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Autore: ArwenDurin    06/11/2016    5 recensioni
Uno Sherlock bambino e Mycroft ragazzino alle prese con qualcosa di "particolare" :)
"C’era di più. La paura di Sherlock era reale...
«Sherlock?»
«E' buio, fa freddo, è buio...mmmm» il bambino aggrottò la fronte cominciando ad agitarsi
«Tranquillo Sherlock, sei al sicuro, dimmi che cosa vedi»
«male» il tono cupo del bambino spaventò lo psichiatra"
Genere: Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mr Holmes, Mrs. Holmes, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Premessa: Ho fatto alcune ricerche per scrivere questo racconto, oltre al fatto ho chiesto pareri a chi si interessava dell'argomento. Ma io non sono un'esperta in questo campo per quanto mi interessi, dunque potrebbe non essere preciso il tema psicologico, però mi sono impegnata per far sì quadrasse il più possibile. Mi sono anche ispirata a vari film che ho visto, soprattutto uno (vediamo se qualcuno capisce che film è :P) per questo racconto.
E sarebbe meglio aveste una mentalità aperta per questo racconto, è solo un consiglio  :) visto è anche un racconto a tema halloweenoso :P
p.s: Mycroft ha sui 14-15 anni
Buona lettura :)


«Allora William, come andiamo oggi?» David si accostò alla poltrona dai disegni geometrici che per quanto soffice, l'aveva sempre trovata immensamente scomoda. Assunse un'espressione dolce e professionale mentre rivolgeva il suo sguardo al piccolo paziente di fronte a se, che con le braccia in grembo lo fissava con intensi occhi dalle sfumature d'azzurro e verde.
La stanza ovale e asettica li fissava e ascoltava quella seduta che stava iniziando
«E' Sherlock» David corrugò la fronte, sistemandosi gli occhiali dalla montatura sottile e fece un rosichino, puntando poi i suoi occhi blu verso il paziente
«Quello è il tuo secondo nome William, perché vuoi che ti chiamo Sherlock?»
il bambino deviò lo sguardo «Perché mi chiamo Sherlock»
enigmatico come sempre pensò lo psichiatra.
Erano varie sedute che facevano, ma William si dimostrava sempre molto schivo ed ermetico, dando risposte, quando si degnava almeno di rispondere, che facevano riflettere David.
Una collega della scuola elementare aveva portato alla sua attenzione questo bambino, con "problemi psichiatrici" (così aveva detto) e lui se ne era subito interessato, scoprendone molto presto l'intelligenza elevata, notevole per i suoi solo otto anni, e restando incuriosito dal suo cervello.
David sorrise leggermente «D'accordo Sherlock, ti rifaccio la domanda iniziale...stai bene oggi?»
il bambino si limitò ad un'alzata di spalle, dondolando i piedi dalla poltrona e continuando a guardarlo, la testa inclinata da un lato, con un'espressione che tradiva la sua noia
«Io sto bene sai? Poiché oggi pensavo di sperimentare qualcosa con te»
gli occhi del bambino si illuminarono di curiosità «un esperimento?» chiese, con un vocino tale da fare sorridere lo psichiatra
«Esattamente, oggi non parleremo di fatti banali come li hai definiti, ma bensì di qualcosa di più divertente» David si alzò e compì pochi passi prima di raggiungere l'oggetto che doveva prendere.
Tirò un sospiro lisciandosi i capelli neri perfettamente pettinati, e sperando di riuscire ad aiutare davvero quel bambino.
I signori Holmes erano davvero preoccupati per il figlio, e per quanto le sedute con il suddetto fossero solo agli inizi, Sherlock sembrava poco propenso ad aprirsi. Il problema così persisteva; anzi, era anche peggiorato, visto i graffi e le urla più frequenti, di cui il bambino poco ricordava. Difatti in una seduta rivelò a David come fosse un gran segreto, che non ricordava alcuni eventi della notte, e che vedeva delle cose che non specificò ma che non ricordava altro. Sherlock disse di avere come dei vuoti di memoria, poiché passava da vedere quelle cose a poi non sapeva come, trovarsi tra le braccia del fratello. Questa fu la ragione per cui David quel giorno decise di compiere quell'esperimento.
Era l'unica via per entrare nella mente del bambino, per capire...
Prese un marchingegno dal fondo di legno e con una pallina di metallo attaccata nel mezzo: un oggetto che era stato creato dallo lui stesso, e che preferiva ai vari strumenti per l'ipnosi. David pensava che quella pallina attirasse di più i bambini, piuttosto che una spirale o altro, e così prendendo l'oggetto dal tavolino bianco in cui era appoggiato, tornò da Sherlock e lo pose sul tavolino ben lucido, che stava in mezzo a loro.
«Vedi questo piccolo marchingegno, Sherlock? Ora voglio che tu osservi attentamente la pallina...che tu la osservi e ascolti la mia voce»
il bambino corrugò le sopracciglia avvicinando il viso al suddetto oggetto, e le sue piccole labbra a cuore assunsero un'espressione di broncio
«Perché devo guardare un pallino che si muove?» David non poté trattenere un sorriso
«Perché è un esperimento e a te piacciono gli esperimenti, giusto?» Sherlock annuì, scuotendo i suoi ricci e portando le mani sotto il mento. Tipica posa di riflessione del bambino, che restò infatti  qualche minuto in silenzio prima di rispondere
«Ma cosa mi farà?» guardò con occhi pieni di curiosità David, che lesse bene anche il lampo di paura che attraversò lo sguardo del bimbo.
«Ti rilasserà come se stessi dormendo, e sarai calmo e in pace. Calmo e in pace» lo psichiatra abbassò il tono di voce, mentre fece partire il pallino che cominciò a dondolare a destra e a sinistra. La luce soffusa rendeva l'atmosfera calma e Sherlock fissò quella pallina, ne seguì i movimenti e piano piano il suo corpo cominciò a rilassarsi
«calma e pace Sherlock, lo senti? Avverti il tuo corpo così leggero e tutto intorno a te c'è quiete e silenzio, ascoltami Sherlock ascolta la mia voce e dormi. Ti sveglierai al solo suono della mia voce...adesso dormi»
il bambino socchiuse piano le palpebre, ma David fu poco convinto della riuscita dell'ipnosi anche quando il bambino chiuse definitivamente gli occhi. Una sensazione di bruciante dubbio lo aveva preso allo stomaco, ma doveva provare...
«Ora Sherlock, sei in camera tua, è notte la luce è spenta e tutti stanno dormendo....dimmi, cosa senti?»
«Fa freddo, la mamma ha messo una coperta troppo leggera e ho freddo!!»
«Va bene Sherlock, ma sta tranquillo. Adesso dimmi, cosa vedi?»
Sherlock rimase in silenzio, immobile
«Sherlock?»
«E' buio, fa freddo, è buio...mmmm» il bambino aggrottò la fronte cominciando ad agitarsi
«Gli occhi, gli occhi!! R...R!» il bambino cominciò a urlare dimenandosi e cominciando a piangere, e David ne avvertì l'angoscia
ancora quella lettera  pensò, in quanto il bambino l'aveva più volte nominata. Aveva chiesto naturalmente spiegazioni agli Holmes, ma non erano stati in grado di dargli una risposta. David aveva fatto ricerche in merito, ma nessuno aveva quell'iniziale negli Holmes.
«Tranquillo Sherlock, sei al sicuro, dimmi che cosa vedi»
«male» il tono cupo del bambino spaventò lo psichiatra.
Poi Sherlock urlò di nuovo e lo psichiatra fece il conto alla roveglia prima di svegliarlo «Sherlock, svegliati» poi sussurrò, ma prima che David potesse terminare per bene il risveglio, il bambino spalancò gli occhi: erano vitrei, folli dalla paura.       
«Sherlock» lo chiamò con il tono più dolce che potesse usare, sfiorandogli una spalla, tocco dal quale Sherlock si scansò
«Sei al sicuro, ehy» ma il bambino gli rivolse uno sguardo gelido, le labbra socchiuse e lo sguardo imbronciato «Tu sei un bugiardo! Mi hai detto mi sarei rilassato ma non è vero! E non mi piace questo esperimento, non voglio più farlo» e dicendo questo Sherlock si catapultò fuori prima che David potesse fermarlo.
«Sherlock!» urlò inutilmente, visto il bambino era già fuori dalla stanza. David chiuse gli occhi e sospirò portandosi una mano alla fronte, rimase qualche secondo a rimuginare, poi si alzò e si diresse fuori dalla stanza.

 Sherlock era esattamente dove pensava che fosse, ovvero tra le braccia del padre.
«Tutto questo è ridicolo» sentenziò difatti l'uomo con il figlio tra le braccia e puntò i suoi occhi azzurri indagatori sullo psichiatra.
«Mi dispiace...mi è sfuggito»
«Non mi riferivo a questo» l'uomo era sempre stato contro le sedute, lui sosteneva il figlio potessero aiutarlo loro stessi senza bisogno di interferenze.
«Oh, non essere assurdo Mr Holmes!.» la signora Holmes, con piglio temerario intervenne nella conversazione. I suoi occhi azzurri si impuntarono prima sul marito con sguardo di rimprovero e poi su David
«Voglia scusare mio marito, siamo molto lieti del suo lavoro dottore. E non si preoccupi, William è un bambino non certo facile»
«La ringrazio signora Holmes e le assicuro non succederà più» la donna sorrise leggermente poi puntò il suo sguardo al marito
«Ora, tu parlerai con William e lo farai ragionare» l'uomo stava per replicare, ma dal successivo sguardo della donna si limitò a sospirare. Sherlock staccò il suo viso dalla pancia del padre, e puntò lo sguardo prima sulla madre e poi su David
«Ci prendiamo una pausa Sherlock, va bene? Ci vediamo dopo» lo psichiatra usò un tono amichevole allungando una mano verso il bambino, che però lo guardò con disappunto. La signora Holmes schiarì volontariamente la voce e il bambino, fissando la madre, sfiorò appena la mano allo psichiatra, sospirando. Alla fine si appiccicò di nuovo al padre che lo prese in braccio
«Dottore» lo salutò con una certa freddezza, mentre si allontanava con suo figlio.
 
«Oggi sono andato troppo oltre con la seduta ma volevo aiutarlo, e questo modo era efficace…di solito è efficace» David rimuginò tra sé, non essendo sicuro che la signora Holmes l'avesse sentito, e ne fu lieto
«A quanto mi avete detto le crisi notturne peggiorano, vero signora Holmes?»
La donna sospirò, portando lo sguardo altrove «Altroché, nel cuore della notte urla così forte che sveglia tutto il vicinato, ma prima bastava che Mycroft andasse da lui e lo calmasse. Aveva anche smesso di urlare, o almeno di urlare così forte da essere sentito anche da noi al piano di sopra. Solamente suo fratello, che ha la stanza adiacente alla sua, lo sentiva» la donna lo guardò con una fermezza tale da sembrare, per chi non la conosceva, indifferente al problema del figlio. In realtà era molto preoccupata per lui.
«Ma adesso non si limita alla notte... di giorno persino; la sua mente è come se fosse sconnessa da qui, si è pure intestardito nel farsi chiamare con il suo secondo nome»
«Già, l'ho notato» una nota di dispiacere tinse il tono dello psichiatra
«Per cui dottor Watermann, lei ha fatto più che bene dunque a usare un metodo diverso: l'importante è risolvere tutto questo» la donna sospirò
«Ora se volete scusarmi, vado a dare un'occhiata a mio marito sa... è troppo docile con il bambino. A dopo» sorrise e strinse la mano allo psichiatra che ricambiò il saluto prima di allontanarsi, e il suono dei suoi tacchi color prugna accompagnò i pensieri di David.
Pensò ancora alla lettera pronunciata dal bambino e all'agitazione durante l’ipnosi. All'inizio, lo psichiatra aveva associato queste crisi ad amnesia dissociativa, collegata ai vuoti di memoria del bambino, ma oggi l'idea gli era passata di mente, perché nemmeno sotto ipnosi il bambino aveva ricordato dati soddisfacenti. Successivamente, lo psichiatra aveva pensato a qualche abuso, per via dei graffi, ma nessuno nella famiglia pareva confermare questo pensiero: il padre gli voleva bene ed era molto affettuoso con lui, mentre la madre era molto preoccupata per il figlio, e quindi non poteva essere. Il fratello Mycroft tantomeno, visto che era sempre nominato con ammirazione dal bambino; e dunque, David non sapeva che pesci prendere. Aveva pensato di certo alla schizofrenia, dovuto sempre ai graffi sul bambino, ma era raro per gli otto anni di Sherlock.
L'unico indizio e cosa di cui sospettava, era questa R, per quanto pareva più una allucinazione, come anche gli "occhi" che il bambino quel giorno nominò, e dunque collegabile a qualche malattia mentale come un’encefalopatia*. Ma il bambino aveva già fatto degli esami a tale patologia, poiché quando Sherlock gli disse di vedere delle cose, David pensò subito ad allucinazioni ma non pareva corrispondere a questa, o a nessuna delle altre malattie mentali conosciute. Pensò anche che la causa fosse da imputare allo stress, peggiorato da un’ulteriore mancanza di sonno.
Ma secondo David e grazie alla sua esperienza, c’era di più. La paura di Sherlock era reale, i graffi sul suo braccio erano reali, e non erano auto inflitti, dunque c'era qualcosa. David sospirò disperdendo i suoi occhi blu al paesaggio movimentato e bello di Londra al di fuori della finestra.

Quando ripresero la seduta il bambino pareva tranquillo, ma rispose poco alle domande, si rifiutò di ripetere l'esperimento e David si accorse che era assente. Anche quando lo sguardo del bambino pareva lo fissasse, si vedeva che la sua mente era da un'altra parte, e lo psichiatra sospirò afflitto. Sherlock l'aveva chiuso fuori dal suo mondo, inoltrandosi in un atteggiamento di diffidenza e difesa.
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Era pomeriggio inoltrato quando gli Holmes fecero ritorno alla loro grande casa di Rye, uno splendido paesino della campagna inglese a sud est di Londra. Lì imponente, la loro bianca casa fronteggiava la strada e sul vialetto, in divisa scolastica e con il vento che giocava con i suoi brizzolati biondi capelli, vi era Mycroft. Aspettò che i genitori parcheggiassero la macchina e che il bambino scendesse dall'auto, rivolse un piccolo cenno di saluto ai genitori e poi concentrò tutta la sua attenzione al fratellino.
Mycroft si inginocchiò di fronte a lui e lo osservò: sguardo basso, atteggiamento distaccato...era alquanto deducibile che la seduta non fosse andata bene, come Mycroft sospettava. Rivolse un’occhiata al padre prima di concentrarsi sul bambino
«Ehy Sherlock, lo sai cosa ti ho preso oggi?» Sherlock lo guardò con grandi occhioni attenti ma non disse nulla
«Si chiama William» esclamò la madre in un sussurro piuttosto irritato, prima di entrare in casa. Mycroft ignorò quel commento e si alzò avvicinandosi al suo zaino, ed estraendo qualcosa che fece illuminare gli occhi del bambino...la sua brioche.
Mycroft ogni qual volta sapeva che il fratellino aveva delle sedute, passava dalla panetteria di fronte alla scuola e comperava la brioche preferita di Sherlock, un donuts ripieno di cioccolato, per alleviare un poco il turbamento del fratello.
Mycroft stesso non era molto favorevole a ciò, perché secondo lui turbavano troppo il bambino, ma allo stesso tempo ammetteva che Sherlock avesse un problema ed andava risolto. Mycroft, oltretutto, aveva fatto delle ricerche su quello psichiatra prima di accettare che psicanalizzasse il fratello: un uomo celibe che aveva dedicato tutta la sua vita ad aiutare i bambini, e aveva persino ricevuto un premio dal sindaco per questo. A Mycroft però poco importavano notizie e pettegolezzi; lo spiò personalmente e lo fece spiare, assicurandosi fosse una persona degna di fiducia. Quando constatò che effettivamente l'uomo avesse poca vita sociale e fosse gentile con i bambini, fu più rilassato.
«Sherlock, mm?» lo incitò vedendo che il bambino non aveva fatto un passo verso il dolce, e Sherlock si scosse nuovamente e lo guardò, facendo qualche passo incerto verso di lui e il donut. Poi con uno scatto, prese la brioche dandogli un piccolo morso e abbracciò velocemente il fratello. Mycroft si immobilizzò, come spesso accadeva a quei rari gesti d'affetto da parte del fratello. A lui erano ignote certe cose: dimostrare affetto non era tra le sue priorità. Ma gli piaceva fare felice il fratello, per cui diede una carezza ai capelli riccioluti di Sherlock, prima che il bambino si allontanasse con il suo premio.
«Ancora niente progressi, vero?» Mycroft domandò al padre mentre con lo sguardo, seguì il fratellino entrare in casa. Era una domanda alla quale aveva già dato una risposta nella sua mente, ma chiese per cortesia.
Il padre sospirò «Ovviamente no, mi chiedo quanto ancora dovrà andarci da quello psichiatra»
Mycroft lo guardò, gli occhi chiari del padre riflettevano dispiacere e preoccupazione
«Lo sai è necessario»
il signor Holmes non rispose, borbottò qualcosa che il figlio non capì e si avviò verso casa. Mycroft sospirò mettendosi lo zaino in spalla, e lo seguì.
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Era buio, e Sherlock ha paura del buio ma non può farci nulla, oltre che farsi chiamare con un'altro nome come avesse una nuova identità, che altro doveva fare?... e così chiuse gli occhi
«Andrà tutto bene, tutto bene... Readbeard? Eccoti, stai lì in fondo al letto andrà tutto bene» il bambino continuò a ripeterselo come un mantra mentre cercò di rilassarsi, come gli aveva insegnato David, calmando il respiro.
Quel dottore gli piaceva, poiché era senz'altro meno idiota di altri che aveva visto, come per esempio la psicologa della scuola che Sherlock non amava per nulla. Per quanto quel giorno David l'avesse irritato, poiché lo aveva preso in giro e questo Sherlock non poteva tollerarlo. Avvertì dei brividi freddi percorrergli la schiena, ma il bambino li ignorò perché preavvertito da Mycroft. A lui solo Sherlock, aveva detto di quei brividi che ogni sera invadevano il suo corpo, e Mycroft gli aveva detto di chiudere gli occhi e di ignorare quanto accadeva. Il fratello lo proteggeva e lui si sentiva protetto da Mycroft, per cui seguì il consiglio, per quanto non poteva fare nulla contro le ombre. Chi avrebbe potuto?
Improvvisamente sentì un ringhio basso dal fondo del letto, e Sherlock aprì gli occhi fissando il suo sguardo dove stava puntando Readbeard, in un angolo all'ombra. Il bambino sentì la sgradita paura attorcigliargli lo stomaco e accese la lampada sul comodino, non era abbastanza forte però da illuminare quell'angolo buio.
Readbeard scattò giù dal letto per andare in quel punto, ignorando i richiami del bambino e ringhiando forte quando si trovò lì, e Sherlock avvertì che sta lottando...
«Vai via» il bambino esclamò, stringendo forte il lenzuolo azzurro tra le dita tremanti.
Ma quell'ombra si fece sempre più grande e inquietante, un ghigno e poi la lampada si spense di botto mentre il battito del cuore del bambino accelerò come il suo respiro.
E li vide: occhi rossi
Sherlock cominciò a gridare, chiamando il nome di Readbeard più volte.

Mycroft scattò sul letto ed afferrando la sua vestaglia rossa, corse alla stanza adiacente dove gli urli del fratello inondarono la casa, e lo trovò lì rannicchiato sul pavimento con il volto celato. La luce proveniente dal di fuori lo illuminava un poco, facendo sì che sul pigiama bianco del bambino si notarono delle chiazze rosse. Mycroft sentì la paura serrargli la gola impedendogli di parlare, così accese la luce e solo allora vide.
«Per l'amor di Dio!» la stanza era avvolta nel caos, la lampadina sul comodino rotta, il letto ribaltato, vari giocattoli a terra e l'armadio aperto. Era qualcosa che il ragazzino non aveva mai visto, perché di solito la stanza era in ordine, e Serlock era piangente in un angolo della camera, ma non questa volta... Mycroft trattenne il respiro mentre si avvicinò al fratellino
«Oh Sherlock, che cosa hai fatto?» sussurrò abbassandosi al livello del bambino che alzò il viso verso il suo. Solo allora Mycroft vide da dove provenisse il sangue del fratello; non solo dai graffi sulle braccia, come di solito capitava, ma bensì anche da una lieve ferita in testa. Tutto questo lo allarmò maggiormente.
Il bambino, oltretutto, non aveva lacrime: solo uno sguardo assente e gli occhi quasi vitrei
«Loro Mycroft, loro. Readbeard, il cagnolino, ha provato a difendermi ma erano troppi, davvero troppi. Sono nelle ombre, sono nel buio» aveva un tono distante, innaturale.
Mycroft rimase basito, dunque era questo che affannava il fratello? Allucinazioni? E perché lo psichiatra non ci era arrivato allora? Che tipo di allucinazioni erano se nemmeno quel dottore li aveva rivelati? No...suo fratello non aveva una malattia mentale! Mycroft non poteva accettarlo e non era così! E Readbeard Dio...erano anni che non gli sentiva fare quel nome, il cane immaginario che accompagnò i primi anni del fratello certo, Mycroft lo ricordava  bene. Pensava fosse scomparso ma a quanto pare si sbagliava.   
Mycroft chiuse gli occhi sospirando, poi afferrò il fratello per le spalle agitato «Diamine Sherlock, che cosa stai dicendo? Basta, smettila! Perché stai facendo questo? Guardami»
«Non sono io!» urlò il bambino, guardandolo come se avesse ripreso coscienza e Mycroft scattò. Aveva tralasciato l'allucinazione di un cane mai esistito; è normale tra i bambini crearsi amici immaginari, ma questo... Mycroft era stanco di quella situazione e stanco di non poter fare nulla per il fratello
«Devi smetterla di fare l'idiota William! Mi hai capito? Non esistono i mostri e non esiste nessun Readbeard!»
Sherlock rimase immobile mentre il fratello lo prese in braccio, portandolo subito in bagno per medicarlo:ma qualcosa si bloccò nel bambino.
Quella parola... l'aveva chiamato idiota.
L'aveva chiamato come facevano a scuola e questo significava che non gli aveva creduto, proprio lui che era l'unico con cui Sherlock aveva parlato di quello che realmente gli succedeva. Era stato anche colui con cui in passato, Sherlock parlò di Readbeard ma vedendo lo sgomento che gli aveva provocato e il suo dire di smettere di nominarlo, Sherlock non l'aveva più fatto. Ma quella sera si era sfogato, non era riuscito a trattenersi pensando di essere capito, e il fratello reagiva così? Questo Sherlock non poté tollerarlo, e si sentì colpito, dentro di lui, come da un forte masso; improvvisamente si rese conto come lo vedevano anche i genitori e non poté accettarlo.
Sherlock non poteva pensare che per la sua famiglia fosse un'idiota.
I signori Holmes non tardarono a raggiungere Mycroft al bagno, il padre abbracciò il piccolo Sherlock parlandogli e gemendo, mentre la madre rimase sulla soglia della porta sconvolta e tremante. Ma il bambino poco sentì le parole dei genitori sul discutere o meno di portalo all'ospedale e chi diceva che la ferita era superficiale e non c'era bisogno, perché quella sera accadde qualcosa.
Da quella sera Sherlock si chiuse completamente con la sua famiglia, si chiuse con Mycroft. Convinse il suo cervello che quelle cose non esistevano perché non voleva essere considerato un'idiota e così involontariamente risolse in parte il problema, perché sparirono i graffi, e le notti urlanti.  A breve i suoi genitori furono contenti di ciò, e continuarono a mandarlo dallo psichiatra solo per insistenza di quest'ultimo, perché David ben percepiva la finzione del bambino.
E poi come avrebbe potuto guarire da solo ,all'improvviso? Questo si chiedeva lo psichiatra, c'era sicuramente qualcosa, qualche patologia che David doveva rilevare. E non vi erano più graffi è vero, né notti dominate dalle sua grida; ma vi era qualcos'altro negli occhi di Sherlock: una freddezza che non gli aveva mai visto. E parlava sempre meno, disse che si era inventato tutto...che i graffi se li faceva da solo, ma una delle prime cose che David constatò era appunto che i graffi non erano auto inflitti. Il bambino chiaramente mentiva, troppo spaventato e lacerato nel profondo da qualcosa. Un qualcosa che lo psichiatra, nonostante gli sforzi, non riuscì a scoprire; ma nonostante ciò non abbandonò quel bambino, non poteva farlo.
Difatti le ombre non erano svanite, il bambino le aveva solo nascoste dentro di sé, poiché piano piano il bambino cominciò ad ignorare la paura, per quanto la sentiva scorrere nel suo corpo, e piangendo varie volte tremando forte. Ma provò e riprovò finché non riuscì anche a chiudere gli occhi, dapprima con labbra serrate poi sempre più rilassato, e le ombre cominciarono a svanire. Perché ignorandole, Sherlock aveva "chiuso" la possibilità ai mostri di tormentarlo, visibilmente almeno, ma non internamente. Le ombre però poco a poco non furono più visibili ai suoi occhi, e nemmeno Readbeard, anche se lui lo percepiva, insieme alle ombre, vicino a sé.
E così Sherlock si chiuse sempre di più, e fu come un violino con una corda spezzata, la corda delle emozioni... e fingeva, celava i suoi veri sentimenti. Difatti da quel momento suonò discordante da ciò e da Mycroft, con il quale non parlò quasi più. Sherlock si era sempre considerato diverso dagli altri, e capì a fondo quanto questo fosse vero; fu così difatti che si chiuse in una corazza protettiva, sua personale...tanto nessuno avrebbe potuto capirlo.
Questo si diceva il piccolo Sherlock.                                                                         
Mycroft soffrì per quel distacco da parte dal fratello che non lo abbracciò più e sempre meno gli parlò, ma non poté rimediare. Ora pareva andare meglio ed è questo quello che contava per lui: che Sherlock stesse meglio. Le notti da incubo erano finite, eppure...c'era qualcosa che non convinceva Mycroft. I genitori però erano contenti, e si respirava finalmente un'aria di tranquillità, dopo vari periodi bui nella famiglia Holmes. E furono così tanto orgogliosi del figlio, che il padre lo definì "talmente intelligente da curarsi da solo, altroché quel Watermann"; così fieri che gli regalarono il tanto desiderato cane. Un cagnolino dal carattere dolce e vivace e dal pelo rosso e riccio, che legò subito con il bambino. Ma fu per un altro motivo oltre all'affettuosità dell'animale, a legare Sherlock a quel cane, a Barbarossa come lui lo chiamò. Perché Sherlock aveva guardato in fondo agli occhi del cane e gli parve di vedere l'entità di Readbeard dentro di esso, e dunque Sherlock accolse con gioia quel regalo.
In qualche modo si sentì protetto, perché dentro di lui“loro” c'erano e Sherlock lo sapeva, ma continuava a fingere.

A breve quegli eventi spaventosi furono sempre più distanti, dimenticati quasi da tutti tranne che da David e Mycroft che guardarono al piccolo Sherlock, chiedendosi e indagando su cosa fosse successo a quel bambino.

* In medicina il termine encefalopatia si riferisce all'encefalo e può presentarsi per varie cause e può anche essere congenita e provoca allucinazioni, può anche non essere permanente e dunque guarire

Angolo autrice: 
Ciao a tutti :) buon halloween! Lo so lo pubblico adesso XD ma è stato un racconto impegnativo e lungo per quanto soddisfacente!
Ebbene sì, Sherlock e il paranormale *non linciatemi* ahah ho messo l'AU proprio per questo, per quanto voi potete interpretarlo anche come cose mentali di Sherlock vedete voi :P                                                                                                                        
Comunque, voglio dire che anche Doyle si interessava di spiritualità dunque mi pareva carina questa idea :) Un'idea che mi ronza da un po' in testa, ovvero di vedere il rapporto tra Sherlock e Barbarossa e l'importanza di questo cagnolino, che in questo racconto è più particolare, nella vita di Sherlock.
E vedere il legame tra i fratelli Holmes :) che è complicato e affascinante e che prego di aver fatto il più IC possibile, dato l'età diversa e il tema trattato nel racconto.
Al momento non so se ci sarà un continuo, ma l'ho fatto finire un po' alla horror visto è un mezzo horror questo racconto :P almeno, tipo i tanti film horror che ho visto.
David è un mio personaggio e doveva esserci poco ma poi è così adorabile che ha preso più campo nel racconto :P poi adoro come si comporta con Sherlock 
La signora Holmes pare un po' fredda ma ho fatto il padre più affetuoso con Sherlock perchè sembra, varie teorie annesse, che lui sia più attaccato al padre.
Fatemi sapere cosa ne pensate e sarei lieta anche di qualche recensione :) grazie anche a chiunque lo leggerà!
Un grande ringraziamento a Sara e lei nononono XD una fantastica ragazza, che mi hanno aiutato nel punto psicologico del racconto!
 

 
   
 
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