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Autore: MZakhar    22/11/2016    0 recensioni
A chi non è mai capitato di affogare la propria delusione nell'alcol?
Sicuramente è successo a Vittoria – 23 anni, operatrice di un call-center – quando il suo, cosa? capo? fidanzato? amante?, ha deciso di darle buca proprio la sera in cui lei si aspettava di ricevere il tanto agognato anello... Ma si sa che l’alcol porta solo guai, soprattutto se brindando hai indossato vestiti firmati e affascinato ogni uomo del pub. Per questo al suo risveglio, non ricordandosi gran parte della serata, Vittoria sente di aver fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa che ha il volto di un uomo affascinante di cui non sa nemmeno il nome. Eppure... cosa sarà vero e cosa farà parte dell’immaginazione? A Vittoria non resterà che scoprirlo a proprie spese e per la prima volta, forse, riuscirà finalmente a vedere la sua vita dalla giusta prospettiva...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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17
B O N D   G I R L



Mi sedetti sulla panca sotto la finestra e osservai lo spiazzo vuoto in cui si era trovata la macchina di Nick solo due settimane prima e che adesso ospitava la mia vecchia Panda. Sì, perché era da ben quattordici giorni che non avevo più sue notizie e l'unica compagnia che mi rimaneva in questa grande casa era quella di Jerry. Mi spalmai con la guancia contro il vetro ed emisi un suono strozzato, simile al sospiro di un morente.
Il mattino che mi ero precipitata qui, nella speranza che non fosse ancora troppo tardi o che Nick, come in uno di quei vecchi film in bianco e nero avesse cambiato idea e fosse rimasto ad aspettarmi, ovviamente ero arrivata troppo tardi. Sulle prime mi sembrò di sprofondare, ma poi mi ricordai che non c'era motivo per cui Nick sarebbe dovuto restare per me, e così dovetti fare i conti con la realtà e accontentarmi dello stupido bigliettino che lui mi aveva lasciato in cucina. Non aveva scritto molto, solo che potevo restare qui fino al suo ritorno, ma quando sarebbe avvenuto questo ritorno non ne avevo idea. E a quanto sembrava nemmeno suo fratello lo sapeva, nonostante l'avessi bombardato di domande nello stesso istante in cui aveva varcato la soglia di questa casa un'ora più tardi. Lui però era rimasto sul vago, a un certo punto mi ero persino sembrato scontroso e alla fine aveva smesso di rispondermi cavandosela con un'alzata di spalle e uno dei suoi sorrisi maliziosi che non mi lasciò dubbi sul fatto che la questione per lui fosse chiusa.
Perciò eccomi qui, a vivere da sola e nella più totale confusione sentimentale, con il telefono sempre a portata di mano nel caso il fuggitivo decidesse di dare segni di vita. Finora si era rivelata un'attesa inutile, ma si sa, la speranza è l'ultima a morire.
«Ancora a fissare il suo posto auto?» domandò Francesca facendomi trasalire. Mi voltai e la vidi entrare nella stanza con due tazze di cioccolata bollente. Evitai di risponderle scansandomi per farle posto. «Ero convinta che non te ne importasse niente di lui» proseguì maliziosa lei, adducendo a quella fastidiosa espressione da medico soddisfatto di sé. Stavo per assicurarle che era proprio così, che non vedevo come potesse essere il contrario, quando una vocina nella testa mi supplicò di smetterla di mentire: da quando era partito, il pensiero di Nick era rimasto come bloccato nella mia testa. E cominciavo a sospettare di provare davvero qualcosa per lui. Qualcosa che andava al di là della semplice attrazione fisica.
«Sai, avresti fatto meglio a frequentare psicologia» schioccai la lingua prendendo una delle tazze.
Francesca sbuffò un sorrisetto e si accomodò accanto a me. «Non hai tutti i torti, ma frugare nella testa della gente non è divertente quanto frugargli dentro... letteralmente
«Eww, Fance!» esclamai disgustata. «Non voglio sentire altro!»
Lei rise e si portò la propria tazza alle labbra. Dopodiché calò il silenzio e per un minuto ci immergemmo ognuna nei propri pensieri.
«Come pensi che ne usciremo?» domandò d'un tratto Francesca.
«Da cosa?»
«Da tutto questo... Voglio dire, non capisco più che cosa ci stia succedendo. Fino a ieri la mia massima preoccupazione era quella di stare dietro ai preparativi delle nozze. E poi, da un giorno all'altro, tutto è cambiato.»
Per un attimo riflettei sulle sue parole. In effetti non mi ero mai soffermata a vederla da un punto di vista che non fosse stato il mio e mi sentii un'egoista per non averlo fatto. Non ero la sola a vivere dei cambiamenti dopo tutto: Francesca per esempio stava per sposarsi e nel frattempo si caricava dei problemi miei e di quelli di Giorgia, alternando il tutto agli stressanti turni all'ospedale. Mi domandai dove trovasse il tempo, la pazienza e, sopratutto, la forza per poter affrontare tutto questo. Ma France era fatta così: non si sarebbe lamentata nemmeno sotto tortura.
Improvvisamente mi venne voglia di abbracciarla: era un'amica eccezionale e una persona stupenda sotto tanti punti di vista. Non se lo immaginava nemmeno! Stava bevendo la cioccolata, del tutto ignara, e i suoi occhi castani si spalancarono interrogativi da sopra il bordo della tazza. Stavo per dirle quanto apprezzasi averla sempre al mio fianco, quando lo squillo del telefono si intromise tra i miei pensieri obbligandomi a tirarlo fuori dalla tasca della felpa. Sul display apparve un numero sconosciuto. Risposi.
«Pronto?»
«Signorina Bianchi? Non so se mi riconosce, sono Carolina Gherardi.»
Carolina Gherardi. Mi si formò un groppo in gola; se la padrona del condominio mi stava chiamando non poteva essere che per una ragione sola: potevo finalmente conoscere il destino del mio appartamento. O almeno in parte.
«Certo, mi dica» la invitai con voce strozzata. Accanto a me Francesca si fece curiosa.
«Mhh. Preferirei parlare con lei faccia a faccia. Abbiamo un paio di cose di cui discutere. I danni scaturiti dall'incendio fortunatamente sono stati lievi, comunque sia, ci sono altre questioni che mi premerebbe sistemare. Sarebbe libera, mhh, diciamo tra un'ora? La aspetterò al caffè di fronte al palazzo.»
«Certo, nessun problema. Posso essere lì anche tra mezzora.»
«Sarebbe perfetto. Allora la aspetto» concluse e riattaccò.
Mi morsi le labbra e guardai Francesca. «Ho come il presentimento che non abbia niente di buono da dirmi.»
«Chi era?» si accigliò lei.
«La Gherardi. Vuole parlarmi faccia a faccia, tra mezzora al Sunset Caffè
«Vuoi un passaggio? Avrei comunque delle commissioni da sbrigare da quelle parti» si offrì immediatamente Francesca. Le risposi con un'occhiata piena di gratitudine.
Sì, dovevo assolutamente dirle quanto le volevo bene!
 
Entrando nel locale non fu difficile notare la signora Gherardi: era vestita in modo impeccabile, in un tailleur grigio-azzurro, e portava i capelli neri raccolti con cura sulla nuca. Le invidiai subito il modo elegante con cui si portò la tazzina di caffè alle labbra, ma non era il momento né il luogo per ammirarla, quindi mi raddrizzai nelle spalle, nella speranza di non apparirle come un animaletto spaurito, e la raggiunsi.
«Buongiorno» la salutai.
Lei ricambiò con un gesto garbato della testa e mi invitò a sedermi sulla sedia di fronte.
«Bene. Sono contenta che ce l'abbia fatta» mi sorrise, ma quasi subito il sorriso sparì e i suoi occhi dalla forma allungata si fecero molto più seri. «Dunque Vittoria, posso permettermi di darti del tu
«Naturalmente» di nuovo feci del mio meglio per non sembrarle disperata, dal momento che dentro di me avrei voluto gridare dal panico.
«Mhh. Non voglio girare troppo attorno alla questione, non è il mio modo preferito di affrontare certe cose» fece una pausa e io annuii. «Perciò chiedo perdono in anticipo per la brutalità. Il fatto è che pare che l'incendio sia stato causato da un apparecchio elettronico per i capelli, lasciato acceso accanto a un asciugamano che ha dato inizio all'incendio. Fortunatamente, come ti avevo già accennato, i danni sono stati irrisori. Inoltre non ho mai avuto problemi con te né ho mai dato peso alle lamentele della signora Petrelli nei tuoi confronti. Tuttavia, dati i recenti avvenimenti, sono costretta a chiederti di lasciare il tuo appartamento una volta per tutte. Vedi, mhh» la signora Gherardi prese un altro sorso di caffè mentre il mio cuore si fermava e ripartiva dopo aver assimilato le sue parole, «è tutta una questione di affari» riprese lei. «Mhh, mi spiego meglio: se dovessi lasciarti vivere nel mio palazzo, alcuni degli inquilini potrebbero non gradirlo perché non si sentirebbero al sicuro e questo nuocerebbe alla buona reputazione che mi sono costruiti negli anni. Capisci cosa intendo?»
Mi guardò dritto negli occhi e, anche se non ne ero del tutto sicura, chinai leggermente il capo, stringendo la tovaglia nei pugni sotto il tavolo.
Mi stava sfrattando. Mi stava sfrattando perché l'incendio era stato causato da una mia distrazione. Ricordai: quella mattina avevo avuto fretta di presentarmi al colloquio, talmente tanta fretta che, sì, avevo dimenticato la piastra accesa. E mi si chiuse lo stomaco.
La signora Gherardi mise giù la tazzina e abbozzò un sorriso pieno di comprensione. Allungò una mano verso di me da sopra il tavolo e mi strinse delicatamente un braccio. «A questo punto dovremmo parlare del risarcimento danni, ma credo che per oggi tu abbia abbastanza preoccupazioni, per cui propongo di riparlarne per e-mail, con calma.»
«Certo» risposi inespressiva.
«Non preoccuparti» proseguì Carolina Gherardi, «sarò ragionevole. Conosco voi giovani, ho una figlia di circa la tua età e so che certe volte non combinate disastri di proposito» a quel punto si fermò e guardò verso l'entrata del bar. Alzò con un movimento fluido la mano per fare un cenno a qualcuno. Mi voltai e capii che stava gesticolando al gigante che era appena entrato. «È un ispettore della sicurezza» mi spiegò lei. «Ha visitato l'appartamento questa mattina.»
L'omone si avvicinò e ci salutò. «L'appartamento è perfettamente agibile» ci informò subito. «Ma sarebbe meglio evitare di entrare nel bagno per il momento, se non si ha una mascherina protettiva. Sa, per i residui.»
«La ringrazio» sorrise la Gherardi, dopodiché si rivolse di nuovo a me. «In tal caso, mhh, fissiamo un giorno perché tu possa prendere la tua roba?» domandò.
Improvvisamente mi sentii come un topo messo all'angolo. Non m'importava che il suo tono suonasse cordiale e che avesse una figlia della mia età, dietro la maschera comprensiva c'era solo una donna che non vedeva l'ora di liberarsi di me e di chiudere la questione una volta per tutte. Da una parte non potevo biasimarla, dall'altra avrei voluto saltare in piedi e lasciarmi andare a una sceneggiata. Alla fine cercai di mantenere i nervi saldi.
«D'accordo. Facciamo per sabato mattina» dissi e mi sforzai di apparire più sicura di quanto non mi sentissi in realtà.
«Cercheremo di far ripulire il bagno per quel giorno» mi rassicurò il gigante.
«Molto bene» rispose al mio posto la mia ex padrona di casa. «In tal caso lo appunterò nella mia agenda. Adesso, se mi potete scusare, mhh, devo tornare in ufficio.»
Sia io che l'omone annuimmo.
«Posso già salire a prendere alcune cose?» domandai a quest'ultimo.
«Solo se non devi entrare nel bagno» mi ripeté lui.
Annuii e tutti e tre uscimmo fuori dal locale.
Salutai la signora Gherardi con un sorriso piuttosto tirato e insieme al gigante, che si presentò con il nome di Michele, ci dirigemmo verso il palazzo.
Mentre attraversavamo la strada, dall'angolo sbucò una bella auto color notte che svoltò e parcheggiò di fronte al portone. Dalla parte del guidatore uscì Diana e mi bloccai dov'ero, domandandomi cosa ci facesse lei qui.
La donna non mi notò; mi diede le spalle e si tirò su gli occhiali da sole, alzando la testa in direzione del sesto piano. Immaginai che stesse cercando me, quindi lasciai che l'ispettore della sicurezza proseguisse verso il portone d'entrata chiedendogli un secondo, poi m'incamminai verso quella che in teoria avrebbe dovuto essere la mia nuova datrice di lavoro ma che in pratica – dopo la disastrosa serata di beneficenza dove suo figlio aveva fatto a botte per me – non si era più fatta sentire.
«Diana» la chiamai camminando. Lei si voltò e parve sorpresa quanto me. Ma ovviamente si ricompose quasi subito, barricandosi dietro un espressione di circostanza.
«Ero venuta qui proprio per cercarti» ammise.
«Non abito più qui» risposi. «Ma ho lo stesso numero di cellulare» osservai e notai una fugace smorfia comparire sulle sue labbra. Probabilmente non le era piaciuto il mio tono, ma in quel momento compiacerla era l'ultimo dei miei pensieri.
«Beh, speravo che potessimo parlare a quattr'occhi» spiegò lei.
«Pare che oggi tutti vogliano parlarmi» sbuffai e subito cercai di ridimensionare il mio malumore. Mi fermai davanti a lei e incrociai le braccia al petto. «Credevo che i nostri progetti fossero saltati ormai.»
«Ammetto che in effetti non volevo più avere niente a che fare con te» annuì lei come a sottolineare le proprie parole, «hai una strana influenza su mio figlio e non mi piace.»
Alzai le sopracciglia, cinica.
«Ma poi sono successe delle cose e credo di non avere altra scelta» proseguì, lasciando trasparire nella voce quanto fosse contrariata.
«Beh, non importa, perché in queste due settimane ho avuto modo di pensarci anch'io e ho deciso di restituirti i soldi. Non mi interessa più riavere Carlo né mettermi ancora nei guai» affermai e d'un tratto realizzai quanto fossero vere quelle parole.
«Non puoi» disse tagliente Diana. «Credo che tu non te lo possa permettere ora come ora» e inclinò il capo in direzione di Michele che mi stava aspettando. Come fosse riuscita a fare due più due anche stavolta non mi parve un grande mistero: Diego le aveva raccontato tutto anche stavolta. Qualcuno avrebbe proprio dovuto tagliare il loro cordone ombelicale! Comunque non risposi niente.
«D'accordo. Vuoi che raddoppi la cifra? Lo farò» riprese allora Diana, aprendo la borsa per cercare il libretto degli assegni. Sospirai e scossi il capo. Esisteva davvero gente che credeva di potersi comprare ogni cosa? Non ero uno dei suoi pezzi da collezione, io.
«Senti Diana, l'affare non mi interesserebbe nemmeno se tu triplicassi la cifra» dissi, preparandomi a vederla risalire in auto indignata. Ma lei mi stupì e con aria impenetrabile richiuse la borsetta e mi guardò, a lungo. Improvvisamente era seria. Troppo seria.
«Non ti interesserebbe dici? Neanche se ti dicessi che conosco la gente con cui passa le sue giornate la tua amica... com'è che si chiama? Giorgia
Ebbi un tuffo al cuore; e di questo chi gliene aveva parlato? Che cosa ne sapeva lei di Giorgia?! Mi si mozzò il respiro, quella donna sapeva troppo di me. Troppo! Diana percepì la mia paura come uno squalo che sente l'odore del sangue nell'acqua e abbozzò un sorrisetto maligno.
«Come immaginavo» disse e riaprì la borsetta. Tirò fuori il benedetto libretto, una penna e ci scarabocchiò sopra qualcosa. Poi me lo allungò.
Lo presi in automatico ma non guardai la nuova cifra, era scontato che sarebbe stata alta e dannatamente allettante.
«So per certo che stasera Carlo sarà in ufficio. Da solo» riprese Diana nel suo tono autoritario. «Ho bisogno che tu prenda questa» aggiunse, tirando fuori qualcosa di piccolo dalla tasca del cappotto per porgermelo. «E che tu segua le mie istruzioni.»
 
Guardai verso la finestra illuminata al piano terra, l'ultima nella fila di occhi vuoti dell'edificio. Strinsi più forte la borsetta e buttai giù un groppo in gola. Cosa diavolo stavo facendo? Scossi la testa rassegnata e per un attimo strinsi le palpebre e presi un profondo respiro. Poi le riaprii e m'incamminai verso la porta d'entrata.
Mentre percorrevo la sala ingombra di scrivanie, deserta a quest'ora, il mio cuore iniziò a martellare più veloce dei tacchi che mi ero messa per l'occasione.
Avevo recuperato due valigie di vestiti dal mio vecchio appartamento quel pomeriggio e preparandomi avevo deciso di indossare l'abito che Carlo stesso mi aveva regalato: un aderente tubino viola e oro, diviso alla vita da un elegante cinturino color rame e con una profonda scollatura sulla schiena. Quando me l'ero accostato addosso, studiando il mio riflesso nell'ampio specchio che Nick aveva fatto installare di fronte al suo letto a baldacchino, mi erano tremate le ginocchia: improvvisamente mi ero accorta che stavo pensando al padrone di casa, immaginandomi cosa sarebbe successo se in quel momento lui fosse stato lì con me, ad osservarmi dal ciglio del letto con i suoi profondi occhi scuri e l'espressione compiaciuta. O di come si sarebbe avvicinato alle mie spalle e mi avrebbe scostato la spallina del reggiseno per baciarmi la pelle nuda. Mi immaginai di sentire il suo respiro caldo posarsi sul mio collo, poi il telefono aveva squillato notificando un messaggio ed ero tornata bruscamente con i piedi per terra.
Nick, lo devo fare per Giorgia, pensai imboccando il corridoio che mi avrebbe portato alla porta d'ufficio di Carlo. Di fronte a quest'ultima mi fermai e alzai in aria il pugno, pronta a bussare.
Ebbi solo un attimo di esitazione. Poi: toc, toc, toc.
Carlo venne ad aprire con espressione accigliata che si fece di sorpresa non appena mi riconobbe. Mi sforzai di sorridere e di apparire naturale.
«Hei» lo salutai.
Le sue sopracciglia balzarono. «Vittoria?» domandò quasi fossi un fantasma.
«Disturbo?»
«No» rispose in fretta lui. «No. Assolutamente no!» sorrise. «Non...non ti aspettavo.»
Abbassai gli occhi con aria imbarazzata e mi morsi il labbro inferiore. «Già. Mi dispiace piombare così. Probabilmente hai da fare... Forse non è stata una buona idea» conclusi rigirandomi, ma lui mi afferrò per un braccio prima che potessi fare un solo passo e il cuore mi salì in gola.
«Non andartene» disse. «L'ultima volta che ci siamo visti è stato un disastro. Ed è solo colpa mia. Ti devo delle scuse.» La sua voce si fece calda e vellutata e mi morsi di nuovo il labbro, stavolta più forte. Che lo amassi o no sapeva ancora come approcciarmi e mi ricordai che non dovevo cascare nei suoi soliti tranelli. Ma fare finta sì.
Quindi mi voltai e sorrisi di nuovo. Dopodiché entrammo nella stanza e Carlo chiuse la porta a chiave come ai vecchi tempi. Fui sul punto di farglielo notare quando mi ricordai la voce di Diana e le sue istruzioni, perciò mi morsi la lingua e lasciai la borsa sulla scrivania di Carlo, appoggiandomi contro quest'ultima a braccia incrociate.
Carlo si mise le mani in tasca e alzò amichevolmente un angolo della bocca.
«Non sei l'unico a dovere delle scuse in realtà» parlai per prima abbassando la testa. «Ho combinato un vero casino. Quello che ho fatto alla tua festa di fidanzamento... non ne avevo il diritto. Ma ero arrabbiata. Tanto arrabbiata» conclusi e fui sincera. Erano cose che gli avrei voluto dire ancora due settimane prima, se non fosse stato tanto ubriaco.
In tutta risposta Carlo abbassò lo sguardo sul parquet, pensieroso, e nello spazio tra noi calò il silenzio. Credetti che non avrebbe più detto niente quando lui rialzò la testa e si strinse nelle spalle, così, come se per lui il mio discorso non fosse stato nulla di importante.
«Fa niente. Quello che è successo è successo, non possiamo cambiarlo» parlò avvicinandosi a me. «Ci ho pensato a lungo» spiegò, «e all'inizio ti ho odiato e ho davvero desiderato che tu non fossi mai entrata nella mia vita. Ma poi ho capito. Ho capito perché l'hai fatto» abbassò la voce, «e ho capito anche un'altra cosa. Puoi indovinare qual è?» chiese, ormai era proprio di fronte a me. Scossi la testa con le narici che si riempivano del profumo che gli avevo regalato per l'ultimo San Valentino e lui alzò una mano. Con il dorso delle dita mi accarezzò delicatamente uno zigomo, accompagnando il movimento con gli occhi che avevano assunto una sfumatura sinistra, famelica. Una parte di me si sentì scossa dai brividi come un tempo, l'altra ne ebbe paura. «Ho capito che sei l'unica donna che voglio nella mia vita. Me ne frego di cosa perderò rinunciando a Lisa» rispose ormai sussurrando e si avvicinò ancora; il suo viso si fece pericolosamente vicino al mio e mi irrigidii. «Non importa se adesso sei confusa sui tuoi sentimenti, mi sono comportato male con te e posso solo immaginare quanto sia stato difficile per te sopportare tutto questo» proseguì e il suo respiro mi solleticò le labbra. «Ma ti posso assicurare che non accadrà mai più, nessuno riuscirà a mettersi di nuovo tra noi. Nemmeno Nicholas» un sorriso scaltro, e infine lo fece: mi baciò.
Per un attimo il mondo parve fermarsi. Il mio corpo tremò di risentimento ma le labbra risposero al bacio. All'inizio solo per proseguire la recita che avevo messo in piedi, dopo perché iniziai a pensare di meritarmi quella rivincita. Per una volta non ero stata io a supplicarlo per un po' di attenzioni! Infine i pensieri si spensero, le dita delle mani andarono a cercare i suoi capelli e il respiro accelerò vertiginosamente. Avevo bisogno di sentirlo al tatto. Avevo bisogno di dimostrare a me stessa di aver vinto.
Immediatamente le mani di Carlo corsero ovunque sul mio corpo e si fermarono solo una volta che ebbero trovato la lampo del vestito. La tirò giù di prepotenza senza lasciarmi andare e d'istinto mi strinsi a lui. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che l'avevo sentito tanto vicino? Una parte di me si ribellava a quel contatto, lo odiava persino, ma l'altra mi urlava a gran voce di non fermarmi. E sfortunatamente la prima fu inglobata dalla seconda non appena le labbra di Carlo scesero sul mio collo strappandomi sospiri di approvazione.
Non dovevo.
Ma lo stavo facendo.
Non volevo.
Ma lo volevo.
C'era Carlo.
E immaginai Nick...
Sobbalzai sgranando gli occhi e sbattei velocemente le palpebre. Quello non era Nick! Allora per quale motivo mi era parso di sentire lui?! Avvampai per l'imbarazzo e cercai di non far cadere il vestito sorreggendolo con una mano sul petto. Carlo fu palesemente confuso. Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, finché il telefono di Carlo non iniziò a squillare e lui si costrinse a riprendersi. Tirò l'apparecchio fuori dalla tasca dei pantaloni e abbozzando un sorriso amaro mi fece segno di scusarlo. Non obbiettai.
Non appena lui uscì dalla stanza mi sbrigai a richiudere la lampo e strinsi forte la mascella. Sono proprio una cretina! Stupida! Stupida! Stupida! Solo perché Diana mi aveva chiesto di riavvicinarmi a lui non significava che dovevo farlo letteralmente! Eppure l'avevo fatto e avevo provato un vergognoso senso di trionfo; in quel momento mi resi conto che non potevo cancellarlo semplicemente dalla mia vita, nonostante lo desiderassi.
Però l'hai sentito! Si è pentito..., mi suggerì prontamente una voce nella testa, se solo tu riuscissi a mettere da parte l'orgoglio. Se solo tu riuscissi a perdonarlo, potreste riprovare. Tutto da capo, da una pagina bianca. Le sensazioni di un tempo potrebbero tornare. Del resto non puoi scordarti anche delle cose belle che ha fatto per te...
Guardai la porta chiusa e mi grattai nervosamente un avambraccio; per quale motivo stavo esitando? Forse avrei fatto meglio a smettere di giocare alla Bond Girl e uscire in corridoio e andare da Carlo per chiarire ogni cosa, da persone adulte. Tutta questa storia aveva raggiunto l'apice dell'assurdità e non ne potevo più!
Buttando giù un groppo alla gola mi resettai il vestito e attraversai l'ufficio, pronta a fare la cosa giusta. Posai una mano sul pomello e aprii la porta quel poco che bastò per far entrare la voce di Carlo dentro la stanza. Lo sbirciai dalla mia postazione – mi dava le spalle – e abbozzai mentalmente il discorso che gli stavo per fare. Ecco, ero pronta, quando...
«Calmati. Te l'ho già detto che non hai nulla di cui preoccuparti, piccola» disse Carlo e mi si gelò il sangue nelle vene. «Sì, me ne rendo conto» proseguì dopo una breve pausa. «Sì. Sì, lo so!» a stento trattenne l'irritazione tra i denti. «Potremmo riparlarne dopo?» Ma chiunque fosse all'altro capo della linea non sembrava voler rimandare il loro discorso e Carlo rimase in ascolto con le mascelle che gli pulsavano.
Facendo attenzione a non fare rumore, richiusi la porta e mi ci appoggiai contro risentendo l'eco delle parole di Carlo: «Ma ti posso assicurare che non accadrà mai più, nessuno riuscirà a mettersi di nuovo tra di noi.» No, adesso era proprio ufficiale: ero davvero una cretina! Mi venne da ridere, una risata isterica, ma soffocai quell'impulso; ero qui per una ragione e adesso più che mai volevo portare il tutto a termine.
Mentre giravo il portatile di Carlo verso di me e aprivo le cartelle che mi aveva indicato nel suo messaggio Diana, mi meravigliai di me stessa: ero tesa, ero arrabbiata, ero stata umiliata per ben due volte, ma riuscivo a tenere tutte queste sensazioni perfettamente sotto controllo. Era come se non fossi più io, come se tutto questo non riguardasse me: frugai attentamente nella borsetta e ne tirai fuori la pennina che mi aveva passato Diana. Mi fermai solo per un istante, il tempo di tendere l'orecchio e di assicurarmi che Carlo non stesse per entrare, dopodiché copiai tutti i file sul dispositivo e richiusi tutte le finestre, rimettendo il portatile al suo posto. Dopo nascosi la chiavetta indietro nella borsa, strinsi i denti e mi sistemai a sedere sulla scrivania a gambe incrociate con aria volutamente civettuola.
Finalmente Carlo entrò. Avevo proprio voglia di sentire cosa avesse da dirmi.
«Scusa» disse lui abbozzando un sorriso rammaricato. «Era per lavoro» indicò il telefono in mano.
Stavolta non riuscii a trattenermi e sbuffai un sorrisetto. «Figurati. Capisco» risposi, calcando sull'ultima parola.
A Carlo guizzò un sopracciglio in modo appena percettibile ma decise di non indagare, mi raggiunse e mi mise le mani sulla vita. Era evidente che volesse riprendere da dove eravamo rimasti. Non mi scomposi.
«Tutto bene?» s'interessò allora lui. Allargai il sorriso con aria condiscendente e mi strinsi fugacemente nelle spalle.
«Non potrebbe andare meglio» gli assicurai. E non era del tutto una bugia; certo, mi bruciava il fatto che qualche minuto prima stavo per abbandonarmi tra le sue braccia o più in generale per aver sprecato tanto tempo con un verme del genere. Tuttavia, adesso che avevo avuto la riprova di come stavano le cose tra di noi, del fatto che Nick non mi avesse mentito riguardo a un'altra amante, mi sentivo stranamente sollevata. Come se mi fossi tolta un peso. Niente più bugie, niente più sotterfugi né sensi di colpa verso Lisa o qualunque altra donna presente nella vita di Carlo. A pensarci meglio, non aveva mai meritato tanto.
«Quindi...» disse allusivo Carlo accarezzandomi un fianco.
«Devo andare» lo allontanai con una mano.
«Non ce l'avrai ancora con me!» esplose Carlo, e tanti saluti ai suoi buoni propositi!
Scossi la testa. «È tardi» chiarii, e non mi riferivo solo all'ora. Era tardi anche per salvare noi, ammesso che un noi fosse mai esistito.
Carlo si fece da parte e scesi dalla scrivania. Presi la borsetta e gli sorrisi un'ultima volta prima di lasciare l'ufficio.
Adesso dovevo incontrare Diana e dopo... dopo dovevo dire a Nick quello che provavo per lui.



---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Buonasera miei cari! Ebbene, stamattina mi sono svegliata con la consapevolezza di aver chiamato due personaggi (uno dei quali è solo un personaggio minore) allo stesso modo! Viva me! Per chi dovesse notarlo e accorgersi che uno dei due ha cambiato misteriosamente cognome, non preoccupatevi, mi sono resa conto dell’errore e ho corretto in extremis XD (e ora ci starebbe un: che figura di mmmerda!) Per chi, invece, non dovesse accorgersene e in questo momento non abbia idea di cosa io stia parlando, tanto meglio XD Non vi siete persi niente di importante in fondo.. Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che resterete sintonizzati ;)

M.Z.

   
 
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