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Autore: rocchi68    24/11/2016    4 recensioni
Anticipazioni: Piccolo sequel di Ditactor che qualcuno mi ha chiesto.
Sono passati 5 anni da quel giorno e tutto è stato sconvolto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Tanti anni erano passati da quando Dawn si era ricongiunta a sua nonna a Parigi.
Durante quel lustro si era sposata ed era stata discretamente bene.
Non era mai stata felice, questo le era sempre stato chiaro, ma la sua vita, tranne che per l’inizio drammatico, procedeva senza sussulti.
Il marito, Beverly, era morto dopo poco dal matrimonio.
Colpito da una rara malattia, negli ultimi mesi aveva perso anche la capacità di comunicare.
Eppure Dawn era sempre rimasta al suo fianco.
Fino alla fine aveva sperato che lui potesse tornare a vivere, ma verso marzo le candide lenzuola avevano avvolto il suo capo.
Si era ritrovata nuovamente sola e si era trasferita dalla nonna, la quale con tatto le aveva fatto capire che era inutile piangere sul latte versato.
La ragazza avrebbe voluto farle notare che non aveva più motivo per illudersi.
Aveva perso l’uomo di cui era follemente innamorata e che l’aveva abbandonata per il vile denaro.
Aveva visto morire il marito.
Lei non aveva più voglia di rischiare.
Nonostante provenisse da una famiglia benestante e non avesse bisogno di lavorare, non se la sentiva di rimanere inutile per il resto della sua esistenza.
Voleva staccare.
Voleva tentare l’avventura di maestra che tanto le piaceva e sperava che tutti quei programmi le togliessero la capacità di tornare sul suo triste passato.
Ci riusciva meravigliosamente bene durante la giornata, ma con la notte il fiume che aveva arginato riempiva ogni meandro della sua psiche tormentata.
 
Ogni mattina era la stessa solfa.
Doveva alzarsi presto, prendere l’autobus, combattere con il microclima di quei squallidi mezzi di trasporto, raggiungere la metropolitana, avviarsi verso il binario 15 e prendere il treno che l’avrebbe portata fin quasi alla sua destinazione.
Scesa alla quinta fermata avrebbe dovuto affiancare i pochi negozi e poi salire la piccola salita che l’avrebbe messa davanti alla piccola scuola di cui era dipendente.
Normalmente avrebbe avuto paura, ma poi aveva conosciuto qualche pendolare e pertanto si era abituata a orari così terribili.
Non era tanto la mattina, quanto la sera d’aver paura.
La città pullulava di criminali della peggior specie, ma Dawn era convinta che nulla le sarebbe accaduto mai.
Intanto pensava a riempire di latte la tazza di caffè e ad aggiungerci 2 zollette di zucchero.
Sul tavolo, in bella mostra, vi erano delle paste che la nonna offriva puntualmente ai suoi ospiti e di cui la nipote andava letteralmente ghiotta.
Dopo averne divorata una e aver fissato l’orologio che segnalava il suo immancabile ritardo, ne afferrò un’altra e uscì dalla villa.
Appena 5 minuti a piedi e giunse alla fermata che sarebbe stata solo la prima tappa del suo tour.
Persa nei suoi pensieri, come era solita fare, si mise le cuffiette e iniziò ad ascoltare un po’ di sana musica.
Fu quando salì uno dei suoi conoscenti che lei si mise a parlare con il vecchio Pierre.
Quest’ultimo era un cinquantenne che lavorava in uno degli atelier di moda più conosciuti.
Nonostante tutto la recente crisi l’aveva colpito abbastanza duramente ed era stato costretto a lasciar per strada alcuni giovani ambiziosi.
Aveva sempre sperato di poterli riassumere, ma quei 3 anni gli avevano fatto perdere la speranza.
Finché qualche attore o qualche politico gli chiedeva qualche lavoro portava a casa ancora il pane, ma non sapeva per quanto.
E di questo spesso se ne lamentava con Dawn.
Le parlava dei suoi sogni da giovane e di come lei, nonostante fosse sulla trentina, avesse ancora tempo per coltivarli.
Dawn puntualmente si ritrovava ad annuire e a compiacere in quel modo falso e disinteressato l’amico.
Di solito con queste promesse il viaggio dell’autobus giungeva a termine e i 2 dovevano separarsi.
La ragazza diretta verso il binario 15, mentre l’uomo verso il binario 7.
Dopo aver timbrato il biglietto e aver scelto un posto tranquillo si mise a fissare il panorama.
A quell’ora il treno era colmo di pendolari e di studenti che dovevano andare al lavoro oppure presentarsi a scuola.
Nel suo caso doveva fare entrambe le cose.
Lei, però, si sentiva fortunata.
Doveva badare solo a dei bambini e non doveva fare troppa fatica per tenerli calmi.
Con un lieve sorriso a solcarle il volto, si girò verso gli sventurati che affrontavano quella giornata.
Oltre alle tipiche facce note poté notare qualche sconosciuto.
Infatti non le fu difficile riconoscere il gruppetto di 5-6 liceali che monopolizzavano i posti davanti e che facevano casino.
Nemmeno gli operai che dovevano raggiungere qualche cantiere o le vecchie che, invece, andavano al mercato o a trovare le amiche.
Poi ovviamente c’era qualche turista bontempone che pensava a quell’orario come al migliore per girare indisturbato e poi i vagabondi.
Questi l’incontrava una volta ed era certa che mai più li avrebbe rivisti.
Di solito prima di scendere spostava lo sguardo verso qualche carrozza più avanti, cosa che fece puntualmente anche quella mattina.
Fu nell’alzare nuovamente lo sguardo e nel puntarlo verso la carrozza più vicina che sentì un brivido attraversarle la schiena.
Di persone girate di spalle ne aveva viste tante in quei mesi, ma non credeva di vederne una in grado di richiamare il suo passato.
Senza volerlo cercò di avviarsi verso quel tizio e giunta a metà strada, notò che stava per scendere.
Vinta dalla curiosità anche lei fece lo stesso e iniziò a seguirlo con lo sguardo.
L’uomo, ora coperto dal cappuccio della felpa, si diede una rapidissima occhiata alle spalle e svanì in mezzo al caos.
Come la nebbia in una fredda giornata di novembre allo stesso modo lui aveva fatto perdere le sue tracce.
Dawn l’aveva, nonostante tutto, cercato nelle vicinanze per zittire una voce insistente, ma aveva solo visto molte facce che non conosceva.
Volti superflui rispetto al suo.
“Lui non tornerà mai.” Si disse, voltando le spalle al bar e avviandosi verso la sua destinazione.
 
L’ultimo strillo della campanella e lei si era salvata.
Un altro ritardo e avrebbe ricevuto i richiami di qualcuno molto in alto, anche se a lei ciò importava relativamente.
Dopo le prime ore di lezione lei non era più tornata sulle sensazioni di quella mattina.
Solo la breve ricreazione e la fine della giornata le aveva permesso di tornarci su.
Prima aveva considerato ciò come impossibile.
Non poteva credere che quel disgraziato tornasse dalla Russia solo perché si sentiva in colpa.
Era sicura che non avesse un cuore dopo quello che le aveva fatto.
L’aveva illusa, l’aveva fatta innamorare, le aveva fatto sperare in un futuro radioso e poi se l’era svignato con il denaro.
Poco le importava che sua nonna raccontasse il contrario.
Lei non si sarebbe mai bevuta la storiella che lui non aveva accettato tutti quei milioni.
Di una sola cosa si sentiva in dovere di ringraziarlo.
Quel viaggio le aveva fatto imparare molte cose e le aveva fatto conoscere 2 amici unici e insostituibili.
Non avrebbe mai creduto che Zoey e Mike potessero essere così meravigliosi.
Ma questo non fu l’unico ragionamento che si ritrovò a fare.
“E se lui tornasse?” Si chiese, studiando il cellulare.
Lei non sapeva come rispondere e come comportarsi.
Dawn avrebbe tanto voluto, se si fosse presentato, colpirlo, ucciderlo, ripagarlo con la stessa moneta e trattarlo con la stessa dose di sofferenza che lei aveva patito.
Avrebbe voluto fargli bere il veleno della tristezza che lui le aveva servito  e che lei aveva messo nel suo corpo.
Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, per poi rinfacciargli ciò che aveva passato.
Avrebbe voluto anche abbracciarlo e stringerlo.
Ma avrebbe anche voluto dirgli che non le fregava più nulla della sua vita e che poteva tornarsene in Russia per quello che le importava.
L’avrebbe preso volentieri a calci per ciò che aveva vissuto.
Ma non poteva dimenticare le poche giornate divertenti passate in sua compagnia.
Prima che quei 2 segreti entrassero nella sua vita.
Sul primo aveva sorvolato e aveva accettato, ma il secondo?
Non sarebbe mai stata in grado di capacitarsi del fatto che lei era solo un biglietto fastidioso per avere il vile denaro.
Quello di sua nonna poi.
Quello di una sua parente, legato al bel legame che avevano creato.
Fu nel ripensare a ciò che versò qualche lacrima.
Ricordava come, di solito, fosse lui ad asciugarle gli occhi e invece dopo molti anni aveva imparato a smettere d’essere patetica.
Nemmeno al funerale di Beverly aveva pianto.
Come se si fosse sposata per vero amore.
Lei non sapeva nemmeno cosa fosse quel sentimento così profondo che sconvolgeva l’intera esistenza delle persone.
Si era legata ad un uomo che mai avrebbe amato.
E poi quell’uomo era morto dopo pochi mesi.
Non avevano nemmeno imparato a conoscersi che lui era andato per sempre.
Con ancora gli occhi colmi di lacrime scese dal treno e in pochi minuti si ritrovò a passeggiare nervosamente verso la fermata più vicina.
Faceva freddo e le poche vetrine avevano attirato la sua attenzione.
Stava osservando i vestiti e le scarpe in offerta, pensando al suo stipendio che non le permetteva di usufruire di troppi lussi.
Certo la sua famiglia era ricca, ma questo non le permetteva di dissanguare le sue finanze.
Studiando un maglione verde e il suo prezzo si ritrovò a tremare.
Quella mattina, uscendo di corsa come una pazza, si era dimenticata la giacca più pesante e ora era lì al gelo.
Abbassando la testa e delusa sentì un lieve fruscio.
Il vento si era alzato e la lieve pioggerellina cadeva sulla sua testa e poi sulla sua candida pelle.
Stanca di quella vetrina si spostò in quella vicino e si mise a leggere i titoli degli ultimi libri appena usciti.
Di alcuni ricordava ancora le recensioni disgustate, di altri quelle meravigliate o di quelle deliziate.
Era ancora indecisa per il suo compleanno.
Non sapeva cosa regalarsi, anche se aveva un regalo in particolare che non avrebbe mai realizzato.
Avrebbe tanto voluto ritornare indietro.
A quando era ancora in Russia e a quando poteva affrontarlo senza timore.
Ora però non poteva farlo.
La sua vecchia patria era troppo grande e lui poteva anche essersene andato altrove.
Poteva anche essere morto per quelle poche notizie che giungevano alle sue orecchie.
 
Avvilita e sempre più bagnata dalla pioggia ora incessante, si tastò la testa e sentì qualcosa adagiarsi sulle sue spalle.
Era qualcosa di caldo che la fece sussultare dalla sorpresa mista a paura.
Troppo imprevisto quel momento perché fosse calcolato.
E poi chi mai si fermerebbe per dare sostegno ad una sconosciuta mezza scoperta e senza nemmeno uno straccio d’ombrello?
“Sciocca.” Sentì alle sue spalle, prima che una figura incappucciata si mettesse al suo fianco.
“La ringrazio.”
“Non si preoccupi.”
“Ci conosciamo per caso?” Chiese subito Dawn, mentre l’uomo iniziava a leggere i titoli dei libri.
“Il libro centrale è veramente ottimo.”
“Lo so.”
“Credo sia ora di andare e non si preoccupi per la giacca.” Borbottò lo sconosciuto, abbandonando lo sguardo della vetrina e distanziandosi di qualche passo.
“Vorrei sapere chi è lei.”
“Mi creda, se le dico, che non ne sarebbe felice.”
“Come può sapere cosa potrei pensare?” Chiese Dawn, riducendo la distanza che li separava e sorprendendosi nel notare che quella figura sembrava la stessa della mattina.
Era alta uguale, la felpa era la stessa e perfino la borsa appoggiata al suolo era la sua.
Inoltre anche le scarpe da ginnastica, un pugno in un occhio rispetto all’abbigliamento in sè, erano le stesse.
E per Dawn le possibilità erano poche.
O era la stessa persona che l’aveva incuriosita in mattinata.
O quel tipo era il gemello del fuggitivo.
Oppure quel tizio l’aveva pedinata per tutta la giornata come se non avesse niente di meglio da fare.
“Si fidi.”
“Voglio sapere chi è la persona che mi sta seguendo da questa mattina.”
“È sicura che non sia stata lei a cominciare?” Domandò l’uomo con un risolino appena accennato, continuando a darle le spalle.
“Non accetto l’aiuto di qualcuno, se non è richiesto.”
“Benedetto orgoglio femminile.” Sbuffò lo sconosciuto, fissando il cielo che ormai tendeva a inscurirsi sempre più.
“Voi siete tutti uguali.”
“La correggo: se le dicessi chi sono, lei mi offenderebbe più di quanto si possa immaginare.”
“Io non ho mai offeso nessuno.” Ribatté la giovane donna.
“Non ho detto questo.”
“E allora cosa?”
“Le offese sarebbero una conseguenza di quello che le sto per dire.” Borbottò l’uomo, prendendo dai jeans un pacchetto di sigarette e accendendone una.
“Cosa?”
“Credevo odiassi le persone che fumano.” Ridacchiò lo sconosciuto, abbassandosi il cappuccio della felpa e girandosi completamente verso di lei.
“Scott…”
“Credevi veramente che sarei rimasto sempre in Russia?” Chiese il rosso, accennando un sorriso che non completò del tutto.
“Io ti odio.” Sbottò la giovane, avvicinandosi a lui e illudendolo per qualche istante che potesse rispondere con qualcosa di strano.
Non era la prima volta che vedeva alla tv qualcuno che diceva d’odiare una persona per poi fare qualcosa d’assurdo.
Anche se quella non era finzione e lui non era un attore pagato per qualche stupido film.
Come s’aspettava, lei si alzò sulle punte, lo colpì con uno schiaffo piuttosto violento e gli fece volare la sigaretta che era quasi conclusa.
Raccolta quella botta, il rosso si ritrovò ad abbassare il capo, mentre Dawn dava le spalle all’uomo e cercava di andarsene.
Vederla allontanarsi, di nuovo, era troppo doloroso e Scott decise di prendere l’iniziativa.
Subito accelerò l’andatura e le afferrò con decisione il polso.
La fece voltare e la abbracciò.
“Mi dispiace d’essermene andato.” Borbottò Scott.
“Tu…”
“Non volevo scappare, ma dovevo sistemare alcune cosette in Russia.”
“5 anni…per 5 anni sono rimasta male.” Ripeté la giovane, staccandosi dalla sua vicinanza e fissandolo con rabbia.
“Per 5 anni ho sempre pensato a te.” Tentò il rosso, affermando una verità fin troppo dolorosa.
Per lui, Dawn era il primo pensiero della giornata e l’ultimo prima d’andare a letto.
Mai s’era dimenticato del suo viso e del suo carattere e forse erano stati proprio questi 2 elementi combinati a rendergli difficile l’addio.
“Stai mentendo.”
“Ho cercato di sistemare ciò che Duncan aveva lasciato indietro.”
“Mia nonna mi ha detto che eri morto.” Borbottò la giovane, facendo annuire l’uomo.
“Mi hanno sparato, di nuovo, e non avevo la mia bella infermiera a curarmi.” Ridacchiò Scott, facendo arrossire la donna.
“Tu…”
“Volevo vedere come lavorava la democrazia e un poliziotto mi ha sparato. Era così convinto d’avermi ucciso che non si è nemmeno avvicinato e mentre era distratto l’ho fatto svenire e sono scappato dall’appartamento.”
“Perché?” Chiese Dawn.
“Sapessi quanto sono stato male nel sapere che ti stavi per sposare, ma poi ho capito che era tutta colpa mia. Non sono mai riuscito a fare ciò che avevo sempre avuto l’occasione di fare.” Sbuffò il rosso, cacciando una nuvola di vapore.
“Da quanto sei qui?” Domandò cambiando discorso e azzerando i suoi pensieri di vendetta.
Il suo desiderio di fargliela pagare era svanito non appena aveva notato il suo volto.
E alla fine aveva vinto il desiderio di farsi proteggere da lui.
Dopotutto lui era riuscito a farle incollare tutti i pezzi del suo cuore e come c’era riuscito una volta, poteva farcela di nuovo.
“Giusto qualche settimana.”
“Lavori?” Chiese subito.
“Sono dipendente di una ditta d’assicurazioni.”
“Perché non ti sei presentato?” Domandò la donna, fissandolo con attenzione.
“Avevo paura della tua reazione e non volevo scombussolare troppo la tua vita privata.”
“Come?”
“So che tuo marito è morto e credimi se ti dico che ne sono dispiaciuto.” Rispose l’uomo, accennando qualche parola di conforto.
“Io…”
“Non è per questo che sono venuto.”
“E per cosa allora?” Chiese con freddezza.
“Vedi Dawn…”
“Sei venuto per farmi piangere e soffrire come quando te ne sei andato?”
“So che non merito il tuo perdono e so che ho sempre sbagliato con te, ma ti chiedo una possibilità.”
“Per cosa? Per trattarmi peggio di prima?” Domandò lei con rabbia sempre maggiore.
“Non sono soddisfatto di tutto quello che ho fatto in vita mia e ti giuro che, se potessi, tornerei volentieri indietro.”
“Non ti credo.” Sbottò Dawn, notando nei suoi occhi qualcosa di strano.
Per la prima volta stava piangendo.
Solo con la morte di Duncan, avvenuta nell’esplosione del suo vecchio ufficio, l’aveva visto così.
Questa volta però era diverso.
Non si trattava di un’altra persona: Scott stava piangendo perché stava veramente male e questo dolore non era comparato a ciò che aveva vissuto.
Per Dawn questo era poco importante, dato che non le importava nulla di quello che provava.
Era stanca d’essere una credulona e aveva deciso, quando era stata abbandonata, di non farsi più troppe illusioni.
Cullarsi in un illusione è quanto di più sbagliato possa fare una persona.
Convinta di ciò, non era riuscita a sottrarsi da un pensiero che la sua coscienza le stava proponendo in quegli istanti.
Lui aveva abbandonato la Russia perché credeva d’avere ancora qualche possibilità.
Spostandosi poi in una capitale che lui detestava per il troppo caos.
Lui aveva rinunciato a questa possibile tranquillità solo per lei.
E nel pensarlo Dawn si ritrovò a sorridere appena.
“La mia vita, Dawn, è stata costellata di fallimenti.”
“Perché dici questo?” Tentò con tono amorevole.
“Ti ho sempre deluso, non ho saputo proteggere un amico e non ho mai conosciuto la verità sulla mia famiglia. Rispetto a voi che avete una vita semplice e speciale, le mie azioni sbiadiscono e diventano inconsistenti.”
“Non è vero.” Lo interruppe la donna.
“Ogni storia merita un colpo di scena finale: solo così i fallimenti acquistano un significato. Diventano prove di quanto si abbia lottato per la felicità e tutto il resto.” Sbuffò Scott, avvicinandosi a un cestino dei rifiuti e gettando il pacchetto di sigarette ancora pieno.
“Io…”
“Volevo un gran finale, Dawn, e un colpo di scena all’altezza.”
“È per questo che te ne sei andato?” Chiese la donna.
“Me ne sono andato perché volevo essere sicuro che la mia patria fosse in buone mani e che non vi fossero documenti nell’archivio a tuo carico.”
“Sei stato tu a bruciarlo?” Domandò la giovane, rifacendosi alle notizie che aveva ascoltato qualche anno prima.
Di come la democrazia avesse incolpato qualche vandalo di quel fatto e di come le loro ricerche si fossero risolte in una bolla di sapone.
“L’ho fatto per proteggerti e per evitarti noie con quelli del consolato.”
“Capisco.”
“Ora manca solo una cosa.” Sbuffò Scott.
“Cosa?”
“Il nostro lieto fine.” Rispose il rosso, avvicinandosi e baciandola subito.
Quel lieve contatto, unito al fatto che lei lo desiderava da tanto tempo, la fece sentire subito meglio.
Era come se quei lunghi 5 anni fossero svaniti in un secondo e l’attesa aveva donato qualcosa alla nuova coppia.
“Ti perdono, ma solo per questa volta.” Sorrise Dawn, stringendosi al braccio dell’uomo, mentre Scott le sistemava meglio la giacca.
“Non ti deluderò mai più.”
“Ti conviene.”
“Ti giuro che se dovesse riaccadere puoi anche uccidermi.”
“Non lo farei mai.” Bisbigliò la giovane.
“Immagino che sia per il mio stesso motivo.”
“Quale?”
“Il fatto che ci amiamo.”
“Lo sai, vero?” Chiese Dawn.
“Cosa?”
“Questa sera sarai ospite mio e della nonna.” Rispose perentoria la donna, facendogli intuire che non avrebbe accettato un rifiuto come risposta.
“Io…”
“Potremo parlarne con tranquillità.”
“Tu…”
“E poi verrai a stare da me.” Borbottò Dawn, facendolo annuire.
“D’accordo, ma non volevi comprare qualcosa?” Chiese, riferendosi alla data del suo compleanno, di cui lui era a conoscenza.
“Il regalo più bello che potessi ricevere è proprio davanti a me.” Ridacchiò, facendo arrossire un po’ l’uomo e donandogli un sorriso sincero.
“Grazie per avermi perdonato.”
“Ricorda che hai solo una chance e ora andiamo che ho fame.” Sbuffò la giovane, trascinandosi dietro colui che, a distanza di molti anni, era diventato finalmente il suo fidanzato.
Quella notte sarebbero rimasti finalmente da soli a ricordare il passato.
Di quanto avessero sofferto nella loro solitudine e nel sollievo dell’apprendere che la rispettiva metà stava solo aspettando.
Poi si sarebbe fatta sera e i 2, nonostante il timore e l’imbarazzo del caso, avrebbero zittito tutto ciò.
Avrebbero chiuso la porta alle loro spalle, lasciando le preoccupazioni del caso all’indomani e accontentando la passione che vibrava ancora nei loro corpi.
Si sarebbero addormentati insieme e insieme avrebbero passato il resto della loro vita.
Lui avrebbe comunque accettato il lustro passato come una punizione più che giusta.
Il suo presente era alimentare un amore che non si sarebbe mai estinto, mentre lei avrebbe preservato i suoi ricordi macchiati da un segreto che ora era diventato irrilevante.
Un uomo con cui costruire un’intera vita e che le avrebbe donato finalmente la gioia.
Con un legame che sarebbe culminato nel matrimonio e con la presenza di 2 figli come simbolo delle difficoltà superate nel tempo.
Un uomo che avrebbe messo al primo posto lei e la sua famiglia e che non l’avrebbe più fatta infuriare.
Perché ora Dawn ne aveva la certezza: Scott era tornato indietro solo per lei e non aveva mai avuto interesse per il denaro che gli era stato promesso.






Angolo autore:
Nonostante tutto eccomi con il lieto fine (di Ditactor) che molti aspettavano.
Con questo non voglio dire che il finale precedente è cestinato.
Considero questo capitolo solo come un contentino.
Chi si accontentava del finale triste e quant'altro può immaginare che sia finita realmente così, mentre chi desiderava un finale da felici e contenti, eccolo accontentato.
Detto questo alla prossima.

Ryuk: Ehm...

Ringraziate Ryuk se ho pubblicato questa roba.
Sono stato costretto a farlo *mostra alcune cause d'avvocati* solo per non pagare.
Non mi dilungo ulteriormente, ma credo che queste minacce meritino almeno una recensione.

Ryuk: Senza considerare che ho scritto tutto in una giornata.

Spero solo sia un lavoro degno di questo nome.
Beh...alla prossima!
   
 
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