Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Destyno    10/12/2016    1 recensioni
"Nella notte, la Morte si avvicinò al cespuglio di rose, completamente spoglio, fatta eccezione per un singolo bocciolo di una rosa rossa. La Morte sfiorò il bocciolo con un dito, ma non lo colse. Quasi a malincuore, si avviò verso il luogo dove la Bestia si trovava."
[Partecipa al Contest "Chirstmas Game - Contest di Scrittura", con il Puzzle Natalizio]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Partecipa al Contest "Christmas Game - Contest di Scrittura" (siete ancora in tempo per iscrivervi se volete, dura fino al 6 gennaio e basta cercare il nome dell'evento su Facebook)
Puzzle: Natalizio
Prompt: La Bella e la Bestia!AU
Numero di parole: 2.732


C’era una volta, molti anni fa, o forse non poi così tanti, un principe.
Il Principe era giovane, e, come tutti i giovani, era testardo, arrogante e orgoglioso. Una sera, durante una tormenta, una fata bussò alla sua porta.
Il Principe era giovane, ma non stupido e, ben conoscendo la permalosità e la potente magia delle fate, invitò la Fata nel suo castello.
Ordinò ai suoi servitori di prepararle la camera più bella e sfarzosa di tutte; ai suoi cuochi di cucinare il pasto più gustoso che potessero; e che le fossero dati gli abiti più belli del guardaroba della sua ormai defunta madre, la Regina.
Ma per la Fata questo non era abbastanza.
Si lamentò del materasso duro, e della seta delle lenzuola che pareva ghiaia sulla sua pelle; assaggiò il pasto preparato dai cuochi e ne fu disgustata; e disprezzò gli abiti della regina, dicendo che non erano nulla in confronto alle meravigliose vesti del suo popolo, tessute con sottili fili di luna e brina.
Ed il Principe, profondamente offeso, la insultò e la cacciò fori dal suo castello, in mezzo alla tormenta, condannandola a morte certa.
La Fata, allora, carica di rancore, maledì il Principe con il suo ultimo respiro: egli sarebbe diventato una bestia, orribile allo sguardo e senza più una sembianza di umanità, sarebbe morto al compiere dei suoi ventun anni e nessuna magia sotto il cielo l’avrebbe potuto salvare.
E così, mentre la Fata spirava, il Principe divenne ciò che, in seguito, il popolo del villaggio vicino avrebbe chiamato la Bestia.
I suoi servitori lo abbandonarono, spaventati dal suo aspetto mostruoso, e con lui rimasero solo il suo fedele cane e una giovane serva cieca.
Da quando era stato maledetto, la Morte era diventata una visitatrice abituale del castello. Spesso, però, si metteva semplicemente a passeggiare per il giardino, annusando le rose. A volte, soprattutto durante l’inverno, ne coglieva qualcuna e se la portava via. La Bestia la guardava dalla finestra, una figura ammantata di brezza sempre in ombra.
Ogni tanto la Morte alzava lo sguardo e, la Bestia poteva giurarlo, sorrideva.
 
*
 
Lontano dal castello della Bestia, ai limitari delle Selve, viveva una piccola famiglia di boscaioli.
Un giorno, per sbaglio, il padre abbatté un albero di proprietà della Strega delle Selve e lei, irata, pretese la vita dell’unico figlio del boscaiolo come risarcimento per l’albero perduto.
Ma il boscaiolo non era disposto a far pagare ad un altro le sue colpe, e si offrì spontaneamente alla Strega.
Ella lo uccise. Il suo sangue bagnò il ceppo dell’albero che aveva tagliato, ma l’albero non ricrebbe. La Strega dichiarò che il debito era stato comunque onorato.
La famiglia del boscaiolo all’inizio era inconsolabile, ma la vita va avanti. La donna, ormai la Vedova, sposò un altro uomo, dall’animo buono e gentile.
E la Sorte tornò a sorridere loro; certo non erano ricchi, ma di sicuro non morivano di fame.
Ma, un giorno, i genitori del patrigno bussarono alla loro porta, chiedendo ospitalità: i fratelli dell’uomo, infatti, li avevano cacciati di casa. Stupefatto e incredulo della malvagità dei suoi fratelli, gli aprì la porta e disse di sì.
Presto, tuttavia, fu evidente che i fratelli dell’uomo non erano totalmente in torto; il padre era un uomo sgarbato, acido e violento verso tutti, persino sui suoi nipoti più piccoli, mentre la madre tiranneggiava in casa, pretendendo di essere servita come fosse una regina.
Ma il patrigno era troppo buono per cacciare via di casa i suoi genitori come avevano fatto i suoi fratelli. E così i due anziani resero la loro vita un inferno per due anni.
La Vedova aveva portato in grembo tre figli: i primi due, un maschio ed una femmina, del boscaiolo, ed uno dall’uomo che aveva risposato. Il primogenito, a cui il boscaiolo aveva salvato la vita donando in cambio la propria, decise che ne aveva abbastanza.
Un giorno prese una lanterna, un’accetta e un tozzo di pane e si mise alla ricerca della capanna della Strega delle Selve.
La trovò in fretta, perché le Selve sapevano del suo arrivo e gli sgombrarono la strada fino alla casa su zampe di gallina in cui abitava la Strega.
Ed ella gli aprì la porta.
“Perché sei qui?” gli chiese.
“Voglio diventare tuo apprendista e vendicarmi dei genitori di mio padre”, fu la risposta.
La Strega gli fece cenno di entrare.
E così, dopo due anni, il Mago tornò alla capanna della sua famiglia, solo per trovarla vuota.
E pianse, il Mago, perché il suo desiderio di vendetta aveva oscurato tutto il resto. Pieno di tristezza, tornò dalla sua maestra, e restò con lei finché la Strega delle Selve non ebbe più nulla da insegnargli. Allora egli partì, aiutando gli altri con la sua magia per alleviare il peso del dolore che lo affliggeva.
 
*
 
La Morte non entrava mai fisicamente dentro il castello. Restava lì, nel giardino, ad annusare le rose e a cogliere i fiori ormai secchi.
Solo una volta varcò il grande portone di legno del castello; ed era un gioioso giorno di primavera, ed il cane della Bestia aveva la febbre.
La Bestia era lì, e guardò la Morte che con delicate mani ammantate d’ombra sfiorava la fronte del cane, che improvvisamente balzò in piedi scodinzolando. E allora la Morte si allontanò, ed il cane la seguì. La Bestia non le corse dietro, ma pianse.
E la Serva guardò la Morte e la Morte guardò lei, e la Serva sorrise.
E forse anche la Morte sorrise, ma la Bestia non stava guardando.
Dopo essersi portata via il cane, comunque, la Morte non si fece più vedere per molto tempo.
E poi, in un piovoso giorno d’estate, un nuovo visitatore bussò al cancello del castello della Bestia.
Era il Mago, e la Serva corse a farlo entrare.
“Chi c’è?” tuonò la Bestia, dall’altra parte del castello, ed il Mago sobbalzò dalla paura.
“Un visitatore, padrone”, rispose la Serva. La Bestia arrivò in fretta all’ingresso, e squadrò il Mago da capo a piedi.
“Lei è maledetto”, osservò il Mago, stupito.
“Ma va”, fu la sarcastica risposta, “non lo sapevo. Adesso mi dica cosa ci fa qui o la sbatto fuori”
“Padrone, si ricordi di come è andata l’ultima volta”
La Bestia fulminò la Serva con uno sguardo, ma non disse nulla. Tornò a guardare il Mago.
“Allora?”
“Ho sentito di una maledizione nelle vicinanze”, spiegò il Mago, inclinando la testa, “e volevo venire a spezzarla”
La Bestia ringhiò e si voltò.
“Dunque puoi anche andartene” disse da sopra la spalla, “perché nessuna magia sotto il cielo può salvarmi.”
 
*
 
Il Mago non se ne andò.
All’inizio si perdeva spesso nel castello. Allora chiamava aiuto, e a volte non veniva nessuno, e allora vagava per i corridoi di pietra come un’anima in pena.
Altre volte la Bestia lo trovava e, se era di buon umore, gli indicava la via con un grugnito e poi se ne andava, altrimenti gli ringhiava contro e basta.
Di tanto in tanto vedeva la Morte con la coda dell’occhio, ma non così chiaramente come la Bestia o la Serva. Ma non se ne curava poi molto. Sapeva che non era lì per lui.
Un giorno, mentre vagabondava, trovò la biblioteca.
Era immensa; scaffali e scaffali colmi di libri, molti dei quali dalle copertine rovinate, pieni di polvere e ragnatele.
“Che ci fai qui?” ringhiò una voce ormai conosciuta alle sue spalle.
“Curiosavo un po’”, mormorò il Mago alla Bestia, senza girarsi.
“Non c’è niente di interessante qui”
“Lo vedremo”
La Bestia borbottò qualcosa sottovoce.
“Cosa?” chiese il Mago, girandosi.
“Ho detto”, disse la Bestia, sedendosi su uno dei vecchi tappeti “Dimostramelo.”
Il Mago sorrise.
Passarono tutto il pomeriggio nella biblioteca. Il Mago gli proponeva qualcosa da leggere, ma la Bestia pareva incontentabile. E, alla fine, l’uomo si stancò e decise di leggere da solo. Dopo circa un quarto d’ora, la Bestia parlò di nuovo, e gli chiese se poteva leggergli qualcosa.
Il Mago gli chiese cosa.
E la Bestia rispose che qualsiasi cosa andava bene.
 
La Serva sorrideva più spesso. Era bello avere dei volti nuovi al castello, e sembrava che anche la Bestia fosse più felice.
La Morte, tuttavia, iniziò a farsi più presente durante l’inverno, subito dopo Natale di Nostro Signore. Subito dopo il ventesimo compleanno della Bestia.
Se il Mago se ne accorse, non lo diede certamente a vedere. La Bestia, vedendo la Morte che si mostrava sempre di più nel roseto, all’inizio si chiuse in sé stesso. Ma presto arrivò la primavera, e il Mago insistette per fare una camminata fuori dal castello.
La Bestia acconsentì, mentre la Serva rimase al castello.
La Morte non li seguì, limitandosi a guardarli da lontano, in mano un mazzo di rose rosse.
 
Il Mago si stancò molto prima della Bestia, e allora la Bestia propose qualcosa che non avrebbe mai pensato di dire, e il Mago accettò, saltando in groppa alla Bestia.
E allora la Bestia iniziò a correre, correre così veloce che il Mago pensò che il suo mantello sarebbe volato via. E allora il Mago si aggrappò al ruvido e stopposo pelo marrone della Bestia.
Quando, finalmente si fermarono, erano quasi nelle Selve.
“Hai il pelo pieno di nodi” mormorò il Mago. La Bestia non rispose, seduta sulla nuda terra accanto al Mago. Egli, dopo un istante di silenzio, iniziò a mormorare un piccolo incantesimo, passando le dita nel pelo della Bestia.
“Ti do fastidio?” chiese, preoccupato che la Bestia potesse arrabbiarsi con lui dopo una giornata così bella.
“…no. È… bello” borbottò. Rimase un momento in silenzio, ed il Mago continuò con la sua magia.
“Nessuno mi ha mai… beh, accarezzato così”
“Un peccato” rise il Mago, completando l’incantesimo, “Guarda che bel pelo liscio che hai ora.”
La Bestia sorrise, un sorriso fatto di denti acuminati e zanne, ma il Mago non aveva paura.
“Torniamo indietro.”
 
*
 
Ma la primavera e l’estate passarono troppo in fretta, e presto fu autunno e la Morte varcò nuovamente le soglie del palazzo, e stavolta anche il Mago poteva scorgerla chiaramente.
E così decise di chiedere spiegazioni.
“Non posso parlarti dei segreti del padrone” fu la secca replica della Serva alle domande del Mago, “Quindi se vuoi risposte rivolgiti direttamente a lui.”
Ed il Mago così fece, perché era cocciuto e se voleva una risposta lui la otteneva.
La Bestia non voleva rispondere, quindi non lo fece, e il Mago, anche se testardo, sapeva che non era certamente un argomento facile, così lasciò alla Bestia tempo e spazio.
Ma quando gli alberi persero tutte le loro foglie ed il roseto del castello fu ammantato dalla neve, allora la Bestia parlò.
“La Morte è qui per me”, disse.
La Morte, che ormai lo seguiva come fosse la sua ombra, inclinò la testa sentendo parlare di lei.
“E perché?” incalzò il Mago.
“È parte della mia maledizione”, rispose la Bestia piano, “Morirò al compiere dei ventun anni. Il che vuol dire, tra poco meno di un mese.”
“Oh.”
Il Mago non seppe che aggiungere, quindi guardò la Morte, e lei lo guardò e sorrise sotto l’ombra del cappuccio.
Il Mago voleva dire “mi dispiace”, perché era vero. Non voleva che la Bestia morisse. Ma non disse nulla, così la Bestia si alzò dalla sua poltrona e se ne andò, e la Morte lo seguì a ruota. Poco prima di uscire, la Morte si girò di nuovo e lo guardò per un momento. Poi se ne andò.
Il Mago rimase solo di fronte al fuoco e pianse.
 
*
 
Il giorno prima del compleanno della Bestia fu un giorno triste. Nevicava, ed in un’altra occasione il Mago avrebbe proposto una partita a palle di neve, ma non era proprio il momento.
“Che farai quando-” provò a chiedere alla Serva, ma non riuscì a finire la frase.
“Ci penserò,” rispose la donna, “quando sarà il momento. Non prima.”
Il Mago tacque. Il volto della Serva si addolcì un poco, e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Va’ da lui. Gli farebbe piacere.”
Il Mago tirò su col naso, ma annuì e si alzò in piedi.
“Grazie.”
La Morte emerse non  appena il Mago fu fuori dalla stanza. La Serva si voltò a guardarla.
“Non potresti lasciarlo in pace? Solo per oggi”
La Morte inclinò la testa da una parte, ma annuì.
La donna sorrise.
“Grazie.”
 
“Sei venuto a compatirmi, mago?” ringhiò la Bestia.
Il Mago rabbrividì. Fuori faceva freddo e non aveva pensato di portarsi dietro un mantello.
“A-a dir la verità, no” balbettò “Volevo solo parlarti un pochino”
La Bestia sbuffò, ma poi portò un braccio verso l’esterno.
“Vieni qui,” disse, “starai congelando.”
Il Mago sorrise leggermente e si accoccolò contro la pelliccia calda della Bestia.
“Allora, di che volevi parlarmi?”
L’uomo rimase in silenzio per un momento.
“Ti ricordi la corsa che abbiamo fatto in primavera? Quando siamo arrivati fino alle Selve?” il Mago sospirò quando la Bestia annuì “Ecco. Io vengo da lì. Ero il figlio di due boscaioli. Un giorno, mio padre mancò di rispetto alla Strega delle Selve e morì per salvarmi la vita. Mia madre si risposò e tutto sembrò tornare alla normalità”
Prese un altro respiro profondo.
“Almeno finché non arrivarono i genitori del mio patrigno. Erano terribili. Ci odiavano, tutti quanti, senza esclusione, e pretendevano un rispetto che non davano, e il mio patrigno era troppo buono di cuore, e lasciò che vivessero a casa nostra. Dopo poco tempo non ne potei più e scappai di casa, per cercare la Strega delle Selve e pregandola che mi insegnasse l’arte della magia. Beh,” sorrise, mormorando un incantesimo che fece volteggiare i fiocchi di neve intorno a lui, facendoli brillare di un azzurro brillante, “quella parte mi è riuscita bene.”
E tacque, cercando di raccogliere i pensieri.
“Cosa successe dopo?” chiese la Bestia. Non era una domanda di cortesia. Voleva davvero sapere cosa era successo. Voleva davvero sapere perché adesso il Mago pareva sul punto di piangere.
“Due anni li passai nella casa della Strega. Quando tornai a casa…” soffocò un singhiozzo “… quando tornai a casa non c’era più nessuno. Se ne erano andati tutti, e la casa era vuota. Era come- come se non ci fosse mai vissuto nessuno. E io avevo buttato due anni della mia vita perché ero troppo arrabbiato e- e volevo una vendetta.”
Tirò su col naso.
“Scusa. Io non-”
“Quando avevo dieci anni,” iniziò la Bestia, “i miei genitori morirono, e all’improvviso io mi ritrovai a governare un castello. Ma, alla fine, andò bene.”
Sospirò.
“Ma una notte una fata bussò alla mia porta, un po’ come feci tu. Lei fu sgarbata, ma io non fui da meno, e la gettai fuori, al gelo. Lei mi maledì con questa forma orrenda e mi condannò a morire una volta compiuti ventun anni. E non ci sarà nulla in grado di salvarmi.”
Rimasero in silenzio, guardando i fiocchi di neve cadere.
“Ci sono storie, sai,” mormorò il Mago alla fine, “che dicono che non esiste magia più potente del vero amore”
Si voltò a guardare la Bestia in viso.
“Non c’è nessuno che mi ami.”
A quelle parole il Mago si zittì.
Rimasero insieme a guardare la neve che scendeva, sempre più fitta, finché il Sole non tramontò.
 
Nella notte, la Morte si avvicinò al cespuglio di rose, completamente spoglio, fatta eccezione per un singolo bocciolo di una rosa rossa. La Morte sfiorò il bocciolo con un dito, ma non lo colse. Quasi a malincuore, si avviò verso il luogo dove la Bestia si trovava.
 
La Serva uscì, avvolta in un pesante mantello di lana. Trovò la Bestia ed il Mago seduti sotto un albero spoglio, a guardare la neve che cadeva. Si avvicinò alla Bestia e poi si sedette accanto a lui. Con la coda dell’occhio vide la Morte che avanzava, lentamente, in mezzo ai vorticanti fiocchi di neve.
La Morte poi si mise proprio dietro al Mago, ma lui non se ne curò.
“Mia madre diceva che ero nato proprio durante una tormenta” rise la Bestia.
Il Mago si volse verso la Bestia,  lacrime gelide che gli rigavano il viso.
“Per quel che vale… mi dispiace.”
Lo spinse vicino a sé, e poggiò piano le sue labbra su quelle di lui.
La Morte rise e fu come sentire l’eco dell’universo.
Tutti la guardarono e la videro davvero per la prima volta. Sorrideva, ma sorrideva davvero.
La Morte rise di nuovo.
“Buon Natale.”
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Destyno