The
Christmas Secret
L’inverno
è sempre stato la stagione preferita di Stiles e della
madre. Se chiudeva gli
occhi riusciva ancora a sentire la voce dolce e melodiosa della donna
che gli
raccontava delle avventure di coraggiosi cavalieri che lottavano contro
draghi
feroci. E ricordava soprattutto la cadenza regolare e armoniosa della
solita
ninna nanna che gli cantava sempre prima di andare a dormire. Con gli
occhi
chiusi e con l’odore di freddo che riempiva la stanza da
letto, Stiles stese il
volto in un sorriso beato.
Poi aprì gli occhi e tornò alla realtà.
Si vestì velocemente indossando i vestiti del giorno prima
– non aveva tempo di
lavare o stirare perciò se li sarebbe fatti andare bene
– e sopra indossò la
divisa della piccola locanda in cui lavorava da quando si era
trasferito a
Beacon Hills. Diede una veloce occhiata davanti allo specchio per
sistemarsi
alla meglio il ciuffo ribelle e scese al piano inferiore.
«Papà. Papà.
Papà!». Ashley correva intorno al tavolo mentre
urlava per
attirare l’attenzione del padre e distrarre Jace che stava
cercando di finire i
compiti prima di andare a scuola.
«Ciao amore». Scompigliò i capelli al
figlio con una carezza sulla fronte e poi
prese la bambina in braccio, riempiendola di baci sulla guancia e sul
collo e
facendola ridere a perdifiato.
«Papà!». Jace lo aveva rimproverato
alzando leggermente il tono di voce perciò
Stiles aveva fatto scendere la bambina e, intimandole di stare zitta
portando
l’indice alle labbra, cominciò a preparare la
colazione in silenzio.
«Cavolo». Si schiaffeggiò la fronte
perché, come uno stupido, si era completamente
dimenticato di avvisare Violet di fare da babysitter ai bambini fino a
quando
non sarebbe tornato lui a casa. Prese il telefono dalla tasca dei jeans
e cercò
il numero.
«Maledizione», imprecò ancora una volta
quando scattò la segreteria telefonica.
A Stiles non rimaneva altro che lasciarle un messaggio vocale sperando
che
fosse libera.
«Andiamo, bambini! A scuola». Aveva sparecchiato la
tavola e lasciato le
stoviglie a mollo nel lavandino, promettendosi di lavarle quella sera
prima di
andare a dormire.
«Mi raccomando. Finita la scuola aspetti tua sorella e poi
tornate subito a
casa, chiaro? Violet vi aspetterà». Il buffetto
sulla guancia infastidì Jace
che si ritrasse dalle carezze del padre e scese velocemente i tre
gradini che
separavano la veranda dal giardino.
«Subito a casa». Gli confermò la piccola
mentre lasciava che il padre le
tirasse su la zip della giacca e le mettesse la sciarpa intorno al
collo.
«Andiamo, principessa».
Stiles amava la sua macchina, la amava veramente. Però
quando era già in
ritardo e questa non si decideva a volersi accendere, Stiles
l’avrebbe
distrutta volentieri.
«Arriveremo tardi. Di nuovo». Jace, con la guancia
premuta contro il
finestrino, guardava fuori dalla finestra la loro vicina di casa.
«Secondo me è pazza».
«È la signora-pipistrello». Stiles e
Jace si girarono verso la bambina
guardandola confusi.
«L’ho chiamata così perché ci
spia sempre». I due trattennero a stento una
risata di fronte alla sicurezza di Ashley nel pronunciare tali parole.
«Come i
vampiri».
«I vampiri non spiano nessuno, stupida!».
«Ragazzi!».
Girò nuovamente la chiave e finalmente sentì il
rombo del motore: anche per
quel giorno era riuscito ad accenderla.
«Dovremmo comprarci una macchina nuova».
Indignato Stiles lanciò un’occhiataccia al figlio
dallo specchietto
retrovisore.
«Questa macchina è piena di nostri ricordi,
davvero vuoi abbandonarla?». Anche
la sola idea di portarla da uno sfasciacarrozze gli faceva accapponare
la
pelle. No, quella macchina era importante e non ci avrebbe rinunciato
per
niente al mondo. Cinque mesi prima aveva deciso di prendere in mano le
redini
della sua vita e di trasferirsi a Beacon Hills –
città natale del padre che non
aveva mai conosciuto – e quell’auto era
l’unica cosa che si era portato dietro
e che li ricollegava alla loro vecchia vita.
«Papà, muoviti!». I bambini urlarono
all’unisono e a Stiles non rimase altro
che premere più forte il piede sull’acceleratore.
Arrivarono davanti alla scuola dei due qualche secondo prima del suono
della
campanella, e Jace sospirò sollevato per essere arrivato in
tempo anche quel
giorno. Stiles aspettò di vedere i figli entrare
nell’edificio scolastico e poi
fece dietrofront verso il locale in cui lavorava. Beacon Hills era una
città
piccola in cui tutti si conoscevano tra di loro, ma nonostante questo
durante
il periodo natalizio diventava confusionaria come una metropoli e
trovare un
posto per parcheggiare era impossibile. Perciò, come al
solito, parcheggiò la
macchina nel vialetto di casa e da lì cominciò a
correre verso il lavoro. Qualche
minuto dopo ricevette una chiamata da parte del suo capo che gli
chiedeva dove
fosse.
Il ragazzo aveva smesso di correre e adesso camminava velocemente e a
passo
spedito, esausto e con la gola che gli bruciava a causa del freddo
penetrante
di quella mattina.
«Cinque minuti e arrivo. La macchina non ne voleva sapere di
accendersi».
Concentrato sulla strada da percorrere e sulle scuse da rifilare,
Stiles non
vide un uomo sulla quarantina che, sul marciapiede davanti ad un
negozio, si
stava stiracchiando godendosi i deboli raggi di sole mattutini.
«Fai attenzione, ragazzo». L’uomo scosse
la testa leggermente scocciato per
essere stato quasi investito mentre Stiles si era limitato a una
smorfia di
scuse.
Peter
Hale era una persona un po’ con la testa sulle nuvole, amava
divertirsi,
passare il tempo con gli amici e mangiare ogni mattina le ciambelle
decorate
con salsa zuccherata di Betty. Arrivato alla soglia dei
quarant’anni, con una
figlia di ventitré che viveva con lui e un negozio da
mandare avanti da solo,
aveva deciso di mettere la testa apposto e di godersi la
tranquillità che
Beacon Hills offriva. «Se Malia ti becca a mangiare ti
strappa la testa a
morsi». Fu la risposta di Betty allo sguardo languido e
affamato con cui Peter
fissava la piccola scatola di cartone tra le sue mani.
«Quante sono?».
«Due».
«Bene». Prese la scatola e se la portò
al petto, nascondendola con un lembo
della giacca. «Vado dentro. Così finisco di
mangiare prima che arrivi Malia».
Betty rise e salutò l’uomo con un gesto della mano.
Peter non aveva avuto la fortuna di vedere sua figlia crescere, di
sentirla
pronunciare le prime parole, di minacciare il suo primo ragazzo o di
consolarla
alla prima delusione amorosa. Non aveva mai saputo che la sua avventura
del
college fosse rimasta incinta e che avesse cresciuto fino ai
vent’anni la
ragazza più bella e meravigliosa che Peter avesse mai
incontrato. Un giorno di
due anni prima, mentre lottava contro la serranda del locale rimasta
incastrata, Malia si era presentata con il solito tatto che la
caratterizzava,
sussurrando le parole “Ciao papà” e
facendo venire un preinfarto a Peter che,
una cosa così, non se la aspettava proprio. E da allora non
si erano più
separati.
«Papà!». Peter mandò
giù l’ultimo boccone della seconda ciambella e si
ripulì
la bocca con la manica della maglietta.
«Tesoro di papà». La ragazza lo
guardò dubbiosa e sospirò chiudendo gli occhi,
stanca di ripetere al padre le stesse cose ogni mattina.
«Non devi mangiare dolci, il medico te l’ha detto
chiaramente». Peter alzò gli
occhi al cielo e, spingendola per le spalle, la portò
dall’altra parte del
negozio.
«E non hai nemmeno fatto l’inventario. O ordinato
le decorazioni di Natale di
cui ti avevo parlato due settimane fa». Peter si
tappò le orecchie con i palmi
delle mani, fingendo di non volerla ascoltare.
«E non fare così! In primavera vado al college e
voglio essere sicura che te la
caverai anche senza di me».
Quando la madre della ragazza era morta e lei si era trovata senza
nessuno al
mondo, aveva preso i pochi risparmi che la donna aveva in banca e aveva
comprato un biglietto aereo per Beacon Hills, la piccola
città di cui sapeva il
padre fosse originario. Non si era mai aspettata di incontrare davvero
Peter né
di vivere con lui, ma erano stati separati troppo a lungo e il richiamo
del
sangue che entrambi provavano non poteva essere ignorato.
«Ora lo faccio».
«Ho fatto io. Tu preparati per l’arrivo di
Derek». A causa della nonchalance
con cui lo disse in un primo momento Peter non ci diede peso, e solo
dopo
sembrò aver recepito le parole della giovane.
«Derek?». Ripeté incredulo. Non vedeva
il nipote da quasi un anno e, quando
avevano parlato l’ultima volta, gli aveva detto che era
troppo occupato e non
sarebbe tornato a casa per Natale.
«Sì, Derek». Malia rise della reazione
del padre. Non conosceva bene Derek – e
come avrebbe potuto? – ma Peter le aveva parlato di lui
talmente tante volte
che conosceva anche il più insignificante aneddoto che lo
riguardava.
Derek era stato per Peter il figlio che non aveva avuto, e prima della
partenza
del ragazzo per il college non c’era stato giorno che non
avessero passato
insieme. Talia e suo marito erano spesso fuori per lavoro, e
perciò toccava a
Peter portarlo al parco, aiutarlo con i compiti oppure portarlo agli
allenamenti di baseball. Poi Derek era cresciuto ed era diventato un
po’ più
serio, un po’ come suo padre, e si era dimenticato dei
pomeriggi spaparanzato
sul divano assieme allo zio, della prima volta che gli aveva fatto
assaggiare
la birra e persino di quando gli aveva tenuto la testa per una notte
intera
mentre Derek vomitava quintali di alcool.
«Ha chiamato l’altro giorno e ha detto che sarebbe
arrivato a breve». Però,
anche se Derek era cambiato, l’amore di Peter per il nipote
non era mutato di
una virgola.
Alla
fine del suo turno di lavoro Stiles cercò di riaccendere il
telefono per
chiamare a casa e avvisare che avrebbe ritardato di una
mezz’oretta.
«Maledizione». Il telefono era scarico e lui non
aveva idea di come mettersi in
contatto con la babysitter.
«Al, devo andare. Lo faccio domani
l’inventario». L’uomo aveva scosso la
testa
e, con i pugni chiusi e posati sui fianchi larghi, lo avvisò
che se avesse
ritardato anche solo un’altra volta l’avrebbe
licenziato.
«Non succederà più». Fu la
risposta sbrigativa di Stiles prima di aprire la
porta di vetro e uscire in fretta.
Arrivò in pochi minuti ma, quando vide chi si era appena
chiuso la porta di
casa sua alle spalle, avrebbe voluto fare dietrofront e ritardare
ancora un
po’.
«Stiles!». Si avvicinò a passo lento e
cauto.
«Bella macchina». Il ragazzo aveva infilato le mani
nella giacca per
riscaldarsele.
«Già».
«Ragazzo, sei indietro di due mesi d’affitto e io
ho bisogno di quei soldi».
Stiles sentì il sangue affluirgli al volto e il respiro
farsi più pesante.
«Mi dispiace ma se non mi paghi in massimo tre settimane
sarò costretto a
sfrattarti». Annuì con gli occhi lucidi e il
respiro spezzato.
Rientrato in casa avrebbe voluto prepararsi una camomilla calda e
accovacciarsi
sul divano con una coperta addosso e i figli accanto. Ma
poiché quella giornata
era iniziata male e non poteva che proseguire sempre peggio, era stato
accolto
dalla sua ex fidanzata piuttosto che da Jace e Ashley.
«I
bambini erano soli a casa. Di nuovo. È così che
li cresci, Stiles?». Non lo
aveva nemmeno salutato, accusandolo sin da subito.
«Papà, hai visto! C’è
mamma!». Si abbassò per baciare la guancia della
figlioletta.
«Ho visto, amore».
«Ci ha anche comprato il gelato». Solo dopo che
Jace glielo aveva fatto notare
vide due buste della spesa ricolme.
«Perché non andate in soggiorno e io vi preparo
due coppe di gelato?». I
bambini si erano volatilizzati immediatamente lasciando soli i genitori.
«Non saresti dovuta venire senza avvisare, non ti
è permesso». Non la stava
nemmeno guardando in faccia, tenendosi occupato rimettendo apposto la
spesa.
«Mi ha chiamato Jace. Erano soli. Di nuovo». La
donna lo aveva afferrato per un
braccio, obbligandolo a girarsi verso di lui e a incatenare il suo
sguardo al
suo.
«Che cosa vuoi, Lydia?». Era esasperato e non aveva
voglia di stare dietro ai
suoi capricci.
«I miei figli». Fu la riposta concisa della rossa.
Stiles scoppiò a ridere. Una risata triste e dolorosa.
«Adesso vuoi i tuoi figli? E quando ci hai lasciati da un
giorno all’altro,
prendendo oltretutto tutti i miei soldi, non li volevi?».
«La tua babysitter, quella bambina, non è venuta e
tu non rispondevi al
telefono». Aveva ignorato la sua domanda, replicando e
accusandolo ancora una
volta di non essere un buon padre.
«Sai una cosa, Lydia? Mi hai stancato! Ora tu esci da casa
mia e non ti fai mai
più rivedere». L’aveva presa per un
gomito e l’aveva accompagnata alla porta
cercando di essere il più discreto possibile e non far
insospettire i bambini.
«Non avrai nemmeno una casa in cui vivere. So dello
sfratto».
«Sparisci», ringhiò Stiles spingendola
fuori.
«Non finirà qui, Stiles. Te la farò
pagare!». Quelle furono le ultime parole
che l’uomo sentì prima di allontanarsi e ritornare
in cucina per preparare ai
figli le coppe di gelato.
Quella
sera dopo essersi fatto la doccia Stiles si sentiva spossato da quella
giornata, dai problemi economici che lo affossavano e dalle minacce di
Lydia.
Scostò le coperte pesanti e si alzò dal letto,
prendendo da uno scaffale il
bauletto in miniatura che si portava dietro sin da quando era bambino.
Lo aprì e rimase a lungo a fissarne il contenuto, prendendo
infine un
medaglione d’oro che si rigirò per diverso tempo
tra le mani, lasciandosi
trasportare dai ricordi di quando era piccolo.
∞∞∞
Era
la vigila di Natale e Stiles aspettava impaziente che la madre gli
desse il
permesso per poter aprire i regali.
Aveva nove anni ed era pieno di vita e di speranza.
«E va bene». La donna scosse la testa e
tirò fuori dalla tasca del suo vestito
un piccolo contenitore di velluto nero con sopra un fiocco rosso.
«Era di tuo padre e adesso vorrei che fosse tuo».
Stiles spalancò gli occhi e
prese il regalo incredulo e tremante. Non aveva mai conosciuto il
padre, anche
se Claudia gli parlava spesso di lui, e avere qualcosa di suo lo
emozionava
talmente tanto da non riuscire a trattenere le lacrime di commozione.
«Tuo padre ti amava ancora prima che nascessi». Con
quelle parole impresse
nella mente Stiles aprì la scatola, rimanendo incantato dal
medaglione che vi
era dentro. Lo prese con cura e lo poggiò sul palmo aperto
della mano per
poterlo ammirare meglio. Su un lato vi era disegnato in rilievo un
bellissimo
lupo che sembrava stesse ululando alla luna, mentre
nell’altro lato vi era una
serratura in miniatura.
«È bellissimo». Tirò su con
il naso quando la madre gli allacciò il medaglione
al collo.
«Quando guarderai la luna ricordati che non sarai mai solo,
figlio mio. Io e
tuo padre veglieremo su di te per sempre».
∞∞∞
Stiles
si asciugò gli occhi colmi di lacrime e si
allacciò il medaglione, accarezzando
per l’ennesima volta il disegno in rilievo.
«Avevo bisogno di te, mamma. Perché te ne sei
andata?». Sospirò pesantemente e
ritornò a letto con il cuore un poco più leggero.
Quello che Stiles aveva appena ricordato era stato l’ultimo
Natale passato con
la madre, che poi si era ammalata di demenza ed era morta nel giro di
pochi
mesi. E da allora Stiles era stato sballottato da una casa famiglia
all’altra
fino all’età di diciott’anni, quando si
era finalmente trovato un lavoro per
potersi mantenere da solo e uscire definitivamente dal sistema.
Come
ogni mattina Peter aspettava in piedi davanti al suo negozio
l’arrivo di Betty
e delle ciambelle che tanto amava, e che erano l’unico
strappo alla dieta
ferrea imposta da Malia.
«Consegna speciale per Peter Hale». Le ciambelle
erano davanti al suo volto, ne
percepiva l’odore anche tramite il sacchetto in cui erano
incartate, ma quella
decisamente non era la mano di Betty. Si scostò di lato per
vedere chi potesse
essere tanto peloso, rimanendo a bocca spalancata quando
incrociò gli occhi
verdi del nipote tanto simili ai suoi.
«Derek». Gli prese le ciambelle dalle mani e si
sporse per abbracciarlo,
emozionato di stringere tra le braccia il nipote tanto amato.
«Arrivi e non mi dici niente? Vuoi forse farmi venire un
altro infarto?». Derek
scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
«Un preinfarto non è un infarto, zio».
Rise superandolo ed entrando nel negozio
che, per lungo tempo, aveva considerato casa sua. Inspirò a
fondo, godendosi
l’odore che aveva accompagnato la sua infanzia e adolescenza.
«Derek». La sua attenzione fu catturata dalla
cugina che stava risalendo le
scale dal magazzino. «Sono felicissima di
rivederti». Come prima il padre, anche
Malia alzò le mani in alto per farsi abbracciare dal cugino.
Derek non era un
tipo da coccole, non lo era mai stato e crescendo lo era diventato
sempre meno,
ma alla famiglia non si poteva negare niente perciò strinse
i denti e rispose
all’abbraccio.
«Anche io». Si guardò intorno.
«Questo posto è esattamente come l’ho
lasciato».
«Allora, com’è New York? Dai, Derek, non
farti pregare». Nel frattempo Peter
aveva messo il cartello “chiuso” e Malia lo stava
trascinando in casa al piano
di sopra: uno dei vantaggi di lavorare in quel negozio era avere
all’interno
una scala comunicante con l’appartamento in cui vivevano.
«New York è bella ma non credo ci
ritornerò».
«E come mai?», chiese Malia riempiendo tre
bicchieri di eggnog.
«Mi hanno licenziato». Derek abbassò lo
sguardo e sorseggiò lentamente la
bevanda.
«Perché non rimani qui a darmi una mano con il
negozio? Malia tra poco andrà al
college e ho bisogno di aiuto». Il moro si portò
una mano alla nuca,
grattandosela imbarazzato.
«A dire il vero papà mi ha già
organizzato un colloquio presso un’impresa a Los
Angeles. Non è un lavoro prestigioso come quello che ho
perso, né retribuito
allo stesso modo, ma per il momento dovrebbe andarmi bene».
Peter non
insistette e Derek gliene fu grato.
«Ma ora raccontatemi di voi! È un anno che non ci
vediamo».
«Papà, tu intanto tira fuori le ciambelle. Lo so
che sono nascoste nella
giacca». Peter mise il broncio per essere stato scoperto ma
fece come la figlia
gli aveva detto.
«Voi ve ne dividete una ma l’altra è
tutta mia». Si affrettò a chiarire quando
vide che Malia aveva intenzione di tagliarla in pezzettini
più piccoli.
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Note:
Questa è una AU
natalizia ispirata al film “The Christams Secret”
che, mentre lo guardavo,
vedevo sempre e solo gli Sterek. E beh… non mi sono potuta
trattenere xD
La storia sarà divisa a più capitoli –
credo sei – e spero di concluderla entro
il 30 Dicembre. Spero che questo primo capitolo vi piaccia! Aspetto di
ricevere
il vostro parere!
Ma
voi... il titolo lo vedete con un carattere figo? Perché io
sì ma qualcun altro no (Stranger -.-)
P.s:
Sono tutti umani!
Alina_95
IMPORTANTE:
Guardate Yuri on Ice!!