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Autore: gattapelosa    21/11/2016    1 recensioni
Posy Hawthorne e Lorie Cambell, la sorella di Rue, sessant'anni dopo la guerra, ricordano alle nuove generazioni cosa siano stati gli Hunger Games.
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— Forse molti di voi non si rendono ancora conto di cosa siano stati gli Hunger Games. Ormai sono passati quasi sessant’anni da allora. — sessant’anni dalle bombe, dalle morti, dai pianti di quella notte, di quei giorni. — I vostri nonni ve ne avranno parlato. O forse voi non ce li avete più, i nonni, perché sono morti. Io lo so, c’ero, ne ho visti parecchi di morti. Il Distretto 12 è stato distrutto, mio fratello Gale è riuscito a portare in salvo solo alcuni di noi nel Distretto 13. Altri sono rimasti lì.
Silenzio. Un forte respiro.
— Molti miei amici sono rimasti lì, altri sono morti più tardi. Alcuni sono sepolti qui, in questo cimitero, morti negli Hunger Games, o morti per salvarci da loro. O morti tempo dopo, quando eravamo già in salvo, come Katniss e Peeta.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Posy Hawthorne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cimitero dei tributi





Posy sta aspettando lungo il viale, sola. Aspetta il temporale, che non rinuncia mai a imbruttire i suoi giorni della memoria; aspetta Lorie Cambell, di solito così puntuale, e aspetta i ragazzi, chissà quali ragazzi, che la faranno sentire vecchia e stanca, come lei faceva sentire vecchia e stanca sua madre. Ma Hazelle non è mai stata una donna anziana. Ha avuto più fortuna di altri, forse, perché Hazelle è sopravvissuta alla guerra, ma qualcosa in lei è morto prima della vittoria, il resto subito dopo.
Posy sente una mano posarsi sulla sua spalla. Lorie Cambell è più vecchia e stanca di lei, e porta dentro di sé il peso di molte più morti. Ha qualche anno di troppo, e ricordi di morti violente che non se ne andranno mai. Posy la capisce. Posy capisce la sorella di Rue Cambell.
— Stanno per arrivare i ragazzi — dice Lorie. — E anche il temporale.
— Il temporale arriva sempre puntuale, quasi fosse felice di assistere ai nostri giri della memoria.
— I ragazzi invece no.
Ed è in quel momento che un pullman entra nel viale. Questa volta la scolaresca non deve avere più di sedici anni, pensa Posy, mentre li osserva scendere dal mezzo. Distretto otto, dice la scritta sul pullman — uno dei primi a essersi rivoltato.
— Benvenuti a tutti. — inizia Lorie, cercando nei volti di quei ragazzi un minimo di commozione, empatia, o dispiacere. — Io sono Lorie Cambell, vengo dal Distretto 11, e lei è la mia cara amica Posy Hawthorne. So che sapete perché siamo qui: di solito, oltre a quello che vi insegnano a scuola, si fanno sempre due o tre incontri di preparazione. Non è un argomento facile. Però lasciate che ve lo ripeta ancora una volta: questo è il cimitero dei caduti negli Hunger Games. Le salme dei defunti sono state recuperate dalle loro tombe e riunite su queste terre, dove i tributi hanno combattuto gli ultimi Hunger Games.
Lorie lascia scivolare la mente nei ricordi di quel giorno, molti anni fa, in cui era stato chiesto loro il permesso di portare le ceneri di Rue al nuovo cimitero. Sulle prime non ne era stata felice, ma ora comprende la profondità di quel gesto. Negli occhi dei ragazzi, invece, legge solo un profondo, viscerale senso di noia. Posy coglie subito la tristezza di Lorie e, posandole una mano sulla spalle, prende parola.
— Forse molti di voi non si rendono ancora conto di cosa siano stati gli Hunger Games. Ormai sono passati quasi sessant’anni da allora. — sessant’anni dalle bombe, dalle morti, dai pianti di quella notte, di quei giorni. — I vostri nonni ve ne avranno parlato. O forse voi non ce li avete più, i nonni, perché sono morti. Io lo so, c’ero, ne ho visti parecchi di morti. Il Distretto 12 è stato distrutto, mio fratello Gale è riuscito a portare in salvo solo alcuni di noi nel Distretto 13. Altri sono rimasti lì.
Silenzio. Un forte respiro.
— Molti miei amici sono rimasti lì, altri sono morti più tardi. Alcuni sono sepolti qui, in questo cimitero, morti negli Hunger Games, o morti per salvarci da loro. O morti tempo dopo, quando eravamo già in salvo, come Katniss e Peeta.
Una ragazza alza timidamente la mano, e Posy le fa segno di parlare.
— Conosceva Katniss e Peeta?— chiede.
— Sì — risponde Posy. Certe domande sono quelle più difficili da digerire. Perché loro non si rendono conto – non possono rendersi conto – del dolore. — Mio fratello Gale era il migliore amico di Katniss. Ve ne avranno parlato sicuramente, è stato uno dei capi della rivolta. Anche io ero amica di Katniss… e di Prim.
Era piccola allora, ma Posy non può non ricordarsi di Primrose e Katniss Everdeen.
— Aspetta, parla di Gale Hawthorne? Il traditore? Quello che ha inventato le bombe-paracadute?
Traditore? Sì, è anche in questo modo che i maligni parlano di Gale. Non è la prima volta che Posy deve render conto degli errori di suo fratello, ma come può quella ragazzina puntare il dito contro di lui? Non lo sa, tutto il bene che ha fatto? Tutte le vite che ha salvato?
— Non l’ha fatto con l’intento di uccidere quei bambini, gli aiuti degli alleati e… Primrose. È stato per vincere la guerra.
— E uccidere i capitolini…
— Era la guerra!
— Ma sempre di morte si parla.
Succede anche questo. Gli ideali della pace, l’illusione che tutto quel sangue poteva essere risparmiato. Vittime e carnefici, questi sono stati i ribelli dalla prospettiva delle nuove generazioni. E a Posy monta in corpo una fortissima rabbia.
— Tesoro, non è così facile. La guerra è una cosa sbagliata, ma certe volte, senza guerra, non si può raggiungere nemmeno la pace. Se i Distretti non avessero impugnato le armi, cosa saremmo noi adesso?— prende parola Lorie, cercando di smorzare la crescente tensione tra Posy e quella ragazza.
— Si poteva prendere un’altra via. Una protesta pacifica. La guerra è sempre sbagliata.
Lorie vorrebbe spiegare a quella ragazza che le proteste pacifiche sono state condotte, a modo loro, e che il risultato furono solo cadaveri, lingue mozzate e corpi percossi da frustate. E invece la guarda soltanto, in quegli occhi azzurri densi d’ideali e di speranza, ingenui, forti e per questo così tremendamente meravigliosi. Convinti che la guerra non sia necessaria e che la violenza sia il male.
— La guerra è sempre sbagliata, sì. Non possiamo dimenticare però che qualche decennio fa una guerra c’è stata, e che grazie a quella tu sei qui, oggi. Non stai lavorando in un Distretto delimitato da barriere elettrificate, sotto il controllo di Pacificatori armati, con la paura di venire estratta per gli Hunger Games. Puoi approvare o disapprovare il metodo, ma le persone sepolte in questo cimitero meritano il vostro rispetto. Adesso inizieremo il giro delle tombe, vedrete i loro volti, leggerete i loro nomi, le loro età, le cause del decesso. E deciderete voi se loro meritano di essere qui, a chi va la colpa e cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo.
Lorie non aspetta che i ragazzi ribattino, si volta su se stessa e inizia a camminare. Posy la segue a pochi passi di distanza, lanciando uno sguardo critico alle nuvole nere che impestano il cielo. Sente i passi dei ragazzi seguirle sul terriccio scivoloso e i sussurri rumorosi con cui commentano il triste panorama. 
Le prime tombe ospitano i corpi dei tributi delle vecchie edizioni, molti dei quali vengono ricordati solo con una lastra commemorativa, non essendo stato possibile recuperarne i resti. Questa volta Posy e Lorie non si sentono in vena di dire nulla, lasciando ai ragazzi la libertà di autogestirsi la visita. Uno di loro si china sulla tomba più spoglia della fila, e legge a voce alta la dicitura, attirando l’attenzione dell’intera classe.
— Ilda Ghennis Mahony, quattordici anni, Distretto 5, prima edizione degli Hunger Games. Morta per strangolamento a mani nude.
— Deve aver fatto male — commenta infantilmente un suo compagno. — Senti questo: Hebert Sammonel, diciassette anni, Distretto 9, terza edizione degli Hunger Games. Morto per shock elettrico. 
— Gli hanno dato una scossa così forte da ucciderlo?
Ci sono i loro volti, accanto ai nomi. Il primo ragazzo sta ancora guardando Ilda. Le foto con cui si è scelto di presentare i caduti degli Hunger Games sono quelle ufficiali, utilizzate nel corso delle campagne pubblicitarie e per le proiezioni dei morti sul cielo dell’arena. Sono belli, in quelle foto. Giovani. Fieri.
E ora sono morti, ufficialmente uccisi per strangolamento e shock elettrico.
Continuano a camminare, ma più il tempo passa più i ragazzi si disperdono. Ogni tanto qualcuno di loro parla a voce più alta degli altri e legge i casi che trova più sconvolgenti. Posy e Lorie li conoscono tutti a memoria, eppure continuano a sentire i brividi.
— Reesa Thompson, sedici anni, Distretto 3, cinquantunesima edizione degli Hunger Games. Morta per dissanguamento causato da autofagia. Cosa vuol dire, che si è mangiata pezzi del proprio corpo? Ma è possibile? No, non ci credo…
— Avi Wilson, dodici anni, Distretto 10, quarantanovesima edizione degli Hunger Games. Morto per annegamento in una vasca d’acido. Cosa intendono con “annegamento nell’acido”? Comincio a sentirmi male…
E così continuano a parlare, mentre il flusso procede sempre più lentamente. Poi qualcuno attira intenzionalmente l’attenzione di tutti gli altri, invitandoli a raggiungerlo.
— Guardate cosa ho trovato! — grida infatti. — La tomba di Finnick Odair!
Anni dopo la guerra, un tale di nome Alfred Miller aveva pubblicato una trilogia di romanzi ispirati a Finnick Odair, intitolata “Il tributo che sapeva troppo”. Fu un successo editoriale di grande portata, e tempo pochi mesi dalla pubblicazione erano già stati presi accordi per la sua trasposizione cinematografica. Finnick è quindi ad oggi uno dei pochi ex-tributi ricordati con passione dalle ultime generazioni.
— Finnick Odair, ventiquattro anni, Distretto 4, sessantacinquesima e settantacinquesima edizione degli Hunger Games. Morto per squartamento a opera di ibridi geneticamente modificati nel sottosuolo di Capitol City.
Accanto alla tomba di Finnick, sulla sinistra, c’è un posto vuoto. È dove andrà a riposare la bella Annie Cresta, quando il tempo deciderà di portarsi via il suo corpo stanco e la sua mente debole. Sulla sua destra viene invece commemorata la vita sconosciuta di Frida Daiana Emmerson, che a dodici anni è morta nell’Arena degli Hunger Games, decapitata con un'ascia ventiquattro secondi dopo il fischio d’inizio. È sul suo volto fanciullesco e sorridente che si sposta l’attenzione della scolaresca. Di Finnick, vincitore assoluto della sessantacinquesima edizione, si conoscono vita, morte e miracoli; di Frida, splendida vita spezzata agli arbori dell’adolescenza, non rimane altro che un nome impresso su una lapide.
È con la sua immagine impressa nella mente che la camminata prosegue, questa volta senza che nessuno si senta più in dovere di leggere le diciture delle lapidi a voce alta. Di solito Posy e Lorie cercano di attirare l’attenzione dei ragazzi raccontando storie e aneddoti della grande guerra; oggi lasciano che ciascuno di loro affronti il peso di quei ricordi in solitudine. Non tutti riescono a cogliere l’importanza di tale percorso, ma nel silenzio pare quasi che più di qualcuno venga effettivamente toccato dalla tristezza di quei racconti non detti.
E poi arriva la fine. I settantaquattresimi Hunger Games, con i suoi protagonisti e i suoi sconfitti. Cato e Clover per primi, e poi si va avanti, morte dopo morte — Finch, Thresh, Lux.
Rue. Piccola, bellissima, morta a dodici anni per danneggiamento di organi vitali. Trapassata da una lancia. Lorie non riesce nemmeno a guardare la sua fotografia.
E accanto a Rue, loro: Katniss Everdeen, morta all’età di settantuno anni per un cancro ai polmoni, sul letto di casa sua, e Peeta Mellark, morto a settantadue anni per nostalgia e solitudine, con due figli ormai grandi impegnati a migliorare il mondo e l’amore di una vita che è scivolato via nel sonno, lasciando lui solo in una grande villa vuota.
Le loro tombe non sono né più grandi né più imponenti delle altre: Katniss e Peeta hanno salvato il mondo, ma il loro ricordo non deve valere più di quello di Rue, Cato, Clove, Finnick, Frida e tutti gli altri. Non lì, nel cimitero dei caduti degli Hunger Games.
Questa gita finirà con una lunga e profonda discussione sul significato della ribellione e dei giochi della fame. Posy e Lorie non si preoccuperanno di dire molto di più di quanto è stato detto all’inizio, lasciando a quelle lastre di marmo il compito di raccontare ciò che è più importante sapere.
Che prima di Katniss e Peeta ci sono stati tanti altri corpi sacrificali e guerrieri coraggiosi, che la storia talvolta omette dalla sua memoria ma su cui hanno preso forma la ribellione, la guerra e la libertà di Panem e del mondo intero.
Che se tutto quello è stato possibile una volta, nulla vieta che possa accadere ancora. E allora in quelle tombe riposeranno altri poveri innocenti — belli, giovani e forti, senza possibilità di scelta.
E soprattutto, che nulla di tutto questo è stato necessario. Che la morte di quei bambini è stata vana e inutile, che la guerra è un male e la violenza un abominio, che chi è sopravvissuto ha avuto fortuna e chi è morto se n’è andato e basta, senza lasciare altro segno al mondo che la propria cenere.
Posy e Lorie guardano in volto i nuovi ragazzi e si sentono finalmente pronte a pronunciare il loro discorso di chiusura. Niente più esaltazione della ribellione e dei suoi caduti, però: questa volta lasceranno accesa in loro la ripugnanza della guerra, la percezione dei ribelli come vittime e carnefici, dei capitolini come bestie e come prede, dei tributi come anime perdute senza altra ragione che il gusto per la brutalità.
E chissà che ciò non sia sufficiente a cambiare una volta per tutte il mondo. 

 
 
 
 
Bacheca dell'autrice

Dico solo che questa breve fanfiction l'ho ritrovata casualmente nel computer. Non ho idea di quando io l'abbia scritta, o perché non abbia mai deciso di pubblicarla.

 
 
 
 
 
 
 
 
  
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