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Autore: lyssa    02/11/2016    1 recensioni
Fanfiction richiesta da xojim su tumblr! Prompt originale: a halloween party in uni in which sherlock turns up as a pirate (after much coercing from irene) and jim turns up drunk with just a smug smirk and a borrowed blue wig with shells and pearls stuck on it.
[4.000 parole]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, Jim Moriarty, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction richiesta da xojim su tumblr! Prompt originale: a halloween party in uni in which sherlock turns up as a pirate (after much coercing from irene) and jim turns up drunk with just a smug smirk and a borrowed blue wig with shells and pearls stuck on it.

Fanfiction per Halloween un poco in ritardo! Però dai, due giorni non sono troppi, no…? Le caratterizzazioni solo volutamente un po' diverse dall'originale, entrambi hanno età diverse e si sono incontrati in contesti diversi – senza considerare che Jim è ubriaco. Nonostante ciò, penso che la caratterizzazione da me data sia coerente con uno sviluppo diverso della storia.

È una fanfiction diversa dalle mie solite sheriarty, spesso molto angst o spinte, ma volevo scrivere qualcosa di leggero e questa AU mi ha dato il pretesto per farlo. Spero vi piaccia!
 
* * *

 
xxxi.



 
 
Ci sono domande a cui neanche Sherlock Holmes sa dare risposta.

"Perché John ignora l'esistenza di vestiti che non siano maglioni orribili e camicie altrettanto brutte?", "Come fa Mycroft a diventare più insopportabile ogni giorno che passa?" ed infine "Perché sono a quel tipo di festa che solitamente eviterei come la più pericolosa delle malattie?"

La risposta all'ultimo interrogativo va cercata in taglienti occhi azzurri e labbra ancora più affilate, nella voce di una donna che possiede una sicurezza che difficilmente le altre ragazze della sua età hanno. La risposta si trova nel sapore della carta appiccicosa sulla punta della lingua, nel legame del Delta-9-tetraidrocannabinolo ai recettori del cervello e del conseguente aumento del livello di dopamina. La risposta è in ciò che comunemente viene chiamato "essere fatti".

Sherlock sospira e quell'unico semplice gesto lo riporta indietro a giorni non troppo lontani, vacanze passate con i genitori e memorie di afosi pomeriggi d'estate, scanditi unicamente dal ticchettio dell'orologio e resi ancora più pesanti dalla solitudine che viene con la consapevolezza di essere diverso, unico al mondo. Sherlock sospira e chiude gli occhi un istante. Indossa quella che gli piace chiamare "la sua armatura" – per quanto un vestito da pirata più preciso ed accurato del necessario difficilmente possa essere definito tale.

Solo allora varca la soglia.

La prima cosa che fa è sollevare gli occhi al cielo.

Basse e soffuse luci rosse che vogliono rendere l'ambiente "spaventoso" ma fanno invece assomigliare la stanza al retro di un sexy shop, decorazioni talmente pacchiane e terribili da mettere paura unicamente a chi ha bevuto fin troppi drink o a chi necessita di una scusa per stringersi a colui con cui vuole appartarsi. Persone noiose, chiassose e stupide con costumi che non presentano la benché minima cura.

Vuole andarsene. No, deve andarsene.

Lo squallore di quel posto si sta già intrufolando sotto la sua pelle, inizia come un formicolio sulla punta delle dita e come un'infezione si propaga, trasformandosi in quel prurito che non può essere grattato, una costante sensazione di fastidio che può essere mandata via solo con parole affilate e pungenti, con quel tipo di commenti crudeli e sarcastici che sono stati una delle cause della sua solitudine da quando ne ha memoria.

Sherlock estrae il cellulare dalla tasca – è anacronistico, ma non ha potuto fare altrimenti – per scattare, prima di andarsene, una foto che provi la sua presenza al party. Si sente un po' stupido, vestito da pirata e con il braccio sollevato a scattare una selfie – ugh –, ma se quello è il prezzo della libertà, così sia. Fissa l'immagine per un breve istante, muovendosi un poco per cercare angolo e luce ottimali, preme il bottone al centro e poi…

E poi nulla, perché la foto è mossa e c'è una mano stretta intorno al suo polso.

La presa è delicata e decisa al tempo stesso, un po' come lei. È un tocco dal quale Sherlock sa di non poter (o voler?) scappare.

«Sherlock! Sei finalmente arrivato!»

La voce di Irene è alta abbastanza da sovrastare la musica e non c'è alcun bisogno per lei di farsi più vicina al suo orecchio, ma lo fa comunque, labbra che nell'avvicinarsi lasciano un segno rosso che Sherlock pulirà poi con il dorso della mano. 

«Mhn. Non ho avuto molta scelta.»

Irene trattiene una risatina e si allontana quel tanto che basta per far sì che Sherlock riesca ad osservarla.

Mascherarsi da vampiro ad Halloween è banale, ma non c'è nulla di banale in Irene Adler. Vestita di ecopelle nera e tessuto scarlatto come il rossetto che le tinge le labbra tese in un sorriso, la Donna – con la D maiuscola, in quanto unico essere di sesso femminile ad essersi ritagliata uno spazio nella vita di Sherlock – non è mai sembrata più a suo agio, tanto bella quanto pericolosa.

In qualche modo gli ricorda un fiore velenoso.

«Forza, forza, vieni che ti devo presentare una persona.»

Prima che possa dire anche solo una parola, Irene lo prende sottobraccio. Attraversano quasi tutta la sala, tra "scusa" inauditi a causa della musica troppo alta e manovre di emergenza per evitare urti e la conseguente doccia con cocktail colorati.

Quando si fermano, Sherlock spera vivamente che la persona che deve conoscere non sia il ragazzo che si trova davanti.

«Sherlock, ti presento Jim. Jim, Sherlock.»

Jim è estraneo e familiare al tempo stesso, come uno sconosciuto a cui hai sfiorato la spalla quando camminavi troppo velocemente o un'ombra percepita con la coda dell'occhio. Non è impossibile che si siano incontrati in precedenza, magari ad una lezione o ad un seminario.

È qualche centimetro più basso di lui, grandi occhi neri sotto una sottile linea di eyeliner e camicia blu notte con più bottoni aperti di quanto sia consono – non che gli occhi di Sherlock siano scivolati sulla porzione di pelle esposta e abbiano registrato il dettaglio, ovviamente.

Jim si muove con l'imprevedibile sbadataggine degli ubriachi, chiaramente incapace di stare fermo oscilla un poco sul posto e piega le labbra nel sorriso più insopportabile e compiaciuto che Sherlock abbia mai visto. È il tipo di ghigno che è abituato a vedere allo specchio. Su qualcun altro lo disturba.

«Hey sexy.»

Le parole sfumano in una risatina che si accentua nel momento in cui Jim si piega in avanti e stringe la mano intorno al braccio di Sherlock.
Irene, nel frattempo, si è defilata. Ovviamente l'ha lasciato in balia di un tizio chiaramente gay e disponibile. Ovviamente ha cercato di fargli conoscere qualcuno perché, testuali parole, "non scopa abbastanza".

«Canterei una canzone per te, ma...»

Jim sbuffa cercando di spostare così un ciuffo della parrucca azzurra che indossa, non riuscendoci decide infine di usare la mano libera. Nel farlo, stacca una delle perle che adornano quell'ammasso informe di capelli sintetici e decorazioni in plastica – sicuramente un'idea di Irene, che ha raccontato a Jim del costume che avrebbe indossato per prestargli qualcosa a tema ed essere una sirena (tritone?) improvvisata.

«… sarebbe un peccato uccidere qualcuno con un faccino così bello.»

La perla cade a terra e la mano di Jim si sposta in avanti, diretta verso il volto di Sherlock. Per qualche miracolo divino, si ferma prima di arrivare a destinazione.

«Allora posso anche andarmene.»

Con quello che dovrebbe essere un saluto, Sherlock è pronto a voltare i tacchi. 

Viene bloccato da un mugolio infantile, un "nooooo" petulante che lo costringe a contare lentamente fino a tre. Una volta terminato fa per rispondere, ma viene bloccato ancora una volta.

«Anzi, sì. Accompagnami fuori, dai.»

«E dovrei farlo perché…?»

«Perché se non prendo una boccata d'aria potrei rigettare la cena sui tuoi stivali e tesoro, non ho intenzione di stare con un ragazzo che puzza di vomito.»

Non è troppo difficile per Sherlock scegliere se essere puzzolente ma solo o se invece sopportare la compagnia di Jim. Il vomito si lava, il tempo speso con gente irritante non viene ridato da nessuno. Schiude le labbra per articolare i suoi pensieri, ma Jim lo strattona e allora le gambe si muovono da sole e non può fare altro che seguire l'irritante sconosciuto fuori – cosa che probabilmente sarebbe successa in ogni caso, dato che l'uscita è una soltanto.

Una volta all'aria aperta, Jim lo lascia. Gli fa l'occhiolino – a cui Sherlock risponde sollevando drammaticamente gli occhi al cielo – e si siede per terra, mani che subito iniziano a giocare con i fili d'erba del prato che circonda la casa.

Jim sembra relativamente lucido. Certo, probabilmente vomiterà un paio di volte nel corso della serata, ma è più o meno consapevole di ciò che lo circonda e, se non riprende a bere, non dovrebbe ritrovarsi privo di sensi chissà dove.

Il pensiero lo tranquillizza. Questa consapevolezza lo irrita terribilmente. Cozza con l'immagine che vuole dare di se stesso, il sociopatico freddo ed insensibile che non viene turbato da nulla e che non mostra alcun sentimento, neanche quel minimo di preoccupazione per un amico di qualcuno a lui importante.

«Ora che ti ho accompagnato posso tornare in stanza.»

Un'ultima occhiata, un cenno del capo e Sherlock gli dà le spalle.

«Si sta meglio qua fuori senza di loro, non è vero?»

È solamente una piccola scintilla, la fiamma di un accendino che tremola in una giornata ventosa, ma per quanto flebile, la speranza che qualcuno possa comprendere quello che prova lo fa voltare. Ha solo ventitré anni Sherlock ed il suo guscio di cinismo non è tanto solido quanto vorrebbe, a volte viene scalfito e tutto quello che ha dentro, tutto quello che tenta di reprimere con una disperazione che non può che essere definita umana, fuoriesce e prende vita in un piccolo sorriso che molti non notano.

Dà un'altra occhiata a Jim e, senza davvero esserne consapevole, si ritrova a camminare nella sua direzione e si siede accanto a lui sul suolo freddo e leggermente umido.

Forse Jim è davvero una sirena. Forse con la sua voce l'ha davvero attirato a sé.

«Pensavo ti piacesse fare festa.»

Jim ride. Lancia una manciata di fili d'erba nello spazio che separa le loro ginocchia.

«Certo, a volte è divertente e non è una distrazione tanto male, ma non lo definirei qualcosa che mi piace.»

Distrazione da cosa?  Vorrebbe domandare. Invece Sherlock deglutisce a vuoto, manda giù la domanda con un grumo di saliva perché non vuole essere deluso dalla risposta. Per una sera, decide di indugiare nella possibilità che qualcuno sia come lui.

«Cosa ti piace, allora?»

«Tu.»

Banale. Sdolcinato. Sherlock sbuffa e Jim ride ancora, ma questa volta dura solamente un attimo. Riprende a parlare subito, togliendo a Sherlock ogni possibilità di replicare, come se non volesse perdere la sua attenzione.

«Irene a volte. Le stelle.»

«Ti prego, dimmi che non studi astrofisica.»

Il risolino che nasce sulle labbra di Jim è una risposta eloquente. Riempie Sherlock con una frustrazione esagerata ed infantile, un'irritazione che lo scalda nella fredda notte autunnale e che rende le sue parole ancora più veloci del solito.

«È inutile!» Sherlock si sporge in avanti. Il suo ginocchio sfora quello di Jim. «Perché concentrarsi su qualcosa di tanto lontano quando c'è tanto qui che non conosciamo?! Perché studiare cose che non influenzano minimamente la nostra vita? Perc-»

«Perché non c'è nulla qui che valga la pena essere approfondito.»

Per un istante tutto si ferma.

Esiste solo Jim.

Jim che trema stretto nella sottile camicia che indossa, con le labbra socchiuse e solo appena increspate verso l'alto, in un sorriso che Sherlock non riesce a decifrare ma che sente in qualche modo vicino a sé. Jim che lo guarda con un'intensità tale da poterla sentire sulla pelle, completamente opposta alla frivolezza dimostrata fino a cinque secondi prima.

Jim che improvvisamente è diventato la persona più interessante al mondo.

Sherlock vuole rimanere a fissarlo ancora ed ancora. Secondi, minuti, ore: non ha importanza. Vuole rimanere lì per tutto il tempo necessario, perché qualcosa in lui continua a sfuggirgli, perché per la prima volta dopo mesi ha incontrato qualcosa – qualcuno – che non riesce a leggere, perché in fondo Sherlock è uno scienziato e non abbandonerebbe mai qualcosa che ha stimolato la sua curiosità.

«Pensi di essere sbagliato, Sherlock Holmes?»

La voce di Jim è bassa e delicata, un sospiro nel vento che tuttavia è in grado di rompere il momento e fa aggrottare le sopracciglia di Sherlock.

«Perché me lo chiedi?»

«Non so. Magari il tuo voler studiare l'infinitamente piccolo, tutte le cose che sono dentro di noi e che ancora ci sono oscure, nasconde il desiderio di voler capire gli altri o te stesso. Non hai risposto, comunque.»

A dieci anni, Sherlock avrebbe risposto sì. Lo avrebbe detto con il capo abbassato e gli occhi lucidi dietro le palpebre chiuse. Lo avrebbe detto in un sussurro spezzato, pensando ai compagni di classe e agli insulti che solamente fingeva di non sentire. Lo avrebbe detto pensando ai loro sorrisi e giochi, all'invidia soffocata cacciando il naso tra i libri di scienze.

A quindici anni, Sherlock avrebbe risposto no. Lo avrebbe detto a voce troppo alta e sporcata dalla rabbia, con le unghie conficcate nei palmi fino a lasciare i segni. Lo avrebbe detto con i pugni tremanti, gli stessi pugni che ogni tanto incontravano zigomi e nasi e sangue, perché non tutte le situazioni si possono risolvere a parole. Lo avrebbe detto pensando al senso di potere che tutt'ora prova nell'umiliare chi lo circonda, ignorando tuttavia il bagnato agli angoli degli occhi.

Adesso di anni Sherlock ne ha ventitré ed è una persona diversa.

«No.»

È bello dirlo ad alta voce ed è ancora più bello dirlo serenamente, senza rabbia o vergogna ma con solamente quel pizzico di arroganza e presunzione che Sherlock non vede come difetti.

«Bene.  Non pensarlo mai.»

Nessuno glielo aveva mai detto. Neanche Mycroft, l'unica persona a vivere una situazione simile alla sua, gli aveva mai insegnato ad essere orgoglioso di quello che era, di quello che è. Andando indietro con la mente, Sherlock ricorda lamentele e raccomandazioni, decine di "non comportarti in modo azzardato e non fare scelte stupide che possono compromettere il tuo futuro" e "lascia che gli altri non capiscano, usalo a tuo vantaggio".

Buffo come, dall'alto della sua intelligenza, Mycroft non abbia mai capito cosa davvero Sherlock aveva bisogno di sentirsi dire.

«Sei – anzi, siamo" e qui Jim ammicca l'ennesima volta "solo diversi da loro. Per fortuna.»

«Stai forse dicendo che siamo uguali?»

«Mhn, no.»

Jim ride e si fa più vicino, arrivando a pochi centimetri dal suo volto. Le punte dei loro nasi quasi si toccano.

«Io sono più carino. Ed intelligente, ovvio.»

«Impossibile.»

Jim ride di nuovo e Sherlock lo spintona, ignorando come il suo gesto sia più scherzoso che infastidito e sorridendo quando Jim cade sul prato, cosa che lo fa ridere ancora più di gusto.

«Te lo proverò. Ma ora sono troppo ubriaco per farlo.»

«Tanto non ci riuscirai.»

Per quanto ne sia sicuro, Sherlock vuole vederlo provare.

Jim è ubriaco, irritante e decisamente troppo propenso al flirt – qualcosa gli dice che queste sue caratteristiche siano state solo accentuate dall'alcool – ma è anche interessante. Forse non sarà uguale a lui, ma sicuramente è diverso da chi lo circonda e questo è abbastanza per ora.

«Vedremo.»

«D'accordo.»

Jim sorride e si sdraia supino, occhi rivolti verso il cielo stellato. Sussurra qualcosa che assomiglia a "abbiamo un appuntamento, dunque" e che Sherlock decide di ignorare.

Rimangono in silenzio per un paio di minuti – Sherlock è stupito nel constatare l'assenza di imbarazzo o di tensione, è un silenzio in cui si sente confortevole, un silenzio che riesce a creare con un numero di persone che si contano sulle dita di una sola mano – poi Jim si gira su un lato, emettendo un piccolo rantolio nel compiere il gesto.

«Ti va di rimanere un po' qui con me?»

Sherlock non ha dubbi sulla sua risposta.

«Non ho altro da fare.»
***

Ad un certo punto della serata – Sherlock non riesce a dire esattamente quando, da quando è in compagnia di Jim non ha sentito il bisogno di controllare l'ora e il cellulare è rimasto nelle tasche di un vestito da pirata di cui ormai si è quasi dimenticato – Jim si è alzato per andare a recuperare la giacca.

Sherlock lo ha guardato camminare barcollando e solo a fatica ha trattenuto una risatina quando i piedi di Jim si sono scontrati con un sasso che ha ricevuto mezza dozzina di imprecazioni in quello che Sherlock pensa essere gaelico. Lo ha guardato ritornare altrettanto barcollante e con la parrucca ancora più arruffata di prima ed ha sussultato appena quando si è sdraiato accanto a lui, sfiorandogli la gamba con le dita in un gesto che Sherlock non è sicuro sia stato casuale.

Jim ha passato un quarto d'ora buono a blaterare su stelle e costellazioni, mischiando leggende a formule di fisica ed ha passato altrettanto tempo a guardare Sherlock, occhi scuri come la notte e sulle labbra un sorriso affilato ma genuinamente contento. Anche allora Sherlock non si è alzato. Lo ha interrotto con i suoi soliti commenti insopportabili e gratuiti che hanno ricevuto in risposta risatine o parole altrettanto sarcastiche e non il solito mix di irritazione, rabbia e vergogna. Insultare e discutere con qualcuno che non se la prende ma risponde a tono è più divertente di quello che vorrebbe.

Sta apprezzando passare tempo con Jim e lo odia, ma non lo odia abbastanza da alzarsi e tornare nella solitudine della sua camera – dopotutto non riuscirebbe a fare nulla di produttivo, è Halloween e stare al dormitorio deve essere insostenibile.

Ora, dopo aver vomitato un paio di volte nel cespuglio poco lontano, Jim ha chiuso gli occhi. Sherlock lo osserva, sguardo attento che scivola sulle ciglia folte e lunghe – rese ancora più appariscenti dal mascara – per passare poi alla punta del dritto naso e alle labbra appena socchiuse, sulle quali si è concentrato qualche secondo di troppo.

«Se ti addormenti ti lascio qui.»

Jim mugola, con incredibile sforzo apre gli occhi e si solleva a sedere, facendo leva sul ginocchio di Sherlock.

«Allora accompagnami a casa, dai.»

Borbotta, afferrando la parrucca e buttandola – finalmente, aggiungerebbe Sherlock – senza troppi riguardi in punto indefinito del prato.
Quello che Sherlock vede, lo fa scoppiare a ridere. Ride Sherlock, di una risata genuina che non prendeva vita sulle sue labbra da troppo tempo, di una risata che lo scuote dentro e fa assomigliare ad un ragazzo della sua età, di una risata che lo rende caldo

«Cosa c'è.»

«I...» Jim solleva un sopracciglio. Per qualche ragione Sherlock trova la cosa incredibilmente divertente. «...I tuoi capelli!»

I capelli di Jim sono… indescrivibili. Ciocche nere come la più densa e scura delle notti vanno in tutte le direzioni, ricadendo sulla fronte pallida o rimanendo sollevati come tanti piccoli aculei.

Se solo fosse abituato ad usare i social network e immortalare ogni cosa con la fotocamera del cellulare, avrebbe scattato una foto.

Jim sbuffa, gonfia le guance e gli dà uno spintone. Barcolla mentre Sherlock rimane perfettamente immobile.

«Sherlock Holmes, sei uno stronzo.»
***

Il dormitorio di Jim è distante dal suo e Sherlock proprio non se la sente di lasciarlo tornare in stanza da solo.

Lo fa per lui, si dice, lo fa perché Jim non sta in piedi, non per altri motivi. Sherlock lo ripete come un mantra nella propria mente ed ignora la piccola petulante vocina – ora incomincia a capire perché gli altri non lo sopportino – che continua a dargli del bugiardo, perché quando mai antepone i desideri altrui ai propri, quando mai dimostra gentilezza, parola il cui solo suono lo fa rabbrividire, a sconosciuti?

Sherlock sospira e fa scivolare un braccio intorno al fianco di Jim. Lo stringe a sé e cerca di non pensare a quanto piacevole sia il peso di un altro corpo sul proprio, il calore che in una notte autunnale si propaga attraverso i vestiti. Sherlock cerca di ignorarlo e ci riesce, compartimentalizza queste sensazioni in cassetti del suo palazzo mentale che mai vengono aperti, sistemandole tra l'affetto per Mycroft e tutti i messaggi che il suo corpo gli invia e che gli ricordano il suo essere di carne.  

Cammina senza pensare al corpo stretto a lui e tutto va alla grande, solo che poi Jim ha la pessima idea di appoggiare la testa sulla sua spalla e sussurrare "il mio cavaliere in armatura splendente" ed il suo fiato è così caldo contro il collo – proprio quel giorno ha deciso di non indossare una sciarpa – che il sospiro che esce dalle sue labbra non è solo irritazione. È da tanto tempo che non è così vicino a qualcuno.

Convinto a non lasciarsi turbare dal comportamento altrui, Sherlock non si ferma. Non manca molto ormai.

È quando il dormitorio si staglia davanti ai suoi occhi che però fallisce nel suo intento. Il ragazzo irritante e ubriaco appiccicato a lui appoggia le labbra contro il suo collo e non contento incomincia a depositare piccoli baci misti a frasi sconnesse ed il guscio di ghiaccio di Sherlock si spezza in tanti piccoli frammenti che si schiantano al suolo producendo un rumore presente solamente nella sua mente.

Si ferma di colpo, maledice la propria pelle troppo sensibile, allontana bruscamente Jim.

Jim lo guarda dritto negli occhi per quelli che sembrano secoli – secoli in cui il cuore di Sherlock batte un poco più veloce del normale, secoli in cui le sue mani sono sudate, secoli in cui non riesce a capire quello che vuole – per poi allontanarsi.

Fa gli ultimi metri che li separano dal dormitorio correndo, all'improvviso come solo un ubriaco sa fare.

«Siamo arrivati.»

Dice, una volta che Sherlock lo raggiunge, con il sorriso sulle labbra.

Poi, si piega in avanti e colma la distanza che li separa.

Nei pochi film che Sherlock ha visto – o meglio, che John, il suo compagno di stanza, lo ha costretto a vedere – ci sono spesso scene in cui il tempo scorre al rallentatore, momenti in cui il protagonista è in grado di percepire ogni singolo dettaglio della scena che lo circonda e comportarsi di conseguenza. Sherlock sa di non essere il protagonista di un film d'azione, ma si sente un po' in quella situazione.

Solo che non riesce a muoversi per schivare qualunque cosa arrivi verso di lui.

L'unica cosa che riesce a fare è chiudere gli occhi e pensare che forse – solo forse, però – un bacio non sarebbe così male, perché sono completamente da soli e Jim probabilmente si risveglierà con poche confuse ricordi della notte appena passata. Baciare Jim è un'idea allettante perché potrebbe dargli più informazioni su quella persona tanto bizzarra quanto piena di sorprese, perché non ci sono testimoni, perché il loro sarebbe un bacio presto dimenticato, un bacio che non porta con sé tutti gli obblighi che rendono Sherlock completamente disinteressato alle relazioni romantiche.

Il loro bacio sarebbe un bacio senza implicazioni  e per una volta Sherlock si sente attratto dalla semplicità.

È quando si è preparato psicologicamente a ciò che sta per avvenire che aggrotta le sopracciglia. Le labbra di Jim lo sfiorano sì, ma solo all'angolo della bocca.

«Cos'era quello?»

Sussurra non appena i loro volti si allontano, con voce più aspra del voluto. Jim sorride con quel sorriso che aveva addosso quando si è presentato.

«Un bacio della buonanotte. So che volevi di più, ma non abbiamo ancora avuto un appuntamento e non entrerai nei miei pantaloni, non sono quel tipo di ragazzo.»

«Sembri esattamente quel tipo di ragazzo, in realtà.»

Jim apre la bocca a formare una O perfetta, in un gesto teatrale ed esagerato. Sbatte le palpebre un paio di volte, lunghe ciglia nere che calano su occhi altrettanto scuri.

«Oddio, quindi vuoi fare sesso con me!»

Se Sherlock prima aveva voglia di baciarlo, ora non più. Il suo desiderio si è sciolto come un ghiacciolo sotto al sole. Vuole solo tornare in camera ai suoi libri ed esperimenti, vuole cancellare dalla propria mente Jim con cose più interessanti e degne della sua attenzione, con cose meno infantili.

«No.»

«Se questo è ciò che vuoi continuare a ripeterti...»

Jim fa spallucce. Si volta e si incammina verso il dormitorio e Sherlock non lo ferma. Rimane ad osservare la sua schiena allontanarsi.

«Buonanotte Sherlock Holmes. Cerca di pensare a me sotto la doccia.»

Sherlock rimane a guardare davanti a sé fino a quando la porta non si chiude e anche la sagoma barcollante di Jim non si allontana. Allora respira profondamente, tira fuori il cellulare dalla tasca e manda un messaggio ad Irene, dita che si muovono veloci sul touchscreen.

"Ti odio."

Preme il pulsante di invio con un broncio sulle labbra. Sa che non riuscirà a togliersi Jim dalla testa tanto facilmente. 
   
 
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