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Autore: Elayne_1812    03/12/2016    5 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Sì lo so anche questa settimana sono in leggero ritardo, scusate >.< i motivi sono quelli della volta precedente.
Prima di augurarvi buona lettura ci teneva a ringraziare nominalmente tutte le persone che sino ad ora mi hanno lasciato i loro commenti: DreamCatcher, Ghira, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya, grazie mille!
Ovviamente ringrazio anche tutti i lettori, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Sperando di non aver lasciato in giro troppi errori, buona lettura!
 

Capitolo 18
Rescue
 
 
“Only you can take me out
Only you can make my blood circulate
Only you are the way to being rescued
You’re my rescue, you’re my rescue”
Shinee, Rescue
 
 
Kibum tastò con i polpastrelli il vetro della finestrella che, in quella stanza squallida, gli regalava un triste stralcio del mondo che scorreva lungo le vie di Seungil, o per meglio dire del vicolo che costeggiava la stamberga nella quale era stato relegato. Lo scrosciare della pioggia era l’unico suono che udiva e, benché fosse stata una goccia d’acqua caduta direttamente dal soffitto a svegliarlo, la sua situazione faceva sperare in un risvolto positivo. Quel giorno non si sarebbero mossi da Seungil, il che voleva dire un giorno per rimettere in sesto la caviglia, la possibilità di occupare quelle ore vuote ad elaborare un piano di fuga e la speranza che Jinki e gli altri lo raggiungessero. Ecco perché teneva il naso ormai gelato incollato alla finestra. Certo, era solo uno stretto vicolo quello che si dispiegava sotto di lui, ma era abbastanza disperato nel confidare che i suoi amici sarebbero passati di lì.
Emise un sospiro ed il suo viso si rabbuiò.  
E se non avessero la più pallida idea di dove sia?, si domandò con un moto di disperazione.
No, si disse poi scuotendo il capo.
Jinki non era di certo uno stupido e Kibum era pronto a scommettere che si fosse messo subito sulle sue tracce una volta appresa la notizia della sua scomparsa. In quanto a Jonghyun, non aveva dubbi sulla sua apprensione e, a dirla tutta, la cosa lo metteva parecchio in agitazione. Conoscendo il più grande stava per fare qualche sciocchezza.
In realtà aveva un motivo molto più pratico per giustificare il suo attaccamento verso quella sudicia finestra. Si era reso conto che l’effetto dello stramonio stava terminando e che sarebbe passato ancora un po' di tempo prima che Kyuhyun ritenesse necessario somministrargli un’altra dose. Tempo che intendeva usare per mettere in pratica l’unico misero piano che era riuscito ad elaborare.
Kibum guardò la porta chiusa che comunicava con la stanza, se così si poteva definire, del cavaliere. Le pareti dell’ambiente all’intorno trasudavano umidità ed il futon sudicio era bagnato a causa delle filtrazioni della pioggia. Il principe aprì e richiuse le mani saggiandone il piacevole formicolio che era tornato ad animarle. Non era di certo al massimo delle sue forze, nemmeno lontanamente, ma se la sua idea fosse andata a buon fine, l’energia che aveva a disposizione poteva essere sufficiente a far esplodere la finestra e permettergli di ritagliarsi così una via di fuga.
Kibum corrugò la fronte valutando ulteriormente la situazione. La finestra era piccola, ma sufficientemente grande da permettergli di uscire, dopo si sarebbe trovato sulla tettoia che divideva il primo ed il secondo piano dell’edificio e per finire lo attendeva un salto di circa cinque metri. Bhe, le possibilità di rompersi l’osso del collo non mancavano. Le tegole della tettoia erano scivolose, bagnate e tutt’altro che regolari e come superare quel salto di cinque metri era ancora un mistero. Sbuffò. Non aveva molta scelta. Premette di nuovo i polpastrelli sul vetro e richiamò a sé la propria energia. Il formicolio era lì, sempre più frizzante ma insufficiente. Chiuse gli occhi e corrugò la fronte in cerca di maggior concentrazione. Non doveva permettere ai suoi pensieri di distrarlo, benché l’idea di ritrovarsi in equilibrio precario su una tettoia sgangherata non lo tranquillizzasse.
O quello o Busan, si disse.
Per quanto inconsapevole di ciò che il viaggio ancora lungo gli avrebbe riservato non intendeva sprecare un’occasione.
Respirò piano in cerca di tranquillità e il formicolio s’intensificò, al punto che dei sottili fili d’energia bluastra scaturirono dalle sue dita. Kibum non aprì gli occhi per controllare, ma un sorrisetto soddisfatto animò il suo volto concentrato. Poteva percepirla, per quanto ancora debole, l’energia fluire in lui ed il suo cuore esultò. Quanto gli era mancata! Nonostante avesse sempre utilizzato la sua abilità solo in rare occasioni che la sua istruzione e l’etichetta gli imponevano, l’uso intenso che ne aveva fatto nelle ultime settimane aveva cambiato molte cose. Non era più solo un segno del suo rango, qualcosa di potente e prestigioso, ma un’arma che poteva sfruttare a suo vantaggio. Un moto di nostalgia lo invase mentre rammentava una conversazione avuta con Jonghyun.
-Quando vivevo per la strada la mia abilità era tutto ciò su cui potevo contare -, aveva detto il più grande. –Tu sei potente, Key, sfruttala non trattenerla, non è un solo un diamante da ammirare. –
E così aveva fatto in tutti gli allenamenti che erano seguiti. L’aveva usata per qualunque cosa e ora farne a meno era impossibile.
Forse fu il pensiero dell’altro, oppure aveva semplicemente raggiunto un livello di concentrazione tale per cui nulla poteva distrarlo, fatto sta che l’energia zampillò dalle sue dita con più forza, dipanandosi in una ragnatela bluastra sul vetro. Kibum si concesse il lusso di aprire gli occhi ed ammirare la sua opera. Filamenti blu e neri scivolavano luccicanti sulla finestra sfrigolando ed elettrizzando l’aria all’intorno che divenne magnetica, mentre sul vetro iniziavano ad intravedersi delle crepe. Il principe esultò tra sé mentre la solidità del vetro perdeva consistenza accompagnato da scricchiolii che si unirono al suono della pioggia. Alla fine la finestra cedette e le schegge di vetro si dispersero, in uno scroscio tintinnante, sul pavimento incrostato di sporco e polvere. Kibum fu abbastanza veloce da creare uno scudo intorno a sé per evitare di esserne travolto così, quando ritrasse le mani, le uniche tracce della sua impresa erano dei piccoli tagli vermigli sulle punte delle dita. Subito l’aria fredda dell’esterno investì la stanza portando con sé gli spruzzi della pioggia torrenziale che bagnava la città di Seungil.
Kibum valutò la situazione del pergolato e avvertì dei brividi percorrergli la schiena, alla fine allungò una gamba all’esterno e si fletté in avanti per farsi strada nello spazio ristretto. Intanto, dei passi giunsero dalla stanza a fianco seguiti dal rumore tetro della serratura. Il principe sussultò e, proprio in quel momento, la porta s’aprì per far entrare Kyuhyun.
-Cosa state combinando? Cos’era quel rumore? – domandò il cavaliere, irritato.
 Kibum sgranò gli occhi e Kyuhyun sbatté le palpebre più volte prima di rendersi conto della gravità della situazione e, non appena lo fece, impallidì.
-Cosa state facendo? – domandò con un misto di terrore ed astio nella voce.
Kibum deglutì e scivolò più veloce che poté fuori dalla finestra, mentre l’altro procedeva a grandi falcate verso di lui. La pioggia sul viso e le folate di vento lo investirono di una sensazione di libertà che tuttavia durò poco, perché si sentì afferrare per la caviglia.
-Yah! – urlò dimenandosi.
-Aish tornate qui! – fece l’altro fuori di sé.
-Lasciami! Lasciami! –
Kibum si divincolò con tutte le forza ritrovandosi scomposto sulle tegole sgangherate e scivolose, finché non riuscì a liberarsi della stretta dell’altro.
-Dove pensate di andare? –
-Lontano da qui! – gli urlò di rimando.
Kyuhyun sbatté i palmi delle mani sulla parete interna della stanza e dei calcinacci caddero dal soffitto e il tetto sgangherato oscillò. Quella catapecchia era ridotta al punto tale che era un miracolo che fosse ancora in piedi. Il principe deglutì e si spostò strisciando, mentre delle tegole franavano a terra per essere inghiottite delle pozzanghere fangose che chiazzavano il vicolo.
-Vi romperete l’osso del collo! Tornate dentro, subito! Aish siete un gatto selvatico, non vorrei essere nei panni di Lord Heechul quando dovrà domarvi! –
Kibum avvertì la rabbia montargli in petto, digrignò i denti e soffiò.
-Allora torna a Busan e digli di togliersi il disturbo –, gridò tra una folata di vento e l’altra.
Ormai Kibum era fradicio, gli abiti gli aderivano al copro così come i capelli alla fronte. Procedette a quattro zampe e a tentoni sul tetto traballante, totalmente indeciso su dove muoversi perché a quel punto, doveva ammetterlo, che non ne aveva la più pallida idea. Allungò il collo oltre la grondai in cerca di una via d’uscita.
Potrei saltare, pensò mordendosi il labbro.
Era folle, si sarebbe schiantato al suolo e rotto in mille pezzi. Il suo piano, dopotutto non era così fantastico e quei cinque metri che lo separavano dal suolo non uno scherzo. Certo, se l’altro non l’avesse interrotto nel bel mezzo della fuga avrebbe potuto prendersi qualche minuto per ponderare più attentamente la situazione.
-Per quanto sembriate un gatto non lo siete, non cadrete sui vostri piedi e ci sono cinque metri sotto di voi! –, disse Kyuhyun con un moto di soddisfazione nella voce.
Kibum lo ignorò, stizzito, pensava fosse stupido? Mosse un altro passo e con sgomento percepì la sua base d’appoggio sparire sotto di lui. Perse così l’equilibrio e rotolò sul tetto finché non incontrò il vuoto.
Morirò, pensò, ora mi schianterò a terra!
Ma ciò non avvenne. Prima che se ne rendesse conto atterò su un morbido quanto sudicio ammasso di coperte. Kibum sbatté le palpebre cercando di fare mente locale. Cos’era successo? Si guardò intorno, non si era sbagliato quelle erano davvero coperte sudicie abbandonate lungo il vicolo, coperte che realizzò essere identiche a quella che aveva in stanza. Era un inspiegabile colpo di fortuna, per non dire un miracolo, tuttavia osservò disgustato quelle putride coperte gli avevano appena salvato il collo.
Kibum scivolò giù dall’ammasso di stoffa e posò a terra, il più delicatamente possibile, il piede infortunato. Purtroppo una fitta gli attraversò subito la caviglia, ma doveva imporsi d’ignorare il dolore. Infatti, Kyuhyun non aveva perso tempo e dopo aver percorso disperatamente le scale interne dell’edificio, probabilmente al semplice pensiero del suo lord adirato, apparve davanti a lui sorridendo vittorioso, convinto che per il principe non vi fosse più via di fuga.
Del tutto incoscientemente dimentico del dolore, Kibum corse lungo il vicolo senza avere la più pallida idea di dove fosse diretto. L’importante era lasciarsi l’altro alle spalle. Corse zigzagando tra i vicoli simili ad un immenso, quanto sudicio, stretto labirinto delimitato da pareti sbiadite e traballanti catapecchie di legno. La pioggia tamburellava sui tetti, scrosciava sull’acciottolato e cadeva su di lui e la città apparentemente deserta. Era come essere in un incubo, una corsa disperata che poteva portare solo ad un precipizio o ad un’alta parete senza via d’uscita. Era fradicio, infreddolito e la caviglia stava per cedere. Ansimate, appoggiò la schiena ad un muro portandosi la mano al petto ed alzando gli occhi al cielo. Non ce la faceva più. Forse era stato davvero troppo ottimista e fu solo il pensiero di Jonghyun che gli permise di riprendere quella che, ormai, era una corsa lenta e claudicante. Tuttavia non fece molto strada perché, nonostante le strade fossero deserte a causa del tempo, Kibum andò a sbattere contrò qualcuno. Chi poteva mai essere così sciocco, a parte lui, d’aggirarsi con un acquazzone simile?
Il principe sussultò e tremò stringendosi nelle spalle, ma quando alzò gli per incontrare il volto della persona che aveva urtato sgranò gli occhi ed il suo cuore perse un battito. No, non era possibile, doveva essere per forza un sogno oppure la sua caduta dal tetto doveva essere stata più rovinosa del previsto ed era semplicemente morto. Probabilmente il suo corpo reale giaceva scomposto ed esanime tra la pioggia, il fango ed il suo stesso sangue che s’allargava in una pozza vermiglia intorno a lui. Fosse stato così avrebbe potuto ridere di gusto al solo pensiero di un Kyuhyun disperato e con le mani tra i capelli. Che cos’avrebbe mai potuto portare al suo lord se non un’inutile bambola di stracci?
-Jinki – disse infine, il cuore che aveva ripreso a battere all’impazzata.
Sono vivo, dunque, pensò.
Non poteva davvero crederci, e dietro il più grande c’era anche Minho. Entrambi lo guardavano sconvolti, quasi avessero di fronte un fantasma. Improvvisamente, l’attenzione di Jinki corrugò la fronte indurendo il volto e, con un movimento repentino, afferrò il polso del principe facendolo ruotare su sé stesso per bloccarlo da dietro. Kibum emise un singulto di sorpresa vedendo un bagliore metallico lampeggiargli davanti e posarsi freddo e tagliente sulla sua gola.
-Non dire nulla e assecondami – gli sussurrò Jinki all’orecchio, mentre Minho sguainava la spada.
Kibum annuì. Qualunque cosa avesse in mente Jinki sarebbe stato al gioco.
-Di nuovo quel tizio – osservò Minho.
Kibum guardò innanzi a sé e notò che Kyuhyun l’aveva ormai raggiunto.
-Riconsegnatemelo subito! – disse Kyuhyun.
Minho strinse con forza l’elsa della spada.
-Mi ricordo di te – aggiunse il cavaliere accennando a Minho. – Fate parte di quei banditi, non è così?-
Minho digrignò i denti. Banditi, che odiosa parola, lui come tutti gli altri Ribelli non la sopportava e la stessa l’espressione rabbiosa del Leader faceva ben intendere cosa pensava di quel termine. Repulsione, pura repulsione.
-Personalmente preferisco definirci Ribelli –, disse il Leader in un sogghignò ed enfatizzando le proprie parole premendo con più forza lama del pugnale sul collo del principe.
Kibum tentò di divincolarsi, se doveva stare al gioco tanto valeva farlo bene.
Kyuhyun proruppe in una risata. – Quanta arroganza in un manipolo di plebei senza speranze. –
Jinki gli rivolse un sguardo glaciale.
Il cavaliere si avvicinò cautamente facendo scorrere lo sguardo sui tre, per poi focalizzare la propria attenzione su Kibum.
-Vedete in che situazione vi siete messo, vostra maestà? -, scosse il capo. – Avreste dovuto rimanere a palazzo, a Soul, le strade non sono un luogo adatto all’erede al trono. –
Alle parole del cavaliere Kibum ebbe un tuffo al cuore e sentì Jinki irrigidirsi stringendolo con più forza. Allo stesso tempo ringraziò mentalmente l’assenza di Jonghyun altrimenti il mondo, che aveva appena iniziato a riprendere consistenza e colore intorno a lui, gli sarebbe crollato addosso. Non ebbe modo di constatare la reazione di Minho che, tutto sommato, era il minore dei problemi in quel momento. Jinki fissò Kyuhyun con pure astio.
Kyuhyun sogghignò, troppo sciocco per essere consapevole di ciò che aveva risvegliato.
-Avanti, riconsegnatemi il principe Kim Kibum, questo gioco è troppo pericoloso per voi. Dopotutto cosa siete? Ladri, banditi…una volta arrestati vi aspetterebbero i lavori forzati, forse per qualcuno di voi la forca, ma se torcete un capello a sua grazia vi assicuro che potreste ritrovarvi ad invocare la morte. Il mio padrone è molto potente, potrebbe inviare il suo esercito e stanarvi tutti come topi. –
Una risata quasi sadica sovrastò lo scrosciare della pioggia e Kibum rabbrividì, ma non per il freddo. Jinki gli faceva improvvisamente molta paura e non dovette fingere di tentare di divincolarsi, perché scattò come una molla innescata dall’istinto di sopravvivenza.  
-E perché dovrei? – domandò Jinki. – Non capita tutti i giorni di avere una tale fortuna. È da mesi che gli diamo la caccia e ci è già sfuggito una volta, non penserai che intenda riconsegnatelo ora che mi è praticamente caduto tra le braccia? –
Kyuhyun non desistette. – State puntando troppo in alto, fossi in voi mi limiterei ad assalire le carrozze dei nobili stando bene attenti a quali scegliere. -
Jinki sogghignò. – Non credo, da tempo desideriamo mandare un messaggio forte è chiaro a Soul e questa è certamente una fortuita occasione. –
Kyuhyun inarcò un sopracciglio trattenendo una risata. – E’ impressionante quanto vi sopravvalutiate. –
-Davvero? – fece Jinki sorridendo astuto. – Siete certi di non essere voi a sottovalutarci? – domandò sibillino.
Kyuhyun ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi perché si ritrovò a scalciare e fluttuare nel vuoto.
-C-cosa? –
Kibum aprì la bocca sorpreso. Jinki stava usando la sua telecinesi ed il principe era molto curioso di sapere cos’avrebbe fatto, ora.
-Allora? – domandò Jinki, - i tuoi padroni sono davvero certi di sapere con chi hanno a che fare? –
-Chi siete? – domandò l’altro in preda al panico.
Il sorriso sadico che si dipinse sul volto di Jinki non promise nulla di buono. Il Leader dei Ribelli si chinò nuovamente per sussurrare all’orecchio del principe.
-Vostra altezza, permettete? –, domandò prima di stringerlo saldamente per le spalle e spingerlo.
Kibum barcollò rischiando d’inciampare sui suo stessi piedi quando sentì le braccia di Minho sorreggerlo.  
-Minhossi tienilo, non voglio correre il rischio che ci sfugga di nuovo. –
Jinki incrociò le braccia, fletté leggermente l’indice ed il cavaliere si ritrovò a penzolare a testa in giù, il volto all’altezza di quello del Leader dei Ribelli.
-Vuoi sapere chi siamo? – sussurrò Jinki.
Kyuhyun scalciò a mezz’aria, i piedi fluttuanti sul suo capo ed il volto arrossato per la pressione del sangue.
-Siamo gli ultimi eredi di una famiglia bruciate nelle fiamme e consegnata all’oblio. Dillo ai tuoi padroni, riferisci pure loro che i Lee sono risorti dalla ceneri di Gwangmyeong[1] e che questa è la nostra vendetta, per noi e per Chosun, che può essere ripagata solo con il sangue dell’imperatore. –
La voce di Jinki uscì tetra e minacciosa dalla sua labbra ed il ragazzo strinse i pugni. Forse stava davvero tentando un colpo di testa più grande di lui, mettendo a repentaglio anni di segretezza, ma Lee Jinki sapeva che, ormai, era giunto il momento di mostrare il vero volto dei Ribelli. Voleva che l’imperatore sapesse, che il terrore lo tenesse sveglio la notte e gli incubi lo assalissero, proprio come le fiamme funeste che avevano avvolto la grande dimora dei Lee tormentavano ancora Jinki ogni notte, insieme alle grida della sua famiglia bruciata viva dall’ambizione di quell’uomo abietto.
Ad un gesto della sua mano, il cavaliere oscillò nell’aria in un grido di terrore prima di essere catapultato a terra.
Kyuhyun si rialzò a fatica, ansimante e spaventato da un nemico contro il quale non poteva competere. Guardò i presenti insistendo su Kibum, indeciso se fuggire a gambe levate o riprendersi il principe. Tuttavia non ebbe il tempo di giungere ad una decisione, perché fu Jinki a farlo per lui sollevando con il pensiero un’asse si legno abbandonata lungo la strada e colpendolo in testa. Kyuhyun crollò a terra roteando gli occhi ed afflosciandosi come una bambola.
-E’-è vivo? – domandò Kibum titubante.
Jinki si avvicinò al corpo esanime del cavaliere e gli tasto il polso. – Sì, dormirà per un po'. –
-Prima o poi questo tizio si stancherà di risvegliarsi in un vicolo con una botta in testa -, osservò Minho.
-Io non ci conterei troppo – fece Kibum.
-Kibum – disse Jinki avvicinandosi a lui.
Kibum sorrise e l’altro lo abbracciò. – E’ bello rivederti. –
Il principe avrebbe voluto piangere. Era davvero salvo con Jinki, Minho e presto tra le braccia di Jonghyun.
-Anche per me, hyung. Avevo molta paura -, disse guardandolo negli occhi. 
Jinki annuì dolcemente. – Lo so. –
Jinki rammentava troppo bene il terrore che Kibum aveva dimostrato alla prospettiva di tornare a Soul. Lo abbracciò di nuovo. Finalmente era libero, si sentiva stanco, spossato dall’adrenalina e dall’apprensione che aveva dovuto celare sotto uno spesso strato di ghiaccio. Ma ora era finita. E per la prima volta dopo giorni riuscì unicamente a pensare che il suo amico era sano e salvo. Gli accarezzò il capo con affetto e, dal modo in cui l’altro lo strinse, capì che Kibum era animato dai suoi stessi sentimenti.
-Come stai? La caviglia? –, domandò osservando che non appoggiava un piede a terra.
-Slogata – rispose semplicemente Kibum.
-Minho, prendilo. –
-Hyung posso camminare – protestò.
-Anche correre da quanto ho visto, ma ti sei sforzato troppo. –
Kibum annuì titubante spostando poi la propria attenzione su Minho. Il ragazzo era serio e perplesso al contempo e, per qualche secondo, si squadrano con un misto d’imbarazzo e curiosità, alla fine Minho si chinò per farlo salire in groppa.
-Come avete fatto a trovarmi e dove sono gli altri? Jonghyun sta bene? –
-Calma, calma – disse Jinki ridendo. – C’è tutto il tempo per parlare, ma non qui sotto la pioggia. –
-Ma Jonghyun sta bene? – insistette Kibum.
- Starà bene quando ti rivedrà. –
La gioia esplose nel petto di Kibum. Era davvero tutto finito e presto avrebbe rispettato la sua promessa. Sorrise appoggiando il mento sulla spalla di Minho.
 
 
***
 
L’Orchidea Blu era una locanda lussuosa, una pagoda che si sviluppava su tre piani inframmezzati da tetti spioventi dalle tegole in ardesia laccate di un blu intenso, mentre ai cornicioni erano state riservate vivaci decorazioni verdi e rosse. Sorgeva in uno dei quartieri più rinomati di Seungil, cittadina famosa per il transito dei ricchi mercanti che percorrevano la via sud in direzioni di Busan. I gradini d’ingresso erano sempre perfettamente lucidati e delle lanterne pendevano dal pergolato illuminando la porta scorrevole il cui tessuto, intelaiato in sottili listelli di legno scuro, ospitava ricami d’orchidee e gigli. Tutti conoscevano L’Orchidea Blu ma a nessuno era concesso entrarvi e, benché fosse costantemente vuota, la donna che la gestiva sosteneva fosse sempre al completo. Per quanto la cosa destasse curiosità e perplessità, nessuno s’arrischiava a fare domande, d’altra parte il lusso che s’intravedeva all’interno era tale per cui l’intera faccenda poteva essere giustificata solo dal capriccio di qualche nobile annoiato.
Kim Jonghyun era seduto su un cuscino e, corrucciato, emetteva a scadenza irregolare sospiri frustrati. Lo scrosciare della pioggia faceva da sottofondo al senso di solitudine che lo attanagliava, mentre il silenzio che fluttuava nell’edificio non faceva che acuirlo. La locanda era silenziosa e vuota se non fosse stato per i mobili pregiati che ne adornavano ogni angolo. Jonghyun lanciò un’occhiata pensosa al vassoio di legno abbandonato vicino a lui, sul quale erano riposti dei piccoli dolcetti di riso ed una tazza di tè un tempo fumante. Gli occhi gli pizzicarono e fu subito costretto ad allontanare lo sguardo stringendo le mani sul tessuto dei pantaloni.
Key li avrebbe mangiati subito, pensò tra sé guardando i dolcetti.
Si prese il capo tra le mani. Ogni cosa, anche la più sciocca, gli rammentava il piccolo e l’ennesimo sospirò fuoriuscì dalle sue labbra.
Quando quella mattina avevano raggiunto Seungil e Jinki aveva comunicato che si sarebbero fermati lì per l’intera giornata, Jonghyun non era riuscito a credere alle proprie orecchie.
-Cosa? – aveva domandato con orrore. Come potevano perdere l’intera giornata quando il suo Key era solo, spaventato e probabilmente alla disperata ricerca di un calore che solo lui poteva donargli? No, non poteva accettarlo, la rabbia e la frustrazione l’avevano subito assalito.
-Non possiamo perdere una giornata! – aveva urlato.
Jinki l’aveva guardato duramente. – E’ inutile proseguire-, aveva sentenziato. – Il tempo…-
-E’ solo un po' di pioggia! –
-Hyung, è un acquazzone -, aveva cercato di farlo rinsavire Minho.
-Se ci fermiamo…-
-Non andrà lontano, Jonghyun, può essere al massimo un giorno avanti a noi, giorno che passerà sicuramente al chiuso. Viaggiare con questo tempo non è possibile. –
-Hyung!! – aveva insistito Jonghyun, le mani strette a pugno.
-E’ la mia ultima parola, Jonghyun. Io e MInho faremo un giro per la città in cerca d’informazioni. –
-Vengo con voi.-
-No -, l’aveva rimbeccato il Leader mettendo una mano avanti. – Sei troppo agitato. Riposati, noi torneremo in serata e speriamo con buone notizie. –
Così, nonostante le resistenze, Jonghyun era stato costretto a rimanere all’ Orchidea Blu. Quel posto era inquietante, assurdamente silenzioso, vuoto e colmo di oggetti preziosi, ma d’altra parte era stato Jinki a condurli lì, chiaro segno che doveva esserci qualcosa di losco sotto. Anche perché il Leader si era premurato di rassicurarlo sul fatto che era totalmente sicuro.
-Nessuno ci troverà mai qui –, aveva detto.
Come Jonghyun non ne aveva idea, dato che l’edifico era ben visibile e posto lungo una delle arterie principali di Seungil.
Jonghyun allungò una mano verso la tazza di tè trovandola gelata come sospettava, ma gli bastò appellarsi alla sua abilità perché un caldo tempore s’alzasse dal suo contenuto verde oro. Stava per portarsela alle labbra quando dei rumori all’ingresso lo distrassero. Non potevano che essere Jinki e Minho, dopotutto chi altri metteva piede lì dentro?
Il ragazzo era combattuto se rimanere lì in attesa o andare loro incontro, timoroso però di ricevere cattive notizio o, peggio, di non riceverne nessuna. Alla fine rimase lì, la tazza tra le mani e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie fisse sul suo riflesso acquoso sulla superficie del tè. Solo quando i passi degli altri due si fecero più vicini alzò il capo, pronto a porre la fatidica domanda, in attesa di una risposta capace di fargli palpitare il cuore o di trascinarlo nella più completa disperazione.
Non posso vivere un altro giorno senza te, pensò.
Tuttavia, quando i suoi occhi grandi s’alzarono ciò che vide gli seccò la lingua, la tazza rovinò a terra riversando il suo contenuto sul legno lucido. Fu un attimo ed i colori tornarono a baluginare intorno a lui vividi come non mai, il sangue ritrovò calore scorrendo impetuoso nelle sue vene sino ad animare un cuore che per giorni era rimasto inerte. Era un sogno? Il frutto della sua mente turbata che gli giocava scherzi tanto reali quanto meschini?
-Jong – fece la voce flebile di Key.  
Bastò quella semplice parola per infrangere la maledizione, il suo nome pronunciato dalla persona che amava, e Jonghyun boccheggiò. Non seppe come e quando colmò la distanza che ancora li separava, solo che un attimo prima si sentiva vuoto e quello dopo stringeva il più piccolo tra le braccia.
-Key- disse prendendogli il volto tra le mani. Finalmente rivedeva quegli occhi felini, quel naso tenero, le labbra a cuore, gli zigomi alti e i tratti delicati. Era reale ed era lui, fradicio, infreddolito ma sorridente.
-Perdonami – singhiozzò Kibum. –Ti avevo promesso che sarei tornato. –
-L’hai fatto – disse Jonghyun, non credendo ancora di poterlo stringere di nuovo a sé.
-Ti ho fatto aspettare. –
Prima che se ne rendesse conto la bocca di Key era sulla sua e lo baciava con una passione inaspettata. Jonghyun sbarrò gli occhi e fu certo di stare arrossendo, lui Kim Jonghyun! Ma come non poteva di fronte al quel bacio appassionato che l’altro gli stava donando totalmente dimentico della presenza degli altri? Il ragazzo chiuse gli occhi. Jonghyun aveva bisogno di avere una prova tangibile che fosse reale e non un sogno. Il suo sangue doveva tornare a scorrere, il cuore a battere, aveva bisogno di vita, una vita che solo le labbra di Key sulle sue gli potevano dare. Lo lasciò fare, che fosse l’altro a baciarlo mentre lui godeva di quelle labbra a cuore che giocavano con le sue, di quelle mani sottili che affondavano tra i suoi capelli e gli accarezzavano il volto. Poteva sentire in quel bacio quanto fosse mancato all’altro, quanto fosse urgente il bisogno di ritrovarsi. Quando si staccarono Kibum era rosso in viso, gli occhi luccicanti. Jonghyun gli prese il volto tra le mani baciandolo tra la chioma corvina.
-Perdonami tu – disse, - il vento si è alzato e io non sono riuscito a tenerti abbastanza stretto. –
Jonghyun accarezzò le mani gelide di Key e ne baciò i polpastrelli sporchi di sangue. Scosso da singhiozzio, Kibum affondò il viso nel petto dell’altro e Jonghyun lo strinse più forte, scaldandolo. Invaso da un piacevole tepore, il principe sorrise sentendosi finalmente a casa.
 
 
Fosse stato per Jonghyun sarebbe rimasto abbracciato all’altro all’infinito, cristallizzati in un tempo intoccato dallo scorrere delle stagioni, degli anni; che scivolassero via anche i secoli, non gl’importava. Lui e Key erano sempre vissuti in un tempo diverso, in quell’universo alternativo che apparteneva unicamente a loro, eternamente indecisi se essere pianeti o satelliti l’uno per l’altro. Ciò che era certo era che entrambi brillavano di luce propria, ma avevano bisogno di quella dell’altro per sopravvivere.
Tuttavia, Jonghyun era stato costretto a piegarsi al fato e vedersi strappare Key nuovamente dalle braccia. La proprietaria della locanda, una signora paffuta, aveva trascinato via Key non appena l’aveva visto sgocciolare sul pavimento lindo.
-Oh povero caro! - aveva detto abbracciando il ragazzo con aria materna e stropicciandogli il viso, -tutto fradicio e tremante! Ora ci penserà questa halmeoni a farti fare un bagno caldo e a darti abiti puliti. Povero caro! E dopo metteremo un po' di ciccia su quelle ossa, puoi starne certo! –
Così, Key era sparito lasciando dietro di sé solo il profumo della pioggia e macchie bagnate sul pavimento.
Tutto sommato, benché innervosito, Jonghyun era consapevole che in quelle condizione Key si sarebbe sicuramente preso un malanno.
Ma poi penserò io a lui, si era detto tra sé.
Ora, davanti ad un lungo tavolo basso colmo di leccornie pronte a soddisfare il suo stomaco in subbuglio da giorni, attendeva insieme a Jinki e a Minho l’arrivo di Key per fiondarsi sul buffet. Seduto sul suo cuscino foderato di seta rossa, tamburellò impaziente le dita sul tavolo, umettandosi le labbra osservando i piatti, in pregiata ceramica luccicante, straripanti di cibo. Aveva l’acquolina in bocca.
Un profumo dolce stuzzicò improvvisamente le sue narici rivelando la presenza del più piccolo che, sorridente, si sedette al suo fianco. Key indossava un abito tradizionale bianco e azzurro dai sottili ricami dorati ed il suo volto aveva ripreso colore grazie agli effetti del bagno caldo, donando alle sue gote una tenue tonalità rosata. Gli occhi di Jonghyun luccicarono, ormai totalmente dimentico del cibo che sino a poco prima l’aveva tanto allettato.
-Mangiamo – disse Jinki sfregandosi le mani.
-Hai fame? – chiese Jonghyun a Key dopo avergli schioccato un bacio sulla guancia.
Kibum sorrise e annuì facendo oscillare le ciocche corvine sulla sua fronte nivea. – Penso di non aver mai avuto così fame in vita mia. –
Alle parole del più piccolo il sorriso di Jonghyun s’allargò e riempì subito un piatto per l’altro, poi l’osservò mangiare con gusto, concedendosi il piacere di accarezzargli teneramente il capo e la schiena. Soffocò una risata quando Key alzò il capo dal piatto ormai vuoto, non capacitandosi della velocità con la quale l’aveva svuotato.
-Hai ancora fame? – chiese divertito.
Kibum arrossì. Era vergognoso ingozzarsi in quel modo, ma cosa poteva farci? Stava morendo di fame! Quel pazzo di Kyuhyun gli aveva fatto fare la fame negli ultimi giorni. Scosse il capo, fosse stato rapito da briganti probabilmente l’avrebbero trattato meglio. In tutti quei giorni orribili passanti in compagnia del cavaliere, solo un pensiero l’aveva reso ilare all’idea di giungere a Busan: spiattellare tutto ad Heechul. Certo, forse era un po' sadico da parte sua, ma era stato l’unico pensiero positivo che la sua mente era riuscita ad elaborare.
Jonghyun gli mise subito altro cibo nel piatto.
-Come va, cari? – domandò la proprietaria paffuta, posando sul tavolo nuove portate.
Jinki annuì con un grosso boccone di riso in bocca.
-E’ tutto buonissimo, halmeoni. –
-E tu, caro? – domandò la donna direttamente a Kibum, - stai mettendo un po' di ciccia su quelle ossa? Vuoi dei dolcetti? –
-Kamsahamnida, halmeoni, kamsahamnida! – fece Kibum con la bocca piena.
Jonghyun non poté fare a meno di osservare che tutti si erano avventati famelicamente sui piatti. L’ansia che avevano accumulato negli ultimi giorni stava lentamente scivolando via e tutti i loro sforzi, ora, sembravano concentrati sul riempirsi gli stomaci. Per contro, quella sera lui era il più composto, ma dall’altra parte era troppo occupato a godersi la scena di Key che mangiava con gusto.
Il resto della cena fu consumato in un clima piacevole e rilassato, alla fine avevano tutti la pancia piena sino a scoppiare. Kibum era certo di non aver mai mangiato così tanto e quando fu servito del caldo tè verde lo bevve con piacere. Era assonato e a stento represse uno sbadiglio, ma prima di dormire c’erano delle domande che desiderava porre a Jinki o, nonostante la stanchezza, sarebbe stato impossibile per lui chiudere gli occhi in tutta tranquillità.
-Hyung, siamo al sicuro qui, vero? –
-Non devi preoccuparti, questo posto è più che sicuro. –
-Ne sei certo, hyung? – domandò Jonghyun sospettoso. –Siamo in pieno centro e questo posto non passa inosservato. –
-Potete stare tranquilli, vedete – fece Jinki allargando le braccia ad indicare la sala lussuoso, - questo posto è mio.–
-Tuo? – chiese Minho sbarrando gli occhi.
Jinki annuì soddisfatto. – Una sorta di quartier generale fuori sede, possiamo chiamarlo così. –
-E quella signora, allora? – s’incuriosì Minho grattandosi il capo.
-Era la nutrice mia e di Minnie – rispose l’altro con un moto d’affetto nella voce.
Minho era abbastanza confuso o meglio, si sentiva letteralmente sottosopra. Certo, conoscendo Jinki c’era poco da stupirsi per le sue rivelazioni estemporanee, ma doveva ancora riprendersi da quanto aveva scoperto ore addietro. I suoi occhi si spostarono d’istinto su Key, anzi no, su Kim Kibum principe ereditario di Chosun. Il principe era concentrato sul suo tè, mentre Jonghyun continuava ad accarezzargli il capo con dolcezza come se fosse un cucciolo ferito. Non poté fare a meno di domandarsi se il suo amico fosse a conoscenza della reale identità del suo ragazzo. Minho ne dubitava, giacché non aveva avuto notizie di terremoti, uragani o tsunami negli ultimi tempi. L’unico cataclisma che avevano rischiato era stato un vulcano in eruzione, ma ne conosceva le cause. Ancora non riusciva a capacitarsi di quella stramba situazione e, soprattutto, non riusciva a far collimare l’idea che aveva del principe con Key. C’erano un mucchio di domande che desiderava porre a Jinki e aveva tutta l’intenzione di farlo nel futuro più prossimo. Sospirò, si sentiva leggermente a disagio.
 
 
***
 
Kibum gattonò sul futon, lisciò la coperta morbida e ravvivò i cuscini, poi guardò in direzione della porta della stanza e soffiò indispettito. Che fine aveva fatto quella testa vuota di Kim Jonghyun? Era stanco e non vedeva loro d’infilarsi sotto le coperte tra le braccia calde dell’altro. Nell’attesa, il principe si guardò intorno. Quella sì che sia chiamava stanza, non quello sgabuzzino mansardato in cui l’aveva scaraventato Kyuhyun! Pareti e pavimento lignei erano tirati a lustro e non un filo di polvere era posato all’intorno. I mobili erano pochi ma raffinati e un’ampia porta scorrevole s’affacciava sul giardino sul retro. Poco distante da lui, su un tavolino basso, una grande lanterna disperdeva una luce ambrata. Kibum volse il capo di scattò quando la porta s’aprì. Jonghyun entrò reggendo un vassoio con dei mochi e una tazza di latte.
-Nel caso ti venga fame durante la notte. Il latte bevilo subito o si raffredderà. -
Kibum si leccò le labbra e prese subito la tazza e un dolcetto.  –Gomawo. –
Jonghyun si sedette al suo fianco e sospirò abbracciandosi le ginocchia con fare pensoso.
-Non posso fare a meno di sentirmi in colpa -, iniziò Jonghyun.
-Per cosa? – domandò Kibum perplesso. Ripose la tazza e fece sparire quanto rimaneva del mochi, riconoscendo nel tono dell’altro un chiaro turbamento. Gattonò più vicino a Jonghyun.
-Non ti ho mai chiesto se tu provassi nostalgia di casa, del tuo palazzo, della tua famiglia, della tua vita. –
Il viso di Kibum si rattristò. – Davvero non sai quello che provo? –
-Qualunque cosa io possa pensare o sapere, o desiderare, voglio sentirlo dalle tue labbra –, disse sfiorandogli il volto con il dorso della mano.
Perché le parole sibilline di Yeouki erano scivolate il lui come veleno e, in esse, vi era stata una verità inequivocabile: sapeva di non fra parte del mondo reale di Key, ma di uno sogno, così come l’altro lo era per lui. Il suo stesso silenzio nascondeva una paura a cui non aveva mai voluto dar voce.
Jonghyun sorrise amaro, guardandolo. –Forse per sentirmi meno egoista. –
Kibum ricambiò il sorriso con altrettanta amarezza. – Se tu sei egoista, io devo essere un mostro e uno sciocco ai tuoi occhi. –
Le parole che Kyuhyun gli aveva rivolto pochi giorni addietro erano ancora vivide nella sua memoria e più ci pensava, più percepiva un fondo di verità. Forse la sua era stata pura ignoranza, ma ciò non significava che non avesse scatenato rancori. Sapeva di avere dato ciò che possedeva per scontato, di aver desiderato che tutti avessero il meglio senza però rendersi davvero conto né di ciò che aveva, né di ciò che agli altri realmente mancava. Aveva desiderato che tutti si svegliassero con il profumo della cioccolata a stuzzicare il palato, senza sapere a molti era negata anche una ciotola di riso.
Jonghyun si rabbuiò. – Perché dici questo, come puoi essere un mostro o uno sciocco? –
Come poteva essere un mostro quando per lui era un angelo ritagliato tra le luci della notte? Per Jonghyun non c’era luce più intensa di quella che brillava negli occhi sottili di Key.
-Non ho mai visto la verità finché un velo non si è squarciato e non l’ho provata sulla mia pelle. Non apprezzare ciò che si ha è forse più meschino che ostentarlo con orgoglio.–
Jonghyun sospirò. Che cosa significavano quelle parole? Key aveva davvero nostalgia di tutte le cose belle dalle quali era stato circondato sin dalla nascita? La sua mano tremò, se era così che senso aveva averlo rivisto se doveva dirgli addio? Perché se tornare tra il marmo, l’oro, la seta avesse reso l’altro felice, lui l’avrebbe lasciato volare via assicurandosi che portasse con sé il suo cuore che gli aveva donato, rendendo così il dolore della perdita meno acuto.
-Se hai nostalgia della tua vita, del tuo palazzo…io non voglio essere una catena per te, Key. Tutto ciò che desidero è il sorriso sul tuo volto e se per donartelo devo rinunciare ad ammirarlo…-
Kibum gli mise delicatamente un dito sulle labbra. – Non dirlo – sussurrò, baciandolo sulla guancia.
-Guardami-, disse poi prendendogli il volto.
Jonghyun ubbidì incontrando gli occhi magnetici dell’altro. Nonostante la dolcezza c’era sempre qualcosa s’imperioso in essi, come nelle sue parole. Donavano amore tanto quanto potevano incutere timore ed imporre rispetto.
- Non è la seta che voglio indossare, ma il calore delle tue mani sulla mia pelle e non è tra il marmo che voglio vivere, ma tra le tue braccia. L’oro luccica, ma è freddo quanto lo era il mio cuore che solo il tuo amore ha saputo sciogliere. Come io abbia potuto vivere senza te per me è un mistero, perché solo tu fai scorrere il sangue nelle mie vene, solo i tuoi baci sono i responsabili del mio respiro. Il tuo amore mi ha salvato da me stesso. –
Kibum fece una pausa per posare delicatamente le labbra su quelle dell’altro. Jonghyun percepì quella dolcezza che fluttuava sempre tra loro ad ogni sguardo, gesto o parola.
-Questi giorni senza te, senza noi-, proseguì Kibum, -sono stati come un galleggiare nel vuoto assoluto mentre tutte le luci si spegnevano, stelle e pianeti scomparivano uno ad uno, come inghiottiti da un buco nero. Non potrei mai vivere così perché tu sei il mio universo, senza te il mio essere perde significato e tutto intorno a me diverrebbe freddo ed estraneo. Non avrei più nulla da spartire con il mondo mortale e preferire la quiete dalla morte al pensiero dell’assenza di te. –
Jonghyun lo strinse a sé baciandogli la fronte. – Non dire così, se la morte ti rapisse io morirei a mia volta. –
-Ecco perché non potrei mai essere il responsabile dello scorrere del mio sangue, benché l’idea di un futuro incatenato al volere di un altro mi terrorizza. Preferirei sopravviverti in una vita infelice, piuttosto che condannarti ad altrettanta infelicità. –
Gli occhi di Jonghyun brillarono e la pura gioia gli esplose in petto. Quelle parole valevano di più delle dichiarazioni che si erano scambiati la notte del Chuseok, perché erano una conferma ed una promessa. Scostò dei capelli dalla fronte dell’altro.
-Ho sognato che un’onda immensa t’inghiottiva, urlavo il tuo nome, allungavo la mia mano ma nulla sembrava poterti trattenere a me. Ho temuto di non vederti mai più. E sai cosa mi spaventava più di qualsiasi altra cosa? –
Kibum scosse il capo. – Cosa? –
-L’idea di accettare impassibile lo sbiadire dei colori sotto la pioggia, lo spegnersi delle luci e tornare ad abituare i miei occhi all’oscurità. Ti avrei dimenticato, come un sogno che perde consistenza al giungere del giorno. Meglio soffrire la tua perdita che accettare una simile sconfitta. - 
-Non avrei mai permesso che accadesse. Ogni notte avrei lasciato fluttuare la mia anima da te per sussurrare i miei sospiri al tuo cuore così, per quanto i nostri corpi desiderassero sfiorarsi senza riuscirci, le nostre anime sarebbero rimaste intrecciate l’una all’altra. –
Kibum sorrise e abbassò lo sguardo. – Lo so, forse sarebbe stato solo il meschino tentativo di illudermi di aver mantenuto una promessa negata dal fato. –
Quando rialzò gli occhi, Kibum sfiorò il naso dell’altro con il proprio e si strinse al suo collo, affondando le dita sottili tra suoi capelli e giocando con essi. Jonghyun deglutì. Gli sembrava di tornare indietro nel tempo, al primo bacio che si erano rubati, perché l’emozione che provava in quel momento era la medesima. Gli occhi felini di Key lo scrutavano intensamente e il suo fiato dolce e caldo gli arrivò dritto in viso.
-Baciami – gli ordinò Kibum in un sussurro.
Jonghyun non attendeva altro e lo baciò con una foga che non si era mai concesso, unendo i loro fiati in un unico respiro e succhiando la lingua del più piccolo come fosse linfa vitale. Le sue mani si posarono sui fianchi dell’altro, stringendolo, e scivolarono sotto gli abiti di Key per incontrale la consistenza sottile di una maglia di seta e, sotto di essa, esplorò la pelle candida sino a risalire all’altezza del petto. Ma c’era troppa passione in quel bacio, in quei tocchi, un desiderio umido che non poteva lasciarli illesi. E Jonghyun capì che quella notte non era lì il suo posto, perché non sarebbe mia riuscito a mettere a tacere la brama intensa che provava d’unirsi all’altro. Lo voleva troppo e con tale consapevolezza s’alzo.
Abbandonato in ginocchio sul futon, il volto arrossato, Kibum osservò l’altro, perplesso.
-Dove vai? – chiese titubante.
-Sei stanco e ancora turbato. Risposati, io sarò nella stanza affianco. –
Kibum gli afferrò il polso. –Aspetta, resta. –
-Non posso. –
Kibum sbatté le palpebre non capacitandosi delle parole dell’altro e mordicchiandosi l’angolo della bocca. Abbassò gli occhi, abbandonando la mano sul futon.
-Perché non mi vuoi con te ora che siamo di nuovo insieme?-
Jonghyun soppesò Key dall’alto in basso interrogandosi su come esprimere ciò che provava in totale sincerità, ma senza che una crepa s’aprisse tra loro. Sospirò.
-Perché ti voglio troppo. Non potrei mai dormire al tuo fianco fingendo di non volerti fare mio. –
-Allora resta, resta e rendimi tuo per sempre. -
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Siate gentili lasciatemi un commentino, mi rendereste molto felice!
Alla prossima!
 
 
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[1] Antichi possedimenti della famiglia Lee. 
   
 
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