Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: SamuelCostaRica    10/12/2016    0 recensioni
Un nuovo mondo.
Antichi nemici.
Ma il mondo è davvero nuovo e i nemici sono davvero antichi o è il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il Colonnello era pieno di botte, che la dottoressa Ruon incominciò a medicare.
La puntura gli fu fatta subito e la donna incomincio a russare, leggermente, senza pudore.
Tutti risero a quello strano rumore emesso da un corpo così grazioso, che improvvisamente pareva che al suo interno ci fosse uno scaricatore di astroporto.
Per sicurezza, il Colonnello fu incatenato, con delle manette, al letto, per impedirle di scappare e fare altri danni.
Tutti gli scienziati e i militari, tranne la dottorezza che si rifiutò di lasciare la donna in quella maniera, salirono al piano superiore.
Il Tenente prese il comando delle operazioni.
«Omnia, come hai capito il Colonnello è furi uso e tu, ora, ci dirai la verità, tutta la verità, solo la verità. Vedi di non nasconderci niente. Allora, chi è in realtà il Colonnello?»
Omnia tacque, meditando il da farsi.
«Allora, Omnia! Più ci pensi, peggio è. So per certo che quello che il Colonnello ci ha raccontato quando siamo arrivati era una balla, una bella storia, inutile, ma solo una bella storia! Sai, non vorrei dover partire da questo pianeta e lasciarti qui, a morire, esplodendo con il tuo caro, fedele, quasi simpatico pianeta. Se vuoi fare l’eroe, fai con comodo, ma i tuoi costruttori ti hanno abbandonato e noi, forse loro discendenti, non resteremo qui ad aspettare qui vostri strani nemici! Allora, dicci chi era il nostro caro Colonnello!» Il Tenente fece avanti e indietro sui talloni, aspettando la risposta.
«Va bene, Tenente. Ha vinto. Sì, in effetti il Colonnello era una persona molta importante del popolo dei miei costruttori. Era una regina e il nome, anche se ve lo dicessi, sarebbe per voi incomprensibile. Era la venticinquesima regina della sua dinastia. Dinastia che era salita al potere dopo una cruenta guerra civile, penso che si dica così. Le regine erano solo donne, non chiedetemi il perché, ma la sua dinastia aveva deciso che solo le donne avrebbero comandato! I miei costruttori, in realtà, non sono tutti spariti. Qui, sul pianeta, ne sopravvivono ancora, ibernati, sulle navi nascoste sotto le zone in cui è diviso il pianeta! Sono sopravvissuti per così tanto tempo perché li ho accuditi come figli. Sì, lo so Tenente, gli animali. Sono biomeccanici, c’è un sistema che li tiene in vita e li alimenta. Non ha notato il cordone ombelicale che hanno sotto il ventre? Da lì vengono alimentati e manutenzionati. Sono delle vere bestie, senza limite alla loro furia! Il loro cervello è quello di miei costruttori pericolosi, dei veri assassini e, pur di vivere, si sono sottoposti a quell’intervento! Sono circa cinquecento, solo su questo pianeta. Ma al momento è meglio non perdere tempo! Le spiegazioni, alcune di esse almeno, possono aspettare! Se volete andarvene, bisogna che le navi siano accese e pronte alla partenza! Darò ad ognuno di voi un incarico sulla nave, in modo tale che riuscirete a governarle e ci permetterà di andarcene. Il mio computer quantico è nel sottosuolo del pianeta, sotto alcuni kilometri. Dovete recuperarmi con tutti i computer che mi compongono. Sono in una stanza, rimovibile, per cui non dovrebbero esserci problemi! Tutti gli altri vostri simili faranno lo stesso, gli aiuterò. L’unico problema è che alcune navi, forse troppe resteranno qui!»
«Omnia!» La voce era di uno scienziato giovane, magro, dinoccolato, con un viso lungo e un naso tremendamente aquilino. «Le navi non potrebbero essere telecomandate?»
«Idea fenomenale, John! Certo, è possibile!» Omnia rispose con una voce allegra e felice.
Tutti applaudirono all’idea dello scienziato, alcuni battendogli le mani sulle spalle.
Il Tenente prese la parola.
«Allora faremo così! Omnia, dirigi tutti quelli che sono su questo pianeta sulle navi e digli come utilizzarle! Noi cercheremo la tua stanza e la porteremo sulla nave con noi. Intanto provvederemo a sviluppare un sistema per controllare da remoto le navi che non saranno utilizzate, in maniera da non lasciare nulla la nemico. Porteremo via tutto quello che possiamo, anche gli animali! Sicuramente sulle navi posto ci sarà, date le enormi dimensioni che hanno. Per quanto riguarda gli ibernati, porteremo via anche loro: se siamo riusciti a risvegliare il Colonnello, pardon la regina, riusciremo a risvegliare anche gli altri. Quanto tempo ci vorrà, Omnia, per fare tutto?»
«Tempo? Non ho idea! Forse un mese! Lo so, non vorreste rimanere così a lungo, ma voi siete strutture deboli e mal manutenzionate e anche se vi facessi lavorare, tutti voi, a turno, 24 ore su 24, ci vorrebbero comunque più di dieci giorni e lo stress, per voi, sarebbe troppo alto! Non mi pare che voi siate dei tipi precisi e calmi! Inutile correre! Il nemico non ha basi così avanzate e quelli che ci hanno attaccato, stupidamente, non hanno avvisato nessun nelle loro retrovie! La loro base più vicina è a circa due mesi di viaggio interspaziale, per cui, anche se si accorgessero di quello che è successo, un po’ di margine ne dovremmo avere!»
Il Maggiore si fece avanti.
«No, Omnia, non abbiamo tempo! Cartagena è ormai esplosa più di due mesi fa e gli invasori li abbiamo eliminati solo alcuni giorni dopo! Significa che, se anche non hanno avuto notizie e si sono mossi in ritardo, sono sicuramente già in viaggio! Direi di affrettarci! Prepara, Omnia, un planning di lavoro per poter partire tutti in meno di quindici giorni! E se negli altri siti ci sono più persone di noi, distribuiscili nelle varie zone, in modo tale che ci sia sufficiente personale per tutte le navi e che queste vengano pronte in tempo! Mi sembra l’unica strada percorribile, che ne dice Tenente? E lei, Maggiore?»
I due uomini, chiamati in causa dal Maggiore, diedero il proprio consenso all’idea dell’uomo.
«Bene! Incominciamo!» Omnia aveva una voce entusiasta, che coinvolse tutti i presenti.
Il Tenente sapeva che lasciare quel pianeta era necessario, ma distruggerlo non aveva senso.
No, non si poteva lasciarlo in mano al nemico, che poteva essere lì ad un passo, e il lasciarlo senza quel pianeta, quello dei costruttori, era l’unica cosa da fare.
D’altronde, i pianeti presenti nei sistemi solari venivano distrutti, il più delle volte, per colpa dei loro soli morenti che esplodevano: un pianeta isolato, senza vita, distrutto per necessità belliche, non avrebbe cambiato molto.
Furono fatti dodici gruppi, ognuno adibito ad una funzione primari dell’astronave: navigazione, tiro, sicurezza, comunicazioni, aerei, motoristi, sanitario, logistico, sala astronomica, vettovagliamento, radar e commando.
Le navi che erano riuscite ad occupare e attivare erano quattordici su venti (una era stata distrutta dal Colonnello quando aveva raso al suolo il settore occupato dai nemici e di cui non aveva detto niente agli altri, ma solo ad Omnia).
Sulle rimanenti vennero fatte delle modifiche affinché si potessero guidare senza personale a bordo.
Il personale in esubero su una nave fu inviato alle altri a mezzo di treni sotterranei, che viaggiavano in tubi sottovuoti, ove potevano raggiungere velocità di alcune migliaia di kilometri, senza per questo dar fastidio agli occupanti.
Il lavoro dei militari e degli scienziati incomincio febbrilmente.
Il Colonnello giaceva, esamine, sul letto, sorvegliata dalla dottoressa, che spesso la muoveva, in modo tale che non si formassero ematomi e potesse respirare regolarmente.
La dottoressa era preoccupata che quel sistema di tenere una persona tranquilla era a dir poco medioevale, ma non poté fare diversamente: il Tenente aveva raccontato quello che era successo e la spiegazione dei fatti era bastata ai più per non fidarsi del Colonello.
Lo stesso Omnia, pur di salvarsi la vita, aveva deciso di collaborare, dando informazioni, a getto continuo, agli uomini che volevano salvarlo.
Ma il Tenente voleva dati meno filtrati.
Incominciò con data base della nave e di Omnia, per vedere se i dati fossero interfacciabili.
Fu talmente preso dalla ricerca, che spesso non si ricordava di mangiare o di dormire.
Lo scienziato dinoccolato John e il Sergente Houng lo aiutavano, cercando le notizie più particolari, per capire meglio le persone ibernate e il Colonnello.
Ai tre gli ci vollero cinque giorni di duro lavoro per ricostruire la storia di quel popolo, traducendo, con l’ausilio del vocabolario sviluppato anni addietro dal personale della Pensacola, il data base della navi e di Omnia.
E già questo aveva messo in allarme i tre: la storia racchiusa nei ventuno database era simile, ma non uguale. Alle volte la prospettiva dei fatti veniva cambiata, anche se, alla fine, messi insieme tutti i pezzi del puzzle, la storia filava via liscia.
Era stato un popolo come tanti altri: prima divisi in gruppi e sottogruppi, poi riunitisi in regioni, stati, popolazioni affini, con guerre civili che avevano insanguinato il loro pianeta natale, che, dai dati in loro possesso, i tre avevano posizionato verso l’esterno della galassia.
Poi, guerra dopo guerra, un gruppo di popolazione molto affine ebbe il sopravvento sugli altri, comandando, con pugno di forza, prima una nazione, poi un’altra ed infine il pianeta.
In quel mentre, avevano sviluppato sistema di volo verso lo spazio occupando prima i pianeti del loro sistema solare, poi i pianeti di un sistema solare vicino e così via.
Ci impiegarono secoli ad ottenere quel risultato, in cui si erano succedute diverse dinastie di regnati, alle volte durate decenni, alle volte centinaia di anni.
Quella del Colonnello durava ormai da cinquecento anni.
O almeno, alla scoperta della nave caduta da parte della Pensacola quella era l’era della dinastia.
Ma da allora fino a questo momento, non vi erano state alte dinastie e il pianeta del Colonnello non era in alcun modo possibile darlo per esistente o distrutto.
Date su date, il Tenente e i suoi collaboratori giunsero alla conclusione che l’espansione di quel popolo forse era giunto alla fine.
Non che ne fossero sicuri, ma non si può mai dire come un popolo smette di esistere.
Ma il vero segreto era un altro.
Nel sistema informatico dedicato alla medicina, il Tenente trovò dati alquanto equivoci: alcuni dottori davano per un dato di fatto che una popolazione fosse talmente evoluta cerebralmente che potevano spostare oggetti con la sola forza del pensiero.
Altri, con dati alla mano, disconoscevano tale possibilità.
Ma sulla nave, ove il Tenente stava lavorando, pareva che quella popolazione, così particolare, si fosse nascosta agli altri, per poter vivere in pace e non subire ricatti di ogni genere.
“Più che subire ricatti” Pensò il Tenente, “era di evitare di essere usati contro i loro simili!”
Il Tenente sapeva bene che una lotta tra popoli, con una così elevata possibilità mentale, avrebbe causato vittime più tra i comuni che tra di loro.
Il Tenente sapeva di quanto fossero pericolosi quei dati, ma il Sergente e lo scienziato fecero capire al Tenente che non era solo.
«Tenente!» Iniziò il Sergente «Ben sappiamo, io e John, dell’importanza di questi dati e del fato che devono essere celati a tutti! Ma alcuni di noi sono come lei! Ci siamo fatti volontari per questo noioso lavoro proprio per evitare di far sapere quanto avremmo scoperto. I nostri maestri saranno sicuramente contenti di ciò.»
John stava per dire qualcosa, ma il Tenente inarcò la schiena e li guardò in tralice.
«Non una parola!» Il Tenente quasi sillabò le parole «Non è il momento e il luogo per certe affermazioni, e il Generale non vuole casini! Per cui state zitti, vediamo cosa è il caso di fare per andarcene via di qui, poi andremo al comando dei servizi segreti e lì decideremo! Lo so che qui non siete i soli, ma i nostri movimentati sono controllati da quelli della fazione contraria ai nostri intenti e non voglio provocare un conflitto sulle navi, nel bel mezzo, di una battaglia da loro. Trasmette una comunicazione generica, con i dati più importanti. Ma niente su l’altro. Certe persone non sono ancora preparate a ciò e la guerra che si preannuncia non sarà così facile da giocare! Andate! Acqua in bocca e fate il vostro lavoro come il solito! Al resto ci penserò io!»
Il Sergente e John andarono in sala comunicazioni, lasciando lì solo il Tenente.
Rilesse e rilesse quelle pagine: non si poteva certo dire che i suoi antenati non ne abbiamo fatte di cotte e crude sul loro pianeta e nell’universo.
Dopo più di quattro ore, con la fame che lo attanagliava, si avviò alla mensa.
Stava per uscire dalla sala, come sempre enorme, ben ammobiliata, con computer avanzati, che vide, con la coda degli occhi, qualcuno che si nascondeva.
Non aveva capito chi era, ma non certo uno del gruppo che era arrivato con lui al bunker.
Fece finta di aver dimentico qualcosa, quindi ritornò indietro e inibì il computer da l’uso di altri che non fosse lui stesso: la sicurezza non era, in quel momento, da prendere sottogamba.
Uscì di nuovo dalla camera, dopo aver controllato attentamente la stanza, e se ne andò a mangiare.
La persona era ancora là: il Tenente rise tra sé, sfidando lo sprovveduto ad azzardarsi ad avere informazioni che non erano per lui.
Il tempo passava, forse troppo velocemente per tutti coloro che stavano preparando le navi a partire.
La nave assomigliava molto a quella trovata dalla Pensacola.
Era di forma ovale, lunga cinquecento kilometri, larga duecentocinquanta e alta trenta.
La coda era tronca e un enorme parallelepipedo, che conteneva i motori principali, faceva mostra di se, tutto nero lì in fondo.
I quattro occhi, che non erano altro che gli ugelli di scarico dei motori spaziali, che tanto avevano impressionato il Tenente.
La nave superava la velocità della luce, con valori di velocità superiori a quella della navi sviluppate dai terresti.
Sopra e sotto il patto che formava la nave vi erano varie protuberanze.
La sala comando principale era proprio sopra l’inizio del parallelepipedo contenente i motori, mentre un’altra sala comando era sul muso della nave.
La prima sala comando era di forma anche lei ovale, larga cinquecento metri e lunga altrettanto, alta più di dieci metri.
Agli scienziati tutta quella enormità sembrava inutile.
Ma passeggiando per la nave, utilizzando i treni ad alta velocità, il perché venne subito scoperto.
A parte gli animali, che in realtà avevano bisogno di uno spazio molto più grande di quello che avevano sul pianeta (per loro una zona di venti kilometri per venti alto cento metri era appena sufficiente), e le zone dedicate all’ibernazione, con tutti i sistemi di sopravvivenza per circa diecimila persone, le armi in dotazione alla singola nave erano molte, alcune enormi.
I cannoni a ioni erano su torrette abbinati a due, tre o quattro cannoni.
I cannoni a faser e i laser erano singoli o abbinati su torrette sino a sei pezzi.
Missili e altri armi a razzo, con qualsiasi tipo di razzo vettore, erano dislocate lungo le fiancate ed erano contenuti in vari cassoni fissi o su torrette.
In una zona centrale della nave, vi erano dei robot di varie altezze, dai venti ai cento metri: quelli più piccoli erano certamente più manovrabili dei più grandi, che richiedevano anche più persone per il loro uso.
In un’altra zona della nave, poste verso l’esterno, vi erano degli aerei che potevano essere trasformati in robot.
Il numero di robot, aerei ed armi di offesa e di difesa, su una nave così enorme, era impressionante.
Il Maggiore Griffon li guardava stupito, con la bocca aperta.
Il Comandante Frazen, invece, era preoccupato.
Ma i due, non comprendendo il perché della reazione dell’altro, decisero di ignorarsi, ognuno occupato nelle sue mansioni.
Gli scienziati si sistemarono in appartamenti, molto ben ammobiliati, vicino alla zona della prima sala comando.
I militari si sparsero per la nave, in zone con sale comando più piccole della prima, ma molte assomiglianti a quella trovata sul pianeta.
Quando tutto fu pronto per partire, si fece largo, tra tutti, il problema del comando.
Se le singole navi potevano essere comandate dal più alto in grado dei militari, la flotta che si sarebbe costituita doveva avere un comandate che organizzasse le operazioni nello spazio.
La discussione, prettamente filosofica, su chi doveva comandare, era quasi inutile.
A parte il Colonnello, l’altro più alto di grado era il Tenente Colonnello Krojng, che era sulla nave della base D.
Il Tenente Closser si fece da parte, subito, visto che il suo intento non era combattere il nemico, ma raccogliere dati e informazioni.
Il Maggiore e il Comandante non vollero saperne: troppe navi, magari anche in uno spazio ristretto di quella zona della galassia, ove sistemi solari e stelle si attiravano e si lasciavano pericolosamente ogni secondo, poteva causare danni irreparabili alle navi e non volevano prendersi responsabili per cui non erano stati preparati.
Così il Tenente Colonnello prese il comando, quasi con un colpo di stato.
I militari della zona B se la risono, silenziosamente: correvano strane voci sul Tenente Colonnello, del tipo che la base Cartagena era arrivata a fatica lì per colpa sua e del suo modo pignolo di leggere i regolamenti militari.
Il Tenente, dopo quella riunione, in cui il Tenente Colonnello specificò gli orari di partenza di ogni singola nave (con relativa animata discussione perché aveva invertito le partenza della navi, con il relativo rischio che queste si scontrassero), se ne andò nella stanza dove avevano messo il Colonnello.
L’effetto della seconda puntura di tranquillante stava cessano e lei incominciava a svegliarsi, prendendo coscienza di dove si trovava.
Il Tenente le tolse le manette e la dottoressa la aiutò a sedersi sul letto.
Il viso del Colonnello, dopo tanto dormire, era sicuramente più rilassato dei presenti.
Ma il suo sguardo, tremendo, di regina destituita contro la sua volontà, guardava i suoi presunti carcerieri.
«Se si calma e ragionerà sulla sua situazione, non la ammanetterò più al letto e non le daremo più il sonnifero, regina!» Il Tenente usò una voce molto mielosa, per cercare di convincere la regina a collaborare.
La regina lo guardò: era un suo discendente, uno della sua razza, che col tempo aveva perso la sudditanza nei suoi confronti e dei suoi simili.
E allora perché l’aveva lasciata in vita?
Lei aveva le risposte al suo passato, ma non aveva domande per il suo futuro e quello degli ibernati.
«Ci lasci soli, dottorezza, per favore?»
La dottoressa uscì, controvoglia: non si fidava a lasciare quei due soli.
Quando la dottoressa chiuse la porta dietro di sé, il Tenente si sedette di fronte alla corrucciata regina.
«Stiamo partendo. Lasceremo questo pianeta e lo faremo esplodere. Lei e i suoi amici sarete per un po’ nostri ospiti, e poi vi troveremo un pianeta dove abitare. Ovviamente, se la cosa non la disturba. O forse, vorrebbe che noi, i suoi eredi, ci sottomettessimo a lei? Perché lei sa bene che noi siamo i suoi eredi e che discendiamo da quella parte di popolazione che lasciò il vostro pianeta perché in contrasto con voi. Ma di quella parte di popolazione, sa, c’erano anche gli “innominabili”. È un bel rischio!»
Il Tenente di alzò e si diresse verso il vetro che dava su una zona interna della nave, dove un bel giardino faceva bella mostra di se, dando le spalle alla regina, il cui volto si rifletteva sul vetro.
Il Tenente sospirò e riprese a parlare.
«Il Generale non vuole storie, ne problemi con voi. Se siete di sposti ad aiutarci nella lotta contro i vostri ancestrali nemici, saremo ben contenti. Se no, ci arrangeremo.»
Il Tenente si girò e guardò la donna.
«Il vostro futuro siamo noi! E non creda che non sappiamo di quella vostra strana religione, come a qualcuno di voi piaceva chiamarla! Vorremmo che ce la insegnaste. Ovviamente a un personale selezionato, ben preparato ed afferrato sulla questione. Anche se noi abbiamo la nostra strana religione!»
Il Tenente mise la mano destra in tasca e tirò fuori una astina, lunga circa quaranta centimetri, con un manico intarsiato, fatta di materiale vegetale, con una punta rinforzata in metallo.
«Noi la chiamiamo bacchetta e, a seconda se sono uomini o donne a usarla, maghi o streghe, nel termine buono del termine, ovviamente!»
Il Tenente, così dicendo, con tre dita, pollice, medio e indice, mosse leggermente la bacchetta, senza dir niente, e la sedia del Colonnello si alzò di poco dal pavimento.
Il Colonnello, all’inizio, parve stupito, ma si riprese subito: l’evoluzione era stata enorme.
Il Tenente posò a terra la sedia, si avvicinò al tavolo, si sedette  e riprese a parlare.
«Pochi sanno qualcosa di noi. Ma questa è, al momento, una lunga storia. Ci sarà del tempo per parlarne. Che ne dice, Regina? Abbiamo un piccolo accordo?»
Le ultime frasi del Tenente furono enunciate mentre si sporgeva verso la Regina,come se l’uomo parlasse ad un amante, dolcemente, quasi sussurrate.
Il Colonnello, già nel sentire che il status di Regina era stata riaffermato, anche se solo da quel uomo, fece cenno di sì con la testa.
Gli occhi dei due parlarono per loro.
Ora una sarebbe ritornata ad essere Regina, l’altro avrebbe conosciuto un segreto che da anni i suoi cercavano.
Un accordo sicuramente fragile, i due lo sapevano, ma sarebbe bastato ai loro simili di tornare in auge e ritrovare un nuovo futuro.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: SamuelCostaRica