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Autore: eleCorti    30/11/2016    3 recensioni
[Storia partecipante al contest Portami via da qui, indetto da AriaBlack sul forum di efp]
“Signore, ma perché l’avete lasciata andare?” domandò Daikoku.
“Perché la amo...” rispose Yato, con un tono assai triste.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiyori Iki, Yato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su efp e sul forum: eleCorti/Elettra.C
Titolo: Tale as old as time
Fandom: Noragami
Genere: Romantico, Sentimentale, fluff
Personaggi: Yato, Hiyori Iki
Rating: verde
AU scelta: AU b, quote alfa
Introduzione: “Signore, ma perché l’avete lasciata andare?” domandò Daikoku.
“Perché la amo...” rispose Yato, con un tono assai triste.
Note dell’autrice: adoro quest’anime, e da poco ho iniziato a leggere il manga, ed ho colto al balzo quest’occasione per scrivere la mia prima – e non spero ultima – storia su questo bel fandom, sulla mia Otp YatoxHiyori. Spero vi piaccia.
 
 
 
Tale as old as time



 
Gli uccellini cinguettavano e il sole illuminava con i suoi raggi quel magnifico castello posto su una collina e che era circondato da una foresta rigogliosa, ricolma di folti alberi verdi, donando a quel piccolo angolo di paradiso un’atmosfera quasi idilliaca.
Tutto questo, però, un giorno finì. In quel magnifico castello viveva un principe, Yato, dai capelli corvini e gli occhi azzurri, che, però, non era assai gentile, anzi era molto arrogante; trattava male la sua servitù. Un giorno il giovane principe ricevette una visita da parte di una vecchia mendicante.
“Vi prego non so dove andare, aiutatemi” disse la vecchia, reggendosi al suo bastone di legno.
“Sparisci!” le rispose con un tono di disprezzo. Stava per chiuderle il portone in faccia, quando vide una luce: la misera vecchia si era trasformata in una bellissima donna. Una fata per la precisione.
“Tu... nel tuo cuore si cela l’oscurità. Questa maledizione si abbatterà su di te e sugli abitanti del tuo castello. Ti tramuterai in una bestia. Potrai tornare uomo, solo quando imparerai ad amare...” il principe non poté scappare. Come per magia, era stato sollevato in aria e il suo corpo aveva cominciato a mutare: era diventato una bestia.
La fata era sparita, al suo posto, però, apparse una teca al cui interno vi era una rosa magica. Quella rosa scandiva il tempo che il principe avrebbe avuto a disposizione per tornare umano. Quando avrebbe compiuto ventuno anni, essa avrebbe cominciato a perdere i petali, uno a uno. Se l’ultimo pelo fosse caduto, allora il principe non sarebbe mai più tornato umano.
Il principe Yato, sconsolato e vergognandosi del suo orrido aspetto, si rinchiuse nel castello, caduto in rovina. La rosa, intanto, aveva cominciato a perdere i petali, scandendo il tempo che trascorreva inesorabilmente.
Il principe stava per perdere le speranze, quando un giorno accadde: una bella ragazza, Hiyori, si presentò nel suo castello. La giovane, che viveva nel vicino villaggio, era giunta in quel palazzo, poiché era in cerca di suo padre che era scomparso da qualche giorno.
“C’è nessuno?” domandò, facendosi avanti nel buio e tetro palazzo.
Nessuna risposta. La giovane Hiyori, allora, avanzò per il lungo corridoio salendo le grandi scale, coperte da un tappeto rosso. Era buio pesto e la giovane non vedeva niente. Ci voleva una candela.
“C’è nessuno? È permesso?” continuò a domandare, salendo la lunga scala che si faceva sempre più stretta.
Finalmente aveva trovato una candela. La prese, ora sì che vedeva bene. Si trovava in una piccola scala a chiocciola che portava chissà dove.
“C’è nessuno?” domandò per l’ennesima volta, sperando di ricevere una risposta.
“Sì, prego signorina!” finalmente qualcuno aveva risposto. Si voltò dietro di sé, ma non vide nessuno. Possibile che si era immaginata tutto? Non poté fare a meno di chiedersi.
“Sono qui!” si sentì premere la spalla, ma quando si girò, si accorse che era stato il candelabro a parlare. Sì, stava sognando.
“Salve, molto piacere io sono Yukine. Al vostro servizio...” si presentò, facendo un piccolo inchino. Hiyori, intanto, lo guardava assai perplessa.
“Ecco l’hai fatta grossa Yukine!” se prima parlava solo il candelabro, ora anche il piccolo orologio appeso al muro si era aggregato a quelle allucinazioni.
“Oh ma sta zitto Daikoku!” si lamentò il buffo candelabro, facendo la linguaccia al suo collega.
“Adesso il padrone si lamenterà!” continuò Daikoku. Hiyori, intanto, guardava la scena incredula. Quel posto, in fondo la incantava. Era raro vedere un candelabro e un orologio parlanti.
“Ma non possiamo lasciarla fuori al freddo e al gelo!” ribatté Yukine. Tutto ciò che voleva era che il suo padrone tornasse normale. Prima, infatti, aveva parlato proprio di questo a Daikoku.
“D’accordo, d’accordo! Una fetta di pane e un bicchiere d’acqua e poi...” non poté finire il suo discorso, poiché fu interrotto dal suo amico di cera.
“Ma che dici! Non è mica una prigioniera!” gli diede una pacca sulla cosiddetta schiena, facendolo girare su se stesso.
“Ma se il padrone lo viene a sapere...” sarebbe stata la loro fine e questo Daikoku lo sapeva perfettamente.
“Oh andiamo!” prese per mano la giovane e le fece scendere le lunghe scale.
Arrivati, però, al piano di sotto, buio anche quello, sentirono un urlo. I due piccoli oggetti scapparono, lasciando la povera Hiyori da sola.
“Chi sei tu? Che cosa ci fai qua?” quella voce era così spaventosa che alla giovane dai capelli castani si gelò il sangue.
“Io... mi sono persa...” rispose con un filo di voce. Aveva paura e assai.
“Non se la benvenuta qua!” le ringhiò, facendole provare un brivido di freddo.
“Io... stavo cercando mio padre...” si giustificò la giovane, in preda ad un vero e proprio attacco di panico.
“Non sarebbe dovuta venire qua!” le ringhiò un’altra volta. La giovane, ormai vinta dalla paura, si voltò si scatto, scendendo le scale, correndo per il lungo corridoio, afferrando il mantello e uscendo dal castello.
Non vedeva l’ora di andarsene da quel posto. Aveva preso il suo cavallo, che aveva lasciato fuori, e si era inoltrata nella buia foresta. I lupi, però, la inseguirono, facendola cadere da cavallo. Stava per perdere ogni speranza di salvezza, quando qualcuno la venne a salvare: era quella bestia di prima. Perché la stava salvando? Non poté fare a meno di chiedersi.
Svenne. Non poteva lasciarlo lì, doveva aiutarlo. Lo caricò sul suo cavallo e ritornò verso quel tetro castello. Si sentiva in debito con lui. Doveva, perciò, sdebitarsi.
Poco dopo, erano in una delle tante stanze del castello, davanti ad un caminetto; Hiyori stava medicando la sua ferita.
“Stia fermo!” esclamò, mentre cercava di mettere un panno sopra il braccio di Yato.
“Ma brucia!” si lamentò come un bambino.
“Se stesse fermo, non brucerebbe!” ribatté la fanciulla, come se fosse sua madre.
“Se lei non fosse scappata, non mi sarei fatto male!” replicò, tenendosi il braccio ferito.
“Se non mi avesse spaventata, io non sarei fuggita!” non rispose, si limitò a boccheggiare. Aveva ragione e lo sapeva.
“Ora stia fermo...” ammorbidì il tono. Yato le porse il braccio, permettendole di medicare la ferita.
“Può restare qui, se vuole...” le fece quell’inaspettata proposta. La giovane dapprima non rispose, poi ci pensò su. Non sapeva dove fosse suo padre e stare lì per qualche giorno non le avrebbe fatto male.




 
****


 
I giorni, i mesi passarono, e Hiyori si era stabilita in quel castello. Yato le aveva dato una delle stanze più belle del palazzo e la giovane aveva stretto amicizia con i buffi abitanti del castello, tutti oggetti e non persone. Oltre che con Yukine e Daikoku, la giovane aveva stretto amicizia con la teiera Koufuko, molto simpatica e socievole. In quei mesi, però, il suo rapporto con il principe era assai mutato. Se dapprima pensava fosse un'orrenda e spaventosa bestia, ora lo considerava molto gentile e cordiale.
Non c’era giorno in cui il principe non le facesse scoprire ogni angolo del castello; una volta  la portò nella vasta biblioteca dove Hiyori ogni dì leggeva a Yato una storia. Lei amava leggere, proprio per questo non le dispiaceva affatto passare delle ore nella vasta stanza, ricolma di ogni libro possibile.
L’inverno, perciò, era giunto, imbiancando il vasto giardino del castello. Decisero, quindi, di godersi quel piccolo spettacolo, percorrendo il vasto giardino. Lì Hiyori si rese conto che i suoi sentimenti per il giovane stavano cambiando: se prima lo trovava scontroso e scorbutico, ora lo trovava dolce, gentile e cordiale. Provava felicità e gioia quando stava con lui. Che si stava innamorando?
Anche Yato provava lo stesso per Hiyori. Adorava quella ragazza. Lo stava cambiando e in meglio. Per la prima volta dopo anni, aveva imparato ad amare una persona. Forse, finalmente, la maledizione poteva essere spezzata. Chissà se Hiyori era innamorato di lui. Perché era questa la condizione: doveva essere amato a sua volta, sennò non sarebbe tornato umano.
“Coraggio padrone, vedrà che ce la farà!” una sera, di primavera per la precisione, Yukine lo incoraggiò. Yato avrebbe invitato Hiyori a cena. Quella era la sua occasione per farla innamorare. Con grande sorpresa del giovane, Hiyori accettò.
“La signora attende...” Daikoku entrò nella stanza del suo padrone, annunciando che la sua invitata lo stesse aspettando.
Eccola: Hiyori era bellissima. Indossava un vestito giallo, lungo fino ai piedi e largo. Deglutì. Era una visione celestiale.
Mangiarono nella vasta sala da pranzo, l’uno di fronte all’altra. La musica iniziò a suonare e a Hiyori venne l’idea di ballare un valzer. Si alzò da tavola, andò verso il suo principe, lo prese per mano e lo condusse nel vasto salone, dove iniziarono a ballare il magico valzer.
Si guardarono a vicenda, si estraniarono da quel mondo per catapultarsi in un altro, magico mondo. Un mondo tutto per loro.
La musica finì; i due innamorati si ritrovarono nel balcone. Quello, forse, era il momento che Yato aveva atteso da tanto tempo. Hiyori, però, era assente: guardava l’orizzonte come se provasse nostalgia per qualcosa.
“Hiyori... qualcosa non va?” le domandò con un tono molto dolce e accarezzandole i capelli.
“Io... mi manca mio padre...” ammise. Erano mesi che non lo vedeva, era normale, dopotutto.
Suo padre... già... che fare? Avrebbe voluto tenerla lì per sempre al suo fianco, ma non voleva costringerla. Prese, perciò, una decisione.
“Vieni con me...” afferrò la sua mano e la condusse in una stanza segreta. Dove c’era la rosa incantata, ormai rimasta con un solo petalo.
“Questo specchio mostra qualsiasi cosa tu gli chieda” le porse uno specchio di cristallo.
“Desidero vedere dove si trova mio padre” domandò, senza esitare. Lo specchio emanò una luce verde, mostrando al suo interno proprio il papà della giovane, disteso al suolo, proprio vicino al villaggio.
“Oh no è malato! Io non sono con lui!” una lacrima le solcò il viso. Si sentiva in colpa per non essere con lui in quel momento.
“Va da lui...” disse con un sussurro impercettibile. Quella era la cosa giusta da fare.
“Come? Io... grazie” gli porse lo specchio, ma lui glielo restituì.
“Tienilo tu. Così quando penserai a me, potrai tornare indietro e vedermi...” quello era un addio e lo sapevano entrambi.
Non perse tempo: si cambiò al volo e uscì al galoppo del suo fido cavallo. Yato aveva il cuore spezzato.
“Signore, ma perché l’avete lasciata andare?” domandò Daikoku.
“Perché la amo...” rispose Yato, con un tono assai triste.




 
****


 
Era giunta in tempo. Suo padre era ancora vivo. Lo fece salire sul cavallo e si avviò verso casa. Era svenuto, ma per fortuna respirava. Gli mise un panno caldo sulla fronte, cercando di far scendere la febbre.
“Hiyori...” ecco: aveva aperto gli occhi. La giovane Iki si sentì molto sollevata.
“Ti ho cercato così tanto...” lo abbracciò più felice che mai.
“Tu dov’eri finita... ti stiamo cercando da tempo...” quando era tornato al villaggio, aveva cercato in lungo e in largo la figlia, senza mai trovarla.
“Oh papà sapessi! Ero in un castello dove c’era una bestia e...” non poté finire il suo racconto, poiché il padre l’aveva interrotta.
“Sei stata prigioniera anche tu?” domandò, incredulo. Lui era stato prigioniero in quel castello per un paio di giorni. Era riuscito a scappare una notte grazie all’aiuto di un candelabro e di un orologio.
“Sì... è stato fantastico! Sai...” fu interrotta di nuovo.
“Stai bene? Ti ha fatto del male?” ricordava bene quella bestia: così spaventosa e violenta.
“No al contrario. È stato molto gentile” rispose con un sorriso stampato sulle labbra.
“Capisco... beh l’importante è che siamo di nuovo insieme...” giusto: l’importante era che Hiyori stesse bene e fosse di nuovo con lui.
“Mi sei mancato papà...” lo abbracciò, felice come non mai. La verità, però, era che voleva rivederlo.
“Papà... io, però, voglio tornare da lui...” voleva dirgli che suo padre stava bene. Voleva passare altro tempo con lui. Voleva confessargli i suoi sentimenti.
“Va bene... va, non ti preoccupare. Io ti aspetto...” non obbiettò, la lasciò andare. Ciò che più contava era la felicità di sua figlia.
“Grazie papà...” lo abbracciò un’ultima volta. Poi uscì dal portone di casa, sellò il cavallo e partì alla volta del castello.



 
****


 
Una guerra: ecco ciò che vide quando giunse al castello. Quando se n’era andata – poco dopo – il castello subì un attacco. La principessa Bishamonten – rivale di Yato da molti anni – aveva deciso di vendicarsi del principe. Yato, infatti, anni fa aveva ucciso la sua famiglia durante un'invasione, lasciando come unico sopravvissuto il suo più leale servitore, Kazuma. Lei, poi, aveva ridato un nome alla sua casata, ma aveva giurato vendetta al principe Yato.
Ora era in corso una guerra tra questi due rivali. Hiyori vide la scena: Yato che stava per cadere di sotto insieme a Bishamonten. Non perse tempo: entrò dentro il castello con il suo cavallo, arrivando alla balconata della stanza del principe.
“Sono qui!” gli porse la mano aiutandolo a salire sulla grata.
“Hiyori... sei tornata...” era felice di vederla.
“Io... dovevo...” rispose, facendosi accarezzare una guancia.
Un urlo: Yato aveva urlato. Dietro di lui, Bishamonten rideva; aveva accoltellato il suo rivale. Yato perse l’equilibrio, ma Hiyori lo afferrò per il bavero. Bishamonten, però, cadde di sotto.
Con molta fatica, lo fece salire sul balcone, facendolo sdraiare. Svenne. Pianse. Pianse lacrime amare. Perché non era giunta prima?
“Ti prego... ti prego non morire... io ti amo...” ecco l’aveva detto, anche se troppo tardi. Lo aveva perso per sempre. Si appoggiò sul corpo esanime del principe, mentre piangeva come non mai.
Una luce avvolse Yato, sotto gli occhi increduli di Hiyori. Lo sollevò in aria, facendolo mutare, facendolo diventare un umano. Hiyori era basita e assai.
“Hiyori, sono io. Non mi riconosci?” lo fissò con molta attenzione. Quegli occhi così azzurri e intensi... sì lui, era proprio Yato.
“Yato!” lo abbracciò, mentre le lacrime – di gioia – solcavano il suo viso.
Un bacio: se lo diedero a vicenda, mentre la maledizione si spezzava. Il castello, infatti, aveva riacquistato il suo antico splendore e gli abitanti erano ritornati al loro aspetto umano.
Qualche mese dopo, i due si sposarono e, come si dice nelle favole, vissero felici e contenti. Quell’esperienza aveva insegnato al giovane principe che la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce. Quella luce era la bella Hiyori. 
   
 
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