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Autore: crimsontriforce    17/05/2009    1 recensioni
I soprannomi nati per caso sono quelli che restano, soprattutto se già da cinque millenni sono incisi lungo un sentiero di pietra.
Tomahna, fluff ornitologico.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atrus, Catherine, Yeesha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '3. Storia antica ma non troppo'
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Fluffathlon @ fanfic_italia, parte seconda: fluff domestico/familiare di più di 500 parole. OMMIODDIO CHE DRAMMA come farò mai a inserire una FAMIGLIA nel canone qui... 9_9
Idealmente, seconda parte del bando amorevole che mi è non-capitato alla Quinta Disfida di Criticoni: casalingo. Perché più 'casa' di 'Tomahna' non ce n'è e perché sono una fangirl senza speranza. La prima era Di fronte alle migliori intenzioni, per la cronaca.



Disclaimer: Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di affettuosa stima.






Ma non ricordava dove


4:47





Era una questione di simboli. È sempre stata una questione di simboli.
Alla sua nascita, un uccelletto corridore – e sa il Creatore come fosse finito fin lassù in mezzo ai canyon – si era avvicinato alla culla, impettito e circospetto. Le aveva girato intorno una volta, chinato il capo da un lato, poi con uno scatto e un frullo d'ali si era appollaiato sul bordo in ferro battuto, con la cresta nera rialzata e le piume della lunga coda ben dispiegate oltre il bordo.
E aveva cantato. Coo, coo, coo, chiamava con voce bassa e roca, alzando la testa a ogni nota.
Catherine aveva fatto un solo gesto misurato, per scostarsi dalla fronte una ciocca importuna di capelli, e con quello aveva riportato l'istante nella quotidianità.
L'uccello le aveva rivolto l'attenzione, non tanto allarmato quanto critico e stizzito, era guizzato a terra e poi via sul sentiero, in un istante già oltre la curva delle rocce.



***




Cinque anni, un mese e qualche ora dopo, la sera era fresca e ricoperta di stelle. Atrus sedeva nella terrazza della cucina, alla luce delle lampade, l'attenzione equamente ripartita fra lo scrosciare del fiume al di sotto, l'appetito e la rilettura di un diario di sua moglie vecchio di quarant'anni, le cui pagine ingiallite scricchiolavano al suo tocco. Aveva proposto Catherine che volgessero lo sguardo all'interno per del tempo – che leggessero soltanto, senza scrivere, senza aprire nuove porte per meglio esplorare quelle che potevano aver lasciato alle loro spalle. Era un periodo di silenzi e di ricerche, di tregua, di vecchia polvere smossa e toccata dal sole di fronte al giudizio sospeso di un libro rosso e di un libro blu. Vivevano nella quiete delle radici. Nel riposo.
Tranne che per un dettaglio.

L'equilibrio fu spezzato dallo sferragliare del ponte mobile che veniva richiamato verso destra; Yeesha ne risalì la lunghezza alla massima velocità permessa dalle sue gambette. Correva a testa bassa, con le braccia strette lungo il corpo e aprendo le mani come penne di un'improbabile coda che muoveva nel virare. Ignorò il tavolo, le sedie e il padre e puntò dritta su uno dei divani dell'ingresso, saltandoci sopra con tutto il suo peso e agguantando la preda prefissata: un animale di pezza, abbandonato lì durante il gioco mattutino, che sbatté a destra e a sinistra fino a che, esausta, non si lasciò andare a sua volta raggomitolandosi fra le stoffe.

Sua madre la osservava da oltre i fornelli, ferma e muta per non disturbarla.

Atrus aveva già visto, nelle sue camminate nel deserto, dei serpenti venir cacciati in quel modo. Non avrebbe però mai pensato che quella lotta atavica fra rettile e uccello sarebbe stata riproposta nel salotto di casa sua.
“Mio uccellino del deserto!”, la chiamò in un moto d'affetto, alzandosi per arruffarle in una cresta i capelli castani. “Un uccellino dal deserto che farà il suo nido fra i cuscini.”

I due tornarono a giocare, ma Catherine si irrigidì: quelle parole avevano smosso un'idea che non riusciva ad afferrare con i soli ricordi. Un uccello del deserto che veniva dal passato, ma Riven non aveva deserti.
“Io le ho già lette”, sussurrò.

“Catherine?”, la risvegliò Atrus quando, alzati gli occhi dalla bambina, la vide lì a fissarli brandendo il mestolo e con un rivolo di sugo a colorarle la manica. Silenzio.
Mentre aspettava una risposta le tolse con gentilezza la posata di mano, riponendola alle sue spalle nel pentolone che, senza supervisione, stava bollendo vivace e forse troppo.

“Eppure le ho già lette da qualche parte”, si ripeté allora, col braccio ancora teso a reggere un peso inesistente.












Nerdaggine & credits:

@ 4:47: nel mio piccolo mondo ideale, tutti coglierebbero al volo e avrebbero anche una trascrizione a tiro per vedere a cosa corrisponde. Nella dura realtà dei fatti: Words, A bird from the desert will build a nest in the tree. Un biscotto a chi c'era arrivato, un conetto a chi ha addirittura ripescato la frase.
@Roadrunner: l'uccello del deserto. Tru fax. Il design che la nostra dama ha sul golfino è una decorazione tipica della popolazione Hopi – nativi americani di New Mexico e dintorni – che rappresenta un roadrunner.
@Libro rosso e libro blu: i contatti coi due scassamaroni imprigionati iniziano qualche annetto prima di Reve, ergo...

   
 
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