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Autore: Heyale    24/11/2016    0 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.1
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SWIMMING TALE
CAPITOLO UNO
“Harry Potter e la pietra della sfiga”


Io non so se qualcuno di voi abbia mai sperimentato sulla sua pelle il vero significato di “sfiga”.
Sì, la sfiga, quella che ci vede benissimo e che colpisce nei momenti meno opportuni. Quella che ti fa fare le esposizioni di francese come madrelingua a casa e che poi davanti al professore ti fa sembrare un egiziano che ostenta l'armeno antico. Quella che tua mamma dice che a cena ci sarà la pizza e poi ti fa trovare una terrina megalitica di insalata. Quella che ti fa scaricare il cellulare proprio quando ti schianti nel fosso con la macchina e c'è talmente buio che non sai se avresti bisogno di una torcia o di chiamare qualcuno, ma in ogni caso il telefono è fuori gioco perciò il problema non sussiste nemmeno. Quella che, quando non hai studiato un argomento, puoi stare certo che sarà materia d'esame. Quella che guardi le previsioni del tempo e constati felicemente che non avrai bisogno dell'ombrello e il giorno dopo scende un diluvio che perfino Noè farebbe fatica a gestire con la sua barca.
Ecco, io sto parlando di quella sfiga che mi perseguita da quando ho ben quattordici anni, il che la rende la mia compagna di vita da ben quattro lunghi anni ormai. Pappa e ciccia, culo e camicia, chiamateci come volete. La sfiga mi ama.
La mia sfiga, tuttavia, in molte occasione ha avuto un nome ben definito. Un tatuaggio che non se n'è mai andato e che continua a perseguitarmi da quando ne ho memoria. Anche adesso, la mia sfiga sta tornando a salutarmi dopo un periodo fin troppo lungo di tranquillità.
La mia prima sfiga è il mio nome, datomi da una madre filonipponica e da un padre mangaka nonostante la loro nazionalità canadese. E' un nome per il quale sono stato scambiato per una ragazza, deriso, sbattuto contro gli armadietti da quelli che avevano sicuramente un nome migliore, chiamato per quattro anni dai prof solo per il cognome e costretto a cambiare nickname nelle chatroom per non essere preso per i fondelli anche sul web - diventando qualcosa come “boylovespizza” o “hifefe127”. Sì, sono nato il dodici luglio. Perché “Hifefe”? Adesso lo capirete. Non ridete, vi prego. E' già abbastanza imbarazzante quando prenoto il tavolo a nome mio e il cameriere mi chiede se ne sono sicuro.
Himeragi è il mio nome, è ovvio che ne sia sicuro, accidenti a voi camerieri scortesi. Chi mai si chiamerebbe così di sua volontà, in Canada? Che poi, più che di Canada dovrei parlare di America dato che ci vivo praticamente da quando sono nato. Il mio cognome, Fenwick, sebbene ancora abbastanza ridicolo è comunque più accettabile.
Himeragi Fenwick, bella accoppiata, no?
Non bastava che mi avessero fatto simile a Riccioli d'Oro, dovevo anche avere un nome giapponese. Se non fosse per i miei tratti mascolini del viso - almeno quello, grazie a Dio - con i miei capelli biondi e gli occhi verdi mi scambierebbero sicuramente per una principessa nipponica dei manga. Ed è molto, molto triste per un ragazzo di diciotto anni come me, credetemi.
La mia seconda sfiga, ora, ha un nome e un cognome.
Quando c'è questa sfiga, tutto va storto. In sua assenza, tutto va bene.
Ricordo quando un mese fa mi è stato comunicato il suo ritorno. Eravamo tutti in piscina, come al solito, e il rettore Muller è venuto a dirci che avremmo dovuto ospitare la squadra di New York per qualche tempo in quanto la piscina più vicina con possibilità di alloggio era la nostra.
Ora, perché sto parlando di piscina? Sono un mezzo pesce?
No, certo che no, grazie al cielo. Penso che sarebbe stato veramente il colmo e qualsiasi essere umano si sarebbe messo a ridere, facendo di me un film dal titolo “Riccioli d'Oro versione manga marino”.
Al cinema prossimamente.
Tornando a noi, parlo di “piscina” perché l'unica mia fortuna nella vita è il nuoto. Anzi, più propriamente il nuoto è la mia vita. Lo pratico da quando ho quattro anni e dopo aver fatto parte della squadra di nuoto per i quattro anni di liceo ora ne sono istruttore insieme agli altri tre membri del mio team. Abbiamo gareggiato sempre insieme e per questo motivo, una volta diplomati, è stato offerto a tutti e quattro la possibilità di prendere in mano le redini della nuova squadra. Le mie vacanze post-maturità sono quindi durate poco meno di due mesi dal momento che, prima di settembre, ho affrontato un corso per istruttori che mi iniziasse al mio nuovo lavoro. Non mi lamento, qui non ci sono sfighe in mezzo. O perlomeno, non c'erano finché non mi è stato comunicato il suo ritorno.
Lui e quegli altri tre assurdi energumeni della sua squadra titolare del cazzo.
Sapete cos'ha lui che non va? La differenza sostanziale che ci divide è sempre stata la voglia di farsi notare.
Lui: la mia sfiga, il mio tatuaggio.
Kyle Adair.
In soli due anni mi ha sconvolto la vita, dando inizio a tutta la serie di sfighe che mi hanno accompagnato nella mia crescita. Se ve lo stavate chiedendo: sì, quelle sopracitate sono state tutte esperienze personali. Compreso il fosso.
E' per questo che mi sono sentito male quando ho saputo del suo arrivo nella mia piscina, perché implica la nostra stretta convivenza dopo tutti gli sforzi che ho fatto per cercare di dimenticarmi di lui. Lui e quell'aria da strafottente che ha sempre avuto, con i suoi capelli scuri e gli occhi più neri della pece.
La nostra storia, se devo dirla tutta, è nata proprio da qui. Dai suoi occhi che, dopo aver incrociato i miei per la prima volta, hanno deciso che sarei stato un ottimo bersaglio per angherie varie. Esatto, gente: Kyle Adair era il mio bullo personale, assunto e patentato!
Ricordo come ieri il nostro primo incontro e ancora sento la paura che scorreva nelle mie vene da Riccioli d'Oro. L'inizio delle sfighe.


Stavo camminando per i corridoi dell'infinito Andrew College, avevo come sempre gli occhiali calati sul naso e una serie di libri sotto il mio braccio che, se passavo davanti al mio zaino, questo mi guardava e mi chiedeva perché l'avevo comprato. Erano passate appena tre settimane dall'inizio del mio primo anno, il giorno prima erano state fatte le selezioni per la squadra di nuoto e io ero passato, classificandomi col tempo migliore in dorso. Al tempo non conoscevo nemmeno il suo nome, ma anche lui era passato grazie ad un buon tempo in dorso, stracciato però dal sottoscritto. Credete che questa cosa gli sia mai andata giù? Be', se lo pensate vi sbagliate di grosso. Credo che ancora oggi, a distanza di quattro anni e lui a capo della squadra più famosa di New York, non gli sia andata giù. Ricordo che sul calendario appeso in camera sua aveva segnato quel giorno come “Il giorno in cui l'anguilla mi ha stracciato. Ps. Devo fargliela pagare”. Come so che l'aveva scritto sul suo calendario? Perché mi aveva chiamato “anguilla”?
Lo scoprirete presto, tranquilli. Questo è solo l'incipit di tutto quanto.
Ad ogni modo, stavo camminando con i miei bellissimi occhiali da vista neri che più che aiutarmi mi impedivano di schivare ostacoli come bottigliette lasciate per terra e fogli caduti da quanto erano sporchi di ditate quando una spallata mi fece schiantare contro un armadietto, spalmandomici addosso come se fosse stato pane e io Nutella. Peccato che nessuno mangerebbe armadietto e Himeragi. Tra l'altro non mi passò nemmeno per la testa di protestare dal momento che di spallate ne ricevevo talmente tante da essere arrivato ad ordinarmi una corazza da football su Amazon, ma la storia divenne un po' più brutta quando un ragazzo mi si parò davanti bloccandomi ogni via di fuga. E lo faceva apposta, eccome se lo faceva apposta! In quel momento non mi resi nemmeno conto che quell'energumeno era il principio delle mie infinite sfighe, e cominciò tutto con un suo sorrisetto e le sue prime parole.
– Tu sei un'anguilla del cazzo.
Linguaggio forte per un tenero quattordicenne, no?
– Prego? – chiesi quindi guardandolo dal basso dei miei occhiali. Il giorno prima non l'avevo ben inquadrato essendo comunque preso dalle selezioni, ma mi bastò solo quel momento per capire con chi avevo a che fare. Non aveva l'aria di essere amichevole e mi teneva attaccato all'armadietto come se avesse l'intenzione non dichiarata di asfissiarmi, non si preoccupava nemmeno di essere visto dagli altri perché sapeva di essere temuto e se avesse potuto sono sicuro che mi avrebbe preso per il colletto della maglietta.
– Come hai fatto, ieri? – mi domandò guardandomi dritto negli occhi con una sorta di ironica cattiveria. Sapete perché era ironica? Perché a quel tempo avevo talmente tanta paura che a ripensarci mi viene da ridere. Giuro, stavo morendo di paura quando quello lì era nei dintorni. Mi perseguitava peggio del Babau con i bambini.
– A fare? – chiesi a mia volta con la profondissima voce da non ancora quattordicenne, stridula e simile al lamento di un qualche animaletto morente.
L'allora sconosciuto digrignò i denti in segno di maschia spavalderia, godendosi quel suo attimo di gloria su un piccolo freshman che non sapeva nemmeno di stare al mondo: – A battermi. – confessò alla fine, visibilmente irritato.
Io non seppi nemmeno cosa dire dal momento che non mi ricordavo nemmeno il suo nome, il suo tempo era stato comunque superato anche da altri quindi non mi rendevo conto del perché ce l'avesse esclusivamente con lo sfigatissimo sottoscritto: – Non sono stato l'unico. – fu la mia intelligente risposta che mi costò un'ancora più asfissiante riduzione di spazio tra me e il mio aggressore.
– Ma sei così... – Mi squadrò schifato da capo a piedi, concludendo con un'odiosissima ditata sulle mie lenti perfette. – …Piccolo.
– Credo di avere la tua stessa età dal momento che abbiamo fatto le selezioni insieme. – incalzai cercando di fare il duro quando in realtà avrei voluto gridare come una femminuccia spaventata da un topo. – E nel nuoto questo non conta. Nemmeno la statura.
Lo stalker mi soffiò fastidiosamente sul naso, concludendo con un insulso sorrisetto che sono sicuro non abbia mai cercato di migliorare: – Ma la struttura dovrebbe contare qualcosa. Sei alto appena un metro e sessantacinque e mi hai battuto.
– Anche altri lo hanno fatto. – gli ricordai non proprio gentilmente, iniziando a guardare oltre le sue spalle se riuscissi a scorgere un aiuto. Ovviamente, tutti tranquilli per la propria strada e nessuno prestava attenzione ad un piccolo insignificante ragazzo del primo anno che stava per essere schiacciato fa un altro non proprio piccolo insignificante ragazzo del primo anno.
– Ma gli altri erano come me. – ribatté allora l'energumeno, sbuffando come se la colpa della sua irritazione fossi io. Cosa stavo facendo di male, no? Oltre a respirare e camminare non stavo facendo niente di ambiguo fino a quel momento. – Tu no. Tu sei piccolo.
“E 'sti cazzi” avrei dovuto rispondergli se a quell'epoca avessi usato brutte parole, ma ero una sottospecie di santo e quindi non mi feci prendere dalle mie crisi di “accipicchia” e “cavolaccio”. Che colpe avevo io se ero alto un metro e sessantaquattro virgola due a tredici anni e tre quarti?
– Non conta. – ribadii quindi, deglutendo così tanto rumorosamente da provocare una sua risatina. Tra l'altro non mi staccava mai quei dannati occhi neri da dosso, quelle pozze di pece continuavano a saettare continuamente su di me creandomi una sorta di inverosimile imbarazzo.
– Allora cosa conta? Cos'ho sbagliato per meritarmi una simile umiliazione?
Cercai di sostenere il suo sguardo quasi sconvolto per qualche secondo, ma l'impresa si rivelò vana e riuscii solo a spiaccicare i miei occhi sulle sue Converse nere: – L'esperienza. – dissi sottovoce. – E la tua natura. Dipende se hai forza nelle gambe o nelle braccia.
– Faccio nuoto da otto mesi. – bofonchiò lui allora, roteando teatralmente gli occhi al cielo (cosa che sono sicuro faccia tutt'ora). – Da quanto mai potresti farlo tu, per essere un'anguilla del genere?
Feci spallucce, riprovando a guardarlo negli occhi. Questa volta ci riuscii: – Quasi dieci anni.
– Tsk. – Si allontanò finalmente da me, ridacchiando tra sé e sé. – Non mi batterai di nuovo, Anguilla.
– Non ho fatto le selezioni per battere qualcuno. – sbottai, irritato ma sempre intimorito come la capretta di Heidi quando c'era il cane Nebbia di mezzo. – Volevo solo poter nuotare anche a scuola.
– Non ti ho chiesto informazioni. – mi interruppe, sorridendo malignamente. Se a quel tempo pensavo di essere etero stavo probabilmente già cominciando a cambiare idea con quei suoi sorrisetti dell'accidenti. – Ricordati di me, Anguilla. Perché mangerai la mia polvere.
– Schiuma. – lo corressi, sorprendendomi di me stesso per essere riuscito a dire la cretinata più grande in un momento come quello. Se avessi potuto mi sarei stretto la mano da solo anche a costo di sembrare ancora più scemo di quanto già sembrassi.
Anche il mio aggressore fece un sorriso tirato, squadrandomi poi dall'alto in basso: – Il tuo nome, Anguilla?
– Lascia perdere. – alzai le mani all'aria, sconfortato da quella stupida domanda.
– “Lascia perdere”? – ripeté, fintamente sconvolto. – Sono io che dico a te cosa fare. Dimmi il tuo nome.
Scossi la testa più forte che potevo, stringendo forte i libri al petto. Per un po' non sentii più nulla, ma poi un sibilo arrivò chiaro al mio orecchio: – Himeragi Fenwick.
Così riaprii gli occhi di scatto, fissando il sorriso compiaciuto del ragazzo mentre io, in tutta la mia stupidità, avevo dimenticato di aver scritto il mio nome sulla copertina di ogni libro solo come un perfetto nerd potrebbe fare. Stavo per dirgli di non dirlo a nessuno quando lui tese improvvisamente la mano in avanti e io, credendo che volesse colpirmi, girai il viso di lato come un deficiente e serrai gli occhi. Sentendo che il colpo però non arrivava lentamente rialzai le palpebre, trovando solo lo sguardo divertito del moro e la sua mano tesa per stringere la mia. Dapprima lo guardai timoroso, confuso da questa sua improvvisa mossa di cortesia, ma lasciai perdere i pregiudizi per un secondo e portai la mia mano a completare la stretta.
– Kyle Adair. – sorrise lui, compiaciuto. – Credo che avremo tante occasioni per conoscerci meglio, Anguilla. Stammi bene.
E così dicendo se ne andò, lasciandomi in preda ai dubbi e alla fatidica domanda “che cavolaccio è appena successo?”. Non avevo minimamente idea del fatto che quell'incontro avrebbe cambiato la mia intera vita, partendo dal fatto di avere inconsciamente assunto il mio bullo personale e di aver firmato il mio contratto di morte. Perché sì, da due mesi a quella parte di Kyle Adair se ne sarebbe sentito parlare parecchio.


– Terra chiama Anguilla!
Sposto gli occhi sul ragazzino che mi ha appena chiamato, rischiando di finire gambe all'aria a causa dell'acqua dove invece dovrebbe essere asciutto con un salto triplo carpiato. Dove sono i giudici quando servono?
– Dimmi, Xavier. – borbotto cercando di ristabilire l'equilibrio, tenendo stretto al petto la mia cartella dove annoto sempre i tempi dei ragazzi.
Il rosso trova appiglio al bordo della piscina, sfilandosi la cuffia con fare teatrale: – Percy ti cercava, prima.
Gli lancio uno sguardo di rimprovero per essersi tolto la cuffia prima di essere uscito, ma ormai anche lui sa che non mi arrabbio quasi mai. Vedete? Nessuno mi prende mai sul serio, nemmeno ora che sono istruttore e ho raggiunto la maggiore età. Una triste storia è la mia vita, ecco cosa.
– Grazie per l'informazione. – Gli faccio un cenno col capo, indicando le sue tre compagne. – Fate una staffetta intanto. Iris terrà il tempo.
– Oh, andiamo! – Il rosso mi schizza facendo scivolare la mano sulla superficie dell'acqua, sorridendo poi colpevole. – Non avevamo finito per oggi?
Ecco, ora decidono pure i loro allenamenti!
Capite perché non c'è più religione nella mia vita? Kyle sta per tornare, i miei allievi decidono per conto loro quando uscire dall'acqua, i miei compagni mi chiamano e io non sento e tutto il resto a puttane!
Avevate. – confermo quindi con un sorrisetto scocciato. – Ma tu ti sei tolto la cuffia prima di uscire, Sapphire sta messaggiando invece di nuotare, Marley sta giocando con i tubi di spugna che dovrebbero usare i bambini e Tammie è l'unica che sta lavorando. Per questo pagate tutti, così imparate bene cos'è lo spirito di squadra.
– Ma... Loro sono femmine!
– Questo lo vedo anch'io. – puntualizzo con una smorfia ovvia. – Anche tu hai fatto una cosa che non dovevi, quindi ora vai alla corsia tre e fai la staffetta con le tue compagne. Forza.
Xavier mi guarda male, sa che non sono veramente arrabbiato ma si infila alla rinfusa di nuovo la cuffia e passa i galleggianti che dividono le corsie, raggiungendo la meta senza più rivolgermi la parola. Sebbene siano solo due mesi che lavoro con questa squadra titolare devo dire che mi trovo incredibilmente bene nonostante siano solo in quattro dei quali c'è solo un maschio, insieme lavorano bene e ognuno di loro si trova bene particolarmente con uno di noi, come se fossimo stati accoppiati - nel senso buono della parola - dal destino che ha deciso di piazzare noi come istruttori e loro come allievi. E' bastato molto poco perché io e Xavier ci trovassimo in sintonia, lo considero un buon amico oltre che un ottimo allievo e un buon nuotatore. Se non altro, è stato l'unico a evitare di dirmi “te l'avevo detto” quando io e Iris ci lasciammo, mentre tutti gli altri non fecero altro che infierire.
So cosa vi state chiedendo.
Ma questo qui è gay o no?
Ebbene, non lo so nemmeno io. L'unico ragazzo per cui io abbia mai provato veramente qualcosa - che fosse odio o amore devo ancora stabilirlo - è stato sicuramente Kyle, ma dopo di lui ho comunque avuto una relazione con una mia compagna di squadra, quindi la situazione è abbastanza confusa. E questo è senza dubbio uno dei punti che mi spaventano di più in merito al ritorno della mia grande sfiga, è una questione talmente delicata che più cerco di non pensarci e più essa mi ritorna in testa.
– Hime! – Una maglietta piegata mi si spiaccica in faccia, salvandomi dalla cascata di ricci scuri della mia migliore amica che puntualmente mi prendono in faccia. – Sei sempre in ritardo! E tra le nuvole, tra l'altro!
Mi levo riluttante la maglietta dal viso, riponendola poi sulla scrivania su cui brilla la targhetta con su scritto “Persephone Cavendish”, per gli amici Percy.
– Chiedo venia. – mormoro ironicamente, sedendomi sulla sua cattedra. – Xavier mi ha detto che mi cercavi.
Percy mi lancia un'occhiataccia con i suoi occhi color smeraldo, agitando quella chioma indefinita di ricci che si ritrova in testa: – Ti ho chiamato per mezz'ora ma stavi fissando l'acqua come se avessi trovato il segreto di Fatima.
Alzo le spalle, se le dicessi che stavo pensando a Kyle finirebbe per tirarmi nuovamente addosso la maglietta: – Può darsi. Ero assorto.
– Appunto. – bofonchia lei gesticolando con le mani. – I ragazzi verranno giù da New York stasera. Devi stare sul pezzo, intesi? Non ti possiamo perdere. Xavier non ci ascolta se non ci sei tu.
– Percy. – la chiamo, sorridendo. – Non preoccuparti, andrà tutto bene. Abbiamo i provinciali alle porte, è ovvio che io sia concentrato. E Xavier ascolta tutti, lo sai. Solo che magari poi non esegue.
Mi rendo conto da solo di aver appena dato ragione a Percy che, fiera, fa una smorfia da “e cos'ho appena detto io?”. In effetti, sto sia uscendo di testa e sia ignorando bellamente le gare provinciali con la questione che, stasera, il mio peggiore incubo farà ritorno nella mia inutile vita.
Oggi è proprio una giornata meravigliosa.
– Hick? – le chiedo, ripensando al fatto di non averlo visto per tutta la giornata.
– Lui, è... – Percy tentenna un attimo, guardando altrove con aria colpevole. Ecco, sta per dirmi qualcosa che andrà a mio discapito, lo so già. – C'è stato qualche problemino.
Voglio piangere.
– “Problemino” su che scala? – le chiedo mugolando, spiccicandomi la mano sulla fronte.
– E' tecnicamente colpa di Aydin quindi sta cercando lui di sistemare, ma credo non ci sarà molto da fare...
Aydin Hickey, uno degli umani peggiori sulla faccia della Terra ma uno dei migliori quando si tratta dello stile rana. Ci conosciamo praticamente dalla prima superiore ma nonostante ciò lui continua a trovare ogni maniera possibile per farmi diventare precocemente scemo, per quanto cerchi di aiutarmi finisce sempre per fare casini; come in questo caso dove sono praticamente convinto del fatto che c'entri qualcosa anche Kyle, giusto per aggravare un po' la già disastrata situazione.
– Dimmelo e basta, Persephone. – Quando la chiamo per nome intero sa che mi sto innervosendo e che è meglio assecondarmi, quindi sospira e appoggia entrambe le mani sulla scrivania, schiarendosi la voce per parlare.
Sento di poter svenire da un momento all'altro per la cattiva notizia che so che arriverà nei prossimi dieci secondi, ma veniamo interrotti dalla voce della quarta componente della nostra squadra che, gridando ancora prima di entrare, rivela tutta la sorpresa: – Percy! Hick mi ha chiamata e mi ha detto che non è riuscito a fare niente, gli alloggi non sono... – Iris spalanca così tranquillamente la porta, sgranando gli occhi non appena mi vede. – …Sufficienti.
Percy la guarda malissimo, concludendo con una scossa del capo: – Esattamente questo.
– Di cosa state parlando? – domando esasperato alle due ragazze, chiedendomi cosa mai sia andato storto nella mia vita. Insomma, sono sempre stato un bravo ragazzo, perché adesso mi si ritorce tutto contro? – E cosa c'entra Aydin in tutto ciò?
Iris tossicchia leggermente, è in difficoltà ma sa che non ha scelta: – Non ti devi arrabbiare, Hime.
– Lo sai già che lo farò. – borbotto, sentendo i nervi a fior di pelle. – Ditemi e basta quello che ha combinato quell'altro cretino.
– Ehi! – Ed ecco che spunta dalla porta anche Aydin che, con i capelli castani bagnati, gli occhi azzurri che implorano pietà e i vestiti fradici si appresta a noi con la coda tra le gambe. – Uno, non sono un cretino. O se lo sono, solo in piccola parte. Due, non l'ho fatto apposta. Tre, sono appena caduto in acqua quindi sono abbastanza sconvolto.
– Ma se ci passi la tua vita in acqua! – lo rimprovero, dandogli un leggero schiaffo sulla nuca.
– Sì, ma non ci cado dentro perché non vedo una dannata tavoletta e scivolo! E' venuta Tammie a darmi una mano. Tammie! Che è la più piccola del gruppo! – Hick afferra la maglietta che è stata precedentemente usata come arma contro di me e si asciuga il viso, sputacchiando acqua subito dopo. Che visione celestiale. – Comunque, ho provato a chiamare il direttore, ma non risponde. Non c'è niente da fare.
I tre dell'Ave Maria si scambiano uno sguardo sconsolato, scuotendo la testa in contemporanea e sospirando come se fosse morto qualcuno. Chi è l'unico a non sapere nulla? Ma sono io, ovviamente! Quale onore!
Prendo così un respiro, mettendomi a urlare come un disperato: – Qualcuno mi dica che cazzo sta succedendo!
Iris si avvicina a me, posa la mano sulla mia spalla e mi comunica la catastrofe senza giri di parole.
Iris Rooney: capelli biondi tenuti da sempre all'altezza delle spalle, occhi castani e un sorriso determinato. Lei è così: non ha mai amato i giri di parole. E' una caratteristica che condivide con Kyle e probabilmente è per questo motivo che, dopo la partenza del mio incubo, ho creduto di essere innamorato di lei e abbiamo deciso di provare a stare insieme. La cosa è riuscita a reggere per quasi un anno e mezzo, ma alla fine era palese che non c'era molto altro al di fuori dell'amicizia che c'era sempre stata e dello spirito da compagni di squadra. Certo, all'inizio è stato parecchio imbarazzante ricominciare ad allenarci insieme, ma col tempo si è sistemato tutto. Del resto, una squadra funziona solo se tutti gli ingranaggi girano nel verso giusto. Per questo motivo sono sicuro che non ci potesse essere persona migliore per comunicarmi questa catastrofica notizia. Spero solo di avere abbastanza rosari in casa per pregare.


– Ehi, Anguilla!
Mi giro di scatto verso il ragazzino rosso che, con i capelli ancora bagnati, esce dallo stabilimento e corre verso la mia macchina. Mi sa che sto per diventare un servizio taxi.
– Mi dai uno strappo a casa?
Appunto. Questa cosa sta diventando decisamente troppo frequente.
Sblocco così le portiere della macchina, facendogli cenno con la testa: – Salta su.
– Grazie! – Con tutta la grazia del mondo scaraventa la sua borsa sui sedili posteriori, sedendosi poi stendendo le gambe sopra il box dell'airbag. Mi chiedo se voglia un caffè irlandese o un the inglese con i biscotti, a questo punto.
– Fa' pure. – borbotto ironicamente, scuotendo la testa mentre ingrano la prima e mi allontano dal parcheggio riservato agli istruttori. – Quante volte ti ho detto di asciugarti i capelli prima di uscire dalla piscina?
– Dovremmo essere a ventisette, se non erro. – ribatte il ragazzino, fiero della sua prontezza nelle risposte.
E' sempre così, riesce a rispondere indietro con una facilità tale che se io l'avessi fatto alla sua età probabilmente mia madre mi avrebbe fatto diventare parte dell'arredo. Quasi sicuramente un divano-letto, ha sempre detto che ne avrebbe voluto uno.
– Lo dico per te. – continuo, rendendomi conto di sembrare una madre iperprotettiva quando si tratta di Xavier. – I provinciali sono alle porte e senza di te la squadra non può farcela.
– Ci sono comunque i ragazzi del primo e del secondo anno che potrebbero sostituirmi. Chi sostituisce te, invece?
Ecco, ora si mette a fare il filosofo. Giuro che non sopporto quando le persone mi fanno notare cose che magari sto cercando con tutto me stesso di ignorare - ovvero quasi tutto ciò che è presente a questo mondo.
– Cosa vorresti dire? – gli chiedo guardandolo velocemente negli occhi per non rischiare di fare un incidente. Ciclista schivato a ore dodici. Imprecazione arrivatami contro a ore dodici e cinque.
Xavier si mette seduto composto, abbassando il volume della radio: – Ho sentito che parlavate, stamattina. Kyle sta per tornare.
Annuisco, pentendomi di avergli parlato di Kyle all'inizio del suo anno scolastico. Ci tengo però a precisare che non l'avrei mai fatto se non fosse stato per i suoi messaggi minatori che trovavo sul parabrezza della mia macchina ogni sera, frasi del tipo “so cosa nascondi” e “ti ho sentito parlare oggi con gli altri istruttori”. Una volta mi ha perfino lasciato un messaggio con su scritto “capirò il tuo segreto” con le lettere ritagliate da una rivista, capirete che gli ho dovuto raccontare di Kyle perché non sapevo se ero più divertito o impietosito dalla sua originalità.
– Non è comunque un affare che ti riguarda. – concludo, portandomi la mano al cuore dopo aver quasi investito il secondo ciclista. Devo andare assolutamente a cambiare le lenti dei miei occhiali. – Non è stata una delle mie giornate migliori e sembra che non migliorerà, quindi ti prego di non infierire.
– Sai che non mi piace inferire. – borbotta il rosso alzando le spalle, puntando lo sguardo fuori dal finestrino tanto per rendere tutto un po' più drammatico. – Dico solo che anche la tua squadra ha bisogno di te. Non andare via di testa.
Sorrido leggermente per il tono da imbronciato che Xavier ha appena usato, so che tiene a me come io tengo a lui e so che è consapevole del fatto che con la presenza di Kyle io potrei perdermi di nuovo nell'abisso di “accipicchia” e “cavolaccio” che a questo giro potrebbero diventare “santa merda” e “uccidetemi ora”.
– Ti ringrazio. – Parcheggio la macchina fuori dal cancello di casa sua, salutando sua madre che, alla finestra, agita la mano verso di noi. – Farò del mio meglio. Tu impegnati ad asciugarti i capelli prima di uscire, intesi?
Il rosso sorride sornione, afferrando la borsa da dietro con la stessa grazia con cui l'ha scaraventata e salutandomi portando l'indice e il medio alla tempia, imitando il saluto militare.
Che ci posso fare? Questo ragazzino è una forza della natura, non riuscirei a non andarci d'accordo come invece fanno i miei colleghi senza problemi. Forse è il fatto che comunque sapevo abbastanza bene chi fosse ancora prima che diventassi il suo istruttore dal momento che faceva parte della squadra di riserve durante gli ultimi miei due anni, anche se devo ammettere che non provavo tutta questa grande simpatia per lui durante gli allenamenti collettivi.
– Ci vediamo domani, Anguilla! – grida dalla soglia, agitando la mano.
– A domani! – ricambio sorridendogli, inserendo la marcia e allontanandomi dalla casa.
Direzione: casa mia, poi piscina.


Cosa posso fare io, piccolo abitante di Detroit, contro la corriera illuminata che parcheggia davanti alla piscina?
Davanti a noi il rettore Muller attende impaziente l'allenatore della NYC Swimming Team, abbreviata in NYCST, per gli amici Nyst. Tra l'altro, James Harper è un pluripremiato nuotatore che ha vinto diverse medaglie d'oro alle provinciali e alle nazionali, perciò sono parecchio agitato all'idea di dover condividere gli allenamenti miei e dei miei ragazzi con questo grande mister della Nyst. Ovvio, l'ansia da allenatore-figo è una bazzecola in confronto con l'ansia da ritorno-del-mio-peggiore-incubo, ma non aiuta a sedare la mia situazione già impanicata per conto suo.
– E' tutto pronto? – mi chiede Aydin all'orecchio, avvicinandosi per non farsi sentire dal rettore e da Iris e Percy.
Gli lancio l'occhiata più omicida possibile, assomigliando per un attimo ad uno psicopatico in cerca di piccole e dolci vittime: – Sì, per colpa tua.
– Ti ho già chiesto scusa. – si difende lui, mortificato. – Sarà una bella esperienza, vedrai.
– Ma vaffanculo. – sbotto, dandogli una leggera spinta. Non capisco come il suo errore che alla fine si è ritorto contro di me possa essere una bella esperienza considerando che il deficiente che risponde al nome di Aydin ha sbagliato a prenotare il numero di alloggi al dormitorio e che quindi è rimasto fuori uno della Nyst - indovinate chi? Ma potrebbe essere solo lui, signori e signore! E chi dovrà ospitarlo? Ovviamente lo sfigatissimo sottoscritto!
– State buoni. – ci rimprovera il rettore, guardandoci male. – Cerchiamo di non fare brutta impressione con loro.
– Non per fare polemica – inizio, tossicchiando a bassa voce. – Ma siamo un team di quattro allenatori diciottenni che hanno appena finito i corsi perché nessuno si è preso la briga di badare alla squadra di questa scuola, tra l'altro di appena quindici membri. La brutta impressione la facciamo solo con la nostra presentazione, signor Muller.
Il rettore annuisce, sconsolato: – Lo so anch'io, Fenwick. Ma facciamo finta che non sia così, okay?
– Facciamo finta di avere tanti iscritti? – chiede Iris, ironica.
– Facciamo finta di avere un team professionale di allenatori? – infierisce Percy, ridacchiando sotto i baffi.
– Facciamo finta di avere una piscina attrezzata correttamente? – conclude Aydin, dando il colpo di grazia al rettore.
Quest'ultimo, dopo aver sospirato sonoramente e dopo aver trattenuto un sorriso - forse dovuto alla disperazione, mentre si aprono le porte della corriera ci guarda e scuote la testa: – Continuo a chiedermi chi me l'abbia fatto fare di avervi assunti, razza di disgraziati.
Noi quattro ci lanciamo uno sguardo d'intesa, ridendo leggermente per quanto la situazione ce lo permetta. Nemmeno l'istante dopo i nuotatori della Nyst cominciano a scendere placidamente dalla corriera, scherzando e ridendo tra di loro. Col buio non riesco a distinguere Kyle, so che c'è ma spero di non vederlo ancora per un po' per preservare la mia sanità mentale. Hick cerca di sorridermi, parlando a bassa voce: – Non preoccuparti, Hime. Andrà tutto bene.
Annuisco, intravedo l'allenatore Harper scendere dalla corriera e sento la squadra - composta ad occhio e croce da una trentina di ragazzi - farsi silenziosa alle parole del loro istruttore che purtroppo non arrivano a noi per la distanza.
– Merda. – riesco solo a mormorare vedendo tutti loro marciare compatti verso di noi che, nella loro attesa, cerchiamo di intravederli dalla cima alla gradinata che divide la strada dall'entrata della piscina. Mi sento le gambe molli e lo stomaco in fiamme, so che tra meno di dieci minuti sarò rinchiuso nella stessa macchina e poi nella stessa casa con la mia più grande sfiga, il mio peggiore incubo. Ripenso velocemente ai miei ragazzi: Xavier, Tammie, Sapphire e Marley, loro che mi hanno insegnato così tanto in così poco tempo e che mi hanno anche aiutato a capire per cosa vale la pena essere davvero in pensiero. Purtroppo, Kyle e i regionali rientrano completamente in questa lista del cazzo.
– Signor Muller! – James Harper sale i gradini in tutta la sua maestosità, la prima cosa di lui che risalta all'occhio sono senza dubbio le spalle enormi e il viso ormai segnato dall'età. Con un sorriso raggiante raggiunge tutti noi, stringendo calorosamente la mano a Muller. – E' un piacere essere qui, non la ringrazierò mai abbastanza!
– Si figuri! – è la diplomatica risposta del nostro rettore che, a contrasto con Harper per la pronunciata presenza di una pancia segnata dalle bevute di birre fatte in gioventù, gli stringe a sua volta la mano con un sorriso che credo di avergli visto fare solo alla cerimonia dei diplomi quando si rendeva conto che non avrebbe più dovuto avere a che fare con certi elementi. Si rivolge poi verso di noi, indicandoci con la mano. – Mi permetta di presentarle i miei ragazzi.
– Oh! – Harper ci guarda meravigliato. – Quando mi ha parlato di un team esperto di allenatori pensavo si riferisse a professionisti. Quanti bei giovanotti che abbiamo qui!
Non so se essere più irritato per il fatto che Muller abbia mentito su di noi o per la frase da Galateo elargita dall'allenatore della Nyst. In ogni caso ringrazio mentalmente il fatto che parta da Iris a chiedere il nome, evitandomi la figura di merda per primo.
– Iris Rooney. – mormora la nostra nuotatrice a delfino, stringendo piano la mano di Harper col fastidioso sottofondo di mormorii della squadra. Ecco, mi stanno già sui coglioni.
Arriva poi il turno di Percy che, con un po' più di enfasi, sorride scuotendo la folta chioma scura: – Persephone Cavendish.
– Cavendish. – ripete Harper, pensieroso. – Provieni dall'antica famiglia di duchi d'Inghilterra, giusto?
Io e Hick ci guardiamo allarmati, se c'è una cosa che Percy odia è che si facciano allusioni alla sua provenienza. Del resto, la sua famiglia è decisamente benestante ma lei odia questa questione, è a causa della sua discendenza che non riesce mai a vedere i suoi genitori e che è quindi lasciata alle cure dai maggiordomi della sua reggia.
Sorprendentemente però, lei si limita a sorridere e ad annuire: – Già, proprio così.
Harper sorride di rimando, passando a Hick che, indifferente, stringe la sua mano con noncuranza: – Aydin Hickey. Piacere.
– Piacere mio, ragazzo. – ricambia l'allenatore, arrivando spaventosamente a me. – E qui? Chi abbiamo?
Deglutisco, indeciso se parlare o no. Non ho nemmeno il coraggio di dire il mio nome da quanto è ridicolo, perciò mi limito a stringere lentamente la sua mano sperando che riesca a sentire il sibilo che sto per emettere.
– Hi...
– Himeragi Fenwick! – una voce mi anticipa, gridando ai quattro venti il nome che tanto odio. Mi sento rabbrividire, un silenzio spettrale scende su tutti noi.
Non ci metto molto a capire a chi appartiene questa voce, i miei compagni mi guardano allarmati mentre un ragazzo si fa spazio tra la Nyst ed è così che, dopo due anni e mezzo, la mia più grande sfiga riappare davanti ai miei occhi.
Santa merda, uccidetemi ora.



GUESS WHO'S BACK AGAIN?

Che posso dire...? Eccomi qui con un'originale. Gay. E demenziale.
Casini ne abbiamo fatti, sì?
Spero con tutto il cuore che vi piaccia, io mi impegnerò il più possibile per aggiornare velocemente. Grazie per essere arrivati fin qui, un bacio!
Ale xx
  
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