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Autore: Ciomps93    14/11/2016    1 recensioni
Lei ha meno di vent'anni ed è ancora una ragazzina, lui quasi trenta ed è uno stronzo. Lei è la classica brava ragazza, lui è un ultras pericoloso e schivo, dagli occhi di ghiaccio. Lei ha la pelle bianca, lui ricoperta d'inchiostro nero. Lei ha gli occhi verdi, lui la testa rasata sempre coperta da un cappuccio scuro. Quando la vita li farà letteralmente scontrare l'uno sull'altra, a dispetto di tutto quello che pensa la gente, lei diventerà la sua ossessione, lui la sua salvezza nei grigi giorni tutti uguali di un ospedale...
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Instagram: ciomps_93
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Una brezza grigia di tempesta, densa di tuoni e pioggia, spirava sulla città. 
Ottobre soffiava via l'estate, nelle prime ore d'autunno, in una giornata scura e insolitamente fredda.

L'odore del temporale incombente riempiva l'aria, minacciando devastazione, e sugli spalti lei si stringeva nella felpa bianca, di almeno due taglie più grandi rispetto al suo esile corpo.

Portava i capelli raccolti alla nuca, in uno chignon fermato di fretta con una matita blu notte, prima di uscire di casa. La stessa matita con cui aveva sottolineato capitoli interi sulla pittura di Marc Chagall, prima di concedersi l'unica pausa in piena sessione d'esami: lo stadio la domenica pomeriggio, ogni qual volta la squadra giocava in casa.

Ciocche di ambra scura le erano soffiate sugli occhi  dal vento, ma lei non ci badava, si guardava intorno distratta e osservava la gente, perdendosi  nei dettagli di mani, volti e sguardi sognanti di bambino.

Lui sorseggiava la birra scadente del bar e si accendeva l'ennesima sigaretta, una dopo l'altra, senza quasi prendere fiato. Come se l'aria di mare fosse nociva per i suoi polmoni e la nicotina fosse il suo vero ossigeno, respiro di una creatura aliena a quel mondo.

Portava il cappuccio del giacchetto nero tirato su, a coprirgli gli occhi, forse per la brezza gelida, forse perché non amava troppo la compagnia, schivo com'era. 

Ma si sentiva comunque felice, dopo molto tempo assaporava di nuovo quel luogo, era finalmente tornato a casa.

Sciami di ragazzi prendevano posto e lui con loro, la sua unica famiglia. Il vecchio angolo in balaustra, accanto ai suoi amici di sempre per lui più che fratelli, nel regno indiscusso degli ultras, incomprensibili ad occhi indiscreti, giudicati da tutti ma mai realmente compresi.

Si soffiava nelle mani ricoperte d'inchiostro, per scaldarsi la pelle bianca, quasi cadaverica se non fosse stato per i disegni e le lettere che la ricoprivano, cercando di generare un tepore rassicurante e ascoltava solo in parte il brusio sollevato dagli altri.

Era più concentrato sulle facce della gente, adolescenti nel pieno subbuglio ormonale per lo più, pieni di brufoli e praticamente vergini nel mondo del tifo e della curva. 

Diverse centinaia di metri più in la lei sorrideva. 
Fissava gli occhi sul rettangolo verde mentre la squadra scendeva in campo e la curva intonava l'inno.

Cantava e sorrideva, quello era il suo centro di gravità, il posto che amava di più al mondo.

La partiva sfilava via davanti agli occhi degli spettatori, rannicchiati nelle giacche a vento e assiepati sugli spalti come una muraglia umana, senza troppo entusiasmo. Non era sicuramente al cardiopalma: le azioni erano poche, il gioco lento e il risultato stazionario.

Lui dava le spalle al campo, come ogni volta del resto, urlava l'inizio dei cori da cantare attraverso un megafono, incitando e a volte insultando quel marasma di ragazzini e uomini che invece seguivano avidamente ogni tocco di palla, ogni fischio dell'arbitro. Tenevano il tempo con le mani, a volte su  e a volte infilate nelle tasche per ripararsi dal gelo e, a intensità variabile, cantavano a gran voce per incitare i giocatori in campo o insultare la tifoseria rivale.

Lei non si scompose granché quando la pioggia annunciata arrivò a far tremare il cielo, si strinse di più nelle spalle e tirò su il cappuccio, anche se a poco sarebbe servito.

Non avrebbe comunque smesso si cantare, come nessun altro di quei ragazzi che si tenevano stretti sotto il diluvio e battevano le mani a tempo, esaltati da quella scarica di adrenalina ghiacciata, che gli dava la strana sensazione di essere invincibili e per un attimo forse immortali.

Lei cantava e si sentiva la bocca dello stomaco chiusa dalla morsa di una strana felicità, che solo certi rari momenti di stadio le sapevano dare.

Lui, diverse centinaia di metri distante, urlava e incitava, mentre i suoi amici un po' brilli sventolavano al cielo bandiere impregnate di acqua.

Accadde in un attimo e fu come un fulmine che incenerisce al suolo e ti toglie il respiro, ti prosciuga la vita dagli occhi.

Lei sorrideva di nuovo e lui la notò. 

E la guardò, di quegli sguardi capaci di devastarti l'anima e annientarti per sempre. 

Probabilmente nell'inconsapevolezza di sentirsi osservata, mentre faceva vagare lo sguardo tra il campo e il punto dove i capi ultrà guidavano il tifo, anche lei lo vide.

Incolmabili distanze, gocce perse in un oceano e circondate da migliaia di altre gocce, rimasero impigliate per un attimo, per poi precipitare nuovamente e non tornarsi a guardare mai più. 

Ma qualcosa era successo in quello strano giorno di pioggia.
   
 
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