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Autore: Shichan    14/05/2009    4 recensioni
Restava chiuso nella sua stanza e parlava solo con le sue bambole, dando loro vita e voci, inventando storie per loro. Ogni tanto, la giovane cameriera socchiudeva la porta e sbirciava all’interno della stanza.
Vincent era sempre solo, ma sorrideva.
Allegro, come se fosse circondato da bambini della sua età; spensierato come ogni suo coetaneo.
Invece c’erano l’oscurità di una stanza in penombra, un letto sfatto, e bambole di pezza sparse ovunque.

[Personaggi: Vincent Nightray, Altro personaggio (la cameriera di turno)][Spoiler vaghi della Retrace 31/32]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: i personaggi come sempre sono copyright di Mochizuki-sensei

Disclaimer: i personaggi come sempre sono copyright di Mochizuki-sensei.

E in questo caso posso davvero affermare che li uso perché ho una mente profondamente malata.

Note: io sono profondamente inquietata. Da molte cose: in primis, se odio Vincent Nightray, per quale arcano motivo ci sto scrivendo una shot?

Questa è la domanda che mi sono posta, ebbene: è l'1.14, ho finito la shot in tempi record e non ho una risposta.

Però devo ammetterlo: questo pazzo psicotico è divertente da muovere <3

Tutto in questa shot è una mia supposizione, perché sì, ho visto le scan fino al capitolo 36, ma erano in cinese... coff. *non c'ha capito nulla*

La canzoncina indecente che canticchia Vincent... ebbene sì. E' opera mia.

E so che sarà piena zeppa di erroracci inglesi, ma comprendetemi: io non so scrivere in rima nemmeno in italiano. E perché la scrivi per forza, direte voi.

Perché mi faceva figo. E in italiano era brutto. E perché ci vedevo quel matto di Vincent: saranno tre motivi sufficienti? *tiene pronto il coperchio della padella per coprirsi dal lancio di ortaggi, uova marce ed eventualmente oggetti contundenti*

Ringraziamenti: a chi ha letto “Liar” e ovviamente a chi l’ha commentata <3

Doremichan (a-arigatou ;///; *inchin* il tuo commento non può che farmi piacere e risolleva la mia scarsa autostima :3 Spero di non deluderti con questa, è il mio primo esperimento con un pg che non sia Oz o Raven/Gill >.<”)

Naru 4 ever (felice di rivederti fra le recensioni ^O^ Sono contenta che anche Liar ti sia piaciuta e penso che scriverò per un po’ su PH. E’ pur sempre la mia fissazione più recente XP)

Snjeg (nya, ma sono io che dovrei ringraziare te X3 E tu davvero sei stata troppo buona nei commenti ;//; Diffonderò PH nel mondo con le fanfic, yay! XD)

 

 

«Padron Vincent, cosa guardate?»

«Ho incontrato una ragazza, sai Emma?»

«Era bella?»

«Molto.Come una bambola.»

E l’ho distrutta.

 

Non era strano, che il suo giovane padroncino parlasse di una ragazza misteriosa che incontrava.

Ma come ogni adulto, e soprattutto ogni servitore di un membro di una casata importante, Emma non lo aveva mai contraddetto, immaginando la ragazza frutto della fantasia del bambino.

Non era strano, dopotutto: era sempre solo, anche quando giocava.

Restava chiuso nella sua stanza e parlava solo con le sue bambole, dando loro vita e voci, inventando storie per loro. Ogni tanto, la giovane cameriera socchiudeva la porta e sbirciava all’interno della stanza.

Vincent era sempre solo, ma sorrideva.

Allegro, come se fosse circondato da bambini della sua età; spensierato come ogni suo coetaneo.

Invece c’erano l’oscurità di una stanza in penombra, un letto sfatto, e bambole di pezza sparse ovunque.

Non si era mai accorto di lei, e la giovane non aveva mai voluto mostrarsi mentre lo osservava.

 

Era una scena che si ripeteva ogni giorno, una routine.

E padron Vincent non usciva mai dalla sua stanza; lo sentiva ridere, ogni tanto, dunque passava oltre.

Se rideva, si divertiva, allora doveva necessariamente essere tutto a posto, giusto?

La cameriera passava oltre e avanzava nei corridoi, strade di pettegolezzi di una villa come quella dei Nightray.

Vincent, pronunciava sempre nomi diversi; a volte c'era la bambola Josephine, piccola aristocratica viziata e piagnucolona a cui riservava sempre delle punizioni tipiche di un maestro, perché la trovava antipatica.

Altre volte, l'orsetto Ted era il protagonista di storie fantastiche con un mostro da sconfiggere - a volte l'aveva visto abbassarsi a guardare sotto il letto, esclamando un: «Ted, Ted, hai trovato il mostro!»

Le veniva da sorridere, spesso, intenerita; aveva saputo dalla governante della mansione, che il signorino Vincent aveva un fratello maggiore di lui di appena un anno ma che nessuno era più stato in grado di trovarlo.

Probabilmente, aveva pensato Emma, tutta quella fantasia era tipica di un bambino abituato a giocare insieme a qualcuno e non da solo.

E forse alla solitudine aveva attribuito quello che in realtà si sarebbe rivelato solo il primo di tanti incidenti; entrata nella stanza del suo giovane signore, aveva trovato la bambola che tante volte gli aveva sentito chiamare Josephine riversa a terra, tagliata in più punti e con l'ovatta che la riempiva che fuoriusciva. Poco distanti, sul pavimento, delle forbici.

Vincent era seduto sul letto in silenzio, circondato da qualche altro pupazzo, la veste per dormire che gli copriva le piccole gambe portate vicino al petto.

Guardava fuori.

«Padron Vincent, state bene?» chiese avanzando verso il letto, chinandosi in avanti per raccogliere la bambola.

«Non raccoglierla, lasciala a terra!» esclamò il piccolo, il tono irritato da qualcosa che la cameriera non seppe individuare. Lasciò perdere il recupero della bambola, avanzando verso il letto e allungando allora cautamente una mano verso il bambino.

«State bene? Non vi siete ferito con le forbici, vero?» domandò con tono pacato, cercando di non sembrare allarmata per non spaventarlo inutilmente.

Vincent scosse la testa, voltandosi verso di lei e rivolgendo lo sguardo indifferente alla bambola distrutta sul pavimento.

«Non raccoglierla. Quella è la sua punizione.» disse, il tono in qualche modo più pacato, e meno adatto ad un bambino. Emma azzardò uno sguardo alla bambola; le "punizioni" precedenti, erano sempre state qualcosa di innocuo, in un modo o nell'altro.

Ciò non l'aiutava a comprendere quel cambiamento repentino.

«Cosa è accaduto?» azzardò a chiedere, senza ricevere risposta e dunque rinunciando, senza forzarlo. Forse... si sentiva semplicemente solo.

 

Quello parve essere un episodio isolato.

Dopo quella volta, padron Vincent era tornato il bambino allegro di sempre, per quanto potesse esserlo qualcuno della sua età costantemente solo.

Ogni tanto, aveva preso a chiederle di giocare insieme e la giovane aveva acconsentito più che volentieri.

Era stato tempo avanti che, entrando nella stanza del bambino, le era parso quasi un dejà-vu; diverse bambole erano a terra, tagliate nuovamente in più punti, in maniera che - per quanto stonasse affiancata alla figura di un bambino - avrebbe quasi definito più brutale.

Alcune teste delle bambole erano state quasi completamente staccate dal corpo, lasciate lì a terra come un assassino senza pietà abbandona alla loro triste morte le sue vittime.

Quella volta, Vincent era di nuovo seduto sul letto, lo sguardo rivolto verso l'esterno, fuori dalla finestra; le gambe erano state lasciate penzoloni, sfiorando appena il pavimento con i piccoli piedi nudi.

L'espressione, era di nuovo indifferente, quasi annoiata.

Eppure, alla giovane parve quasi palpabile la possibilità di uno scatto d'ira se soltanto avesse pronunciato le parole sbagliate.

«Padron Vincent?» tentò, osservandolo preoccupata. Lo vide spostare lo sguardo su di lei come la prima volta.

«Emma, oggi non possiamo giocare con le bambole.» mormorò, il tono incolore, accennando con uno sguardo ai giocattoli sul pavimento, inutilizzabili.

La cameriera azzardò qualche passo in più verso il letto, sedendosi poi sul bordo del materasso, poco distante da Vincent.

«Perché... le rompete in questo modo? Non vi piacciono più?» domandò, osservandolo. Da quando era al servizio della famiglia Nightray, dopotutto, Vincent non le era mai parso un bambino eccessivamente violento, al contrario.

«Quando le cose diventano inutili, non devo forse buttarle?» chiese di rimano, osservandola.

L'espressione della ragazza si fece confusa: «Perdonatemi se ve lo faccio notare, signorino, ma se non le rompeste, probabilmente sarebbero ancora utili.» gli fece notare, il tono che manteneva quella gentilezza che per lei era sempre stato normale rivolgergli, oltre che per la semplice forma di rispetto che un servo deve al suo padrone.

Ma Emma, aveva sempre fatto inconsapevolmente la scelta giusta.

Perché il padrone non deve essere contraddetto.

 

Per giorni non le era stato permesso avere accesso alle stanze di Vincent e, insieme alle profonde scuse del padrone, aveva ricevuto i medicamenti del dottore di famiglia.

Il taglio era stato profondo ma ben curato, cosicché la cicatrice rimasta non era troppo visibile.

Ricordava a malapena come fosse accaduto.

Lo sguardo di padron Vincent che cambiava radicalmente, assumendo un'aria furibonda che stonava terribilmente sul volto di bambino dai lineamenti ancora morbidi.

Il freddo metallo delle forbici, improvvisamente in mano al suo giovane signore, che si abbattevano con violenza contro il suo braccio, lacerando la stoffa e la pelle con solo colpo secco.

Il calore fastidioso e appiccicaticcio del sangue che colava macchiando la divisa da cameriera; poi lo spavento, il dolore.

Ed infine, la perdita di coscienza.

E il suo giovane signore che con rabbia e disperazione urlava: «Mi stai accusando?! Non è colpa mia! NON E' COLPA MIA!»

Si era ripresa nella sua stanza, lo sguardo preoccupato e spaventato di alcune colleghe su di se.

Da allora, le sue mansioni erano divenute occuparsi della casa, o delle cucine per lo più; non aveva richiesto di tornare dal suo giovane padrone.

E lui, pareva non essere più uscito dalla sua stanza.

«Emma?» si sentì chiamare, riconoscendo la voce della governante e voltandosi.

La donna, austera e rigida nel portamento ma dagli atteggiamenti cordiali verso la servitù, le rivolse un sorriso incoraggiante.

«C'è qualcuno che vorrebbe vederti e dirti qualcosa. Vero, padron Vincent?» chiese sul fine della frase, voltandosi verso la propria sinistra.

Emma poté vedere il figlio adottivo dei Nightray sporgersi intimidito e con lo sguardo mortificato rivolto a lei, in silenzio.

Annuì meccanicamente, benché nella sua testa qualcosa le dicesse di rifiutarsi. Quel qualcosa che era all'erta come lo furono i suoi sensi quando lo vide correrle incontro, sentendosi abbracciare all'altezza della vita quando l'ebbe raggiunta.

Notò che aveva i piedi scalzi a contatto con il pavimento e portò lo sguardo sulla governante; quella alzò le spalle con un sospiro paziente.

Probabilmente il bambino doveva aver insistito fino ad obbligarla a portarlo subito lì.

Abbassò lo sguardo sulla zazzera di capelli dorati, il viso affondato nella gonna della propria divisa e le mani minute a stringerle una parte del grembiule intorno alla vita.

Si rese conto che, senza ombra di dubbio, il suo giovane signore piangeva.

«Mi dispiace, Emma! Non essere arrabbiata con me! Non volevo farti male, te lo giuro...» esclamò, il tono di chi non sapeva nemmeno bene come spiegarsi.

Fu istintivo circondargli le spalle in un abbraccio, come anche accarezzargli piano i capelli per rassicurarlo.

Eppure non riusciva a parlare. La cicatrice, quasi dovesse procurarle più dolore in presenza di chi l'aveva causata, prudeva fastidiosamente.

«Non odiarmi, Emma, non odiarmi per favore!» lo sentì esclamare, con un tono che aveva saputo definire solo "disperato".

E allora, l'aveva perdonato.

 

Non era stato comunque immediato il suo ritorno alle stanze di Vincent.

Per un certo periodo, le era stato affidato Elliot, l'unico figlio biologico dei padroni di casa. Solo più avanti, quando dalla stanza di Vincent non erano arrivati più suoni, l'avevano nuovamente mandata da lui.

La prima volta, si era avvicinata quasi con circospezione, spiando nella stanza del suo giovane signore come le prime volte che lo aveva osservato divertita e ammirata dalla sua fantasia.

Le bambole distrutte erano state sostituite da altre nuove, sparse sul pavimento ma intatte.

Vincent, quando l'aveva vista, aveva sorriso sinceramente felice come solo un bambino avrebbe saputo fare. La giovane si era sentita tranquillizzata da quel sorriso.

Si era dimostrata gentile e disponibile a fargli compagnia come la prima volta, come se nulla fosse accaduto.

Vincent le aveva presentato le sue nuove bambole e avevano giocato insieme diverse volte, inventando storie sempre diverse, lui con l'intento di impressionarla positivamente e forse cancellare quello scatto d'ira di quasi due mesi prima.

Lei, con l'intenzione di non far riproporre più uno stato d'animo che gli era costato quel profondo taglio ormai cicatrizzatosi.

Poi, un giorno, quel che le era apparso davanti agli occhi, era stato uno scenario diverso da tutti i precedenti; fino a quel momento aveva sempre visto le bambole intatte o distrutte.

Ma mai padron Vincent colpirle impugnando le forbici appuntite con tanta rabbia, conficcando la lama nei pupazzi fino a tagliarli e lacerarli senza quasi riprendere fiato.

Lontana dalla lama, osservarlo con lucidità era stato più semplice: la rabbia che aveva visto, non era che una minima percentuale se confrontata alla paura negli occhi dissimili.

La tristezza, seppur vera non era che la maschera di un'insana ed acerba follia.

E la voce rotta e furiosa, non era stato che un mero riflesso del significato delle parole pronunciate.

«Io vi odio, vi odio tutti, tutti! Perché?! Perché continuate a prendere il posto del mio amato fratello?!»

Emma non era entrata nella stanza.

Affrontare la stessa lama che l'aveva ferita e turbata tempo addietro non era facile.

E cosa avrebbe potuto dirgli, dopotutto?

 

Non aveva parlato a nessuno di quell'episodio, impegnandosi ad accompagnare padron Vincent a giocare fuori più volte possibili.

Le bambole erano diminuite, e con loro la quantità di quelle distrutte.

L'umore di padron Vincent, sembrava essere positivamente cambiato, complice forse l'aria aperta a cui non era mai stato troppo abituato e che era risultata quindi un'entusiasmante scoperta per lui.

Poi, finalmente per i corridoi di villa Nightray il pettegolezzo sulla bocca di tutti era stato quello capace di far sorridere padron Vincent come lei mai gli aveva visto fare.

Un altro figlio stava per essere adottato: l'amato fratello di padron Vincent.

Si era diretta alla sua stanza con un sollievo misto alla felicità per la buona notizia che aveva risollevato il suo giovane signore; entrando, aveva trovato tutte le tende tirate in modo da lasciar illuminare a giorno la stanza.

Sorrise: quello era il gran giorno, per padron Vincent.

«Hi, Miss Alice. Where are you going? Hide-and-seek is our game. Miss Alice, what are you... Emma!» lo sentì interrompere quella canzoncina melodica che, tuttavia, ricordava di non avergli mai sentito cantare.

Entrò del tutto nella stanza, osservandolo con un sorriso allegro: «Padron Vincent, non siete ancora pronto? Non vi hanno svegliato?» chiese, notandolo ancora in pigiama.

Lui rise, lasciando l'orsetto di pezza sul letto: «Posso accogliere mio fratello anche così! Lui è mio fratello, quindi di certo non gli importa come mi vesto.» le fece notare, gli occhi che brillavano ogni volta che nominava il bambino che stava per arrivare.

Si avvicinò alla toletta, prendendo la spazzola e tornando da lui: «Posso almeno pettinarvi i capelli?» chiese con un sorriso accondiscendente, aspettando il suo annuire per iniziare.

Lo vedeva dondolare le gambe avanti e indietro, sfiorando il pavimento, impaziente.

«Stavate cantando una canzone, prima?» domandò incuriosita.

Lo vide annuire appena: «Sì, la cantavo prima, mentre dormivo! C'era anche una ragazza.» spiegò.

La cameriera continuò a spazzolargli i capelli: «Avete sognato una ragazza?» incalzò con una nota divertita nel tono. Lui assunse l'aria di chi è sorpreso di non essere stato capito - che lei intravide dallo specchio di fronte a loro.

«No, l'ho proprio incontrata!» esclamò, più chiaro. Lei annuì accondiscendente.

Non voleva insistere, se padron Vincent voleva considerarlo un incontro non avvenuto in un sogno o nella sua fantasia ma nella realtà.

Decise di assecondarlo: «E ditemi, era bella?» domandò.

Lui sorrise, ricordandola - o immaginandola: «Molto. Come una bambola.» rivelò.

 

Hi, Miss Alice. Where are you going?

Hide-and-seek is our game.

Miss Alice, what are you doing?

My dear lady, I know your fame.

 

Salve, signorina Alice. Dove sta andando?

Nascondino è il nostro gioco.

Signorina Alice, cosa sta facendo?

Mia cara signorina, conosco la tua fama.

 

«Come una bambola? Le avete parlato?» chiese, distrattamente, continuando il proprio lavoro.

Lui la guardò dallo specchio.

«Sì. E le ho fatto un regalo.» rivelò.

 

You're a monster, my creepy lady.

You simply can't be free.

Like me, you're just an unwanted baby.

You're useless, don't you see?

Sei un mostro, mia inquietante signorina.

Semplicemente non puoi essere libera.

Come me, sei solo una bambina indesiderata.

Sei inutile, non vedi?

 

«Un regalo?» chiese sorpresa, nel tono una sfumatura di elogio: «Siete un vero gentiluomo. Sono certa che le sarà piaciuto.» rivelò, con il tono di chi la sa lunga, o ha l'assoluta certezza di ciò che dice.

Vincent sorrise, approfittando di non essere visto.

Un sorriso dalla sfumatura diversa, mentre lei finiva di sistemarlo, alzandosi.

«Vi lascio, padron Vincent. Vostro fratello arriverà a breve.» assicurò la cameriera.

 

Let my sword pierces you, princess.

Let you die and fall in darkness.

Forget your past, your pain.

That's the end of our game.

 

Lascia che la mia spada ti trafigga, principessa.

Lasciati morire e cadi nell'oscurità.

Dimentica il tuo passato, il tuo dolore.

Questa è la fine del nostro gioco.

 

Osservò il riflesso nello specchio, un sorriso leggero ad increspargli le labbra.

Il terrore e le lacrime, la propria risata ad echeggiare in quel luogo senza tempo.

Un gioco estremamente noioso.

Personaggi secondari indegni del loro ruolo.

Una perdita di tempo, un intrattenimento effimero nella fervente attesa dell'arrivo dell'unica persona davvero importante.

Suo fratello Gilbert.

Suo fratello.

Suo e soltanto suo.

Una persona. Una famiglia.

Un altro essere umano.

 

Miss Alice, I'm so sorry.

But I've someone else. So, don't worry.

 

Signorina Alice, sono davvero spiacente.

Ma ho qualcun altro. Perciò, non preoccuparti.

 

 

«Padron Vincent, vi piacciono le bambole?»

«Molto, perché sono un gioco interessante!»

Proprio come gli esseri umani.

 

   
 
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