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Autore: SarcasticColdDade    01/12/2016    2 recensioni
Yuki Yoshimura è un medico, dedita alle sue routine e ad una vita tranquilla. Il suo unico scopo nella vita è sempre stato quello di aiutare gli altri, per non sentirsi mai un peso. Dentro di sé però sa di essere diversa dagli altri: non sa perché, come non sa se lo scoprirà mai. Almeno fino all'incontro con uno strano uomo.
O meglio, un demone.
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Londra sapeva essere una città davvero caotica, ma questo era un dettaglio al quale ormai avevo fatto l'abitudine.
No, la cosa più fastidiosa dell'aumento delle persone per le strade era di dover subire il doppio - se non addirittura il triplo - delle loro occhiate, ogni volta che mi recavo in un punto diverso della città per una visita.
Una donna che indossa dei pantaloni è una donna che ha completamente messo da parte il bon ton, o almeno è questo quello che la maggior parte della gente pensa. Perché scegliere una gonna se so che mi darà fastidio? 
Scuoto impercettibilmente la testa, scostandomi poi i capelli dagli occhi con un gesto veloce, mentre tengo saldamente la mia valigetta con l'altra mano.
Anche oggi sarà una giornata intensa.
E immagino che nessun paziente baderà ai miei vestiti mentre gli salvo la vita.

***

- Mi dica Signorina Yoshimura, è così grave? - la voce della mia paziente è debole, si vede che le forze l'hanno abbandonata già da qualche giorno.
Cerco di sorriderle il più caldamente possibile, ma le mie non sono buone notizie. - E' grave.. - sono costretta ad ammettere - Ma io sono il suo medico, giusto? Andrà tutto bene - aggiungo poco dopo, stringendole la mano per qualche secondo.
Mi alzo dalla sedia dove ero comodamente appoggiata: ho bisogno di parlare con i genitori della ragazza.
- Vostra figlia lavora in una fabbrica, dico bene? - tiro ad indovinare, non che ci voglia tanto per capire la situazione.
Loro si guardano per un momento, in silenzio, prima che sia la madre a rispondere, con un semplice cenno della testa. 
- Le tasse aumentano, e noi non guadagniamo molto... - comincia a spiegare il padre, mentre punto il mio sguardo di totale disappunto su di lui - Non avevano altra scelta se non trovarle un lavoro - sono le sue ultime parole, mentre sono costretta ad udire i rantolii della giovane ragazza.
- Allora sarò sincera con voi, signori Jenkins - mormoro - Se vostra figlia continuerà a lavorare in quella fabbrica, le sue condizioni non potranno che peggiorare, e i gas dei prodotti chimici hanno già cominciato a rovinarle i polmoni.. - ammetto, ricevendo di tutta risposta un improvviso singhiozzo della madre.
Più tatto, Yuki.
- Signora Jenkins, mi guardi - la esorto, facendole sollevare di nuovo la testa - Non ho detto che sta morendo...dico solo che le sue condizioni non sono buone, e il tutto mi fa pensare ad un difetto congenito nei polmoni, un difetto come l'asma ad esempio - spiego, con parole semplici - Non so per certo che cos'abbia, non ho abbastanza materiale su cui lavorare, ma so che ora come ora quella fabbrica finirà per portarla via all'alba dei suoi giovani 16 anni, è questo che volete? - chiedo, in modo retorico quanto brusco.
Yuki. Calmati.
Loro mi guardano per un momento, ammutoliti, prima di scuotere energicamente la testa.
- Bene - è tutto quello che mormoro - Le mie istruzioni sono semplici allora, fate del vostro meglio per ottenere qualche giorno di permesso, la ragazza ha bisogno di aria pulita, che di certo non troverete a Londra - spiego velocemente, rovistando nel frattempo nella mia valigetta.
- Ma Signorina Yoshimura, non abbiamo i soldi per.. - prova a dire il padre, prima che lo interrompa bruscamente. Di nuovo.
- I soldi non sono un problema - dico in fretta, tornando a guardarli - Appena fuori Londra c'è una locanda gestita da un caro amico che mi deve un favore, andando sempre verso nord troverete una strada sterrata, percorretela fino a raggiungere un vecchio cottage - spiego, scrivendo nel frattempo i miei appunti su un foglio - Dite che vi manda Yuki, il Signor Martin capirà - aggiungo.
- E' sicura che questo basterà? - mi chiede la madre, visibilmente preoccupata.
- Basterà - le assicuro - Qui ci sono inoltre degli ingredienti, sono tutti facilmente reperibili in un qualsiasi mercato: porridge pranzo e cena, eliminerà il muco e permetterà alla ragazza di respirare un po' meglio, almeno finché non partirete e mi raccomando, almeno 4 giorni lontani dalla città, non di meno - suggerisco, sperando che mi diano retta. Morire a 16 anni è una cosa che non accetto.
Dopo un altro breve silenzio, finalmente entrambi annuiscono. - Faremo come dice lei, Signorina Yuki - sussurra alla fine il padre, consolando nel frattempo la moglie.
- Bene - concludo, chiudendo definitivamente la mia valigetta - E quando tornerete, passate al caffé della Signorina Mary Hopkins, sono sicura che sarà più che felice di assumere vostra figlia, e guadagnerà sicuramente più di quello che guadagna in quella lurida fabbrica - aggiungo, preparandomi per andare. 
La ragazza si è addormentata: il respiro è pesante, ma regolare. Per fortuna mi hanno chiamata in tempo.
- Signorina Yoshimura, il suo denaro! - tenta di fermarmi la madre, correndomi quasi dietro con le poche banconote raccimolate.
- Non si preoccupi, è il mio contributo per gli ingredienti del porridge - rispondo, abbottonando gli ultimi bottoni della mia giacca - Prendetevi cura di vostra figlia - aggiungo alla fine.
- Lei dev'essere un angelo - sono le ultime parole della madre, quasi al limite delle lacrime.
- Ho i miei dubbi su questo - mormoro, congedandomi - Buona giornata - li saluto, riservando un'utima occhiata alla ragazza, prima di chiudermi la porta alle spalle.

***

Il mio orologio segna le 14.35, e in tutto questo tempo non mi sono fermata un secondo.
Sono esausta, e affamata, soprattutto, ma non mi conviene tornare a casa per mangiare qualcosa: la mia prossima visita è tra meno di un'ora.
Sospiro pesantemente, continuando a camminare tra la folla. 
Perché tutta questa gente è ancora in giro, mi domando. Che sia successo qualcosa? 
I miei sospetti diventano realtà quando noto dritto davanti a me una grossa folla di persone, tutte ammassate per vedere chissà quale spettacolo.
Prima di accorgermene ho già allungato il passo, raggiungendo il luogo d'interesse in fretta: c'è un corpo riverso per strada, e la polizia è già sul posto, o almeno alcuni dei cani più fidati di Scotland Yard.
Chi mai commetterebbe un omicidio in pieno giorno? E poi perché uccidere un fornaio?
- Cosa sapete dirmi sull'accaduto? - queste parole arrivano immediatamente alle mie orecchie. Anche perché riconoscerei quella voce fastidiosa tra mille.
Mi volto verso l'origine di quel suono e nel giro di poco mi ritrovo a guardare con disappunto Ciel Phantomhive, il giovane rampollo dell'omonima famiglia. Anche conosciuto come il Cane da Guardi della Regina.
Era la prima volta che lo incontravo di persona, se così si poteva dire, ma di certo avevo sentito parlare di lui, anche se ormai non era più il bambino di cui tutti parlavano. No, ormai aveva 16 anni, se non di più.
- L'uomo si chiamava Edward Empshire, fornaio - comincia a spiegare l'ispettore, mentra la folla shockata comincia finalmente a disperdersi - Dobbiamo ancora determinare la causa del decesso - aggiungo poi, chiudendo il suo piccolo block notes.
A me però basta una semplice occhiata al corpo per farlo. - La causa della morte è sicuramente un grossa emorragia interna - come al solito parlo prima di rendermene conto, attirando immediatamente l'attenzione di quei pochi rimasti su di me.
Lo sguardo della gente davanti a me non mi da fastidio, per fortuna non sono il tipo che si imbarazza facilmente. No, loro possono guardarmi pure, ma quell'uomo accanto al giovane rampollo ha qualcosa di diverso. Di strano.
E mi fissa con quella che sembra più che curiosità.
- Lei è? - la voce roca dell'ispettore si rivolge allora a me, squadrandomi da capo a piedi. Immagino sempre per via dei miei comodi pantaloni.
Riesco a distogliere lo sguardo da lui dopo qualche secondo, e neanche io so come mai, e mi rivolgo velocemente all'ispettore. - Sono un medico, mi chiamo Yuki Yoshimura - rispondo, presentandomi e riuscendo finalmente a riacquistare il controllo di me stessa.
- Può dirci di più, Signorina Yoshimura? - domanda retorico l'ispettore, senza preoccuparsi di mostrare il suo disappunto per le mie affermazioni.
- Mi è permesso avvicinarmi? - domando, giusto un filo sarcastica.
- Prego - risponde, quasi a denti stretti.
Senza farmelo ripetere mi faccio largo tra la folla, inginocchiandomi accanto al corpo ormai senza vita. - I reni sono strati trapassati entrambi e con grande precisione, quasi chirurgica... - mormoro, mentre mi infilo un paio di guanti - I colpi però sono secchi, violenti..questo fa pensare che l'assassino covasse decisamente parecchio odio nei confronti della vittima - aggiungo poi, indicando i segni sulla schiena, dove ormai tutto quello che rimane sono dei lividi violacei.
- Abbastanza odio da uccidere qualcuno? - sobbalzo nel sentire quella domanda, perché incredibilmente so a chi appartiene quella voce, pur non avendola mai sentita prima d'ora.
Fisso l'uomo che fino a qualche secondo prima era accanto al giovane Ciel, quasi impietrita, prima di riuscire a spiccicare parola. - Immagino di sì - rispondo - Probabilmente il Signor Empshire doveva dei soldi a qualcuno, oppure si era immischiato in cose dalle quali non c'è modi uscire - aggiungo in fretta, guardando ovunque tranne che nella sua direzioni.
Non mi so spiegare perché, ma quell'uomo mi fa paura, lui e la sua postura quasi innaturale.
- E' tutto - concludo, gettando i guanti usati nella valigetta, tornando poi in piedi.
- Grazie della sua collaborazione, Signorina Yoshimura - è tutto quello che ottengo dall'ispettore, prima che mi volti le spalle senza tanti complimenti.
- Dovere - rispondi, stavolta io a denti stretti. Gli uomini e le loro manie di superiorità, come se noi donne valessimo meno di loro.
Esasperata quasi al limite, mi volto finalmente per andarmene, ma ecco che quell'uomo si materializza davanti a me, facendomi sobbalzare di nuovo.
- Non era mia intenzione spaventarla, Signorina Yoshimura - dice solo, con tono estremamente pacato - Può ripetermi il suo nome? -.
Sono costretta a prendere un respiro profondo prima di riuscire a rispondere. - Yuki - dico a malapena - Ora devo proprio andare - aggiungo poi, quasi scappando. 
Ma che diavolo mi succede?
- Andiamo, Sebastian - ecco di nuovo la voce di Ciel, per fortuna sempre più lontana.
- Si, mio Lord - è l'unica risposta dell'uomo in nero. 
E nonostante io sia ormai di spalle, so perfettamente che lui mi sta ancora fissando. 

***

Il caffé di Mary è l'unico posto dove in questo momento mi va di stare, anche perché la fame non mi ha di certo abbandonato in quel lasso di tempo.
Non so perché, ma sento il bisogno di parlare con qualcuno di quello che è successo su quella scena del crimine, e so perfettamente che lei mi ascolterà senza troppi problemi.
- Ti vedo veramente scossa, Yuki - ammette, preoccupata - Insomma, non sei il tipo che perde il controllo -.
- Non so cosa mi sia preso - sono costretta ad ammettere, anche se la cosa mi infastidisce. Non sapere è la cosa che sopporto di meno. - Ma quell'uomo in nero mi mette i brividi, non so spiegarmelo - farfuglio in fretta, bevendo il mio caffé.
- Uomo in nero? Di chi stai parlando? - domanda confusa.
In effetti non ero ancora arrivata a quella parte, ancora una volta colpa della mia boccaccia.
- Immagino sia il maggiordomo di quel Ciel Phantomhive.. -.
- Sebastian Micaelis? - chiede lei, prima ancora che finisca la mia frase.
Sollevo lo sguardo, confusa. - Davvero sono l'unica che non aveva mai sentito parlare di lui? -.
- Beh, non è che conosca la storia della sua vita - ammette - Ma so che ormai è un fidato membro dello staff della famiglia Phantomhive, o di quello che ne rimane -.
- E in lui non hai notato niente di strano? - le chiedo, incuriosita.
- Ad essere sincera non l'ho mai incontrato, ma più di una persona mi ha confidato che è un tipo parecchio misterioso - è tutto quello che mi sa dire, nel silenzio del caffé mezzo vuoto.
- C'è qualcosa nei suoi occhi, qualcosa di strano, quando mi ha guardato - è tutto quello che mi esce, ancora come un pensiero ad alta voce - E' come se dentro di me sapessi che ha qualcosa che non va, mi spiego? -.
- Un sesto senso magari? - azzarda lei, arrampicandosi sugli specchi.
- Non credo a questo genere di cose - mormoro, scuotendo appena il capo - O non ci credevo fino ad ora - aggiungo comunque, riflettendoci su. Approfittando del momento di silenzio che si è creato, finisco il mio caffé, notando poi con dispiacere che sto facendo tardi.
- Devo andare, la prossima visita è tra poco, dovrò correre - ammetto, lasciando i soldi sul tavolo - Grazie per avermi ascoltato! - urlo senza girarmi di nuovo, ma puntando direttamente all'uscita.
- Quando vuoi - mi pare di udire, ma non posso esserne più di tanto sicura.
Mi incammino così verso la prossima casa, sapendo benissimo che oggi farò veramente tardi. 
Tutti questi sacrifici mi porteranno dove voglio arrivare, però, lo so: uno studio tutto mio, dove poter operare per tutti quelli che non possono permettersi le fatture di un medico qualsiasi. Dove poter dare cosigli in tempi così duri.
Si, è questo che voglio fare.
Dimenticandomi per un momento dell'accaduto di quel giorno, aumento il passo, superando ostacoli e persone, concentrandomi su altro.
La cena; si, stasera preparerò io la cena, un semplice segno di gratitudine per le uniche due persone che hanno sempre creduto in me.
Potrei comprare alcuni ingredienti sulla via del ritorno, e magari ancora qualche pasticcino. Ogni tanto ci si può abbandonare a qualche sfizio, in fondo. E io non me ne concedo ormai da troppo tempo.
In preda a quei pensieri quasi vado contro una giovane ragazza, che per fortuna riesco ad evitare all'ultimo; ormai non manca molto per la casa del mio prossimo paziente, questione di isolati. 
Ormai ci sono, ma con me c'è ancora quella strana sensazione, come se qualcuno mi stesse ancora guardando.
La strada è ancora affollata, probabilmente è solo la mia immaginazione, ma questo non mi impedisce di fermarmi per un momento a controllare. Ovviamente alle mie spalle è tutto apposto, e un senso di stupidità si annida immediatamente dentro di me, facendomi allungare ancora una volta il passo.

  
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