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Autore: Lokisbrokensoul    09/11/2016    2 recensioni
'Erano passati ormai 5 anni dalla prima volta in cui Franny aveva posato gli occhi su quell’uomo tanto bello quanto tormentato. Osservarlo nei momenti in cui lui non poteva rendersene conto restava il suo hobby preferito. La sua mascella delineata, la barba brizzolata che contornava quelle labbra carnose e fiere, lo sguardo determinato e il tormento che dai suoi occhi ogni tanto si affacciava. Franny lo adorava, e sapeva quanto fosse sbagliato amare quest’uomo, questa belva, questa ferocia fatta persona. Ma allo stesso tempo sapeva che senza di lei, Negan avrebbe fatto uscire il vero demone dentro di sé, e allora ogni possibilità di redenzione sarebbe stata per lui eliminata. Franny era l’unico punto di luce nella sua vita oscura, e lei lo sapeva bene.'
Una OS inventata di sana pianta per spiegare l'oscuro passato di Negan, con la presenza di una donna che si rivelerà essere la sua ancora di salvezza.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Negan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***DISCLAIMER***
La storia che segue è frutto di un lavoro di finzione, e ho voluto creare questo passato per Negan in modo tale da renderlo più umano. La storia d’amore tra i due personaggi di sicuro non è tra le più sane che ci possano essere, ma ho ritenuto fosse adatta ai fini della storia. Detto questo, spero vi possa piacere il tono che gli ho voluto dare (non ho mai letto i fumetti di TWD ahimè, e non so quale sia il vero passato di Negan) e che possiate apprezzare questo breve (non proprio breve) racconto su di lui e sulla donna che lo ama. Mi sono presa la libertà di modificare l'età di Negan (seppure io non sappia quanti anni abbia effettivamente il personaggio, solo l'attore).
The Walking Dead e Negan non mi appartengono, e neppure Jeffrey Dean Morgan (anche se mi sarebbe taaaanto piaciuto).
Grazie per avermi dedicato il vostro tempo, vi auguro una buona giornata ♡
 


 
Mama, I’m in love with a criminal
 
Erano passati ormai 5 anni dalla prima volta in cui Franny aveva posato gli occhi su quell’uomo tanto bello quanto tormentato. Osservarlo nei momenti in cui lui non poteva rendersene conto restava il suo hobby preferito. La sua mascella delineata, la barba brizzolata che contornava quelle labbra carnose e fiere, lo sguardo determinato e il tormento che dai suoi occhi ogni tanto si affacciava. Franny lo adorava, e sapeva quanto fosse sbagliato amare quest’uomo, questa belva, questa ferocia fatta persona. Ma allo stesso tempo sapeva che senza di lei, Negan avrebbe fatto uscire il vero demone dentro di sé, e allora ogni possibilità di redenzione sarebbe stata per lui eliminata. Franny era l’unico punto di luce nella sua vita oscura, e lei lo sapeva bene.

***
 

L’aveva incontrato durante una giornata uggiosa, il vento forte che le scompigliava i capelli e anche le idee. Lei aveva un gruppo, seppur piccolo e debole, formato da tre ragazze lei esclusa, Elizabeth, Jennifer e Sarah. Sarah era febbricitante e Liza in preda alle convulsioni dovute al dolore di aver perso un braccio. Franny aveva sparato senza pietà sulla testa dello zombie che aveva morso la sua amica, e da quel momento in poi aveva preso le redini del gruppo senza esitazioni. Erano affamate, in cerca di un posto dove passare la notte, la pioggia fredda schiaffeggiava i loro visi e piano piano cancellava ogni tipo di speranza che si era annidata nei loro animi.
Dopo un cammino lungo ore, con qualche ostacolo sulla loro strada, videro il cartello di benvenuto di una città, una piccola cittadina nascosta al mondo, nel cuore di una foresta. Sembrava un sogno troppo bello per essere realtà, e di fatto dovettero ricredersi dopo pochissimo tempo. Un gruppo di uomini forti e massicci le stupì da dietro, tramortendole con colpi di mazza sulla testa, provocando loro uno svenimento collettivo. Al momento del loro risveglio si ritrovarono in una cella fredda e puzzolente, con un acre odore di escrementi e di cibo andato a male. Non erano le sole, notò Franny, sbattendo gli occhi ripetutamente per cercare di abituarsi a quell’oscurità. Donne torturate, uomini adirati, bambini spaventati; era una vera e propria prigione, probabilmente costruita da creature che umane non potevano definirsi.
‘Quale uomo può essere capace di trattare i suoi simili in questo modo, in questo periodo di disastro generale, quando la vera minaccia da sconfiggere sono i non-morti? Quale uomo può trattare in modo così animalesco un essere della sua stessa specie?’ si chiese Franny in preda allo sconforto. Non aveva ancora mai conosciuto la cattiveria, quella ragazza. D’altronde, aveva solo 20 anni; aveva poca, pochissima esperienza. Non sapeva cosa significasse andare contro a qualcuno, sapeva solo che ciò che tutti gli uomini dovevano fare, adesso, era unirsi per uccidere il nemico comune ed estirparlo dalla faccia della terra: i Vaganti. In quel luogo nulla aveva senso, le sue convinzioni crollavano a mano a mano, e cominciò a capire di cosa potesse essere capace il genere umano, anche in momenti di difficoltà. Era solo l’inizio di quello che sarebbe stato il suo cammino nel mondo dei nuovi uomini che adesso popolavano la terra. Uomini diversi, uomini cambiati. Uomini il cui istinto di sopravvivenza superava ogni altro. E fu così che, persa nei suoi pensieri, mentre con la mano carezzava la fronte calda di Sarah, fu colpita da una figura solitaria sul fondo della stanza. Un uomo.
Era seduto all’angolo della cella, le gambe tirate al petto, e una foto fra le mani. Piangeva ininterrottamente, nonostante sembrasse una sorta di gigante che, se avesse voluto, avrebbe potuto incutere timore a chiunque. Eppure era lì, così rannicchiato da sembrare infinitamente minuscolo, con i muscoli contratti e un infinito dolore nel cuore. Le lacrime scendevano a fiotti, il suo sguardo era talmente perso che Franny credette che quell’uomo avrebbe potuto morire di dolore. Non aveva mai visto nessuno soffrire in quel modo, non nella sua vita. Il suo animo da crocerossina si fece sentire, e improvvisamente avvertì il bisogno di aiutarlo, di consolarlo, di andare lì e chiedergli la sua storia. Mossa da questo impeto subitaneo, disse a Jennifer, l’unica capace di potersi prendere cura delle altre, di badare a loro, perché aveva intenzione di capirci qualcosa del posto in cui si trovavano, e pensava fosse una buona idea chiedere agli altri prigionieri. Mentì. In quel momento l’unica cosa che aveva nella testa era cercare di capire perché quell’uomo stesse così male, quale tortura atroce avesse dovuto subire.
Si alzò, con la testa ancora dolorante per la botta ricevuta, e con passi lenti e misurati fece per avvicinarsi a lui, che con la vista periferica si era reso conto che quella sconosciuta lo stava raggiungendo. ‘Cosa vuole questa, adesso, da me? Che altro dolore pensano di potermi infliggere? Che scherzo atroce sarà mai questo?’ non fece a meno di chiedersi. Senza fare domande, la misteriosa figura si sedette di fianco a lui, solidale, con uno sguardo dolce sul viso.
« Ehi. » Gli disse, esitante. « Mi chiamo Franny. Sono… L’ultima arrivata, qui. Perdonami se mi permetto di invadere il tuo spazio personale ma… Non ho potuto fare a meno di notarti. Ti ho visto piangere in questo modo così disperato da farmi male. Posso chiederti cosa ti è successo? »
Ponderò ogni parola, per cercare di non suonare troppo invadente ma genuinamente preoccupata per lui. Quest’ultimo la guardò negli occhi, asciugandosi le lacrime dalle guance e cercando di capire se quella che aveva davanti fosse davvero una prigioniera, o una inviata da quel gruppo di torturatori per causargli ulteriore dolore. Si schiarì la gola, decidendosi che avrebbe parlato con lei in entrambi i casi; non ci sarebbe stato nulla di sbagliato nello sfogare il suo dolore con un’altra persona che condivideva il suo triste destino, e se fosse stata un’attrice avrebbe dimostrato a quegli stronzi che lui era più forte di tutto questo. O perlomeno, voleva esserlo.
« Mi chiamo Negan. » Disse, continuando ad osservarla. Lei restò in silenzio, in attesa.
« Vuoi davvero sapere cosa mi è successo? Cosa mi hanno fatto? Sai almeno in che posto ti trovi? »
Lei negò con la testa, avvicinando una mano alla sua, come volesse dire ‘Io sono qui, puoi parlarmene.’
« Quindi non sai neanche cosa ti aspetta. » le prese la mano, incurante di ciò che lei avrebbe potuto pensare, e la strinse. ‘Questa povera ragazza non sa a cosa sta andando incontro, e io sto per rovinarle ogni illusione.’ Più la guardava, più si convinceva che il suo sguardo era autentico, e che lei non aveva nulla a che fare con quegli uomini crudeli.
« Ebbene… Puoi chiamarlo un campo di concentramento, quello dove ti trovi. O meglio, un centro di allevamento. Gli uomini che comandano, qui, chiamati ‘La Mazza’, poiché la loro arma preferita da utilizzare è appunto una mazza da baseball, hanno perso il lume della ragione. Sono in tanti, e sono forti. Si sono arresi al mondo fuori da questa cittadina, al mondo infestato di zombie, e hanno preferito creare un mondo tutto loro. Si sono dati da fare per attrezzare questo posto come meglio potevano, e si sono barricati qui. Uscivano solo per fare rifornimenti di cibo, andando in gruppi di tre, e se qualcuno si trovava in pericolo lo abbandonavano all’istante, non rischiando di farsi prendere dagli zombie per colpa di un solo elemento. Erano circa una trentina, mentre adesso sono rimasti in quindici. Quando le persone in tutte le parti d’America hanno cominciato a scappare dalle loro città, alla ricerca di un luogo dove poter stare tranquilli, scoprivano per caso questa cittadina, credendola sicura, e volevano cominciare ad insediarvisi. E La Mazza cominciò ad averne timore. Pensavano che così avrebbero perso ogni singolo modo di poter vivere nella tranquillità, e che quella gente estranea avrebbe portato loro solo guai. E fu così che ebbero quest’idea. Da quel giorno, ogni persona che entra nella città, viene segretamente presa e portata qui dentro. Hanno sentinelle apposite per controllare i confini. E una volta qui dentro, ognuno viene trattato come un animale, le razioni di cibo sono minime, e come puoi vedere ognuno scarica i suoi bisogni qui dentro. E’ un vero e proprio recinto, e lo puliscono una volta al mese, rinchiudendoci per quel breve periodo in una cella più piccola. Ammassati come maiali prima del macello. Il loro scopo è esattamente, come ti ho detto, quello di creare un vero e proprio allevamento. Noi siamo qui, in attesa che ci vengano a prendere, uno per uno. Che ci uccidano, per poi tenerci come carne fresca per essere mangiata. »
Si fermò, per dare tempo alla ragazza di rendersi conto di ciò che lui aveva appena detto. Un fremito percepì nella mano di lei ancora stretta nella sua. Un fremito di paura. Di terrore. Di orrore. E così i suoi occhi non poterono fare a meno di esprimere ciò che stava provando. Cercò comunque di non scomporsi, per intimarlo ad andare avanti, mentre nella sua testa si facevano spazio mille pensieri oscuri.
Negan prese un bel respiro.
« Questa è l’immensa sfortuna che ti è capitata. E non credo ci sia modo di uscire di qui vivi, per quanto mi riguarda. Non posso nascondertelo. Non posso darti illusioni. Io ci ho provato. » E così dicendo le lacrime così a lungo trattenute fecero per sgorgare di nuovo, involontarie, quasi avessero vita propria. Franny sentiva il bisogno di piangere con lui, sia per l’orrenda e incomprensibile notizia che aveva appena ricevuto, sia per la disperazione che tanto lo affliggeva. Si fece più vicina e mise la sua mano nel suo grembo, carezzandola con l’altra, cercando di controllare il respiro e non farsi prendere dal pianto. Voleva essere forte per lui. E nel momento in cui lo pensò, si sentì un po’ sciocca. Non conosceva affatto quest’uomo, questo Negan era un totale sconosciuto per lei, eppure stava facendo tutto ciò che era in suo potere per aiutarlo, voleva farlo, e non sapeva spiegarsi perché. ‘Solidarietà nel dolore’, pensò, liquidando ogni altra teoria.
« Perdonami… » le disse, emettendo due colpi di tosse, cercando di riprendere il controllo. « Avevo una moglie, e una figlia. Si chiamavano Mary e Susan, ed erano le cose più belle che io avessi mai visto in tutta la mia vita. Mary era la mia compagna d’asilo, conosciuta in tenera età, amici da quando eravamo bambini, e mi ha accompagnato in tutte le fasi della mia vita. Mi ha conosciuto come solo lei ha potuto fare, e appena compiuta la maggiore età le chiesi di sposarmi. Avevamo un matrimonio felice, uno di quelli che vedi negli spot pubblicitari, tanto esageratamente sereno da sembrare finto. Noi eravamo così, spensierati, e suscitavamo invidia in tutti i nostri amici. Lei mi completava, e io completavo lei. Dopo 17 anni dal nostro matrimonio, nacque una bimba, una bimba meravigliosa, che chiamammo Susan. I successivi 3 anni con lei furono gli anni più sereni della mia vita, non ricordo un giorno in cui non mi ha fatto sorridere. Eravamo la famiglia perfetta, io e le mie due ragazze, e non avrei potuto chiedere niente di meglio. Era tutto così… Infinitamente bello, troppo per essere vero. Fino a che, nel giorno del mio trentottesimo compleanno, ossia due anni fa, non scoppiò l’apocalisse. Questa nuova minaccia, gli zombie, irruppero nelle vite dell’umanità. E beh, come si trasformò la vita da quel giorno in poi, penso lo sappia anche tu. Scappammo, cercando in tutti i modi di sopravvivere, e per due anni ci andò abbastanza bene. Vedemmo alcuni dei nostri amici morire, abbiamo sofferto tanto, ma la vita andava avanti. Fu così fino a cinque mesi fa, quando, per colpa del destino, siamo incappati in questa cittadina che da lontano ci sembrava tanto sicura, così estraniata dal mondo. Subimmo la tua stessa sorte, e fummo rinchiusi qui; al tempo i prigionieri erano molti di meno. La mia piccola Susan si trasformò, da vispa e spensierata bimba qual era, in un pozzo di terrore e sofferenza, e vederla stare così male mi provocava un buco nel cuore. La notte si addormentava abbracciata alla sua bambola preferita, Lucille, l’unica cosa che aveva deciso di portarsi dietro da quando eravamo scappati di casa. Era la sua ancora di forza, come lei e Mary erano la mia. Finché… » si fermò, ansimante, come se un mostro inaspettato stesse per squarciargli il petto da dentro, e altre lacrime gli bagnarono il viso. Franny era sconvolta, non aveva il coraggio di sentire quanto seguiva, perché aveva intuito che qualcosa di terribile era successo, e non c’era giustizia nel distruggere una famiglia che tanto si amava, e tanto sembrava perfetta. Aspettò, in preda al dolore anch’essa, ormai, e gli diede un bacio sulle dita frementi.
« Finché un giorno, esattamente un mese e una settimana fa, non cercai di trovare un modo per fuggire. Non mi ribellai, non gridai, non cercai di forzare le sbarre, niente di tutto questo. Continuavo a comportarmi in modo normale, semplicemente avevo iniziato ad osservare con calma i movimenti di ogni singolo carnefice, intuendo i loro sguardi, carpendo frasi rubate, per trovare una falla o un punto debole da poter colpire. Evidentemente non fui così scaltro come pensavo di essere. Si accorsero che qualcosa non andava, che qualcosa stava cambiando, e si accorsero che il calcolatore e artefice di tutto questo ero io. Non so come, non so in che modo, ma se ne resero conto. E me la fecero pagare. Fu una cosa del tutto graduale, a cominciare dal mozzare la testa a Lucille, la bambola di mia figlia. Entrarono inaspettatamente nella cella, e la fecero a pezzi. Con essa morì anche la forza della mia bambina, che a soli 5 anni non poteva far altro che aggrapparsi ad essa, e non la vidi mai piangere tanto come in quel momento. Gridai, mi lamentai, cercai di picchiarli, ma fu tutto inutile. Passarono svariati giorni, da quell’evento. Arrivò il giorno in cui, da fuori le sbarre, uno di loro, con un ghigno malevolo e storto, esclamò: ‘Ehilà, Negan. Ho bisogno che mi presti la tua donna per un momento.’ E così facendo entrò nella gabbia, la strappò dalle mie mani minacciando di fare del male a mia figlia se avessi opposto resistenza, e la portò fuori, lontana da me. Ti risparmio i dettagli più cruenti, ma la mia Mary fu stuprata davanti a me e gli occhi di mia figlia, e poi sgozzata senza pietà, tutto nel giro di 10 minuti. Fu il momento in cui persi ogni capacità di ragionare, di respirare anche, di piangere, di urlare. Morii dentro, qualcosa dentro di me si ruppe. La stessa fine fece mia figlia. La stessa, identica fine. Ogni singola cosa che ti ho detto. Processo identico. Davanti ai miei occhi. E aveva solo 5 anni… »
Prese una pausa, piangendo sommessamente. Lasciò la mano della ragazza seduta vicino a lui, e si coprì il viso, soffocando i gemiti di dolore. Anche Franny si scoprì in lacrime, stupefatta, terrificata.
« Mi hanno lasciato qui, da solo con il mio dolore, e con questa foto tra le mani. » Gliela mostrò cautamente, non pensando agli effetti che avrebbe potuto avere su di lei. Franny la osservò, sforzandosi di capire cosa stava guardando, e poi capì. Nella foto c’era una possa di sangue, una mazza insanguinata a lato, e due corpi inerti senza testa, uno di donna adulta, e uno di bambina. Si portò le mani alle labbra e lo guardò, infinitamente mortificata. Negan abbassò lo sguardo, poggiando la foto a terra, evitando di guardarla, e riprese le mani dell’unica persona che in un mese aveva avuto la decenza di andare da lui, e condividere il peso che aveva portato da solo per tutto quel tempo.
« Mi vendicherò. » affermò, tra le lacrime, con una voce più determinata e aggressiva di quanto Franny si aspettasse.
« La pagheranno cara, questi sporchi bastardi. Soprattutto quel figlio di puttana con il ghigno storto. Gliel’ho promesso. Non morirò finché non avrò la certezza di aver fatto provare loro la stessa sofferenza che hanno inflitto a me. »

***

Fu così che Franny venne a sapere dell’uomo che, con il passare del tempo, avrebbe imparato ad amare come solo una donna con tutte le sue forze può fare. Da quel giorno in poi, si sostennero a vicenda, nel dolore e nella sofferenza. Per cercare di sentirsi un po’ meglio e pensare il meno possibile alle atrocità vissute, lui le chiese della sua vita, di quanti anni aveva, di cosa faceva prima della catastrofe, si interessò a tutto ciò che lei gli diceva e raccontava. Scoprirono di essere spiriti affini, e condivisero momenti di luce in quella situazione di pura oscurità. Si fece aiutare da lui per far stare meglio Sarah e Liza, e si facevano forza come più potevano. Di notte dormivano l’uno di fianco all’altra, abbracciati, condividendo il respiro. Le faceva bene, stare con lui, poiché si sentiva meno sola e più protetta, mentre lui trovava in lei l’unica ragione per continuare a cercare di farsi forza, per poter credere che sarebbe riuscito nel suo intento di vendicarsi della sua famiglia. Lei gli dava forza, come lui la dava a lei. Non divennero amanti, non nel periodo della prigione, ma impararono a conoscersi e ad affezionarsi l’un l’altra.
Fino al momento in cui, grazie all’arrivo degli zombie, gli uomini de La Mazza furono colpiti nel loro punto più debole. Impazzirono tutti quanti, agendo impulsivamente, cercando di farli fuori come meglio potevano, ma si rivelarono troppo deboli e senza alcuna esperienza nell’uccisione dei non-morti, e si videro costretti ad aprire le celle per far sì che gli zombie cambiassero il loro obiettivo. Ma i prigionieri furono furbi, e con veloci movimenti di gambe e di piedi riuscirono a fare in modo di aggirare la mandria di zombie, combattere come poterono, ed evitare di finire tutti divorati dai vaganti. Non tutti loro ce la fecero, purtroppo, e alcuni di essi morirono atrocemente. Franny seguì Negan, che aveva una luce diversa negli occhi, una luce spaventosa, di pazzia, perché finalmente credeva di vedere il suo sogno coronato. Fu la fine de La Mazza, i loro membri morirono tutti quanti, chi per effetto degli zombie, chi per la vendetta dei loro prigionieri. E l’uomo con il ghigno storto si ritrovò con la testa esplosa sul pavimento, per colpa delle troppe mazzate. Negan teneva in mano quella mazza come oggetto del trionfo, e un sorriso maligno si fece strada sul suo volto.
Franny vide Sarah e Liza morire tra le grida più atroci, non potendo fare nulla per loro, troppo deboli per correre o muoversi; perse di vista Jennifer, che scappò senza preoccuparsi di chi rimaneva indietro, e andò via con un gruppo di sopravvissuti. Perdere le sue amiche fu il colpo di grazia, dopo aver perso ogni tipo di contatto con i suoi, che vivevano dall’altra parte dell’America. Tra le lacrime di disperazione, Negan la scosse, gridandole che dovevano andarsene da quel posto, e insieme scapparono via, due cuori nella notte. Lui era tutto ciò che le era rimasto.

‘Quel giorno è incominciata la strada verso l’Inferno’, rifletteva Franny, mentre lo guardava da lontano dare ordini ai Salvatori. ‘Quel giorno il suo lato umano si è fatto sempre più piccolo e nascosto dentro di lui, lasciando spazio alla sete di sangue e alla rabbia che forse mai riuscirà a placarsi.’
Furono 5 anni di progetti, piani e strategie per sopravvivere, per fondare un gruppo che potesse governare sull’America distrutta, vuota, popolata solo da gente spaventata. ‘Non saremo noi, gli spaventati. No. Noi saremo i predatori, coloro che si sapranno far rispettare, coloro che salveranno questo posto dalla desolazione e dal dolore. Noi saremo quelli che comanderanno, e che daranno un futuro migliore ai pochi rimasti in America. Noi saremo i Salvatori’ Questo, era diventato il pensiero di Negan. Peccato che aveva il modo sbagliato di metterlo in atto. Ma c’era qualcosa che mancava dentro di lui, e Franny aveva il sentore che quel vuoto non sarebbe mai stato colmato.
Aldilà dei piani, per così dire, ‘politici’ del suo amato, la loro storia d’amore non aveva fatto che fortificarsi, per quanto mai lei avrebbe pensato fosse possibile. In tutto quel tempo lui si era avvicinato a lei, l’aveva resa sua, l’aveva amata come nessuno aveva mai fatto prima. Faceva tutto ciò che era nelle sue capacità per tenerla al sicuro, non le aveva mai gridato contro, mai aveva alzato un dito. E ogni volta che per qualche motivo finivano per litigare, lui era pronto a chiederle scusa, mostrando a lei la parte vulnerabile di se’, che teneva nascosta al mondo. Lei era la porta per la sua umanità, la strada della salvezza. E lei lo amava così tanto che tutti i suoi sbagli non potevano farla allontanare, poiché sapeva che lui aveva bisogno di lei, e a sua volta lei aveva bisogno di lui, per quanto sbagliato potesse essere. A lei non importava. Sapeva che grazie a lei lui si conteneva molto nei suoi comportamenti, e questo le bastava. Anche adesso, nel guardarlo sgridare un Salvatore, sapeva che non avrebbe fatto nulla di impulsivo, nulla di grave o crudele. Perché c’era lei ad aspettarlo.

 
***

Entrò nella stanza con uno sguardo stanco, e allo stesso tempo affamato. Appoggiò Lucille al muro, vicino all’entrata, com’era solito fare, e si allentò la stretta della sciarpa rossa intorno al suo collo. Dopo averlo intravisto mi rigirai verso il fornello, dove stavo cucinando il pranzo apposta per lui. La mattinata di lavoro era terminata, e sapevo che amava trovare il pranzo pronto quando rientrava. Lo sentii avvicinarsi al mio corpo, e afferrarmi la vita da dietro, avvicinando le sue labbra alle mie orecchie.
« Ciao tesoro mio… » sussurrò, calcando con forza l’ultima parola, sottolineando il concetto. Sorrisi senza girarmi e finii di preparare il piatto, rispondendogli di rimando.
« Buongiorno amore. Com’è andata stamattina? »
Mi lasciò un bacio famelico sul collo e avvicinò la mano alla curva dei miei glutei, stringendo lievemente.
« Benissimo. » Sorrise e si staccò da me, togliendosi il giubbotto di pelle e andando verso l’appendiabiti. « Dwight ha sbagliato a prendere un ordine quindi per oggi abbiamo qualche risorsa in meno ma non è un problema troppo grave... Tornerà domani a riprendere quanto manca. Gli ho dovuto far capire di dover essere più attento perché sai, in questo posto bisogna essere precisi o la gente non ci prenderà più sul serio come dovrebbe. »
Presi i piatti e li poggiai sulla tavola già apparecchiata, mentre lui andava in bagno a lavarsi le mani. Rimossi il grembiule che usavo per cucinare e lo poggiai sul tavolo da cucina, mentre mi sistemavo di fretta i capelli. Tornò nel giro di due minuti, mi lasciò un bacio frettoloso sulle labbra e si mise a sedere, con occhi che osservavano avidamente il piatto di pasta di fronte a lui.
« Sono un uomo davvero fortunato, amore mio. Lo so che lo dico fin troppo spesso ma sento di dovertelo ripetere come una cantilena, perché non sarebbe mai abbastanza. Ti amo fottutamente, lo sai vero? »
Sorrisi dolcemente, sedendomi di fronte a lui. « Lo so bene. E non mi dispiace che tu me lo ripeta così spesso, » ridacchiai, « ti amo anche io. »
Mi guardò soddisfatto e mi prese la mano, stringendola forte, e baciandomi le dita. Mi ricordò qualcosa.
Dopo mangiato, mi aiutò a sparecchiare, comunicandomi che il pomeriggio sarebbe dovuto andare via e stare lontano per la notte.
« Non so se ricordi ma ti avevo detto che c’è un gruppo di uomini che mi hanno fatto arrabbiare… Hanno mancato di rispetto a me e agli altri Salvatori. Ebbene, devo occuparmene oggi. Quindi dovrò stare via per un po’ di tempo. Capisci che spettano a me queste cose. »
« Sì, ricordo che me ne avevi parlato. D’accordo, è giusto che tu faccia il tuo dovere. Solo… Mi mancherai, ma questo lo sai già. »
« Sì che lo so, principessa. » Darmi i nomignoli lo divertiva, e piaceva anche a me. Per quanto potesse essere assurdo, nessuno mi faceva sentire così protetta come riusciva lui. E non riuscivo a capire come fosse possibile per me amarlo a tal modo. Si morse il labbro, leccandoselo successivamente. ‘Maledetto bastardo’, pensai ‘questi gesti mi colpiscono nei miei punti più deboli’. « Ed è per questo che non ho intenzione di lasciarti così frettolosamente… » sogghignò.
‘Vaffanculo’, dissi a me stessa, ‘sono pur sempre umana anche io.’ E quest’uomo meraviglioso che era capitato a me, mi faceva un effetto che nessuno, e ripeto nessuno, era capace di provocarmi. Era splendido nei suoi 45 anni, poco importava se ne aveva 20 più di me. Aveva un sorriso capace di far morire ogni singola parte della mia anima, e uno sguardo talmente penetrante che ero convinta sarebbe riuscito a farmi godere solo con quello. La sua barba brizzolata gli donava terribilmente e il suo fisico statuario, con la sua altezza notevole, mi facevano sentire inerme in tutto e per tutto. In quei momenti dimenticavo tutto il resto; dimenticavo chi era diventato, dimenticavo chi ero diventata io, dimenticavo la realtà che ci circondava; in quei momenti eravamo io e lui, in un mondo che era solo nostro, che non poteva essere scalfito da anima viva. Mi conosceva bene, mio marito; sapeva quali erano i miei punti più vulnerabili, cosa mi piaceva, sapeva dove colpire e sapeva farmi del male, ma non un male negativo, quel male lieve e piacevole da provare. Non si sarebbe mai azzardato a farmi del male vero, non il mio Negan. Non a me.
Comprendendo le sue intenzioni, decisi di provocarlo, per rendere il gioco più divertente.
« Va bene tigre… Ma prima devi trovarmi. » Mi avvicinai a lui più sinuosamente possibile e avvicinai le mie labbra alle sue. « Adesso chiudi gli occhi. E io vado a nascondermi. Poi mi cerchi… E se mi trovi entro 5 minuti potrai farmi tutto ciò che desideri. Se non mi trovi entro 5 minuti, beh… Toccherà a me. » gli morsi il labbro inferiore, stupendomi di quanta tenacia avevo avuto. Non ero capace di fare queste cose, io, era sempre lui a comando della situazione. Ma volevo provare, così, per stuzzicarlo.
« Guarda guarda come si comporta la mia ragazza! Così mi piaci. » ridacchiò fra se’ e chiuse gli occhi, aspettando le mie istruzioni.
« Conta fino a 10. » sussurrai, per poi scappare via. Andai a nascondermi dietro a un vaso nella nostra camera da letto, un vaso piuttosto grande contenente una pianta che mi aveva regalato lui, tra le tante cose che mi riportava dalle sue visite agli altri gruppi.
Il tempo passò, e lo sentii dire ‘E va bene agnellino mio, il lupo sta venendo a giocare.’
Mi ritirai più possibile nell’angolo del muro, sapendo che mi avrebbe trovato in men che non si dica. Ma in fondo, ero io che volevo farmi trovare. Mentre camminava per le stanze lo sentii canticchiare una cantilena, come stesse contando, in qualche modo. ‘Eeny, meeny, miny, moe…’
Tempo tre minuti, e lo percepii nella stanza, a pochi passi dal vaso.
« …And you are it. » indicò il vaso, o perlomeno lo immaginai fare questo, ed emise una risata di vittoria, profonda e gutturale, che mi fece andare fuori di testa. Sgattaiolai via da quel mio nascondiglio e provai a scappare ridendo, ma lui mi bloccò all’istante, sollevandomi con un braccio e poggiandomi sulle sue spalle.
« No no no no no… La signorina non va proprio da nessuna parte. La mia signorina. Mia, e di nessun altro. » e così dicendo, mi diede una leggera sculacciata sul fondoschiena. Emisi un gemito.
Mi poggiò cautamente sul letto e mi sovrastò con tutto il suo corpo. Riuscivo a sentire l’odore di pelle del giubbetto che aveva indossato fino a poco prima, misto a colonia maschile e il suo odore inconfondibile, che ottenebrava completamente tutti i miei sensi.
« Prendimi… Sono tua… » sussurrai mentre si dava da fare con le mani, sfiorando i miei punti deboli, utilizzando le dita come sapeva fare bene, cercando di prepararmi per ciò che sarebbe arrivato successivamente. Ansimavo ininterrottamente, pregandolo di andare avanti, pregandolo di fare più forte, finché dopo tante richieste non decise di accontentarmi, fra i sorrisi maliziosi e divertiti. Pretendeva che ci guardassimo negli occhi quando mi faceva godere, perché amava osservare la mia espressione inebriata e gemente. Ci spogliammo del tutto, unendoci in un solo corpo, spingeva forte dentro di me, mi mordeva, mi amava, ansimava sul mio petto e mi baciava con trasporto, mentre tra i vari lamenti di piacere gridavo il suo nome. Lo volevo dentro di me, era un incastro perfetto, e avrei desiderato che quel momento potesse durare in eterno.
Lo facemmo più di una volta, provando posizioni diverse, esplorando l’uno il corpo dell’altra, perché era così che ci piaceva amarci. Ci donavamo eternamente l’uno all’altra.
Quando terminammo, abbandonò il suo corpo di fianco a me, respirando rumorosamente per riprendere fiato. Appoggiò la sua testa sul mio petto, lasciando dei baci ogni tanto, e vidi uno sguardo diverso nei suoi occhi. Vidi uno sguardo sereno, innocente, quasi malinconico.
« Ti amo Franny, io… Ti amo davvero. Non so cosa farei senza di te. » E sapevo, sentivo che mai parole più vere potevano uscire dalle sue labbra. Eccolo, l’umano Negan, l’uomo tormentato da mille pensieri, l’angelo caduto, che tentava con tutte le sue forze di non sprofondare nell’oscurità più nera. L’uomo che amavo. Lo strinsi più possibile a me e gli carezzai i capelli, lasciandogli baci sulla testa, e ripetendogli che lo amavo anche io e che non l’avrei mai abbandonato. E non l’avrei fatto davvero. Perché aveva bisogno di me, e io di lui. E così, tra i baci e le carezze, passammo le ultime ore prima del suo viaggio di affari, prima che l’uomo che a me tanto aveva donato la vita, se ne andasse in giro a rubare le vite degli altri.
 
 
 
   
 
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