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Autore: itsyouemma    27/11/2016    0 recensioni
♕ school!cs : au ♕ ;; (( the bad guy&the good girl )).
ESTRATTO DAL CAPITOLO TRE:
❝Era fin troppo bello il suo sorriso, questa fu la prima cosa che pensai osservandola; indossava gli stessi vestiti di quel mattino ed i capelli erano leggermente spettinati, in più aveva ancora lo zaino in spalla, segno che non era passata da casa prima di venire in ospedale. La mia parte egoista, dovetti ammettere che fu contenta che un’altra persona nel mondo si curasse di me, che non solo a mio fratello – oltretutto in stato di morte certa – importasse davvero di qualcosa che mi riguardasse. L’altra parte però, quella solitaria e leggermente altruista, avrebbe preferito che lei non avesse mai visto quella stanza con all’interno Liam, che non tentasse di entrare così nella mia vita, perché sapevo che non sarebbe finita di certo bene affezionandosi ad uno come me.❞
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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KILLIAN’S POV
Non m’importava di nulla, non m’importava di nessuno, facevo ciò che volevo quando volevo e nessuno aveva mai anche solo osato darmi un consiglio o ne avrebbe di sicuro rischiato le conseguenze; insomma, non m’importava di chi avevo davanti, nessuno avrebbe mai avuto alcun diritto su di me o sulle mie scelte, nessuno sarebbe mai riuscito a cambiarmi, a rendermi il suo cagnolino, se non su volontà mia… Tutto ciò a cui pensavo era lo svago totale, tutto ciò che volevo erano migliaia di ragazze nel mio letto, una diversa ogni notte, tutto ciò che volevo… A dire la verità nemmeno io sapevo di preciso cosa volessi dalla vita, preferivo sempre godere del momento e ciò che sarebbe avvenuto nel futuro non sarebbe di certo stato un mio problema, avrei provveduto al secondo stesso su come agire… Chiunque in quell’istituto – e non solo – mi adulava oppure mi temeva, non esisteva una via di mezzo; gli idioti si dividevano in due categorie: quelli che tentavano di essere tali e quali a me, per entrare nelle mie grazie, e quelli che preferivano starmi alla larga per paura che potessi dar loro un pugno in faccia.
Non che io fossi un amante delle risse, ma quando venivo coinvolto in una di queste non riuscivo a tirarmi indietro, un po’ per orgoglio e un po’ per giusti-… Nah, solo perché avevo una reputazione da difendere. La mia. In più non avevo problemi, ne uscivo sempre vincitore grazie alla mia agilità ed alla mia furbizia! Un punto in più a mio favore per far cadere tutte le ragazze ai miei piedi… Come biasimarle? Ero dannatamente affascinante, irresistibile… Se fossi stata una ragazza, mi sarei immediatamente innamorato di me stesso!
Egocentrico, narcisista, la gente tendeva ad usare questi aggettivi davanti al mio nome, ma non facevo che sottolineare l’evidenza. Ero davvero irresistibile; d’accordo, forse un po’ troppo sicuro di me – anche se non la pensavo così – ma comunque irresistibile. Le persone non facevano che ammonirmi, dicendomi di tentare d’essere più modesto per piacere agli altri, ma non era di mio interesse, al massimo sarebbero dovuti essere loro a piacermi.
Nessuno aveva alcun diritto su di me, come ripetevo sempre a chiunque tentasse anche solo di giudicare un mio respiro.
 
Mi trovavo dietro alla scuola, in attesa che la prima ora di lezione avesse inizio. Un piede poggiato al muretto rovinato da varie scritte, una sigaretta tra le labbra, i miei amati auricolari nelle orecchie con la musica al massimo del volume ed il resto del mondo che pareva quasi essersi dissolto dal mio udito, dalla mia vista, dalla mia vita… Per quanto tutti conoscessero la mia facciata esuberante, amante delle feste, del sesso, delle droghe e dei vari vizi della vita, nessuno conosceva il vero Killian Jones, quello amante della solitudine, della tranquillità, del silenzio, quello che avrebbe preferito una serata in compagnia del suo stereo ad una circondato da numerose ragazze.
Insomma, dovevo ammettere che il vero me non sarebbe stato poi così male, ma preferivo sempre mostrare il peggio di me a chiunque sin da subito così che potessero poi apprezzare i miei rari ma intensi momenti di dolcezza – se così la si poteva definire…
Dalla separazione dei miei genitori, alla mia tenera età di otto anni, gli eventi nella mia vita non avevano fatto altro che essere un susseguirsi di tragedie su tragedie con qualche sprizzo d’illusoria gioia: mia madre era morta quando avevo solo quattordici anni mio padre era morto quando ne avevo quindici e mio fratello Liam diciannove, quel bastardo ci aveva lasciati soli per scappare con un’altra donna che – a quanto pareva – aveva conosciuto ancor prima della morte di mia madre. Per tutti quegli anni ero rimasto sotto la custodia di mio fratello e la cosa non mi era mai dispiaciuta, se dovevo essere sincero, era l’unico da cui mi facessi dire come agire nella vita, da cui mi facessi dare consigli per quasi tutto, l’unico con cui mi aprissi davvero e con cui mi fossi permesso – anche se di rado – di sfogare le mie lacrime più trattenute. Con lui non mi sentivo debole, indifeso, con lui non mi sentivo giudicato, anzi, era da sempre stato il mio unico vero migliore amico, era molto più che un fratello per me… Non sarei mai riuscito a trovare un termine per descrivere quanto per me la sua presenza fosse sempre stata fondamentale nella vita.
Ma, come tutte le cose belle nella mia vita, stava per andarsene anche lui… Ormai da quattro mesi si trovava in una stanza d’ospedale in uno stato di coma che pareva ormai star portandolo lentamente alla morte; molti medici mi avevano avvisato che se anche fosse riuscito a sopravvivere, sarebbe di sicuro rimasto in uno straziante stato vegetale in cui nessun essere umano si sarebbe mai voluto trovare. Non sapevo se preferire che morisse – così che non dovesse convivere con quel tremendo ed impossibilitante stato – o che rimanesse in quello stato pur di averlo nella mia vita, anche solo per prendergli ogni tanto la mano e sfogarmi con lui, sentendolo il calore del suo palmo nel mio anche se non poteva parlare. Insomma, per quanto duro ed insensibile mi mostrassi, avevo bisogno anch’io di qualcuno che mi capisse, che mi accogliesse tra le sue braccia senza sempre giudicarmi negativamente al mio solo respirare, qualcuno che non fingesse di starmi vicino solo per venire a letto con me o per poter dire in giro di conoscermi, come tutti i ragazzi e le ragazze dell’istituto avevano sempre tentato di fare.
Diedi un’intensa aspirata alla mia sigaretta e guardai dritto davanti a me, quando un fastidioso e pesante rumore di passi – quasi fosse stata un’impacciata corsa – disturbo la mia quiete e mi sfilai un auricolare, iniziando a guardarmi intorno per controllare che non fosse qualche idiota con l’intento di farmi uno scherzo. Nessuno v’era mai riuscito, come avevo detto ero furbo e non poco.
Non v’era nulla di sospetto, notai, eccetto una figura femminile seduta a terra e con le ginocchia al petto, che stava nascondendo il viso tra le braccia; era bionda e stava singhiozzando… Conoscevo quel pianto, stava tentando in tutti i modi di reprimere le lacrime, ma per quanto tentasse non ci riusciva allora – un po’ per la frustrazione, un po’ per la tristezza – qualche singhiozzo la stava tradendo; accadeva sempre anche a me e sapevo quanto peggio si stesse nel sentirsi così deboli…
Mi avvicinai a lei e solo a quel punto notai che, contro i primi freddi di quel gelido Novembre, non indossava altro che una leggera felpa nera. Tremava, eppure sembrava non voler dare a vedere neppure quella sua debolezza. Doveva proprio essere una ragazza testarda…
 
“Posso?” chiesi, sedendomi accanto a lei prima ancora che potesse rispondermi.
“Come vuoi” tentò di mascherare un singhiozzo ma non vi riuscì ed io alzai appena un sopracciglio nel notare ciò, mi stavo riconoscendo in quella bionda sempre di più ed avrei voluto consolarla, tirarla su di morale in qualche modo, ma non sapevo proprio come avrei potuto fare.
“Hai freddo?” tentai con gentilezza e lei scossò appena il capo, facendo timidamente capolino dal nascondiglio quali le sue braccia erano per lei divenute. I suoi meravigliosi si incrociarono con i miei occhi azzurri ed io per poco non rimasi spiazzato da quella visione, seppur avesse gli occhi un po’ rossi era bellissima senza nemmeno la necessità di mettere un filo di trucco.
“No, grazie” il tono era gentile ma comunque distaccato, quasi non avesse voluto donarmi troppa confidenza sin da subito. Ed effettivamente faceva bene, nemmeno sapeva chi io fossi…
“Come preferisci” mormorai.
 
Sfilai il pacchetto di sigarette dalla tasca e ne presi una, per poi avvicinarlo a lei quasi a volergliene offrire una ma rifiutò con un semplice scossare del capo. Stavo iniziando ad intuire che era una ragazza di davvero poche parole e la cosa m’intrigava, amavo le sfide ed avevo intenzione di farla aprire con me; non sapevo nemmeno perché mi fossi prefissato quell’obiettivo nella mente al solo incrociare il suo sguardo, ma sentivo come una necessità – quasi fisica – di provarci.
Da quel poco che ero riuscito a capire in quei minuti, era una ragazza introversa, che non amava mostrarsi debole davanti ad altri, proprio come; odiava il fumo – o almeno, non fumava – e tutto ciò che riusciva a fare scossare il capo quando la risposta era no.
 
“Come ti chiami?” chiesi, portando la sigaretta alle labbra ed accendendola per poi riporre nuovamente pacchetto ed accendino in tasca.
“Emma” mormorò, portando le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia in segno di chiusura. “Emma Swan” aggiunse, volgendo lo sguardo e guardandomi fumare.
“Emma. Mi piace” dissi semplicemente, accennando ad un sorriso nel ricambiare lo sguardo. “Io invece sono Killian Jones” mi presentai poi, buttando lentamente fuori il fumo dalle labbra man mano che parlavo. Forse non era il gesto più educato al mondo, ma ormai era compiuto…
“Ho sentito il tuo nome” alzai appena un sopracciglio a quell’affermazione e lei mi squadrò da capo a piedi, quasi a cercare in me un particolare disperso. Ma quale?
“Che c’è?” chiesi quasi infastidito, odiavo quando le persone facevano così, poiché solitamente altro non erano che stramaledetti sguardi di giudizio.
“Nulla, solo che ti immaginavo diverso dalla descrizione” mormorò, alzando le spalle.
“E come mi descrivono?” azzardai. Ero da sempre stato un bambino curioso e non avrei smesso di esserlo in quel momento – con quella meravigliosa bionda, inoltre…
“Puttaniere, idiota, drogato, stronzo” quei quattro aggettivi scivolarono via dalle sue splendide ed irresistibili labbra con un tono così semplice e scontato che quasi mi ferì, ma non lo diede a vedere e presi un’altra boccata di fumo dalla mia sigaretta.
“Mi piace viziarmi con belle ragazze, fumo, droga e… Sì, so essere acido” risposi, guardando davanti a me con quello sguardo classico di chi vuole fingere di star concentrandosi su qualcosa di sicuramente ignoto a qualsiasi altra mente umana; in realtà altro non stavo pensando che, chiunque avesse parlato di me in tal modo, altro non doveva essere che uno sfigato.
 
Lei non disse nulla, ma – guardandola con la coda dell’occhio per far sì che non se ne accorgesse – intravidi una piccola reazione di sorpresa nelle sue sopracciglia, che si inarcarono in sincronia verso l’altro guardandomi per poi rilassarsi e tornare al posto assegnato loro, mentre lo sguardo di Emma si volgeva verso un punto davanti a lei. Era particolare, o forse era solo una mia impressione. Non le servivano parole, bastava un lieve cambiamento nel suo viso ed io riuscivo a capirla, anche se a dire la verità sentivo come se riuscissi a leggerle dentro anche quando si fingeva impassibile come in quell’esatto ed odioso istante.
 
“In tutto questo, non ti ho chiesto perché piangevi” tentai, con tono quasi strafottente.
“Ed io non ti avrei risposto” un tono diretto, fintamente sicuro, mi piaceva.
“Allora avrei insistito” volsi lo sguardo a lei e, per sfidarla, inarcai un sopracciglio.
“Avrei finto di non sentirti, evitandoti” incrociò lo sguardo con il mio ed alzò un sopracciglio a sua volta, con un soddisfatto sorrisetto in volto nel vedermi leggermente spiazzato. Ci sapeva fare e non poco, pensai, ricambiando quel sorrisetto per fingere che semplicemente non volessi degnarla di una mia risposta, quando in realtà non sapevo proprio che dire.
 
Feci per rispondere – infatti socchiusi le labbra ed uscì quasi un suono indecifrabile dalle mie corde vocali – quando un urlato Jones! m’interruppe bruscamente e, riconoscendo di chi fosse quel tono, resistetti a fatica all’impulso di alzarmi in piedi e tirargli un pugno in faccia.
Era il mio migliore amico, Sebastian, e – anche se con lui non condividevo i miei pensieri – ciò che amavamo fare assieme era fumare, drogarci, condividere le sciacquette che decidevano di donarsi a noi quasi fossero stati inutili e stupidi giocattoli. Beh, stupide lo erano effettivamente, ma in quei momenti non era che il loro intelletto fosse ciò che più importava.
Mi alzai in piedi di scatto e – con uno strano impulso di voler mostrare a qualcuno, cioè lei, che ero in grado d’essere simpatico – andai incontro al mio amico, per poi prendergli la mano e fare il nostro classico ma raro saluto con la spalla. Lui mi guardò stranito ed io, con un solo incrociarsi delle nostre iridi, gli feci capire che doveva stare al gioco, infatti mi sorrise e così fece.
Emma si alzò in piedi a sua volta, però più furtivamente, e si mise nuovamente lo zaino in spalla per poi voltarsi ed iniziare ad incamminarsi verso la parte davanti dell’istituto; non sapevo che fare, lasciarla andare e rischiare di non rivederla oppure tentare di dirle qualcosa che la invogliasse ad incontrarci di nuovo, magari lì, magari in quel mio nascondiglio che avrei condiviso con quell’intrigante ragazza quando avesse voluto.
 
“Ci vediamo, allora!” esclamai e lei si fermò sul posto, ma non si voltò.
“Siamo nella stessa classe da inizio anno, Jones, ma io sono quella invisibile” mormorò con tono quasi deluso, di sicuro perché stupidamente non l’avevo mai notata, pur essendo entrambi nella stessa classe. Come avevo potuto non notarla? Mi diedi mentalmente dell’idiota e decisi di mentire, convincendomi che fosse a fin di bene… Bene mio, certo, ma sempre bene era.
“Ti avevo notata” si voltò appena verso di me ed accennò ad un sorriso – dolce come la vaniglia – per poi quasi sussurrare un Ci vediamo in classe e tornare ad incamminarsi verso l’entrata.
 
Mi sentivo un idiota, uno stronzo. Un approfittatore, quasi.
Le avevo mentito subito la prima volta in cui ci eravamo incontrati. O meglio, la prima volta in cui l’avevo notata, sarebbe stato meglio dire così forse.
Mi ero approfittato dei suoi sentimenti, quasi. In pochi attimi l’avevo inquadrata.
Insicura, introversa, taciturna. Aveva bisogno di qualcuno che la facesse sentire speciale anche solo con un semplice Ti avevo notata, così me n’ero stupidamente approfittato sul momento e le avevo detto ciò che voleva sentirsi dire.
 
“Sei una testa di cazzo” la frase che mi sussurrò in quel momento Seb all’orecchio – notando che avevo mentito – descriveva perfettamente, in sole cinque parole, ciò che Killian Jones era.

ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ed eccomi qui con una nuova pazzia!
Lo so, sono sparita per vari mesi, ma nella mia vita ci sono stati vari problemi e nuovi assestamenti a cui – se devo ammetterlo – ancora mi devo abituare totalmente… Ma ora eccomi qui!
Il titolo della storia l’ho preso da una puntata di You’re The Worst, una serie tv che vi consiglio...
Comunque, che ne pensate di questo primo capitolo?
Non vedo l’ora di ricevere le vostre bellissime recensioni!
Al prossimo capitolo, itsyouemma.
   
 
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