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Autore: LondonRiver16    02/11/2016    1 recensioni
Tu. Lo avevi baciato tu.
Ma certo che lo sapevo. Certo che lo sapevo, Blaine, Gesù Cristo. Davvero pensi che non abbia trascorso ogni singolo giorno del nostro stare insieme languendo nel terrore che tu mi scivolassi via dalle dita? Davvero credevi che non sapessi con sicurezza, nel profondo, che tu non eri e non saresti mai stato mio, neanche per un secondo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky | Coppie: Blaine/Dave, Blaine/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Breve one-shot che riprende gli avvenimenti della 6x07, frutto di una disperata furia scribacchina di un freddo pomeriggio.

Vorrei specificare che sono una convintissima amante e sostenitrice della Klaine e che ho gioito come chiunque altro quando hanno riconosciuto che non potevano rimanere separati. Con questa follia d’inverno ho solo voluto scavare un po’ più a fondo nel personaggio di Dave Karofsky. Perché secondo il mio modesto pensiero ha subito troppi atti di bullismo - dentro e fuori dalla serie - per non meritare un piccolo tributo.

Che mi rimane da dire? Buona lettura, viandanti!

 

 


Una volta su cento

 

Tell me why all the best laid plans

Fall apart in your hands

And my good intentions

Never end the way I meant

 

Quando mai sei stato fedele? Oh, Blaine, non prendiamoci in giro. Non lo sei mai stato. Non a me. Certo che stiamo parlando di me! Quando mai avrei cercato di nascondertelo? Sono qui, seduto sul pavimento di un soggiorno che non chiami più casa, a crogiolarmi nel vuoto masochistico della mia solitudine: credi davvero che mi importi di un altro essere umano al mondo? In questo preciso, lurido, patetico, devastante momento della mia esistenza? Esisto solo io. Io e la rabbia che devo ancora sputarti addosso. Ogni tanto. A intervalli irregolari. Senza avvertimenti. Dopo averti detto e scritto che va tutto bene. Sì, perché effettivamente va tutto bene, ma ogni tanto il mio inconscio prevale e io ti devo vomitare addosso tutte le mie paturnie, ancora una volta. Lamentele? Non hai il diritto di esporne. Dio, ricordi quel breve scambio di addii ridicoli? Io sì. L’ho trattato come un momento leggero nella vana speranza di renderlo tale, di plasmarlo a mio piacimento quale persona matura, e che cosa ne ho ricavato? Cicatrici di ricordi che mi scavano la pelle dentro, dove nessuno vede, e che riemergono nei momenti peggiori.

Sto bene novantotto volte su cento. Non penso affatto a te, o lo faccio sull’impronta della neutralità. Una volta su cento lo faccio con sdegno. Un’altra volta su cento, mi incazzo ancora a morte. Ricordo le nostre conversazioni, sono abbastanza debole da ricascarci e vorrei non avere mai creduto a una sola delle tue parole.

Ti ha baciato lui o l’hai baciato tu?

Quella è stato l’inizio della fine, tra noi, mi sono detto. Ci ho creduto a lungo, che fosse stato quello il momento della frattura. Ma in realtà la crepa si era formata molto tempo prima, non è vero? Prima ancora che noi ci provassimo. Noi stessi - la nostra misera relazione di facciata, il nostro spettacolino, il nostro tentativo, quella specie di ammasso di cocci tenuti assieme con la colla - eravamo nati e sopravvissuti sul fondo di quella crepa.

Tu. Lo avevi baciato tu.

Lo sapevo. Immagino di essere stato fortunato ad averti per un paio di mesi, eh?

Ma certo che lo sapevo. Certo che lo sapevo, Blaine, Gesù Cristo. Davvero pensi che non abbia trascorso ogni singolo giorno del nostro stare insieme languendo nel terrore che tu mi scivolassi via dalle dita? Davvero credevi che non sapessi con sicurezza, nel profondo, che tu non eri e non saresti mai stato mio, neanche per un secondo? Scivolavi via da me anche quando proclamavi promesse, figuriamoci dopo. Dopo il suo arrivo. Ma cosa importa il suo arrivo? Lui non se ne era mai veramente andato dalla tua testa. Io ero solo un tuo esperimento. Volevi vedere se ne eri capace, di trovare, stare, amare qualcun altro. Congratulazioni, sai ingannare gli altri e te stesso. Vogliamo vedere quanto sono profonde le mie ferite in confronto alle tue? Coraggio, facciamoci del male. Non temo più niente da te. Non mi ingannerai mai più. Non te ne concederò l’occasione.

Voglio dire che lo ami ancora. Non hai mai smesso.

Bastava guardarti in faccia, in sua presenza o meno. Sarebbe stato sufficiente conoscerti come ti conoscevo io - in verità, miseramente poco -, non sarebbe servito nient’altro per prendere la saggia decisione di non buttarsi nemmeno in quell’avventura suicida. Per capire quanto dolore ne sarebbe venuto, per me. Ma cosa avrei potuto fare contro quella tentazione di un’intensità letale, la tentazione di averti accanto a me? Tu, qualcuno. Qualcuno che riusciva a vedere tanto bene, in me, come nessuno prima.

Da quando Kurt è tornato a Lima, una bomba a orologeria ci ha ticchettato sopra la testa. Ora il tempo è scaduto.

All’inizio quasi mi pesava, il tempo con te. Non sapevo come gestirlo. Non appena ho imparato i rudimenti di quella strana arte, invece, lui ha cominciato a scorrere all’impazzata. Bizzarro di un dio, il tempo, quella tanto discussa sabbia che ci scivola tra i polpastrelli, sui palmi delle mani, e ci lega i polsi a una gabbia che non siamo in grado di scorgere. Il nostro tempo è stampato con inchiostro indelebile tra le spire della mia mente, Blaine. Dov’è finito? Perché sembra così vivo, quando lo ripercorro con la memoria, e devo invece costringermi a riconoscerne la vacuità quando ne parlo? Capisco perché sia finita, l’era in cui potevamo chiamare sprazzi di quel tempo nostri, solo nostri. Il nostro tempo. Lo capisco e non vorrei tornare indietro. La persona che eri quando stavi con me non esiste più, non avrebbe senso ostinarsi a cercarla in te. La persona che eri è svanita, morta. Sei un altro. Eppure, una volta su cento, ancora mi arrabbio. Ancora inveisco contro quello che è rimasto di te.

Mi dispiace, Dave.

Questa è la parte più deleteria di quel dannato ricordo. “Mi dispiace”?. “Mi dispiace”. Tanto perché non mi avevi ancora calpestato abbastanza, dovevi aggiungere quella faccia al tuo addio. Pensi mi abbia fatto piacere? Pensi di aver fatto la cosa giusta. Forse lo era, chiedere scusa. Peccato che non sembrassi nemmeno sapere dove stesse di casa, la sincerità. Davvero un gran peccato che quel “mi dispiace” sia stato e sia ancora, quella volta su cento, nulla più d’aria, per me.

Va bene. Va bene, davvero. Guarda, c’è un intero mondo di ragazzi là fuori che aspettano di sostituirti. Vai.

Certo che va bene. Va bene davvero. Da quando non ho più te, da quando te ne sei andato, molti mondi mi si sono aperti davanti agli occhi, aspettando solo che io allunghi una mano per toccarli o mi ci tuffi dentro senza indugi. Non sono mondi di autodistruzione come queste mie parole potrebbero far pensare, sono mondi di novità e incanto, di una bellezza che non riuscivo a vedere quanto c’eri tu. Una volta su cento sono arrabbiato e pesco e getto e monto parole alla rinfusa. Ma le altre novantanove volte la mia vita splende davanti ai miei occhi. Certo che va bene. Davvero, sono felice.

Certo che va bene. È così. Ma non dire, non pensare, non presupporre, non illuderti di essermi mai stato fedele. Non lo sei mai stato. Mai. Non sei mai stato mio, se non a parole. Mai. Lo spettro del passato non ti ha abbandonato nemmeno per un secondo, mentre stavamo insieme, e io per te non ero altro che un pupazzetto sopra il quale riversare le tue stizze, le tue insicurezze, il tuo bisogno di sentirti capace e desiderabile. Quando finalmente hai realizzato di esserlo, mi hai lasciato cadere come farebbe un burattinaio con le sue creature. Morto ai tuoi piedi. Senza vita, e poi sepolto nella scatola degli esperimenti.

 

It seems you only want the things

That you can’t have (1)

 

 



(1) “Best laid plans”, James Blunt

   
 
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