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Autore: meiousetsuna    22/11/2016    3 recensioni
È una mattina qualsiasi al 221b di Baker Street. Colazione, lavoro, sopportare le assurde pretese di Sherlock, specie quando non coincidono affatto con le sue è un’impresa sempre più faticosa per John Watson. Che non può evitare di perdersi in fantasticherie ben differenti dalla quotidianità tra le loro mura domestiche. Dal testo:
“Allora inserisci una password che non sia la data del nostro ultimo caso, ti prego; l’ho considerato un invito ad aprirlo, non posso perdere tempo a chiedermi se potessi essere così ingenuo. Piuttosto già che sei qui mi passeresti una matita? È nel portapenne…”
“Nel portapenne a circa un metro da te, sul tavolino alla tua sinistra. Non sono il tuo servitore!”
“Ho solo due mani, e tu non stai facendo nulla: appuntita ma non troppo, grazie, devo scrivere su un testo antico, non vorrei rovinarlo”.
Il dottore si mosse improvvisamente, afferrando la suddetta matita, valutando fin dove poteva spingerla nell’orecchio di Sherlock senza perforare il timpano, in fondo vista la sua conoscenza dell’anatomia sapeva bene come conficcare un oggetto appuntito, oddio, no. I sottintesi fallici no, almeno fino all’ora di pranzo.

[Curtainfic, romantica, commedia]
un bacio, Setsuna
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Generi: Curtainfic, commedia, romantico
Le note sono in fondo alla pagina ma possono essere lette, a discrezione, sia prima che dopo

Saturn Ascending

John aveva sognato, sperato e poi occultato il suo fantasticare in un angolino della cantina della sua memoria, così che fosse difficile anche per sé rintracciarlo a colpo d’occhio, coperto di ragnatele e impolverato com’era.
Quel desiderio altalenante — a volte fermo sull’orlo di quella che poteva essere chiamata, ancora in modo semi onesto, ‘amicizia importante’, a volte talmente perso allo sbaraglio da ritenere opportuno mettergli un collarino con l’indirizzo, così qualcuno l’avrebbe riportato a casa — che soffocava con un cuscino per vederlo riapparire alle sue spalle, come un fantasma sogghignante che si prendeva gioco di lui.
“Dove fuggi, John Hamish Watson?”
Ecco, era uno spettro, fastidioso per giunta, che lo derideva usando il suo secondo nome senza alcun permesso; non che nessuno si curasse di rispettare quella richiesta, evidentemente parlava da solo, a volte.
Si era alzato come ogni mattino alle otto in punto, perché era un giorno come un altro, cosa sarebbe dovuto accadere di speciale? In fondo la routine gli si confaceva, non vedeva perché si sarebbe dovuto sforzare di sembrare stravagante o bohémien o fuori dalla norma in qualsiasi modo.
Era un’altra la persona che non si comportava secondo le regole, ma non sentendosene al di fuori, semplicemente superiore.
Il dettaglio irritante della cosa era che tutti — lui per primo — assecondavano l’eccentricità di Sherlock come qualcosa da giustificare, anche da ammirare. La stranezza del genio.
La quale creatura al di sopra del bene e del male era seduta alla scrivania, col microscopio circondato di campioni e quello che senza dubbio era il suo notebook aperto.
“Potresti qualche volta rispettare la proprietà privata, Sherlock?”
“Buongiorno anche a te. Il tuo computer era già qui, per prendere il mio sarei dovuto tornare in camera; ho fatto la cosa più logica, anche perché non ti dispiace davvero. Non ho messo in disordine le tue cosine”.
Cosine?
“Ti ho chiesto di non farlo, gentilmente”. L’ultima parola risuonò nella stanza lasciando la vibrazione di un’eco sottile e nervosa.
“Allora inserisci una password che non sia la data del nostro ultimo caso, ti prego; l’ho considerato un invito ad aprirlo, non posso perdere tempo a chiedermi se potessi solo essere così ingenuo. Piuttosto già che sei qui, mi passeresti una matita? È nel portapenne…”
“Nel portapenne a circa un metro da te, sul tavolino alla tua sinistra. Non sono il tuo servitore!”
Due occhi come il cielo durante una schiarita a dicembre si sollevarono verso quelli di un blu velato di tristezza, e John seppe di aver già perso, senza rimedio.
“Ho solo due mani, e tu non stai facendo nulla: appuntita ma non troppo, grazie, devo scrivere su un testo antico, non vorrei rovinarlo”.
Il dottore si mosse improvvisamente, afferrando la suddetta matita, valutando fin dove poteva spingerla nell’orecchio di Sherlock senza perforare il timpano, in fondo vista la sua conoscenza dell’anatomia sapeva bene come conficcare un oggetto appuntito, oddio, no. I sottintesi fallici no, almeno fino all’ora di pranzo.
Bofonchiando parole irripetibili, John non trovò di meglio da fare che prendere il temperino e recapitare al volo una matita così perfetta che pareva prelevata dalla scrivania del Primo Ministro. “Prego”.
Sherlock non si girò, afferrando l’oggetto che gli veniva lanciato, senza neppure sollevare lo sguardo dal complicato sistema di classificazione che stava creando in base ai risultati.
“Hai presunto che non avrei detto grazie, ti sei risposto da solo”. La voce baritonale dell’investigatore sembrava quasi cortese, forse perfino lui capiva quando passava il limite; era un’ipotesi molto azzardata, ma qualche volta John avrebbe detto di aver visto una piccola crepa nell’armatura di ghiaccio del suo compagno — che, Dio del cielo, non  doveva chiamare così: si dice coinquilino, o collega — almeno quando non c’erano testimoni. Meglio cambiare argomento.
“Su che testo prendi appunti, posso saperlo o è un segreto nazionale?”
Sherlock valutò una decina di informazioni in mezzo secondo, prima di rispondere.
“Non sono certo. Ti ricordi di ‘camei vaticani’ vero? Questo libro di alchimia sospetto abbia la stessa origine, l’ho prelevato momentaneamente dallo studio di mio fratello, che non vuole dirmi se l’ha avuto dal Papa oppure…”
“Intendevi davvero camei vaticani. Letteralmente”.
L’investigatore non smise di lavorare mentre ascoltava il suo partner. “Certo. È interessante cosa ci nascondono alla base di alcune credenze magiche, non credi?”
“Tu stai scrivendo su delle pagine di pergamena…”
“Del tredicesimo secolo, non volevi che usassi una penna, no? Credo che mi farò pagare per darlo indietro, Mycroft può permetterselo; potremmo anticipare sei mesi di affitto”.
John decise di contare fino a dieci prima di proferire parola, anche se cinquecento sarebbe stato meglio. “Tu ricatterai il tuo unico parente che ti rivolge la parola e vorresti coinvolgermi nel tuo piccolo crimine?”
“Vorresti che ti trascinassi in un’altra situazione?”
‘Il tuo letto/sul tavolo/sul tappeto’ “No, grazie. No”.
“Dunque potresti renderti utile e farmi qualcosa che desidero molto, sai come lo preferisco” John scoprì quale poteva essere il suo record di apnea “Earl Grey, due zollette, ma dal tuo silenzio deduco che non ti va. Va bene, per una volta mi alzerò io; pochi minuti”. Sherlock uscendo arrotolò le maniche della camicia viola sulle braccia pallide, facendole apparire come strisce di tramonto sulla neve. John non sapeva di possedere una tale vena artistica, e questa scoperta lo distrasse finché la porta si aprì improvvisamente, lasciando effettuare al detective un’entrata trionfale, con l’espressione di un gatto siamese, snob ed elegante, che recasse in dono al suo schiavo umano un pasciuto topo stecchito con un fiocco rosso al collo.
Di fronte a John c’era un vassoio con al centro una tazza di cioccolato fumante e profumatissimo: decisamente non sembrava fatta con una bustina di prodotto in polvere, quelle le conosceva bene; facevano comodo, una procedura veloce, perfetta per la cucina di uno scapolo. Questa invece sembrava preparata con amore — John datti una martellata in testa ma smetti di formulare queste frasi, smetti adesso! — fin nel tocco dei biscottini di frolla accanto al tovagliolo piegato a forma di cigno.
“È drogata”. Poteva aver scelto una frase più infelice?
“Perché ipotizzi una cosa del genere?” incredibilmente Sherlock non aveva battuto ciglio, insomma, non aveva neppure negato… forse dopo un sorso sarebbe caduto preda di un sonno magico come Biancaneve fino al bacio del suo principe Johnspegniilcervello. Cigni giganteschi gli sarebbero apparsi nel corso dell’allucinazione, volteggiandogli intorno leggiadri e inquietanti insieme?
E alla fine ne avrebbe cavalcato uno sul dorso — John, vergognati — fino a finire sull’arcobaleno?
Bene, a quel punto poteva appendere alla finestra una bandiera del gay pride e si sarebbe tolto dall’impasse nella quale si dibatteva senza risultati apprezzabili. Almeno la signora Hudson sarebbe stata contenta di aver indovinato dall’inizio!
“Mi è sembrato che ne avessi bisogno, sei così agitato oggi. Ho cercato su Google e ho trovato la ricetta su ‘Fine Dining Lovers’ * la consigliano come un bel gesto e perché dovrebbe essere particolarmente buona”.
‘John, quel nome non significa amanti a cena, ma amanti delle cene, l’inglese l’hai studiato, no?’
“E tu non bevi? Dimmi se questo non dovrebbe preoccuparmi”.
“Cominci a essere noioso… l’ho fatta per te, il senso è questo. Vedi, John…” Sherlock posò il vassoio sulle ginocchia del dottore “sono sicuro che sia di tuo gusto. C’è della cannella, tu scegli sempre dei biscotti che ne contengono almeno il tre per cento, ho letto l’elenco degli ingredienti sulla scatola. C’è anche del coriandolo originale dall’Afghanistan, ti farà piacere, e riguardo al cacao, ieri ho comprato quello migliore che c’era in negozio, immaginavo di usarlo. È scuro, forte e non rivela subito tutta la sua fragranza. Ha un odore esotico, non credi? Naturalmente è piuttosto amaro, è la sua caratteristica peculiare. Ma tu…” una mano dalle dita fini e bianche spinse in avanti la zuccheriera d’argento “puoi addolcirlo quanto vuoi. Non è difficile. Vado a mettere al sicuro questo volume, Mycroft si accorgerà che gli manca entro un paio d’ore al massimo, e vorrei tenerlo ancora”.
Ad un esterrefatto John non restò che tacere, cercando un sottotesto che probabilmente sarebbe stato evidente per chiunque, ma restava complesso per lui. Avrebbe voluto che fosse visibile su uno di quei vetrini, era il genere di prova che gli sarebbe servita. Meccanicamente alzò il coperchio della zuccheriera, prendendo una palettina del suo candido contenuto portandola all’orlo della tazza, poi si fermò. Forse era lui che non sapeva apprezzare certe sfumature, se non erano quelle che conosceva come giuste? Assaggiò un piccolo sorso, poi un secondo. Era squisita così, un’esplosione di sapore inatteso e vellutato.
La bevve tutta, lentamente, godendo il retrogusto delle spezie, mangiando anche i pasticcini, fino all’ultima briciola. Poi si alzò, entrando in camera di Sherlock senza bussare, proprio non avrebbe potuto curarsi di un dettaglio così.
L’investigatore era seduto sul bordo del letto, talmente composto da tradire la sua preoccupazione, ma per il resto sorridente in quel suo modo — (delizioso) — indisponente.
“Hai impiegato due minuti in più della mia stima, forse il cioccolato era troppo bollente per te?”
“Sherlock Holmes, aggiungi un’altra battuta e potrei fartene pentire. Non fingere che abbia capito male, non sono stupido!”
“Lo so. Non mi piaceresti”. Sherlock stava continuando a parlare, ma era come osservare un pesciolino in una boccia di vetro; nelle orecchie di John risuonava solo ‘mi piaceresti’ infinite volte, e non che se ne stesse lamentando, al peggio l’ipotesi nello stupefacente nella bevanda tornava alla luce.
“È tutta la mattina che pensi così forte che non posso concentrarmi, quindi ho deciso di aiutarti; prima volevo provocarti a litigare, ti entusiasma sempre… poi sono passato ad altro”.
“Un esperimento”. La voce del dottore gli morì in gola, come era successo inghiottendo sabbia e paura sul campo di battaglia.
“Niente affatto. Insomma, non nel senso che hai capito, era anche su di me. Ho tentato una combinazione chimica: tu, io, le insinuazioni a sfondo sessuale e una metafora di quello che potrei essere per te. ‘Metafora’ l’ho controllato sul dizionario di greco, perché…”
“La lettere non servono, lo so. È strabiliante quanto tu sia ignorante in certe materie e anche in certi atteggiamenti. Ti rendi conto che mi hai spiegato una cosa che avrei dovuto intuire?”
“Oh” sul viso di Sherlock si dipinse un sincero sbigottimento “ho rovinato un effetto poetico? Credevo di risparmiarti tempo”.
“Rovini sempre tutto”. John con due passi si portò di fronte a lui, senza dire nulla per cancellare quell’espressione dispiaciuta, un po’ perché lo meritava, un po’ perché voleva farla sparire con un bacio, e se questo avesse comportato una tragedia della sua Regina del Dramma preferita, ne avrebbe sopportato le conseguenze.
Le labbra ancora calde si posarono su quelle fresche di Sherlock con un contatto delicato che significava ‘puoi fermarmi’, ma non incontrarono alcuna resistenza. Il sapore del cioccolato passò da una bocca all’altra rendendo ancora più delizioso l’accarezzarsi delle lingue, persistendo fino all’ultima nota, fino all’ultimo sospiro sfuggito dal cuore.
“Perché oggi?” John finalmente riuscì a parlare di nuovo, dopo aver recuperato l’uso della ragione e sentito il battito cardiaco tornare vicino a dei valori accettabili per un uomo che non dovesse chiamare il 999**.
“È da molto che ci pensavo, ma non ero completamente certo di averti interpretato bene, finché stamattina ti ho visto più nervoso del solito. Avevi gli occhi stanchi di chi non ha dormito, e ho deciso. Se John mi vuole, perché non devo lasciare che mi abbia? Di te mi fido, non mi faresti pentire”.
“Questa è la cosa meno romantica e più bella che abbia mai ascoltato in vita mia, giuro. Non potevi dirlo meglio…” John si era completamente illuminato, i capelli biondi e la traccia lieve di abbronzatura dorata che facevano da fondale per il sorriso che brillava sulle labbra.
Sherlock lo ricambiò, lasciandosi spingere con le spalle sul materasso mentre passava le dita sul viso dell’altro, come se potessero scaldarsi al contatto col suo raggio di sole personale.
“Sai baciare, però. Non credevo che avessi molte esperienze, insomma, sì, di contatti intimi”.
“Ho baciato Victor, ma questo te lo aspettavi. E Molly”.
“Molly” John ripeté quel nome che non necessitava di specifiche come se si fosse sentito rispondere Eminem, o Beyoncé *** “lei va bene, è una persona fantastica, ma…”
“Ma di un altro sei geloso, ti sta accelerando il polso, e questo ti ricorda Irene e ti spaventa, ma non c’è motivo. Davvero. Inoltre la gelosia è un’emozione insensata e inutile, perché non potresti comunque avere il controllo su qualcun altro, a meno che… sia questa persona a voler essere posseduta da te”.
Ecco. “Giuro che alla prossima frase così ti renderai conto di che effetto fai. Anzi, non vedo l’ora che tu la dica”.
“Te ne dirò molte, ma può non essere oggi, vero?”
John si accorse solo in quell’istante di essersi seduto con le ginocchia sul letto strette intorno al bacino di Sherlock, come se lo stesse tenendo bloccato, realizzando all’improvviso che doveva sembrare un po’ aggressivo al suo ragazzo che per tutta esperienza aveva due baci. Anzi, tre, e di certo quell’ultimo era stato il migliore.
“Scusa io… ti stai sentendo minacciato?”
La risposta fu un cenno negativo con la testa che smosse un paio di ricci più lunghi sulle tempie.
“Protetto. Ma credo di avere un po’ di paura ad andare avanti subito”.
“Non dobbiamo, certo, certo” la voce di John era premurosa e gentile “aspetterò un tuo segno per qualunque cosa, proprio qualunque. Ma domani voglio altra cioccolata, per tutti e due. La tua con lo zucchero, ti piace”.
“Ma nella mia c’era”. Sherlock si sollevò appena, catturando un bacio profumato di cannella.

Fine

* Vero blog di cucina
** Equivalente del 113/118
*** Dovevo spiegarla? O__O

Il titolo si rifà a “Jupiter Ascending”, dei produttori di Matrix: la protagonista è nata con Giove all’Ascendente, il che le promette una vita “importante”. Letteralmente il titolo sarebbe “Giove si leva”, e il bello è il doppio senso… qui non c’è fantascienza, ma un riferimento al pianeta più significativo come manifestazione dell’elemento Terra, e come oppositore naturale a Giove, quindi portatore di blocchi.
Il segno zodiacale di Sherlock è il Capricorno, e questo è dato da Doyle (6 gennaio).
John nel telefilm è Ariete (scelta secondo me dovuta— se la produzione si fosse interessata a questo aspetto — solo al lavoro del soldato). Per il resto, Watson resta, simbolicamente, un personaggio della Vergine
(segno di Martin Freeman, che lo interpreta semplicemente con perfezione).
La Vergine è, come insegna ogni buon testo di Astrologia, il segno delle eminenze grigie che col loro insostituibile apporto lasciano brillare un’altra figura sul palcoscenico, come per il Cardinale Mazzarino o  Sancio Panza; la Vergine è “la spalla”. E segno di ottimi investigatori inglesi, essendo quello di Agatha Christie!
Il Capricorno, che con la Vergine forma una coppia perfetta, è il segno delle persone lucide, produttive ma con una capacità di espressione sentimentale ai minimi termini... dice qualcosa? ^-^ Non trasformo tutto in una lezione di Astrologia, ma il senso della OS si basa sul mostrare Sherlock e John, per la maggior parte del tempo, nei tipici atteggiamenti del loro segno. Enjoy!

  
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