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Autore: _mary_laura_    24/11/2016    0 recensioni
Non era mai stato un ragazzo forte, si era sempre buttato giù al primo ostacolo, alla prima difficoltà. Eppure aveva sperato che con lei potesse essere diverso, che avrebbe lottato con le unghie e con i denti per lei. Invece il coniglio aveva vinto il leone, che se era tornato nella sua tana leccandosi le ferite. Era incredibile come si sentisse una nullità in tutta quella storia.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Diario di due anime in conflitto'
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Rimani Qui

Gli piaceva guardare i treni.
La velocità con cui gli sfrecciavano davanti scompigliandogli i capelli castani e facendo sbattere attorno al suo corpo la maglietta leggera che indossava.
 Gli era sempre piaciuto immaginare che i treni che se ne andavano fossero le cose brutte e tristi della sua vita, che aveva voglia e impazienza di lasciarsi alle spalle; i treni che arrivavano invece erano le persone che lo avrebbero reso felice e gli avvenimenti che gli si piazzavano sul cammino.
Eppure quel giorno sarebbe stato diverso. Sarebbe stato il contrario. Perché era andata a finire così? Lo sapeva, infondo. Sarebbe rimasta solo per qualche mese e poi avrebbe fatto ritorno a casa, ma lui aveva sperato fino alla fine che cambiasse idea, che decidesse di restare.
Lo aveva reso felice e libero, gli aveva insegnato ad amarsi e ad amare. Gli aveva insegnato a lasciarsi andare e a non aver paura delle emozioni e dei sentimenti.
E ora se ne andava.
Aveva scoperto quel posto due, tre anni prima. Era un vecchio tubo di calcestruzzo armato lasciato a marcire a lato della linea ferroviaria, destinato ad un lavoro che non era mai neppure iniziato.
Si raggomitolò su sé stesso e si lascio scivolare verso la base, con la schiena appoggiata alla pietra fredda e dura.
Si sforzò di piangere, ma tutto ciò che riuscì ad ottenere fu una voglia pazza di mettersi ad urlare il suo dolore. Così appallottolò la parte davanti della sua maglietta e se la ficcò in bocca per attutire le sue urla cariche di angoscia, rabbia, frustrazione per essersi lasciato scivolare via dalle dita l’unica persona che gli aveva mai fatto battere veramente il cuore.
Strizzò forte gli occhi mentre continuava a buttare fuori la voce, fino a perderla. Alle sue orecchie giungevano solo dei deboli mugolii.
Quando non ebbe più nemmeno la forza di sospirare senza procurarsi un sordo grido di dolore dalla gola, si rilassò e chiuse gli occhi.
Ripensò a lei e a quel giorno al mare nel quale il suo migliore amico aveva lanciato il pallone sotto all’ombrellone di una bella ragazza che prendeva il sole, per poi mandare lui a recuperarlo.
In quel momento non sapeva che quella bionda talmente fragile e pallida da sembrare tedesca potesse diventare il suo chiodo fisso per il resto dell’estate.
Non che si biasimasse.
Non avrebbe potuto desiderare di passare delle vacanze migliori, ma lei aveva fatto breccia nel suo cuore e oramai sapeva che non poteva più strappare quel cerotto senza farsi nuovamente sanguinare.
Ripensò alla prima volta in cui erano usciti assieme, erano andati al Muretto e l’aveva presentata alla “Compagnia” come la sua ragazza. Lei aveva sorriso e gli aveva scompigliato i capelli con le mani affusolate dicendogli di non correre troppo.
Ripensò ai baci rubati dietro agli alberi della Pineda, alle serate davanti al calore del fuoco, alla gradevole sensazione della sua testa appoggiata sulle proprie gambe.
Ebbe un fremito ed un singhiozzo uscì dalle sue labbra mentre apriva gli occhi.
Il sole era uscito da dietro le nuvole bianche ed ora un raggio irriverente gli puntava dritto in faccia, costringendolo ad indietreggiare all’interno del tubo per ripararsi.
Non sapeva perché, ma si sentiva incredibilmente irritato per il fatto che il tempo fosse così in contrasto con ciò che provava dentro di lui. Perché anche se tutto il resto era illuminato da una luce giallastra che faceva risplendere i binari arrugginiti della ferrovia a qualche metro di distanza dai suoi piedi, lui si sentiva in tempesta, come se due parti completamente diverse del suo essere fossero entrate in conflitto provocando un maremoto che minacciava di infrangersi contro gli angoli più remoti della sua anima, quelli che credeva di non conoscere, ma che si erano fatti visibili grazie a lei.
Non ce l’aveva fatta ad andare a salutarla.
A dire la verità non l’aveva nemmeno davvero salutata. Quando, la settimana prima, sul balcone del suo appartamento lei gli aveva detto che sarebbe dovuta partire per tornare a Milano, lui l’aveva guardata con aria sofferente e le aveva solo chiesto l’orario del suo treno.
La mattina l’aveva abbracciata freddamente, lasciandole un lieve bacio tra i capelli dorati augurandole buona fortuna, poi era corso lì a sbollire la rabbia e la delusione. Non era mai stato un ragazzo forte, si era sempre buttato giù al primo ostacolo, alla prima difficoltà. Eppure aveva sperato che con lei potesse essere diverso, che avrebbe lottato con le unghie e con i denti per lei. Invece il coniglio aveva vinto il leone, che se era tornato nella sua tana leccandosi le ferite. Era incredibile come si sentisse una nullità in tutta quella storia.
Cosa poteva fare? Nulla.
No.
Non era vero.

Poteva fare tutto invece, poteva correre fino alla stazione, abbracciarla, dirle tutto ciò che stava pensando, convincerla a restare con lui, contro tutto e tutti. Scosse la testa rassegnato e si coprì il viso con le mani. Era solamente un fallito. Un codardo. Un moccioso.
Vigliacco!” Gli gridava tutto se stesso. “La ami?”
-Sì.
Rispose a voce alta, senza rendersene conto. Davvero aveva detto così? Davvero era innamorato di quella ragazzina fragile ed insicura? Non lo sapeva. Si poteva chiamare amore quello che provava? Forse. Ma quello che sapeva ora era che avrebbe fatto sarebbe stato veramente correre da lei ed implorarla di restare.
Con lui.
Per lui.
Con una foga ed un’impazienza che non aveva mai sentito prima, strisciò fuori dalla tubatura nella calura di fine estate ed iniziò a correre. Veloce, come non aveva mai fatto. Vedeva la stazione stagliarsi nera e gremita sull’orizzonte. Non distava più di trecento metri. Spinse con tutta la sua forza il corpo in avanti mentre scorgeva un treno arrivare da dietro la costruzione.
Doveva raggiungerla.
In meno di mezzo minuto si stava facendo strada tra le gente affaccendata, tra strette di mani, abbracci, valigie, nella disperata ricerca del viso della ragazza che lo aveva sconvolto in un modo che non credeva possibile. La trovò seduta su una panchina, il volto cupo, circondata da borsoni e trolley, una sua amica accanto a lei che le aveva passato un braccio attorno alle spalle.
La raggiunse e la tirò in piedi per poi abbracciarla forte e baciarla, lentamente, come se quel bacio potesse essere l’ultimo, anche se sperava con tutto il suo cuore che non lo fosse.
Sentì le sue manine stringere la sua maglietta tra i pugni. Quando incrociò i suoi occhi tutto ciò che riuscì a leggervi fu sorpresa e speranza.
-Rimani qui.
Sussurrò solamente. Pregando quel Dio che tante volte aveva ignorato di ascoltarlo.
Il viso di lei si aprì in un sorriso e gli gettò le braccia al collo.
-Ho sperato sino all’ultimo secondo che me lo chiedessi.
Disse solamente. Ed allora anche lui sorrise e si rilassò.
Ce l’aveva fatta.
Finalmente il leone aveva ruggito ed aveva spaventato il coniglio fino a farlo scappare. Finalmente sapeva che se lottava davvero, poteva ottenere ciò che voleva. Perché ora aveva ottenuto ciò che desiderava di più.
Lei.
Il treno della ragazza gli sfrecciò accanto, mentre ancora erano aggrappati l’uno all’altra, portando via con sé il vecchio lui, come una pelle mutata di un serpente, che nessuno avrebbe più indossato.

   
 
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