Ice
and sugar
Modern!AU
non meglio specificata in cui
sorprendentemente non ci sono morti o feriti o iceberg, solo molto
zucchero.
Con
la partecipazione speciale di Celine Dion.
È
il telefono che squilla a svegliare Nico. Non
sta davvero dormendo, perché quando dorme i pensieri lo
pungolano con più
insistenza e non riesce a scacciare il viso di Bianca. Fissa il
soffitto
dipinto di nero, semplicemente.
Per
un secondo pensa di non rispondere, ma poi si
rimprovera; l’ultima volta che qualcuno ha chiamato e lui non
ha risposto, era
l’ospedale che lo avvisava che sua sorella era stata
ricoverata. Si allunga
verso il cellulare e le ossa gli scricchiolano. Il numero sullo schermo
non è
quello di Hazel o di Percy, come si era aspettato. Sconosciuto.
Risponde.
-Buongiorno-
saluta qualcuno dall’altra parte. È
la voce di un ragazzo, sconosciuto e innaturalmente allegro. -Sono Will
Solace.
Nico
attende qualche secondo che il ragazzo
continui. Non lo fa. -Quindi…
-Oh,
spero di non disturbare. La disturbo?
Nico
non sa cosa rispondere. Dire di sì sarebbe
davvero troppo villano, anche per lui. Sentirebbe i rimproveri di
Bianca a
perforargli le orecchie per tutta la sera.
-No,
non disturba. Perché ha chiamato?
Will
sembra ridere. -Ho trovato il tuo numero
scritto sul bancone di Chirone. Non lo conoscevo, e io conosco tutti
qui al
Campo, sai? E poi mi annoiavo un pochino.
Nico
non sa cosa rispondere. Non si accorge
nemmeno che Will ha abbandonato il lei. Sulle sue palpebre si staglia
nitida
l’immagine di Bianca che scrive il suo numero sul bancone con
un pennarellone
nero, nascondendo il gesto con una mano. Gli appaiono le dita lunghe
che
trafugano un sottobicchiere per coprire la scritta, e il suo sorriso.
-Ecco,-
aveva detto. -Così conoscerai qualcuno, musone.
Qualche
tempo prima dell’incidente. Più di un anno
prima.
Il
silenzio si è fatto davvero troppo lungo,
perché Will Solace si sente in dovere di riempirlo. -Troppo
strano?
Nico
fa un cenno di diniego, quando si accorge che
Will non può vederlo. -No, va bene.
-Un
po’ strano lo è, comunque. Tu chi sei?
-Troppo
personale.
-Ma
non vale, se devo conoscerti. Mi serve il tuo
nome.
-Troppo
personale.
-Okay,
allora. Colore preferito?
Nico
non ci mette neanche un secondo, per
rispondere. -Nero.
Will
ridacchia. -Dei, piuttosto scuro. Preferisco
decisamente l’arancione.
-Sì,
sei il tipo- conviene Nico.
-Probabilmente
hai ragione. Vedi? Questa cosa
funziona alla grande, ormai siamo praticamente amiconi. E tu che tipo
sei?
-Troppo
personale.
-Oh,
è difficile così! Nero, okay. Emo, o forse
Dark? Se usi l’eyeliner devi dirmelo subito, potrei prestarti
a mia sorella
così mi darebbe tregua come cavia dei suoi
esperimenti… okay, no, aspetta,
questo avrei dovuto aspettare almeno il secondo appuntamento per dirlo.
Diciamo… topo d’appartamento? In lutto?
Nico
vorrebbe dire Bingo!, ma
è ancora bloccato a sorella,
e d’altra parte non è il tipo. Non è
neanche il tipo che chiacchiera con gli
strani sconosciuti al telefono, a dirla tutta, quindi
perché…
-Okay,
okay. Sei un tipo silenzioso. E riservato.
Molto riservato. Mi piace, conosco troppi impiccioni. Studi?
Nico
contrae le labbra. -Mi sono preso un anno
sabbatico.
-Tu?-
continua prima che Will possa approfondire.
-Medicina.
Devo iniziare l’università a settembre,
ma penso già che potrei prendere un paio di specializzazioni
diverse, sai, per
variare.
Inizia
a chiacchierare velocemente dei corsi in
comune e esami che ha intenzione di dare. -Non chirurgia, sicuramente,
non è il
mio genere.
Nico
annuisce. No, non è il suo genere,
sicuramente. -Hai fratelli?- domanda, interrompendo la sua
argomentazione sulla
ricerca. Se ne pente un secondo dopo, ma è troppo tardi. Sorella, lo ha già detto, non
c’è bisogno di approfondire.
-Oh,
sì, decisamente troppi. Siamo in dodici, in
famiglia. Mio padre non si ferma mai, e non è un grande fan
delle precauzioni.
Improvvisamente,
Nico ha una vaga idea di chi
possa essere Will Solace. Il ragazzo con i rasta che suona il sassofono
fuori
dai locali, o forse il ragazzo basso con un pessimo carattere? Sono una
famiglia
troppo numerosa perché Nico non li abbia mai visti, e
decisamente troppo
rumorosa. Fanno luce, ovunque vadano.
-In
realtà, siamo in dieci. Mi dimentico sempre.
Lee… e anche Michel. Sono morti. Entrambi.
Nico
comprende con qualche secondo di ritardo – e
forse il motivo è anche la leggerezza con cui Will parla
della morte sei suoi
fratelli, lui non ne sarebbe capace. -Non lo sapevo. Non avrei dovuto
chiedere.
-Non
fa niente, Nico. Non lo sapevi. E poi, erano
andati in guerra. Sono cose che capitano, immagino.
Nico
si sente improvvisamente molto vicino alle
lacrime. -Non mi hai chiesto se io ho fratelli.
-Non
ne ho bisogno, Nico.
-Non
mi hai chiesto neanche come mi chiamo. Come
conosci il mio nome?
Improvvisamente
nella sua testa si forma
l’immagine di Percy, o Piper, che chiedono ad un povero
sventurato di chiamarlo
e spingerlo ad aprirsi. Magari ad uno studente di psicologia. Will ha
detto
qualcosa sulla psicologia, nella sfilza di specializzazioni? Forse Will
non è
nemmeno il suo vero nome. O forse…
-Era
scritto qui. Vicino al numero. Nico.
Sei di Angelo, non è vero?
Sì,
è Di Angelo. Nico Di Angelo. Il fratello pazzo
della ragazza morta, e al Campo lo conoscono proprio tutti. Forse la
sua storia
sarà leggenda, quando diventerà niente
più che un vecchio che spaventerà i
bambini che proveranno ad avventurarsi per il suo giardino.
Digrigna
i denti, ma non ha davvero voglia di
litigare o arrabbiarsi. Le forze gli sono andate via, non è
niente più che un
palloncino sgonfio. Vuole solo tornare a fissare il soffitto.
-Ecco,
ora puoi dire di conoscere proprio tutti,
al Campo. Spero di non averti annoiato.
-No,
aspetta, Nic- ma la conversazione è chiusa
prima che possa finire la frase.
Il
silenzio, dopo, è insostenibile – neanche uno
scricchiolio di ossa a ricordargli che è ancora vivo.
Il
telefono squilla altre volte, nei giorni
seguenti. Nico aspetta sempre il settimo squillo, l’ultimo,
prima di
rispondere, e ogni volta spera di riuscire a ignorarlo. Non ce la fa
mai. Ogni
volta preme il pulsante con il pensiero di Will fisso in testa
– il che
potrebbe essere un lato positivo, perché prima pensava a
Bianca.
Bianca
sa di dolore. Will, invece, sa di tante
cose che Nico non riesce a riconoscere. Una è la speranza,
ma a Nico non va di
pensarci, perché è davvero penoso; quella con
Will è stata la prima
conversazione normale da più di un anno. In
realtà, forse, di tutta la sua
vita.
Non
è mai Will, comunque. L’assistente dello
psicologo di cui ha saltato l’appuntamento, Jason, Hazel,
Reyna.
La
speranza si attenua a poco a poco, annacquata
da tutto quello che è la vita di Nico al momento: il nulla.
Quando
succede, Nico non lo fa di proposito. È
vittima degli eventi – come al solito – ma per una
volta non gli dispiace, non
davvero. Anche se non lo ammetterà mai.
Si
risveglia fra le coperte sudate, aggrovigliato
e mezzo per terra. Finisce completamente sul pavimento nel tempo che ci
impiega
ad aprire le palpebre. Le mattonelle sono piacevolmente fresche sotto
di lui,
perciò non si muove. Rimane lì per un tempo
imprecisato.
Quando
si rialza ha preso una decisione, ma non è
davvero una sua decisione. Il suo cervello non c’entra nulla.
È ogni cellula
del suo corpo. Chiede pietà, un secondo di pausa fra un
sogno e un altro, una
boccata di aria fresca.
Non
pensa, per tutto il tempo che gli ci vuole.
Non pensa mentre si allaccia le scarpe, mentre cerca le chiavi che non
usa da
un bel pezzo e chissà dove sono finite, mentre il cielo del
colore della carta
da zucchero si affaccia oltre la soglia di casa sua e poi sulle strade
che
percorre e passo svelto ma con lo sguardo troppo lontano dal selciato,
che è
tutto ciò che in genere guarda mentre cammina. Respira
più velocemente del
solito, ma l’aria fresca non è abbastanza, non
è quello che davvero cercava. Il
cuore gli batte ovunque, contro le costole e nelle orecchie, ma non
è ancora abbastanza
perché si consideri vivo, non è abbastanza, vuole
di più.
Will.
Se
pensasse, le cose andrebbero in modo diverso.
Si arrenderebbe ai nodi dei lacci e alla ricerca di un paio di
pantaloni, alle
chiavi e agli sguardi insistenti. Non supererebbe le coperte, i
gradini, la
porta. Si chiederebbe, forse, che ore sono, e considererebbe
l’idea che Chirone
possa essere chiuso, o che Will possa non passare lì tutta
la sua vita, o che
forse non abbia voglia di vederlo, e che quella volta possa davvero
essere
stata uno scherzo di cattivo gusto, come ha creduto la prima volta.
Anche se in
realtà non l’ha mai davvero del tutto creduto. Se
pensasse, le cose non
andrebbero.
Non
pensa. Si ritrova davanti alla parete coperta
di rampicanti senza la concezione della strada percorsa. Si avvicina
alla porta
e si rende conto che è aperto solo dopo aver spinto ed
essere entrato. Nessun
trillo ad annunciarlo; Nico è un’ombra, nel locale
solitamente pieno e
rumoroso. Ora, l’unico suono ad animarlo è un
fischiettio rilassato. Nico
vorrebbe pensare di potersene andare in qualsiasi momento, ma la
realtà è che
non può. Ha riconosciuto quella voce, anche senza il tono
graffiante del
telefono, anche se non l’ha mai sentito dal vivo, anche se
non sta dicendo
nulla, fischietta soltanto una canzone di Celine Dion. Nico pensa che
le
canzoni di Celine siano proprio adatte a se stesso, abbastanza depresse
(forse troppo
zuccherate, però).
Canticchiata
da Will, poi, ha quasi un tono allegro.
Nico lo prende come un presagio del fatto che questa storia non
finirà con un
grosso naufragio, ghiaccio e molta morte. Forse solo con troppo
zucchero.
Il
fischiettio si interrompe a mezza nota e Nico
si rende conto che la porta è ancora aperta, alle sue
spalle. Finora non ha
visualizzato il locale, non davvero, si è limitato a
concentrarsi sui suoi
pensieri di zucchero e transatlantici, ma ora riconosce Will, piegato
sul
bancone con le cuffiette e le mani immerse in quello che potrebbe
essere un
lavabo o chissà cosa, non gli importa davvero. Visualizza
rapidamente lo
sguardo azzurro vagamente sgranato del ragazzo, i suoi capelli tirati
indietro
con un’orrida bandana femminile, la maglia arancione sdrucita
del campeggio a
cui partecipano tutti i ragazzi che studiano alla Strawberry tranne
Nico. Nello
stesso istante, lo riconosce come il bambino con cui una volta ha
scambiato una
figurina di Mitomagia, il ragazzino con il naso costantemente bruciato
o
spellato e la pelle graziosamente costellata di lentiggini, il ragazzo
dal
sorriso di un modello da pubblicità di dentifricio.
Si
irrigidisce un po’, ma spera che Will non lo
noti. Si sta già pentendo di essere andato lì, si
rende nuovamente conto di
quanto il Campo non sia il suo posto, del modo in cui lo vedono tutti,
di come
deve vederlo anche Will.
Prima
che possa scappare, Will si lascia sfuggire
un boccale. Fa un gran fracasso, ma non sembra che si sia rotto. Nico
sobbalza,
ma non lascia sfuggire la porta, che tiene ancora saldamente ferma,
aperta, e
uno spiffero gli punge la schiena. La porta rimane aperta comunque,
come se
dovesse fuggire da un momento all’altro.
Il
silenzio si allarga per qualche secondo di
stupore, poi Will si tira via la bandana e le cuffiette, e nella sala
risuonano
ovattate le parole di una canzone totalmente diversa da quella che Will
stava
fischiettando, qualcosa di jazz e sconosciuto. Non si preoccupa di
fermare la
canzone, e Nico nemmeno, occupato a osservare i riccioli che gli
ricadono
disordinati sulla fronte e a coprirgli gli occhi, troppo lunghi.
-Oh,
ciao Nico.
Fa
per passarsi una mano fra i capelli, poi si
ricorda che è bagnata e coperta di schiuma e lascia perdere.
Non fa caso alla
mancata risposta di Nico. Fa caso al suo silenzio, però,
alla rigidità e allo
sguardo da animale selvaggio e spaventato.
-Vuoi
sederti?- gli domanda, mentre supera il
bancone e si avvicina a lui. È una domanda retorica, o
meglio, non aspetta
nemmeno di sentire una risposta. È un bene, comunque,
perché Nico non
gliel’avrebbe data.
-Certo
che vuoi sederti, ti preparo qualcosa, che
fuori si muore di freddo. Io odio il freddo, sai? Non
l’inverno, in inverno ci
sono delle giornate bellissime in cui fa freddo ma il sole è
fortissimo ed è
stupendo, ma oggi è tutto grigio… non che oggi
non sia una bella giornata.
Figurati. È una giornata meravigliosa, davvero.
Proprio…
Meravigliosa
termina
Nico per lui. A mente, chiaramente, ma con qualcosa di piuttosto simile
a un
sorriso stampato in faccia, un lieve inclinarsi di labbra, il pensiero
che
anche per lui quella è una giornata meravigliosa. Anche se
non c’è il sole.
Anche se non userebbe mai l’aggettivo meravigliosa.
Will
risponde con un’accecante dimostrazione della
sua dentatura perfetta e delle rughette che gli si formano agli angoli
degli
occhi quando sorride. Perché sta sorridendo. Anche se Nico
non è pronto a
pensare che possa essere per lui, a lui, con lui. Si asciuga le mani
sui jeans
e lì rimangono le impronte di cinque dita e qualche rivolo
di schiuma al
limone.
Quando
le mani di Will di posano sulla sua – sono
fresche e ancora un po’ bagnate – quella di Nico si
apre senza che lui l’abbai
deciso. La porta si chiude con un tonfo alle sue spalle.
-Cioccolata.
Hai decisamente bisogno di cioccolata
calda.
Nico
perde qualche passaggio intermedio, quello di
cui avrebbe bisogno per dire che detesta la cioccolata calda, che ha
proprio
sbagliato, non dovrebbe trovarsi lì, per rendersi conto che
ha seguito Will al
bancone e si è seduto su uno sgabello.
Si
ritrova con una tazza fumante e piena fino
all’orlo, e di fianco a lui si siede Will. Non ha ancora
smesso di sorridere,
ma al contrario di quanto gli succede di solito, Nico non lo trova
insopportabile.
-Era
chiuso, vero? Voglio dire, qui non c’è
nessuno…- riprende fiato. Cerca di ignorare il tono
gracchiante e stonato con
cui gli sono uscite quelle poche parole. Raccoglie le idee. –
Era chiuso, non è
così?
-Sì,
apriamo fra due ore, anche se non ci sarà
ancora nessuno per almeno due ore e mezza. È un
po’ presto.
Nico
non si azzarda a guardare l’orologio che ha
individuato sul muro alla sua sinistra. Abbassa lo sguardo.
-Mi
dispiace, non avrei dovuto.
-No,
dai Nico, scherzi? Sono secoli che cerco di
chiamarti, devi proprio assaggiare la mia cioccolata, e poi almeno mi
fai
compagnia.
Nico
prende un respiro profondo e una lunga
sorsata dalla sua tazza. È buona. Meglio di quanto si
aspettasse. Lo calma
subito, come se tutti i pensieri che affollavano la sua testa fino a un
secondo
prima non fossero mai esistiti. O forse è il sorriso
luminoso di Will.
Alla
fine, pensa, aveva ragione. Niente morti,
nessun ferito e il suo iceberg si è sciolto almeno un
po’, Celine Dion ha
smesso di cantare e la canzone jazz ovattata dal telefono di Will
è stata
sostituita da un pezzo country (ok, a quanto pare ha anche dei
difetti). Forse,
alla fine, questa storia sarà solo un po’ troppo
zuccherata, e magari gli
piacerà anche.