, trascinandolo al lato della via, la schiena che bruciava contro i mattoni malsani.
Pareva che fosse il muro stesso a sostenerlo da quanto era debole e stremato, quasi si sarebbe frantumato se gli avessero tolto quello schienale: le spalle curve, le braccia abbandonate in grembo, la testa china, con il bel volto coperto da quella cascata di folti e ondulati capelli grigi, i quali tanto lo facevano assomigliare a una donna, a sua madre, e tremava con violenza, sfiancato dal dolore fisico fuso con quello emotivo, molto più profondo.
Non proferiva parola, respirava appena, eppure era vivo, e Cain non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita, mentre osservava fiducioso il minuto profilo di Jezebel.
Gli si avvicinò con cautela, affondando la mano nelle ciocche argentee che gli nascondevano il viso come una tenda, prendendogli il mento tra le dita e sollevandogli la testa, per poi scostargli, con delicatezza, i capelli, così da mostrare alla notte il suo volto stanco, solcato da profondi lividi violacei.
Appariva come un cadavere.
Non poteva essere altrimenti, così gelido, così pallido, un calco di cera, un moribondo.
La sua fragile bellezza, che tanto colpiva da lasciare senza fiato chiunque, splendeva freddamente sotto la luna piena, la quale si prendeva cura di lui dall'alto, come un'amica, come una madre, la madre che molti anni prima l'aveva abbandonato.
  «J-jezebel...» il conte faticò a pronunciare il nome di colui che era stato suo nemico, quasi fosse la formula di un rituale proibito, o il nome di qualche veleno raro quanto mortale difficilmente rintracciabile.
Fortunatamente, Cain ottenne la reazione sperata.
Al suono della sua voce giovane, gli occhi persi nel vuoto del dottore si spostarono sulle iridi verdi dell'ultimo erede degli Hargreaves, con l'esasperante lentezza di un automa dalle giunture scarsamente oleate.
Come erano profondi quegli occhi, parevano le acque misteriose dell'oceano, due gocce di cielo all'imbrunire, un blu nè troppo chiaro nè troppo scuro, certe volte, quando la luce era favorevole, tendente al viola, a simboleggiare il tormento interiore, la loro fragilità.
  «Jezebel, ti portiamo a casa, ora» gli sfiorò la spalla, esortandolo, rassicurandolo, interrompendo, però, il contatto dei loro sguardi, in quanto le iridi del dottore si fissarono sulle dita della mano del conte, che premeva lievemente sulla stoffa del soprabito.
Cain non lo aveva mai visto così debole e indifeso.
Quando si presentava, Jezebel Disraeli si era sempre mostrato come un uomo crudele e arrogante, ma in realtà la sua vera natura era differente, e tutto ciò che esternava di sè era sempre stata solo una montatura, la maschera che indossava costantemente per compiacere Alexis, il quale non lo guardava, non lo vedeva, non lo voleva.
E Jezebel ne soffriva, il suo cuore aveva pianto lacrime di sangue amaro, si era afflitto internamente per ogni parola detta o non pronunciata, per ciò che gli era stato negato, per il mondo che faticava ad accettarlo, per il Cardmaster, soprattutto, che non lo accettava.
Soffriva per la sua stessa sofferenza, quella compagna inseparabile che gli aveva tenuto la mano fin da quando era un ingenuo bambino, non ancora corrotto dalla vera natura del mondo infame in cui aveva sempre vissuto.
Soffriva ogni giorno di più, autodistruggendosi.
Non era pronto per stare in quel mondo fatto di odio e terrore, ricoperto di sangue: era troppo fragile per tutto questo.
Eppure era ancora lì, a combattere contro Thanatos con tutta la determinazione che ancora gli restava in corpo, forse anche inconsapevolmente, per restare il più possibile nel mondo terreno, per cercare di trovare un senso alla sua tormentata e crudele esistenza che ancora ne restava priva, aggrappandosi a quell'ultima fiamma di vita che, flebile, ardeva in lui con caparbietà.
  «Jezebel, guardami»
La voce di Cain giunse lontana e ovattata alle orecchie del dottore, come se tra i due ci fosse una porta massiccia e inespugnabile, il conte al di fuori di quella stanza inconsistente nella quale Jezebel giaceva tra le braccia della Morte, indeciso se seguirla o rimandare il loro prossimo incontro.
Il buio calò sul dottore all'improvviso, e l'uomo col camice si sentì trascinare verso il basso rapidamente, sicuro di.dirigersi verso l'Inferno, unico luogo nel quale avrebbe potuto scontare le proprie pene nell'aldilà.
Ma qualcuno lo riscosse.
E lo chiamò, gridò il proprio nome la voce di chi gli voleva bene, spezzata, spaventa.
  «...zebel! JEZEBEL! NON LASCIARTI ANDARE, SVEGLIATI!»
Il petto si liberò tutto ad un tratto, l'aria gli inondó i polmoni secchi, facendolo sussultare e piegare in due.
  «Per l'amor del cielo, devi vivere!»
E su questo, il giovane Hargreaves aveva ragione.
Aveva vissuto nel male, sì, ma la sua anima aveva sempre cercato uno spiraglio di luce nel buio che lo circondava; l'aveva trovato negli animali da accudire, nei ragazzi sfortunati da proteggere.
Il vero mostro era sempre stato Alexis.
Ora che era tutto distrutto, finalmente Jezebel Disraeli era veracemente libero, ora poteva finalmente vivere la propria vita sereno.
  «Riff, aiutami. Dobbiamo portarlo a casa, curarlo...»
  «Ma se fino a poco tempo fa non lo volevate nemmeno vedere di sfuggita, Lord Cain?» lo interruppe bruscamente Riffael, un sopracciglio alzato.
  «Mh, ho cambiato idea. Non discutere! TI HO DETTO DI AIUTARMI!»
  «Yes, my Lord...»
Con un ghigno, Riffael si abbassò sul dottore, passandogli un braccio attorno alle spalle tremanti e sollevandolo di peso col sostegno del proprio signore.
Riff esisteva solo per servire Lord Cain, il suo protetto, il suo amico, il suo unico amore, un amore segreto che andava contro tutte le leggi di Dio.
Eccoli, i viaggiatori: tre candidi spettri nelle nere vie di Londra.
Il dottore si sforzava di camminare, ma i suoi muscoli non ne volevano sapere di rispondere a quei comandi disperati; Jezebel si aggrappava alle spalle dei suoi due salvatori con la poca forza che gli restava, come un povero naufrago che riponeva la sua salvezza nella corrente marina, sostenuto dal metallo della sua nave ormai distrutta e corrosa dalla salsedine.
Il mondo attorno a lui sembrava sbiadire a ogni sguardo, i muri vecchi delle case gli vorticavano attorno agli occhi provocandogli nausea, la testa gli pulsava nelle orecchie con forza, appannando i sensi stanchi, tanto che gli parve di essere immerso nell'acqua, tutto confuso, tutto smorzato.
Ad ogni faticoso passo, Cain si voltava ad osservare le pessime condizioni del dottore e faceva scorrere lo sguardo sul suo volto stravolto dal dolore, cercando di trattenere nuovamente le lacrime, quanto quella vista gli nuoceva nel profondo, senza che potesse sedare quelle sgradevoli sensazioni.
Il giovane conte si maledì per la propria debolezza interiore, non avrebbe mai immaginato di scoprire quanto davvero teneva al suo fratellastro, fino ad arrivare a preoccuparsi in quel modo viscerale per lui e per la sua vita.
Le nuvole iniziarono a coprire la luna, presagendo una tempesta imminente, probabilmente illudendosi di poter riflettere gli animi tormentati dei tre viandanti notturni, l'aria si fece d'improvviso gelida, variando di temperatura in una sola folata, l'odore diradato dei calcinacci colmava le narici e ristagnava nella gola.
La villa cittadina degli Hargreaves, la loro maggiore residenza, era vicina, tanto che ci si accorse a breve della mancanza di quei pochi passi a separare il terzetto dalla cancellata di ferro.
Ancora un passo...
Le gambe del dottore cedettero violentemente, trascinando a terra il suo debole corpo, quasi le ossa gli fossero scomparse all'improvviso, ormai stanche della loro sede.
Cain gemette di frustrazione: Jezebel non poteva permettersi di abbandonare le forze e la speranza proprio all'ultimo momento, proprio ora che la salvezza era così vicina.
La pioggia iniziò a cadere, preceduta dallo scoppio secco di un tuono che fece tremare ogni costruzione della capitale, la luce abbagliante del fulmine fece risplendere la pelle pallida del dottore, come fosse quella di una stella caduta, di un angelo in terra.
  «Forza, Jezebel!» lo incalzò il conte, strattonandogli il soprabito, piangendo, mentre le lacrime si confondevano con la pioggia, tanto che non era più possibile distinguere le due soluzioni; nel frattempo, il fido Riff cercava di aprire il cancello, per creare una via di accesso verso la speranza di una vita nuova.
Cain, agitato, tirava le vesti del suo fratellastro, causandogli atroci dolori, ma nonostante questo, Jezebel sembrava non reagire, solo lievi cambiamenti di espressione testimoniavano che era ancora vivo.
  «Lord Cain, si sposti, prego»
Il giovane gettò la testa all'indietro per osservare il viso del maggiordomo dal basso della sua posizione, il volto bellissimo del dottore tra le mani tremanti.
Con un'eleganza sorprendente, Riff si piegò, sovrastando i due giovani sotto la pioggia, e sollevò Jezebel, abbracciandolo con forza, stringendoselo al petto come se fosse il suo bambino.
Sconcertato, Cain si accorse di pensare a quanto fosse fortunato il suo fratellastro a sentire il corpo forte e perfetto di Riff che lo circondava, ad avvertire il suo calore sulla pelle intirizzita dal freddo e dilaniata dal dolore.
Si toccò velocemente le guance con i palmi aperti delle mani bagnate, un movimento repentino sotto la coltre di pioggia, come un passero che si scrollava le ali durante un'acquazzone.
Erano calde.
«Signore?» lo chiamò il maggiordomo.
Cain provò una profonda fitta di gelosia, chiedendosi nel medesimo istante da dove provenisse quel sentimento, nel vedere Jezebel sostenuto da Riff, tra le sue possenti braccia lavate dalla pioggia, col volto nascosto dai capelli grigi premuto contro il petto bollente dell'altro.
Il cancello era spalancato.
Cain li precedette di corsa, per sbollire l'accenno di rabbia che gli era sorto dal cuore.
La pioggia scrosciava incessante, lamentandosi, gridando contro il vento la propria angoscia e il proprio tormentato destino, costretta ad abbandonare l'alto dei cieli per cadere sulla terra corrotta, come fosse un demone scacciato dal Paradiso, guidando i tre uomini all'interno della lussuosa dimora che emanava un tepore quasi umano, come se avesse una propria vita.
Finalmente, Cain potè sentire la fredda, quanto familiare, sensazione della dura maniglia del portone contro le proprie dita intirizzite dalla pioggia e dal freddo notturno.
La aprì, bloccandosi sull'uscio ad occhi chiusi, mentre si lasciava avvolgere dalla luce soffusa dell'abitato e dal morbido calore dei caminetti accesi.
Poi, avvertendo Riff dietro di sè, fece il primo titubante passo verso l'interno della casa, la punta della scarpa fradicia scalfì il parquet appena oltre gli stipiti scuri.
Appena il maggiordomo fu dentro, Cain si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi, subito dopo, al legno tiepido, tirando un sospiro di sollievo: finalmente non sarebbe più stato esposto ai pericoli che incombevano all'esterno, e Jezebel poteva finalmente ricevere le attenzioni e le cure che si meritava.
Un frusciare di vesti e uno scalpicco concitato di piedi nudi sul pavimento fecero accendere il campanello d'allarme nella testa del conte.
Ora arrivava la parte difficile.
Maryweather apparve sulla soglia di uno dei corridoi che davano sull'atrio, fasciata da un grazioso vestito rosa dall'ampia gonna, i lunghi capelli biondi conpletamente scarmigliati, l'espressione sconvolta e preoccupata, pallida come uno spettro di cera.
Corse verso il fratello, sollevata che fosse tornato sano e salvo, cavandosela solo con qualche graffio, dopo averlo scandagliato attentamente con gli occhi ancora appannati dal sonno.
Ma, avvicinandosi, si accorse del sangue che ricopriva le sue mani e la camicia bianca, coperta alla meglio dagli avambracci del conte stesso.
Si fermò di colpo, gli occhi sbarrati dalla paura.
  «Mary...» sussurrò lui, alzando le braccia, come a rassicurarla.
Ma si tradì.
Scoccò un rapido sguardo in direzione del maggiordomo, comunicandogli il "via libera" per sparire in qualche stanza con il dottore, mentre la piccola Hargreaves concentrava tutta la sua attenzione su di lui.
Però, anche Maryweather guardò nella stessa direzione.
Nel suo campo visivo si stagliò l'alta figura di Riff, trasandato, le ossa del braccio in vista, con l'inerme Jezebel Disraeli tra le braccia, gli abiti stracciati sporchi di sangue, il viso angelico abbandonato sul gilet dell'altro.
  «Nobile fratello!» gridò portandosi velocemente le mani alla bocca e facendo saettare lo sguardo da Cain, a Riffael, all'uomo avvenente che l'impettito maggiordomo teneva in braccio.
Aveva involontariamente fatto un paio di passi indietro, terrorizzata.
  «Vai a dormire, Maryweather» gli intimò Cain, enfatizzando il concetto con uno sguardo tagliente.
La ragazza non si fece impressionare. «Cain!»
  «Ti ho detto di andare» Semplice, lapidario. «Dov'è quel buono a nulla di Oscar?»
  «Sta dormendo» rispose lei, risentita. Lanciò nuovamente un'occhiata allo splendido uomo in braccio a Riff, percorrendo il suo dolce profilo con gli occhi, sfiorandogli piano i capelli argentei con il pensiero.
  «Cosa succede?» La voce impastata dal sonno giunse dallo stesso corridoio dal quale era venuta Maryweather.
Si parla del diavolo...
Oscar se ne stava appoggiato allo stipite, la testa ciondolante e gli occhi semi chiusi, i capelli separti nel mezzo della fronte avevano preso una piega insolita, forse a causa di un contatto prolungato col cuscino.
Avrebbe fatto meglio a restare a letto.
Cain prese la sorella per il braccio, appena sotto la gracile spalla, stringendo un po' troppo, tanto che lei gemette.
  «Oscar, portala a letto» disse lui, piuttosto irritato, sovrastando con la voce dura un: «Fratello, mi fai male!» da parte di Mary.
Non sapendo bene come reagire, il giovane barone accolse la piccola tra le braccia, conducendola lontano, quasi fosse un automa programmato per eseguire gli ordini del conte Hargreaves.
  «Per fortuna che quando è in dormiveglia ascolta alla lettera ciò che gli dico senza fiatare... Riff, portalo nella stanza degli ospiti»
  «Yes, my Lord» e si incamminò verso una lussuosa porta stuccata sulla destra del corridoio.
Appena vide la schiena del suo maggiordomo scomparire dietro l'uscio, Cain si precipitò nella sala da bagno del piano terra per recuperare bende e unguenti, che avrebbe poi utilizzato per curare il dottore, nonostante non fosse così ferrato nel guarire gli altri, semmai il contrario.
Quando entrò nella stanza, Riffael aveva già adagiato Jezebel con cura sul morbido materasso, e, in quel momento, lo stava spogliando lentamente, attento a non provocargli ulteriori dolori, pur essendo in stato di incoscienza.
Il soprabito era a terra, e le mani del giovane maggiordomo armeggiavano con i bottoni della camicia del dottore, veloci, esperte, quasi fosse abituato a questo genere di trattamenti.
Il conte si fermò ad osservare quello spettacolo ammaliante, immaginando di essere lui al posto del fratellastro, con le sottili mani di Riff sul corpo, a toccarlo con bramosia, a liberarlo dai vestiti come da tutti i peccati che aveva commesso.
  «Po-posso darti una mano?» si azzardò a chiedere, la lingua asciutta contro il palato carico d'arsura.
Diavolo, com'era privo di tatto.
Tutte le ossa della mano destra di Riffael si muovevano scricchiolando, come direttamente comandate dal cervello, non un nervo, non un muscolo attorno a quel candore.
Posso. Darti. Una. Mano.
Una mano.
Non poteva scegliere termini migliori.
Fortunatamente, Riffael sembrò non farci caso; annuì lievemente, scostandosi un poco quel tanto che bastava per far avvicinare il proprio signore.
Un fremito gli corse per tutta la lunghezza della spina dorsale, non appena sfiorò con le ossa, ora sensibili persino ad ogni minima variazione di temperatura, il braccio di Cain.
La reazione dell'altro spiazzò il maggiordomo: il suo signore arrossì violentemente, imbarazzato, subito fingendo di esaminare la boccetta dell'unguento disinfettante, come trovandola di colpo interessante oltre ogni dire.
E quasi gli sfuggì un sorriso.
Riff era realmente compiaciuto di fargli quell'effetto.
Finalmente tutti bottoni erano liberi dalla morsa delle asole, il petto magro e pallido di Jezebel faceva capolino tra i due lembi di stoffa fredda.
  «Mio Lord, potrebbe sollevarlo delicatamente, per favore?»
Era strano sentirsi dare ordini dal proprio servo, ma, nonstante questo, Cain si affrettò ad afferrare il dottore per le spalle, trattenendo il fiato, e alzandolo dal materasso, in modo che Riff potesse levargli la camicia bagnata.
Ora, lo stretto torso di Jezebel si mostrava in tutta la sua interezza, sfregiato e cosparso di lividi, un tripudio di colori che variava dal rosso al bordeaux per il sangue, dal violaceo al giallo, se gli ematomi erano più vecchi.
Alexis si era proprio divertito con lui.
La rabbia crebbe nel petto del conte, propagandosi in ogni fibra del suo corpo, e raggiunse gli occhi come un uragano di irresistibile potenza.
Gli cadde una lacrima solitaria, silenziosa e timida, che Cain si affrettò ad asciugare con il dorso della mano, senza dare troppo nell'occhio.
Ma tutto ciò non sfuggì all'attento Riff.
Gli prese il mento con la mano sana, portando il volto del più giovane nell'incavo della propria spalla, le dita tra i serici capelli neri, in un dolce abbraccio.
Gli arti superiori del conte erano abbandonati lungo i fianchi, il busto scostato da quello del maggiordomo, gli occhi sbarrati ad osservare la trama della sua camicia bianca, il cuore a mille nelle orecchie.
Avrebbe voluto ricambiare, ma l'emozione era troppa anche per muovere un solo muscolo, preferiva godersi quel contatto inaspettato quanto ben voluto.
Purtroppo Riff si staccò, forse anche troppo velocemente tornando a concentrare la sua attenzione sul povero Jezebel, tranquillamente assopito - o meglio, svenuto - sul letto.
Allora Cain iniziò la medicazione, pulendo minuziosamente le ferite una ad una, come se il dottore fosse lui, e non l'uomo incosciente sotto le sue cure attente, lenendo ogni squarcio come se così riuscisse anche a risanare le sofferenze che Jezebel recava nel suo debole cuore.
Con l'aiuto del maggiordomo riuscì persino ad avvolgergli il busto con delle spesse bende.
Come una madre premurosa, il conte passò una spugna umida sui capelli e sul volto di Jezebel, lavandolo dalla sporcizia, scoprendo il volto sereno di chi è consapevole di essere amato anche nel dolore.
Con la coperta di lana tirata fino al mento, il dottor Disraeli appariva fragile come un bambino appena nato, le palpebre appena scosse da chissà quale sogno, i muscoli del bel volto distesi, rilassati, la bocca socchisa, nella tranquillità del sonno.
Finalmente Cain si era liberato dal grande peso che gli aveva gravato sul petto per troppi, interminabili, anni, ora che aveva perdonato per la prima volta nella sua intera vita, l'unico atto buono che avesse mai compiuto verso il prossimo.
E ne andava fiero.
La croce nera di Jezebel sembrò lanciargli una scarica elettrica, facendogli sussultare il cuore, sul quale poggiava silente.
Era giunto il momento.
Fluido, si tolse la lunga catena scura, facendo attenzione a non tagliarsi con i bordi affilati del ciondolo, e posò la collana accanto al capo del suo vero proprietario, gli anelli che si incastravano tra le finissime ciocche grigie ancora un poco umide, come a volersi fondere con lui.
Si abbassò sul volto calmo di Jezebel, fino a sovrastarlo con la sua ombra, il fiato caldo sulla guancia.
  «Buona notte, Jezebel» sussurrò con dolcezza, prima di posare un lievissimo bacio sulla fronte del fratello.
Suo Fratello.
Semplicemente.
Guardandosi attorno, nell'alzarsi si accorse della scomparsa del maggiordomo.
Perchè doveva sempre sparire così? Silenzioso e discreto come un'ombra?
Il giovane Hargreaves si chiuse la porta alle spalle delicatamente, ma non prima di aver dato un ultimo, dolce sguardo a Jezebel dormiente, pensando a quanto sprigionasse tenerezza in quel momento di debolezza.
Fuori dalla camera, eccolo, il suo angelo.
Riff lo attendeva a braccia conserte, con la schiena elegantemente appoggiata allo stipite d'imbocco del corridoio, a due passi dall'entrata della stanza del conte, le lunghe gambe appena accavallate.
Cain ammirò, per quello che gli parvero anni di magica immobilitá, la sagoma di Riffael circondata dalla tenue luce lunare che filtrava dalle tende di una finestra poco più in là.
Poi si costrinse a parlare.
  «Credo che Jezebel stia bene, ora. Almeno, meglio di prima»
Faticava persino ad articolare una frase decente da quanto si sentiva agitato, il cuore che pulsava nelle orecchie senza un apparente motivo.
Il maggiordomo accennò un lieve sorriso.
  «Avete svolto un'ottimo lavoro, signore. Davvero, avete salvato la vostra anima dall'Inferno. Finalmente è arrivata la redenzione. E con la vostra, la mia»
Sempre saggio, Riffael Rifer.
Cain si avvicinò a lui, traballando sulle gambe che iniziavano a percepire la stanchezza delle ultime ore, prendendogli le mani nelle sue, mentre tremava senza controllo sotto il tocco delle dure ossa.
Chinò il capo.
  «È tutto grazie a te Riff. Grazie»
Aveva appena ringraziato
Cain Hargreaves aveva ringraziato.
Cain Hargreaves aveva ringraziato Riff.
Impossibile.
Lo sembrava, eppure era appena successo.
  «Cain...»
Era la prima volta che Riffael lo chiamava per nome. Aveva un suono differente sulle sue labbra, più sacro persino.
Il tempo di alzare la testa per incrociare gli occhi grigioazzurri del maggiordomo, che le sue labbra furono su quelle di Cain, a lambirle con dolcezza, imprimendo tutto quell'amore incondizionato che provava per l'altro, da troppo tempo represso nei recessi della sua anima, nascosto dietro la solita maschera impassibile ma cordiale.
Finalmente.
Non aspettava altro.
Erano assai morbide e sapevano di sangue e thè al limone, un miscuglio di sapori dannatamente afrodisiaco, un'essenza senza la quale non avrebbe più potuto sopravvivere.
Il conte si separò da Riff solamente quando ebbe il disperato bisogno di respirare, appoggiando la fronte contro quella dell'altro, gli occhi verdi incatenati a quelli azzurri.
Sorrise genuinamente, come non faceva da anni, ritornando col pensiero a quei gioiosi momenti del passato nei quali sua madre gli accarezzava i capelli prima di dormire.
  «Grazie a te, Cain» disse Riff curvando appena all'insù quelle labbra che fino a poco fa si erano fuse con quelle del conte.
  «La Delilah è finita»
E lo baciò nuovamente, attirando Cain a sè con impeto, con più passione, quasi disperatamente, come se non avesse aspettato altro da una vita intera.
E difatti era proprio così.
Aveva amato Cain fin da subito. 
Fin dalla prima volta che aveva posato gli occhi su quel bambino tormentato, nascostosi a piangere dietro un cespuglio del giardino.
Anche Cain aveva sempre amato Riff, trovandolo col tempo indispensabile per la propria vita.
Ed ora i sogni di entrambi si stavano realizzando.
Si baciarono al chiaro di luna, come due veri amanti, come Cain e Riff.
Loro due soltanto.
Sempre, d'ora in avanti.
E Cain non l'aveva mai desiderato come in quel momento.
Sorrise sulla sua bocca.
Il suo Riff...
Chi l'avrebbe mai detto che un tempo era stato la "Torre" della Delilah?
Lo era ancora?
No, era il SUO Riff.
E la Delilah era finita.

~ o ~

Angolino notturno del Drago

Eccomi con una nuova storia! Avevo letto God Child un paio di anni fa, trovandolo il miglior manga che avessi mai letto. E poi Jezebel! Così crudele, ma così fragile e tormentato... Ho sempre avuto un debole per i personaggi come lui. Infatti è il mio preferito!
Va bene... Spero che questa storia vi sia piaciuta. Lasciatemi una recensione... Grazie!
Buona serata!!!

Drago :3
  
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