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Autore: Lady R Of Rage    10/11/2016    1 recensioni
Ci sono cose che, per quanto ci impegniamo, non riusciamo a capire.
Sans non capisce perché lui e Papyrus non possono entrare nel ristorante di pasta che suo fratello desiderava tanto provare.
Undyne non capisce perché i genitori del suo ammiratore numero uno siano stati uccisi a sangue freddo per strada senza aver fatto nulla per meritarlo.
Mettaton non capisce perché tre uomini col passamontagna siano entrati nel MTT Resort con in mano delle mitragliatrici e abbiamo fucilato senza pietà chiunque gli capitasse a tiro.
Alphys non capisce perché è rinchiusa da due giorni in una stanza piena di polvere, con i polsi stretti da catene e il corpo pieno di ferite causate da coltelli e bastoni.
E Frisk non capisce cosa stia succedendo ai suoi amici, per quale motivo siano costretti a soffrire in questo modo.
Non capisce perché l'umanità, a volte, sappia essere così poco umana.
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Alphys, Mettaton, Papyrus, Sans, Undyne
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Il Cerchio Nero

Aveva fame, sete, freddo, e non aveva mai avuto tanta paura.
Alphys non ricordava bene come fosse iniziato tutto. Potevano essere passate poche ore, come un mese intero. Il suo cervello si era trasformato in uno spazio vuoto, dove palpitavano pochi fragili ricordi come pesci in una secca.
Ricordava una sera, senza luna, con i primi freddi che iniziavano a insinuarsi sotto le scaglie, in cui lei stava rientrando a casa dopo aver concluso i lavori burocratici quotidiani assieme a re Asgore e alla regina Toriel. Un uomo l’aveva avvicinata, chiedendole in modo affabile se potesse aiutarlo con un guasto alla macchina.
Ricordava di essersi sentita orgogliosa di poter mettere le proprie capacità di scienziata al servizio degli altri; di essersi chinata sul cofano aperto, facendosi luce con la torcia dello smartphone, in cerca di un danno che avrebbe poi scoperto non esserci.
Poi, qualcuno le aveva coperto la bocca con un panno dal caratteristico odore di cloroformio. Da donna di scienza, lo aveva riconosciuto immediatamente, e subito dopo il terrore si era impadronito di lei. Aveva capito che non sarebbe andata bene.
Aveva ripreso i sensi legata e bendata, in un contenitore stretto che identificò come il baule di un fuoristrada. Due mani rudi l’avevano tirata fuori sollevandola di peso come un pacco dopo un viaggio d’inferno, con gli scossoni della vettura che la sballottavano a destra e a sinistra come una sassolino in un’onda. 
Aveva pensato che nulla di peggio avrebbe potuto capitarle. Ma si sbagliava, oh, come si sbagliava.
La stanza dove l’avevano condotta, dopo averla rinchiusa in uno sgabuzzino angusto e insalubre per quelli che le erano parsi giorni, era piena di polvere. Al percepirla sotto le zampe, Alphys aveva sentito un cieco terrore impadronirsi di lei.
Ripensare a quello che era successo dopo la faceva tremare e impallidire.
L’avevano picchiata, bruciata, frustata, ferita con pungoli e catene, incuranti delle sue urla e delle sue lacrime. 
-Mostro!- gridavano a ogni colpo. -Mostro! Scherzo della natura! Questo meritate, voi esseri immondi!-
Indossavano cappucci che nascondevano il volto, e portavano alle braccia delle fasce rosse con il disegno di un anello tondo nero. Alphys non aveva riconosciuto quel simbolo, ma anche se chiudeva gli occhi le pareva di vederlo davanti a lei, cavo come una bocca pronta a inghiottirla intera.
Dalla stanza accanto provenivano delle urla; erano vari minuti che andavano avanti. La piccola scienziata si chiese chi fosse la nuova vittima dei suoi carcerieri: a giudicare dalle grida, sembrava trattarsi di più persone. 
I brividi si impadronirono di lei. Cercò di raccogliere il suo coraggio, la sua speranza, i suoi HP, ma ogni secondo che passava si sentiva risucchiare dall’Inferno. 
“Cerca di stare calma.” si disse. “Potrebbe essere una svolta. Magari assieme ai nuovi arrivati possiamo pensare a un piano per andarcene. Sei sempre una scienziata, che diamine.”
Poi le urla cedettero. Mentre Alphys, per il poco che le catene e il dolore le permettevano, allungava la testa verso la stanza delle torture, cercando di captare altri suoni, la porta della sua cella si spalancò di colpo, abbattuta da un calcio poderoso.
Nella tenebra, due occhi inconfondibili la cercavano: un’occhio azzurro, scintillante di determinazione, e uno rosa, illuminato da una fredda luce metallica.
Alphys sentì lacrime di sollievo lambirle le palpebre.
-Undyne! Mettaton!- gridò, la voce strozzata dai singhiozzi e dai denti mancanti. 
Non riuscì a dire altro: un gigantesco nodo le serrò la gola e un pianto dirotto le inondò le guance insanguinate.
Erano proprio Undyne e Mettaton: la raggiunsero di corsa, circondandola con le braccia, gridando il suo nome come bambini di fronte alla mamma perduta e ritrovata.
-Attenti… il braccio… c-credo sia rotto.- riuscì a dire tra i singulti. Undyne la prese per mano, guardandola con amorevole preoccupazione. -Non avere paura.- disse piano. -E’ finita. Va tutto bene.-
Mettaton divelse il lucchetto con un solo colpo di laser. Mentre le sfilava le catene dai polsi, Alphys notò che era struccato, e che indossava una semplice tuta grigio perla anziché le sue solite magliette sgargianti e i pantaloni attillati.
-Ho avuto tanta paura… non riuscivo più a trovarti.- esclamò il robot stringendosi su sé stesso come se sentisse freddo. -Pensavo che… credevo…-
Alphys si sentì arrossire. Lasciò che la star prendesse la sua mano mentre Undyne la sollevava in un abbraccio protettivo. Anche la sua amata era priva di trucco: aveva i capelli scompigliati, le borse sotto gli occhi, e c’era nei suoi occhi un rossore inconfondibile.
-C-come avete fatto a… a t-trovarmi?- tossì, stringendosi il più possibile al petto accogliente della guerriera.
-Endogeny.- disse semplicemente Mettaton. -Il loro fiuto è imbattibile.-
La condussero fuori, avvolta in una coperta, attraverso la stanza nella quale i suoi rapitori l’avevano straziata nei giorni precedenti. Gli uomini giacevano a terra privi di sensi; una mezza dozzina di lance azzurre erano conficcate nelle pareti, nel pavimento e nel tavolo, e in ogni angolo era cosparsa della porporina rosa acceso. 
“Hanno combattuto per me” pensò Alphys. Si strinse ancora di più al petto di Undyne, respirando il suo profumo salato, e si asciugò le lacrime con la manica del braccio buono. 
L’aria del
-Movimento Di Superficie… che stupidaggine.- sibilò Undyne. Istintivamente, la piccola scienziata si riscosse tra le sue braccia.
-D-di c-c-cosa parli?- biascicò.
-Gli esseri che ti hanno presa.- rispose cupo Mettaton. -Si fanno chiamare Movimento Di Superficie. Sono stati loro a compiere quella strage nel mio albergo. Il cerchio nero è il loro simbolo.-
-Sono fondamentalisti.- continuò Undyne. -Dicono che noi mostri… non dovremmo stare qua. Dovremmo tornare al buio, sotto terra, nel Sottosuolo.-
Alphys si strinse ancora di più al petto di Undyne, tremando di paura.
-A-allora loro… m-m-mi avrebbero…-
Sentì il pianto salirle agli occhi, e per un attimo, il mondo si fece silenzioso.
-No, piccolina. Non lo permetteremo.- Undyne le accarezzò la testa con l’unghia. -Ti proteggeremo noi. Non abbiamo lottato per tutto questo tempo perché la libertà ci sia portata via così.-
Mettaton non parlava. Stringeva le mani l’una nell’altra, visibilmente distratto, come se qualcosa dentro di lui lo disgustasse.
“Ha sempre amato gli umani…- pensò la dottoressa.
-Io non capisco, Undyne.- disse alla guerriera. -Non capisco proprio.-
  
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