Oook!^^ Salve a tutti. Questa è la prima fic
che pubblico (e che scrivo interamente) da qualcosa che si avvicina
pericolosamente ai 5 anni. Il che potrebbe non essere un male, visto che
non sono in grado di garantire la
qualità del mio operato e che valga il tempo speso a leggerla e a scriverla!XD
Ma la mia adorata Mel mi incita
da un pezzo a rimettere mano alla tastiera, quindi, se alla fine quello che scrivo
dovesse non essere all’altezza dei vostri gusti, prendetevela con lei. In caso
contrario, i complimenti indirizzateli pure a me!XD
Scherzi a parte, questa fic è
scritta per la challenge ‘’swords and spells’’ ed è ispirata al prompt numero
8.
Buona lettura a tutti.
PS: spero vivamente di non
deluderti Melluccia!:3
Moonlight blessing
On the shore
we sat and hoped
under the same pale moon
whose guiding light chose you
-the poet and the pendulum-
Nightwish
Si
svegliò che la luna era già alta.
Da
prima fu il ritmico suono della risacca.
Poi il
crepitio familiare del fuoco.
Infine
la consapevolezza di essere ancora in vita.
Spalancò
gli occhi, e la prima cosa che vide fu il lentigginoso cielo stellato pezzato
da qualche rada nube.
Si mise
a sedere di scatto, ma non potè ignorare il capogiro che lo colse e lo
costrinse a chiudere gli occhi.
-Vi
siete svegliato.- constatò pacatamente
Merlin.
Arthur
si volse e lo vide gettare con noncuranza un legno secco nel fuoco che aveva
acceso.
Nemmeno
lo degnava di uno sguardo.
-Sono..
vivo?- e si stupì come, dal tono in cui
aveva parlato, non si capisse se la sua fosse effettivamente una domanda o una
semplice affermazione un po’ sorpresa.
-Ne ho
seriamente dubitato per il primo quarto di veglia. Poi visto come russavate non
me ne sono più preoccupato.- ammise con un impudente sorriso beffardo che non
tutti i servi si sarebbero permessi di rivolgere ai loro padroni, e che non
tutti i padroni avrebbero perdonato di buon grado.
Ma
Arthur non se ne curò, invece collegò subito gli avvenimenti accaduti quel
pomeriggio.
-La
maledizione?!- domandò agitato notando la stonatura dell’essere vivo con le
parole di Anhora. Per eliminare la
maledizione uno dei due avrebbe dovuto morire… e Arthur si era gettato tra le
braccia di quel destino nefando ben lieto di poter sollevare dalle spalle del
suo popolo quella terribile condanna.
-Annullata.-
rispose semplicemente torturando un po’ di brace con un bastoncino. Alzò gli
occhi quel tanto che bastava per vedere l’espressione confusa di Arthur.
Riportò
la sua attenzione ai tizzoni ardenti e spiegò, in poche parole, ciò che il
custode degli unicorni gli aveva rivelato.
-Nel
calice non c’era veleno. Solo un potente sonnifero. Anhora voleva accertare la
purezza del vostro animo, non uccidervi. Per questo ha finto che fosse letale.-
Merlin decise di lasciare all’intuito del principe la comprensione del resto.
Preferiva saltare il pezzo del racconto in cui Arthur beve dalla coppa avvelenata
per non farla bere a LUI: non era, infatti, assolutamente sicuro che la sua
voce sarebbe rimasta ferma nel riferirlo.
-Voleva
vedere se avrei avuto il coraggio di assumermi la responsabilità del mio
errore… o se avrei sacrificato te pur di salvarmi la vita…- concluse per lui il
racconto.
-Già…-
sentirlo dalla sua voce era qualcosa di ancora più sconvolgente che
pronunciarlo egli stesso. Era così…”strano”.
Lo era
davvero, lo era per lui, almeno.
Per
Arthur sembrava così naturale aiutarlo non curandosi minimamente delle
conseguenze.
Aiutare
lui.
Aiutare
Merlin.
Merlin
che era un semplice servo, Merlin che nemmeno era originario di Camelot, Merlin
che non gli portava mai il dovuto rispetto, Merlin…
Merlin
che nascondeva la verità agli occhi blu del suo principe, quel principe che
forse ancora non aveva capito cosa fosse quel mistero che aveva intravisto nel
suo servo, ma che sembrava non turbarlo ne farlo sentire minacciato.
Per
Merlin era diverso. Morire per il suo principe era, agli occhi degli altri,
prima di tutto un ”dovere” e una “prova di lealtà”. Cose scontate e necessarie
in un servo. Che ci fosse altro che lo muoveva non era cosa che potesse,
quindi, rischiare di essere palesata dal suo mettere a repentaglio la sua vita
per lui.
Lo
scorrere dei suoi pensieri fu interrotto da Arthur che, lasciatosi cadere
nuovamente sulla sabbia, era scoppiato in una sana risata di sollievo.
-io
non riderei con tanto gusto: i cavalli sono scappati, siamo a piedi, e Camelot
dista un giorno di cammino.-
Le
risa di Arthur si spense naturalmente, gradualmente, lasciandolo più leggero.
Era scampato alla morte, di nuovo, e Merlin, Merlin anche lui era vivo.
E
stranamente, era la cosa che lo faceva sentire meglio.
Ed era
ciò che lo aveva spinto quel giorno a bere da quel calice.
Certo,
ciò che lo aveva condotto in quel labirinto era salvare il suo popolo.
Ma
quando si era trovato davanti al bicchiere colmo di veleno, era stata la paura
che fosse Merlin sacrificarsi a farglielo bere senza riflettere.
L’aveva
fatto d’istinto, senza pensare. Tutto pur ti tenere le labbra impertinenti del
servo lontano dal quella coppa letale.
In
quel momento, ricordò, non era certo alla sua gente che stava pensando.
Cadde
un pacato silenzio, contornato dalla risacca placida del mare e il crepitio
vivace del fuoco.
Merlin
giocherellava distrattamente con i tizzoni usando un bastoncino, perso nello
scorrere incostante dei suoi pensieri senza filo. Collegava pensieri e ricordi,
riflessioni e spezzoni di passato, associava volti a frasi e situazioni in un
quieto ripercorrere della sua vita. Quasi sorrise a pensare che la maggior
parte delle associazioni, dei ricordi e delle situazioni che gli erano rimaste
impresse maggiormente erano ambientate a Camelot.
Fu
Arthur a interrompere quel vagare inconludente. Il senso di vaga onnipotenza
che lo pervadeva ogni volta che scampava alla morte, quella sera, gli aveva
donato un po’ di quella intraprendenza che, senza spiegarsi il motivo, a volte
gli mancava nel porre domande al suo servo.
-
Merlin? - lo chiamò restando sdraiato sulla sabbia fresca a fissare il cielo.
- Sì?
-
-
Perché ti trovavi alla spiaggia oggi? -
-
Anhora mi ha catturato, ha detto che facevo parte della prova - rispose
prontamente, con un lieve sussulto.
- Dove
ti ha catturato? A Camelot forse? - domandò, ben conoscendo la risposta, e ben
sapendo che Merlin non era così stupido da non accorgersene. Non dopo che aveva
esplicitamente parlato di “cavalli”.
- No.
Nel labirinto. - ammise semplicemente. Come se la quasi assenza di tono potesse
far lasciare ad intendere un “mi ci trovavo per caso”.
- E perché ti trovavi nel labirinto
quando io ti avevo esplicitamente ordinato di restare a Camelot? -
- Mi
conoscete Arthur, io non vi ascolto mai.- citò con lieve tonno beffardo, grato di
quella prontezza di spirito che lo aveva liberato da un interrogatorio che
sentiva portare in una direzione che in quel momento non voleva imboccare.
Arthur
sbuffò divertito, ma non fece cadere la discussione.
- Devi
imparare, Merlin, ad obbedire a quel che ti dico. –lo rimproverò sospirando con
gli occhi fissi al cielo, quasi sapendo, del resto, che qualsiasi rimprovero
sarebbe stato fiato sprecato, come lo era stato fino a quel momento, dopotutto.
- Me
ne scuso, Sire. Ma a volte mi risulta difficile ricordare che i vostri sono
ordini da asino reale a cui dovrei obbedire ciecamente. – Arthur fece leva su
un gomito e lo guardò lievemente piccato.
Al suo
sguardo Merlin rispose con una semplice alzata di spalle beffarda e il suo
solito sorriso di vaga strafottenza.
-Mi
chiedo, Merlin, perché io sopporti ancora la tua arroganza e la tua totale
mancanza di rispetto!-
-Perché
sono l’unico in grado di sopportare la vostra regale e maestosa ed imponente
boria, sire. Dovete ammettere che è quanto meno indicativo il fatto che in soli
4 lustri voi abbiate fatto fuggire tanti servi da farvene scordare persino il
numero.-
-E
nonostante tutto…- rispose Arthur alzandosi dalla fredda sabbia per accostarsi
al fuoco - nessun servitore mi ha mai mostrato tanta arroganza, schiettezza,
incompetenza, irriverenza e… fedeltà.- ammise, con sguardo basso.. con lo
stesso tono di quel pomeriggio quando egli aveva confessato, tra le pieghe del
suo orgoglio, che era felice, nonostante tutto, anzi, forse proprio per quel
tutto, che il suo servo fosse lì.
-
Faccio solo il mio lavoro, sire…- replicò con un’alzata di spalle imbarazzata,
spezzando il rametto che teneva in mano e gettandolo in pasto alle fiamme.
-e lo
fai in maniera tremendamente discutibile, per quanto riguarda le tue mansioni
quotidiane. Ma la devozione con cui rischi la tua vita per me, quella va ben
oltre qualsiasi azione un servo comune farebbe di suo sponte per il principe.-
e il mago sentì una morsa invisibile all’altezza dello stomaco, come se Arthur
fosse lì, sulla soglia della sua anima a reclamarne l’ ingresso con il suo sguardo carico del calore
bruciante di quel fuoco che attraversavano.
- ho
fatto giuramento di fedeltà, sire, è mio dovere..- Arthur non diede segno di
aver preso in considerazione la sua scarna argomentazione e continuò,
imperterrito:
-
senza contare, Merlin, che dal tuo arrivo a Camelot, sembro godere di una sorta
di immunità… non sono mai scampato tante volte in maniera così sorprendente
alla morte prima del tuo arrivo!-
E
Merlin alzò lo sguardo per leggere, attraverso il fuoco, l’azzurro cielo di
quegli occhi sperando ardentemente di potervi vedere che era pronto per la
verità.
Ma non
trovò quel che cercava.
Vide
due occhi giocosi, di chi non credeva realmente alle parole appena pronunciate.
O per lo meno che non vi credeva tanto quanto a quelle proferite prima.
Perché
le loro discussioni erano sempre così:
mai
serie fino in fondo, in un eterno rincorrersi di velate confessioni e di
scherni per smentirne la profondità ma che, in un certo senso, erano testimoni
di un’intimità goffa ma speciale di cui nessun’altro godeva.
Così,
sempre così, in un rivelare tutto e nulla, in un vedi e non vedi di anime che
mai si svelava interamente.
Un
rincorrersi in cui, ammetteva, essere un consenziente e vigliacco partecipante.
Ed
egli vide Arthur allontanarsi dalle porte della sua fragile anima.
E non
riuscì a gioirne completamente…
E
dolorosamente pensò, e disperò,
sarebbe sempre stato così fino a che la verità sulla sua magia, più che quella
del suo animo, non gli avrebbe trafitto il cuore sottoforma di lama di spada
per punirlo delle sue menzogne.
Ma
egli aveva fiducia in Arthur tanto quanta ne aveva nel fatto che, un giorno,
quel borioso principe sarebbe diventato il più grande re che Albion avesse mai
avuto l’onore di chiamare tale.
E in
nome di questa fiducia ingoiò nuovamente la verità e decise, per un'altra
notte, di macchiarsi la coscienza con una rinnovata menzogna.
-E’ la
luna…- sussurrò con un sorriso. E poi tacque.
Innervosito
dalla poca reattività di Merlin, Arthur diede voce alla ovvia domanda che la sua affermazione gli aveva suscitato:
-
Cosa?-
Merlin
lo fissò per un istante, poi, riabbassò il capo, e narrò la sua storia:
- Mia
madre mi diceva che la luna guida coloro che sono destinati a diventare grandi
uomini- ricordò con una sfumatura di tenerezza nella voce.
- stai
forse ammettendo che sarò un grande re?-
-
visto la scarsità di principi in piazza, la scelta è stata quasi obbligata,
temo.- ma ad incorniciare questa battuta bonaria, così poco differente, per
tono, dai soliti scherzosi battibecchi ci fu uno sguardo sinceramente divertito
e colmo di fiducia che sembrava sussurrargli con tono devoto: “ sì, lo sarete
“.
Ed
egli tacque e lo guardò con un sorriso riconoscente.
Perché
sarebbe morto pur di ammetterlo a voce alta, ma sentirlo dire da quegli occhi
sempre così schietti ed irriverenti, gli dava la sensazione che, un giorno, lo
sarebbe veramente stato all’altezza del titolo di re.
E Merlin,
tornò a raccontare:
-La
luna protegge come una madre sa fare. Sostiene nel momento del bisogno con la
sua luce. Ma come la luna ha le fasi in cui irradia più o meno candore,
così una madre cresce i figli
proteggendoli e sorreggendoli ma lasciandoli sempre prendere le loro decisioni
e affrontare le loro battaglie. Li guida, perché prendano la strada giusta, ma
non influenza mai le loro scelte. Perché la grandezza di un uomo si può
forgiare soltanto forgiando l’uomo stesso.- concluse, senza mai guardare il
principe.
Senza mai guardare la luna.
- Per
lo meno così diceva mia madre.- aggiunse quasi a voler togliere peso a quella
leggenda che, in cuor suo, pregava essere vera quanto lo erano i suoi poteri.
Arthur
non rispose subito, ponderò sulle parole del servo poi, come accadeva spesso,
il suo orgoglio guidò le sue parole:
-…
tutte sciocchezze. Che la luna vegli chi non ha la forza di farlo per se
stesso. Io pretendo che nulla tolga valore alle mie azioni. Coloro che sono
nati per diventare grandi re sono di natura grande abbastanza per affrontare
ciò che la vita gli pone di fronte senza bisogno di magica protezione. Nel caso
così non fosse, è dolorosamente evidente che costoro non sono i leggendari
sovrani che si pensava fossero destinati ad divenire.-
-e voi
pensate che i grandi re non abbiano mai bisogno di altro se non di loro
stessi?-
- sto
dicendo che voglio affrontare tutto ciò che mi si presenta sul cammino con le
mie, di forze. Se non sono in grado di superare ciò che il destino e la vita mi
presentano, allora, evidentemente non sono forte a sufficienza per ritenermi
all’altezza ne tanto meno degno di questa vita. – e così egli rispose secco,
duro.
Assolutamente
categorico nella sua determinazione.
Così
spavaldo e cieco.
Così
tremendamente puro e ignaro.
- Se
almeno vi sforzaste di essere tanto saggio quanto orgoglioso…- sospirò quasi con rassegnato divertimento
alla cecità del principe
-Cosa
stai insinuando, Merlin?- la fronte del principe si aggrottò con sospetto.
-
Credete sul serio che le battaglie che l’uomo è costretto ad affrontare nel suo
percorso siano tutte da affrontare a fil di spada? Non pensate che la grandezza
di un uomo stia nel saper riconoscere i proprio limiti? Nel mettere da parte
l’orgoglio per fare la cosa giusta?- si interruppe un attimo.
Ponderando
se continuare il suo pensiero.
Ma
quella notte, in cui la luna alta nel cielo sembrava volergli dare forza,
Merlin decise di mostrare un po’ più di quella sua anima così gelosamente
custodita e di osare.
- Non
è forse questo che rimproverate sempre a vostro padre, Arthur? La mancata
capacità di riconoscere i suoi limiti? La sua testarda convinzione che nulla
sia più importante dell’orgoglio?- sussurrò quasi –ammettetelo, Arthur, voi
parlate così, ma non credete nemmeno voi stesso in queste parole. Perché, e lo
sapete bene, voi siete in grado di ringraziare chi vi aiuta senza vederlo come
un togliere a voi onore e merito. Perché nonostante il vostro sia un orgoglio
smisurato, siete sempre in grado di riporlo da parte quando ce ne è necessità.
Perché voi, Arthur, lo sapete bene, siete migliore di vostro padre poiché
riuscite a vedere tanto lontano da rendervi conto anche di ciò che sta vicino a
voi…-
Arthur
si alzò e lo guardò come se volesse ribattere violentemente, più per reazione automatica
alle critiche verso suo padre, che per altro.
E
Merlin sostenne il suo sguardo.
E,
finalmente, vi trovò quello che cercava: la conferma che ciò a cui aveva dato
voce non era null’altro che il pensiero stesso che Arthur non aveva osato
esprimere.
Oh,
non di certo credeva di essere veramente migliore di suo padre, egli ancora
invidiava quella fermezza che lui, troppo spesso, sentiva mancare in se stesso.
Si
fissarono per alcuni interminabili secondi, poi, semplicemente, Arthur si voltò
distendendosi accanto al fuoco.
-
Basta con queste favole per bambini. Domani dovremo alzarci all’alba se
vogliamo arrivare a Camelot prima che ci diano per morti.-
Merlin
sorrise e imitò il principe sdraiandosi accanto al fuoco.
Arthur
non riuscì ad assopirsi immediatamente come era normale, dopotutto, considerato
che il sonnifero lo aveva fatto sprofondare in un profondo sonno per quasi
tutta la giornata.
Restò
vigile e pensieroso fissando quella luna di cui Merlin aveva parlato.
E per
un attimo, volle credere nel suo potere. Per un attimo, volle veramente pensare
che la luna potesse proteggere e guidare.
E le
chiese protezione.
Oh
certo, non per se stesso. Ma sapeva che essere re era un compito estremamente
difficile… sapeva che un re, per quanto lo desiderasse, non poteva essere
ovunque, non poteva aiutare tutti.
E
quindi chiese a quella protezione che si diceva guidare i grandi uomini di
arrivare dove lui non sarebbe arrivato. Di aiutare per lui quando non ci
sarebbe stato. Di aiutare chi non aveva la forza di affrontare le battaglie
fisiche, o semplicemente chi non ne trovava per affrontare le difficoltà
quotidiane.
E
stranamente, ancora una volta, il filo dei
suoi pensieri si spezzò. Quei pensieri rivolti al dovere di preoccuparsi
del proprio popolo, propri di un re giusto, erano mutati e avevano preso una
strada diversa…
Di
nuovo.
Mentre
il dormiveglia lo coglieva, mentre il filo dei suoi pensieri sfuggiva al suo
razionale controllo, egli sapeva che la protezione che aveva fino a quel
momento invocato per il suo popolo, quella stessa protezione di cui
volontariamente chiedeva di essere spogliato.. la chiedeva per Merlin.
E
così, quella notte, imbrigliato in un dormiveglia senza i freni della
responsabilità e dei doveri, il suo ultimo pensiero fu : “ veglia su di lui in vece mia
quando io non ne sarò in grado”
E
dall’altra parte del fuoco, Merlin, guardava quella stessa luna chiedendo di
esaudire lo stesso desiderio: di vegliare su quel principe borioso ed arrogante
dall’animo nobile là , dove lui, non avrebbe potuto guidarlo.
Aprì
gli occhi con ancora le immagini sfocate di quel ricordo impresse nella sua
mente…
Si
destò completamente e non in maniera gioiosa, quando notò che era solo nel
letto.
Si
mise a sedere stropicciandosi il volto quando Merlin entrò cautamente nella
stanza cercando di non fare rumore.
Arthur
lo fissò per qualche istante, beandosi dello spettacolo del suo amante (oh sì,
lo era da quasi metà lustro ormai) che posava il vassoio con la prima colazione
sull’ampio tavolo.
-quante
volte ti ho ripetuto, Merlin, che pretendo tu sia qui al mio risveglio?- lo
rimproverò con cipiglio deciso ma non realmente arrabbiato.
Sapeva
perché Merlin non trascorreva la notte con lui: Gaius non era più giovane come
un tempo e la preoccupazione di Merlin per la sua salute era paragonabile a
quella di un figlio per il padre anziano con tante primavere sulle spalle. Non
lo biasimava, quindi se preferiva trascorrere la notte nella dimora del
cerusico per assicurarsi che non avesse bisogno di qualcosa. Ma si sa, da
principe capriccioso quale era, aveva accettato la lontananza notturna di
Merlin solo a patto che questo tornasse nelle stanze reali prima che lui si
destasse.
-Mi
dispiace Arthur - si scusò – ho incontrato il re mentre venivo qui e mi ha
trattenuto per rammentarmi i tuoi compiti odierni: il giro di ricognizione con
i cavalieri, l’addestramento, la cavalcata con il lui per controllare i campi a
nord delle mura e il banchetto…- elencò diligentemente.
- in
cui immagino dovrò indossare ancora quella ridicola divisa…- commentò con un
certo disgusto.
Intanto,
Arthur,si era alzato dal letto e si stava vestendo con tranquilla lentezza.
- io
trovo che la divisa sia estremamente… come dire… regale!- non potè astenersi
dallo stuzzicare il giovane mago.
-Sono
perfettamente d’accordo con te, Arthur, perché dunque non sostituiamo la corona
da principe ereditario con quel tanto regale cappello piumato?- rimbeccò
facendo sedere il suddetto principe al tavolo della colazione.
La faccia
del giovane Pendragon si contorse, inevitabilmente, nell’immaginarsi con quel
ridicolo copricapo.
-Va
bene, niente cappello!- consentì in un moto di magnanimità voltandosi a fissare
il giovane mago che cercava di riassettare il letto completamente sfatto.
-Grazie!- lo ringraziò con ironica deferenza mentre
prendeva i lembi del lenzuolo aggrovigliato e cercava di dar loro un senso di
esistere.
E
Arthur lo fissava attendendo un qualsivoglia commento sullo stato del
giaciglio.
Commenti
che ormai Merlin aveva imparato ad evitare accuratamente.
Era
infatti vero che Arthur adorava l’imporporarsi delle sue orecchie alle battute
velate sui suoi commenti, tanto quanto lui lo detestava.
Fissò
il sorriso sornione del principe sapendo
cosa egli si aspettasse.
-Scordatelo!-
rispose alla muta domanda.
Ed
evocò quel potere che gli indorava le iridi e con una sola parola le lenzuola
si tesero lisce e perfette, le coperte si rimboccavano e, in pochi secondi, il
letto tornò intonso.
Arthur
scoppiò in una lieve risata mentre il giovane mago guardava soddisfatto il suo
operato.
-Sei
tremendamente sleale Merlin. Che ne è del divieto morale di utilizzare la magia
per scopi futili come rassettare un letto?- lo rimproverò alzandosi in piedi
con, palese, finta aria severa.
-
avete ragione, sire- calcò di proposito sull’ultima parola – mi domando,
tuttavia, come mai quando utilizzo i miei poteri per rifare il vostro giaciglio
reale questi sia un compito futile, mentre quando è leggermente sgualcito, esso
diventa, improvvisamente, un obbligo serio e gravoso per la stabilità
dell’intero regno.-
E
Arthur rise ancora e questa volta vi si unì anche la risata di Merlin.
Era
così semplicemente perfetto parlare di magia con tanta leggerezza. Perché
ricordava bene.. non era sempre stato così…
Si
ricordava ancora, dolorosamente, di quel giorno in cui Merlin era partito,
lasciandolo con un discorso che sembrava celare mille significati.
Ricordava
il senso di inquietudine, la paura.. l’incapacità di smettere di pensare a
quelle parole : “fino al giorno in cui morirò” temendo di vedervi cosa
veramente celavano.
E non
si era dato pace per le veglie seguenti… e quando le veglie si erano tramutate
nel nuovo giorno e il suo servo non si era presentato la paura aveva preso i
terrificanti contorni della certezza.
Merlin…
il suo Merlin...
….non sarebbe più tornato…
E
l’odio profondo per se stesso, per non aver capito, per aver rifiutato di capire lo avevano distrutto
nell’istante della comprensione.
E
mentre si lasciava cadere a terra, in ginocchio, dopo aver congedato il
cavaliere che, per l’ennesima volta quel giorno, gli aveva riferito che no, del
suo servitore, non v’era traccia alcuna, la porta si aprì.. ed era entrato
colui che credeva aver perso per sempre.
-Merlin…-
e il suo era stato un sussurro incredulo di chi ha di fronte uno spettro.
ma
Merlin.. Merlin non gli aveva risposto..aveva semplicemente chiuso la porta
alle sue spalle.
-Si
può sapere dove sei stato? Non mi sovviene di averti dato il permesso di
lasciare Camelot! Le mie stanze sono un disastro! I cavalli necessitano di
essere spazzolati, i mie vestiti lavati!- aveva sfogato, questo lo ricordava,
in futili capricci tutta la preoccupazione e l’angoscia di quel giorno.
Ma
Merlin, ancora, non aveva risposto. E Arthur aveva reagito alzando ancora di
più la voce, perché quell’assenza di reazioni.. non erano da Merlin.. e lui,
non aveva saputo spiegarsi subito il motivo, aveva sentito il bisogno di sapere che tutto era esattamente uguale a prima.
-Semplicemente perché tollero certi
comportamenti non significa che tu possa concederti certe libertà!- aveva
sbraitato. –Ricorda che tu sei..-
-uno
stregone, Arthur.- e quel sussurro non aveva faticato a sovrastare le urla del
giovane Pendragon.
-che
cosa vai blaterando?- aveva chiesto in un misto di rabbia e disgusto per quella
patetica piazzata.
Ma
Merlin, ancora, non aveva reagito.
-Sono
uno stregone, Arthur.- aveva ripetuto guardandolo negli occhi. E in quel blu, Arthur,
non vi aveva letto ne menzogna ne scherzo. Vi aveva letto semplicemente troppa
determinazione e tanta vergogna.
E
ancora non aveva voluto credergli.
-Non essere
ridicolo- aveva sbottato voltandosi e dirigendosi verso il tavolo a prendere un
calice di vino che, in quel momento, aveva sentito di anelare con tutte le sue
forze.
Ma non
vi era stato bisogno di versare nulla nel calice in quanto la brocca gli si era
presentata fluttuante di fronte agli occhi e aveva rifornito in sua vece la
coppa.
Si era
voltato di scatto, e le iridi dorate lo avevano trafitto.
Non
aveva pensato in quel momento, aveva brandito la spada e l’aveva puntata alla
gola di Merlin sbraitando un: - Chi sei!?-
Le
iridi erano tornate del familiare blu cielo e dietro di lui il suono del cauto
posarsi di calice e brocca avevano accompagnato quel mutamento.
-Merlin.-
aveva risposto semplicemente.
-Vile
bugiardo, tu menti! Che ne hai fatto
del vero Merlin?! Non vi è possibilità che egli sia uno stregone! Parla! Dimmi
che ne è stato e prega i tuoi Dei pronubi che egli stia bene o giuro, su questa
lama, che dalla tua gola non sgorgherà altro che sangue!-
-sono
io, Arthur.. guardatemi! Sono solo io…- aveva ripetuto scuotendo il capo.. ma
egli non aveva fatto altro che avvicinare ancora di più la lama al suo collo
fino a toccarlo.
- Tu menti!- E rammentava, fin troppo bene,
quanto in quel momento lo aveva sperato ardentemente.
Si
riscosse da quel momentaneo tuffo nel passato. Non voleva rivedere Merlin nei
suoi ricordi cadere in ginocchio ai suoi piedi con una tale fierezza da
spiazzarlo..
Non
voleva rivedere il suo capo chino, colpevole, mentre prendeva la lama della sua
spada e se la portava al petto.
No. Non
voleva sentire le parole di scuse per avergli mentito, per non avergli mai
rivelato chi fosse in realtà.
No. Non
voleva più vederlo guardarlo negli occhi non come un condannato in cerca di
pietà, ma come un valoroso uomo pronto a pagare per le sue scelte.
Un
uomo che lo fissava negli occhi e gli spiegava il perché delle sue menzogne,
senza implorarlo, senza cercare di giustificare nulla. Semplicemente solo
perché Arthur sapesse la verità.
E per
quanto si sforzò.. non potè non ricordare che in quel momento aveva pregato che
qualcuno o qualcosa guidassero per lui quella spada, perché egli non avrebbe
saputo cosa fare.
Scosse
risoluto il capo, imponendosi di non naufragare oltre nel mare del passato.
Tutto era sistemato, ora, aveva capito e accettato, gli ci era voluto tempo, ma
adesso, sapeva per certo che Merlin era una creatura ancor più nobile di quanto
avesse pensato prima di sapere la verità.
E ogni
notte, in cuor suo, ringraziava di aver avuto la forza di ascoltare e non
quella, a cui era più facile cedere, di trafiggere colui che stava rivelando terribili
realtà.
-Mangia,
o arriverai nuovamente in ritardo. E tuo padre è solito far pagare a me con la
gogna lo scotto della tua superficialità!-
-quale
hai detto che è la mia prima incombenza?- domandò appoggiato al tavolo
sbocconcellando la frutta che Merlin gli aveva portato.
-giro
con i cavalieri per pattugliare le mura esterne.- ripetè mentre raccattava i
vestiti lasciati con noncuranza per terra e sul mobilio. Non avrebbe mai smesso di chiedersi come facesse a
creare un tale scompiglio ogni giorno. Almeno lui, che disordinato lo era di
natura, poteva giustificarsi dicendo che era lo stesso disordine di ogni giorno
che mai nessuno riassettava. Ma le camere del principe godevano quotidianamente
delle cure della servitù.
- se
la caveranno anche senza di me, oggi non ho voglia.-
Merlin
si pietrificò sul posto.
E si
voltò incredulo.
-no.
Nononono, scordatelo! Il re me lo ha ripetuto 3 volte quanto è indispensabile che tu ci vada, e tu ci andrai!-
- da
quando sono i servi a dare gli ordini ai principi?-
- da quando
i principi sono dei somari irresponsabili!- rimbeccò aprendo l’armadio e
lanciandovi dentro gli indumenti con poca cura.
A che
pro piegarli con attenzione? La mattina seguente sarebbero stati comunque
sparsi per i regali appartamenti.
-mi
chiedo da quando sei diventato tanto pigro e irresponsabile!- si lamentò
camminando per la stanza raccattando i pezzi di armatura che, a costo di usare
la magia, gli avrebbe fatto indossare.
Arthur
lo afferrò per un braccio appena gli fu a portata e lo tirò a se stroncando
quel fiume di proteste con le sue labbra.
-Vuoi
tacere ora, Merlin?- lo stuzzicò torturandogli il collo con le bocca.
-non
pensare che mi faccia qualche scrupolo ad utilizzare la magia per infilarti
quell’armatura e issarti sul tuo cavallo- lo avvertì con voce bassa e ferma. Sì
impose di non cedere per pura determinazione.
Arthur
rise piano soffiando così sul collo umido del servitore.
E non
servì a nulla tutta la sua determinazione, Merlin non potè impedirsi di
tremare.
-
quando devo presentarmi al cospetto degli altri cavalieri?- si informò più per
placare la (misera) resistenza del mago che per vero e proprio senso di dovere.
-entro
il principiare della seconda veglia.- rispose capitolando in un sospiro a
quelle labbra che lo lusingavano, mostrandogli la via di un paradiso ben
conosciuto ma che non si stancava mai di tornare a visitare.
- perfetto..- e lo tirò definitivamente a
se violando la sua bocca incapace di protestare oltre.
E lo
condusse con delicatezza verso il giaciglio appena rassettato.
Ve lo
fece sdraiare, ed egli si stese sopra di lui.
E il
loro corpi aderirono perfettamente.
Come
se fossero stati fatti per combaciare perfettamente.
E
Arthur sorrise a quel pensiero, perché sapeva essere vero.
Due
metà, due metà perfette di una stessa medaglia.
Non ci
sarebbe stato nulla in grado di dividerli.
E gli
tornò il mente quella volta sulla spiaggia.. la sua preghiera alla luna e la
preghiera gemella che Merlin gli aveva confidato di aver espresso.
E
ripensò a quella volta in cui una lucidità che non era mai stato sicuro gli
fosse appartenuta gli aveva fatto rinfoderare la spada evitandogli di
commettere il più grande degli abomini.
E
ricordò che Merlin gli aveva confessato di essersi presentato a lui con la
verità in mano, pronto a qualsiasi cosa, ma stranamente rassicurato dal fatto
che egli avrebbe capito.
E in
quell’istante, in quel preciso momento in cui Merlin sussurrò il suo nome,
Arthur capì…
Capì
che la Luna li aveva guidati l’uno verso l’altro ed ora che erano uniti, che
erano divenuti, finalmente, quella
medaglia splendente e perfetta, potevano smettere di chiederle protezione per
l’altro…
Perché
ora che loro due si erano trovati, la Luna non avrebbe avuto più bisogno di
scegliere.
Perché guidare uno di loro avrebbe, inevitabilmente,
significato guidare anche l’altro.
Fine
Ho
finito.
Giuro
che ora piango….T_T
Ok..
ammetto di non essere completamente soddisfatta di questa storia.. non perché
la fedifraga traditrice ha preso la strada che voleva lei ignorando bellamente le
mie suppliche di attenersi all’idea originale, no, non per quello.. non perché
è diventata quasi il doppio di quello che doveva essere (ok.. 13 pagine non
sono molte, ma contavo di finire con la dovuta calma in due giorni nemmeno la paginetta che mi mancava
per poi rendermi drammaticamente conto che alle 4 di questa mattina le pagine
erano diventate 5 e pareva non vedersi ancora la fine, beh, capite che
l’isteria ha preso il sopravvento).
No non
è per questo che non mi convince.. è che non la trovo abbastanza evocativa..
bah… ho provato ad intrecciare tra di loro un discorso abbastanza fluido
cercando di non essere stucchevole e provando a renderlo il più spontaneo
possibile… spero di esserci riuscita almeno un po’…>_> insomma… non
volevo che leggendo la gente avesse la netta impressione della presenza di un
deus ex machina che li guidava in una direzione prestabilita.
Spero
VIVAMENTE di esserci riuscita!
Siate
brutali nei commenti!XD
Comunque,
voglio sinceramente ringraziare Mel per avermi fatto riprendere a scrivere,
avevo dimenticato come ci si sente bene dopo!^^
E
voglio ringraziare anche Rosy, la mia compagna di stanza, che è sempre
entusiasta di ascoltare le mie storie. Il suo entusiasmo mi incoraggia!^^
Beh
che dire? Ancora grazie per la vostra pazienza!
Note:
una veglia corrisponde a tre ore circa. Nel medioevo il principiare della
seconda veglia diurna corrisponde circa alle 9 del mattino.
Un
lustro corrisponde a 5 anni.
E
Arthur è un ‘’prat’’ e un ‘’ass’’. Nota fondamentale… u.u è che detesto il
termine ‘’asino’’ che viene associato sia a ‘’prat’’ che a ‘’ass’’ ma non
esiste altro termine italiano con le stesse sfumature di prat e ‘’ass’’… e
utilizzare ogni volta ‘’borioso pomposo ignorante stronzetto’’, non lo so.. mi
sa che è troppo poco immediato!XD anche perché il dizionario da a ‘’prat’’ la
traduzione scemo, cretino, e ad ‘’ass’’ quella di asino ma non mi sembra renda
giustizia alle infinite sfumature dei termini..
Ok, ho
finito!XD