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Autore: Word_shaker    11/12/2016    3 recensioni
Ricordava le notti passate ad osservare il firmamento con Tony sul tetto di un albergo qualche mese prima. Era una cosa che facevano spesso, specialmente in Canada. Il magnate adorava guardarla mentre gli spiegava le stelle: quando lei gli trasmetteva le sue conoscenze emergeva la parte più incontaminata di lei, la bambina che, nel suo spirito, non si era mai estinta. Era ancora più bella quando la sua voce formulava tante frasi sui movimenti e le fasi delle varie costellazioni.
Le loro menti facevano l'amore da sempre, pur senza dirselo.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Darcy Lewis, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Un disastro. Un completo disastro.
Tony Stark e Jane Foster litigavano spesso, ma non arrivavano mai a fraintendersi sulle conseguenze delle loro discussioni; forse perché fra un "rappacificamento" e l'altro non ne avevano né il tempo né il modo, o perché non si sprecavano nel raccontare inutili bugie.
Jane era arrivata in Canada convinta di dover passare un weekend a "perdonare" il suo ragazzo in una lussuosa baita sulle Rocky Mountains e invece si era ritrovata davanti a tre donne che sembravano uscite direttamente dalla copertina di Elle UK: le loro gambe erano lunghe pressoché quanto la distanza che separava il mento dell'astrofisica dal pavimento - o meglio, questo fu quello che i suoi occhi videro - e i loro capelli color del grano furono pronti a schiaffeggiarla con un tono fastidiosamente frivolo, dato che le tre, senza alcun ritegno, travolsero il magnate quasi ignorando l'esistenza della sua ragazza.
  «Tony, finalmente!»  cinguettò la prima con una voce tanto acuta da irritare ulteriormente la scienziata.
  «Ciao, dolcezze. Lo so, lo so, ci abbiamo messo tanto, ma la signorina qui non sapeva quali completi intimi mettere in valigia...»  rispose lui con un sorriso tutt'altro che innocente.
  «Infatti, avevo capito che saremmo rimasti soli. Per l'intero weekend» affermò lei guardandole di traverso, seppur rossa in viso dall'imbarazzo. Avrebbe volentieri scherzato con lui, se solo non fosse diventata la protagonista di quella spiacevole sorpresa.
  «Non pensavamo che fosse così... Ingenua!»  commentò la seconda con una voce - se possibile - ancora più stridula di quella udita in precedenza.
  «"Ingenua" a chi?»  sbottò Jane.
La cosa non le fece retrocedere, anzi. Tanto per rincarare la dose, la terza aggiunse: «"Ingenua" a te».
L'astrofisica mollò istintivamente la presa sul trolley, facendolo rovinare sul pavimento. La mano era chiusa in un pugno, il braccio si stava piegando in attesa di colpire.
Ridacchiando, Tony si parò di fronte a lei e le prese i polsi.
  «Calmati, Amore» sussurrò cercando - per una volta - di essere discreto.
  «Calmarmi? Calmarmi?! Avevi detto che saremmo stati soli e invece mi ritrovo in una stanza con queste tre; come se non bastasse, hai detto loro che sono ingenua e adesso hanno anche il coraggio di credersi superiori! Che cosa ci facciamo qui, esattamente?» gridò lei per dispetto.
  «Devo lavorare. Devo discutere di cose molto importanti con Anna, Audrey e Alicia», spiegò assumendo un'espressione confusa «che cosa avevi capito?».
  «Ripeto: avevi detto che saremmo stati soli, non che avresti lavorato. Non con tre... Persone del genere» disse senza risparmiare uno sguardo torvo alle tre spocchiose.
  «Ho davvero detto... Così?»   cercò di capire lui arricciando il labbro.
  «Sì. Inoltre, come ti ho sempre dimostrato, non sono affatto ingenua. Divertiti» concluse lei, per poi liberarsi dalla sua presa e prendere la valigia.
  «Che fai?» chiese, spiazzato.
  «Torno a casa, così puoi lavorare in pace».
Non avrebbe sopportato quelle tre bionde tanto a lungo, se fosse rimasta lì. Le capitava spesso di fargli scenate di gelosia: si trattava pur sempre di Tony Stark e - per un motivo o per un altro - piaceva alle donne. Era il suo modo per dirgli che ci teneva a lui, che aveva paura di perderlo.
Lo scienziato, dal canto suo, non era del tutto innocente al riguardo: a volte la provocava per vedere fino a che punto si sarebbe spinta e a volte toccava anche a lui essere geloso. Jane aveva un buon numero di ex che la salutavano per strada e si fermavano a parlare con lei, cosa che spesso si concludeva con un terzo grado indispettito da parte di Tony ed una convincente dimostrazione del proverbio "nuovo è sempre meglio".
 «No, no, aspetta. Facciamo così: adesso noi quattro ci mettiamo a lavorare sodo e stasera sono tutto tuo, così come - a quanto pare - ho detto»  propose mentre alzava le mani in segno di innocenza, senza nascondere un piccolo ghigno.
Combattuta, Jane si diresse verso la rampa di scale che portava al piano di sopra.
  «Ti aspetto in camera. Ti conviene aver finito per le otto»
  «Qualcosa mi dice che finiremo anche prima»
  «E per la cronaca, devi farti perdonare anche questa».
Lanciò un'ultima occhiata avvelenata a quell'affiatato gruppetto e si rintanò in camera. Che diavolo stava succedendo?
Dopo aver sentito un rumore di porta che si chiudeva, le tre, quasi simultaneamente, si tolsero la giacca.
«Non abbiamo molto tempo» disse la prima.
«Dobbiamo muoverci»  incalzò la seconda.
«Non so se ce la faremo per stasera» concluse la terza.
«Non sono venuto qui per sapere che forse non ce la farò. Sono venuto qui per farcela. Non perdiamoci in chiacchiere. Avete sentito? Abbiamo tempo fino alle otto» intervenne con un tono perentorio.
Il gioco stava per cominciare.     

Se c'era un lato positivo di tutta quella faccenda, di sicuro quello era il paesaggio: Jane adorava le Rocky Mountains, i boschi sconfinati e i laghi freddi e suggestivi. Quel posto era adatto per osservare e studiare le stelle; spesso il telescopio non era necessario per poter condurre delle indagini astronomiche. Credeva che fosse uno di quei posti in cui il cielo poteva ancora essere puro e mostrarsi per ciò che era. 
Ricordava le notti passate ad osservare il firmamento con Tony sul tetto di un albergo qualche mese prima. Era una cosa che facevano spesso, specialmente in Canada. Il magnate adorava guardarla mentre gli spiegava le stelle: quando lei gli trasmetteva le sue conoscenze emergeva la parte più incontaminata di lei, la bambina che, nel suo spirito, non si era mai estinta. Era ancora più bella quando la sua voce formulava tante frasi sui movimenti e le fasi delle varie costellazioni.
Le loro menti facevano l'amore da sempre, pur senza dirselo.
L'astrofisica trascorse il pomeriggio ad aggiustare un paio di calcoli che aveva svolto frettolosamente il giorno prima, a guardare fuori dalla finestra e a parlare al telefono con sua madre.
  «Sembri agitata. Che cosa è successo?» 
 «Che cosa è successo? Vuoi sapere che cosa è successo? Pensavo che Tony mi avrebbe portata qui per farsi perdonare e per passare un weekend speciale... E invece deve lavorare a delle "cose importanti"! Con tre oche giulive! Ma ti pare?» .
Non ce la faceva più. Erano le sei e stava morendo di gelosia. Saperlo con quelle lì e non poter essere con lui - chissà per quale motivo, poi? - la stava consumando lentamente.
Non era solita giudicare dalle apparenze, ma ora che ci pensava bene, di quali "cose importanti" avrebbero potuto occuparsi quelle tre?
Era evidente che qualcosa non quadrava.
«E non ti ha detto niente prima di arrivare in Canada?»  
«No, ha lasciato che io trovassi quelle tre al piano di sotto. Si sono anche permesse di darmi dell'ingenua! Ingenua, io!»  
«Non sarai ingenua, ma un po' incosciente lo sei...»  
«Ti sembra il caso di ricordarmelo?»  
«Sì, perché raramente fai la cosa giusta!» 
«E secondo te che cosa dovrei fare, adesso?»
«Aspettare che lui torni in camera e vedere quali scuse inventa. Fidati di lui! State insieme da... Quanti anni? Due?»  
«Tre»
«Ecco, in tre anni non ha mai fatto qualcosa del genere?»
«Mai! Mi ha fatta ingelosire, qualche volta, ma non mi ha mai portata in un posto senza dirmi che avrebbe dovuto lavorare...»
«E per cosa avrebbe dovuto farsi perdonare?»
«Stava parlando al telefono con qualcuno. Volevo sapere chi fosse, ma non ha voluto dirmelo... Più che parlare, sembrava che stessero flirtando; così ho insistito, abbiamo cominciato a litigare e a un certo punto mi ha chiamata "inutile bisbetica". Se n'è pentito subito e mi ha chiesto scusa. Non che me la fossi presa, ma è stato lui a voler farsi perdonare a tutti i costi portandomi qui... E adesso arriviamo e mi trovo quelle tre che devono lavorare con lui. Non ti sembra strano?»
«Sì, è strano, in effetti. La telefonata... Le tre bionde... Forse... Ma no, non può essere»  
«"Forse" cosa?»
«Nulla»
«Avanti, dimmelo!»  
«Forse... Ha un'altra».
Quelle parole furono come una dolorosa puntura su tutta la pelle. Il sospetto si sparse lungo il suo ventre a macchia d'olio, fino a raggiungere la testa. L'immagine di Tony intorno a quelle tre si fece più viva, più intensa, più cattiva.
Ma certo. Altrimenti perché comportarsi in quel modo? Perché litigare con lei per una telefonata? Perché andare fino in Canada? Perché fare false promesse per poi farsi accogliere da tre bionde del genere?
«Hai ragione. Devo andare. Ci sentiamo, mamma»
«No, no! NON DEVI ANDARE! Jane, aspetta! Jane!».
Troppo tardi. Ormai l'astrofisica aveva messo il cellulare in tasca.
Non aveva bisogno della giacca: la rabbia la stava già scaldando abbastanza.
Percorse frettolosamente la rampa di scale e - chissà perché? - non fu sorpresa di non trovare nessuno al piano di sotto.

«Quindi, di quante barche hai bisogno?» chiese la prima bionda.
«Due: una per me e per Jane e una per voi tre, che dovete controllare che tutto vada come previsto... Ma non credo che ne avrete bisogno. I fuochi possono essere monitorati anche da qui» ripeté il magnate.
«Per l'armatura non ci sono problemi, vero?»   domandò la seconda.
«Di quella non dovete preoccuparvi. Al momento, l'armatura è l'unica certezza che ho» affermò lui.
La terza stava per intervenire quando il cellulare di Tony squillò.
«Am--»
«Dove sei?» lo interruppe. Non aveva tempo per i convenevoli.
«Sto lavorando. Alle otto sarò da te, come promesso» disse.
«Forse non hai capito. DOVE -- CAZZO -- SEI?!» gridò spaventando due poveri passerotti accoccolati su un ramo sopra la sua testa.
«Jane, che succede?» la interrogò armandosi di pazienza.  
«Se hai un'altra, io ti...» cercò di minacciarlo, ma invano: da quando aveva parlato con sua madre, la sua paura sembrava spaventosamente reale. Non riuscì a dire altro. I suoi occhi si inumidirono improvvisamente. Non respirava. I suoi denti iniziarono a pugnalare lentamente il labbro inferiore. Il suo cuore si rattrappì di colpo.
«Un'altra? Ma che cosa ti è saltato in mente?
Jane... Jane? Ci sei?».
D'istinto, chiuse la chiamata. Asciugandosi le lacrime, la scienziata tornò indietro. L'avrebbe aspettato in camera, così come aveva promesso. A che cosa sarebbe servito fare un sopralluogo? Non aveva tutta questa voglia di scoprire la verità, dopotutto.
«Forse dovremmo cominciare a sistemare i vasi di fiori e i fuochi d'artificio nei punti giusti» osservò la terza.
«Che cosa ve lo fa pensare?»  rispose ironicamente lui mentre componeva un numero sul cellulare.
«Tony, ciao! Ho fatto quello che mi avevi detto!»  
«Mi scusi per l'insolenza, Signora Foster, ma non mi pare. Avevo chiesto di metterle la pulce nell'orecchio per provocarla un po' e guadagnare tempo, non di traumatizzarla! Ho bisogno di più tempo. Sono a circa metà del lavoro e Jane sta già venendo qui» cercò di spiegare con calma, per poi aggiungere: «Sta andando tutto storto... Per favore, dica a Darcy di entrare subito in scena e di organizzarsi come meglio può. Ho bisogno di tempo, Signora Foster. Tempo. Almeno un'ora».
«Farò del mio meglio. Buona fortuna, Tony»
«Grazie. Ne avrò bisogno. Sa, sua figlia è una donna così difficile...».

Tornata in camera, l'astrofisica era rimasta sul letto a consumarsi di gelosia e tristezza. 
Per quel che ne sapeva, il suo ragazzo la tradiva e non si curava neanche di nasconderglielo. 
Passò cinque minuti buoni a piangere e a torturare tutto ciò che le capitasse di stringere tra le mani. Che cosa avevano le altre che lei non aveva, a parte le gambe chilometriche, la voce stridula e l'aria di una poco di buono?
Forse tutto stava per finire. Molto bruscamente, per giunta. Ma lei non voleva che finisse. Non aveva fatto niente perché tutto finisse. Non aveva fatto niente per meritarsi una fine del genere.
Perché non riusciva ad immaginare altro che il peggio?
La sua suoneria squarciò l'incessante rumore dei suoi pensieri neri. 
Allungò un braccio verso il cellulare e rispose: «Sì?».
«Ehi, Madame Curie! Cos'è quel tono da funerale? Non dovresti essere in Canada a ripassarti il tuo Monsieur Curie?» tuonò allegramente Darcy.
«Il mio Monsieur Curie si sta ripassando qualcun'altra» mormorò prima di scoppiare in un pianto disperatamente infantile. Possibile che la sua ex stagista fosse per lei l'unica persona che più si avvicinava ad un'amica? Non che avesse qualcosa contro Darcy, ma la sua ironia non era d'aiuto - la maggior parte delle volte -.
«Che?! No, non è possibile» sentenziò lei con sicurezza.  
«E invece sì» affermò tirando su col naso.
«Te l'ha detto?» insisté serenamente.
«No»
«Li hai visti?» aggiunse.
«No»  
«E allora come fai a dirlo?» concluse con semplicità.
«Lo so e basta!» sbottò. Non era mai stata triste in Canada e non era mai stata tradita in modo tanto umiliante. A quanto pare, c'è una prima volta per tutto.
«Secondo me dovresti andare a controllare. Dove si trova adesso? Lo sai?» chiese dolcemente.
«Non lo so. Ha detto che fra due ore torna qui» raccontò, sconsolata.
«Allora coglilo di sorpresa!» osservò.
«Hai ragione. Grazie, Darcy. Devo andare».
Prese la giacca e il cellulare, stavolta decisa a smascherarlo. Per una volta, stranamente, Darcy le aveva dato il consiglio giusto.

«MA SEI PAZZA?? Ho bisogno di tempo, non di un attacco a sorpresa! Non ce la farò mai se lei spunta qui ora!» esclamò Tony.
«Scusami, ma non ho idea di che cosa tu voglia fare, sua madre non me l'ha voluto dire e Jane pensa che tu la stia tradendo... Magari la prossima volta non farla entrare in crisi per organizzarle una sorpresa e dammi delle informazioni in più, se vuoi il mio aiuto!» protestò lei in tutta risposta.
«Devo chiederle di sposarmi e sto preparando una sorpresa sul lago! Contenta ora?» domandò lui, decisamente spazientito. Perché era circondato da incompetenti?
L'ex stagista squittì per venti secondi buoni.
«Ora sistemo tutto! Conta pure su di me!».

Troppo tardi. 
Dato che lui non voleva dirle dove si trovava, Jane aveva deciso di andare a cercarlo. Non doveva essere andato molto lontano e sapeva benissimo che l'edificio più vicino alla baita in cui aveva passato il pomeriggio era a tre ore di distanza da lì, per cui era altamente improbabile che lui fosse in un luogo chiuso.
Il lago O'Hara era a soli due chilometri da quella lussuosa casetta. Fare una passeggiata nei dintorni, in fondo, non le sarebbe dispiaciuto.
Prima delle otto l'avrebbe trovato. Ne era certa.
Mentre camminava, volse lo sguardo verso il cielo. Gli alberi erano così alti e puntuti che sembravano sfiorarlo. Quando era piccola trascorreva le vacanze estive fra le Rocky Mountains con la sua famiglia, e suo nonno era solito raccontarle che le punte degli alberi bucavano il cielo e formavano altre stelle.
Anche se dentro si sentiva corrodere e decomporre per il sospetto, quel paesaggio riusciva sempre a trasmetterle una grande pace... Una pace tanto grande che la rese sorda al cellulare, il quale, imperterrito, squillava.
Quando arrivò sulle rive del lago O'Hara quasi non notò i vasi di ortensie blu ai bordi di un sentiero tracciato da un tappeto rosso e i piccoli razzi scarlatti che circondavano il lago. Curiosa e decisa a scoprire che cosa stesse combinando il suo ragazzo, istintivamente cominciò a seguire la strada che segnava il tappeto. Non sapeva perché, ma in quegli oggetti percepiva lo zampino del magnate.
Non sapeva se il suo stomaco si stesse contorcendo per il nervosismo o perché sentiva di aver avuto un'idea molto stupida. Sarebbe dovuta restare nella baita. Quel luogo, per lei, non poteva che significare gioia, e Tony ne era consapevole. Perché stavolta sarebbe dovuto essere diverso?
Ormai era lì e doveva andare fino in fondo.
Alla fine di quel sentiero, trovò lo scienziato e le tre oche giulive che discutevano allegramente. Quella visione le ricordò che era gelosa e furiosa con lui; per cui, a grandi falcate, si avvicinò a quel singolare quartetto.
«E poi direi di mettere il...» stava spiegando lui, ma una voce alle sue spalle lo interruppe.  
«Questo lo chiami "lavorare"?»  domandò con la fronte aggrottata e le braccia spalancate.
 Tony cercò di mantenere la calma e si voltò sfoggiando un sorriso.
Non era pronto. Non sarebbe mai stato pronto. Non aveva più tempo per pensare o per prepararsi. Avrebbe soltanto voluto implorarla di sposarlo, ma era cosciente del fatto che non è così che funzionano le cose. Non aveva più neanche il tempo di urlare.
«Sì, e non abbiamo ancora finito. Potresti tornare alla baita? Ho detto che ti raggiungo fra un--» 
«Dobbiamo parlare» annunciò, paonazza. Sapeva di essere ridicola, ma aveva bisogno di conoscere il perché di quelle bugie, dei litigi, delle questioni importanti con quelle tre, dei tradimenti molto palesi... Non avrebbe resistito tanto a lungo.
«Adesso?» si lagnò lui guardando l'orologio. L'orchestra non sarebbe mai arrivata in tempo.
«Sì!» protestò lei con i pugni chiusi; «Anche davanti a loro, se necessario. Tanto so tutto».
Tony scosse la testa e si lasciò sfuggire una piccola risata.
«Ah sì?»
«Sì. Con chi mi tradisci?».
Quella domanda fece ridere le tre spilungone, cosa che peggiorò la situazione; Jane, infatti, fu pronta ad inveire contro di loro.
«Che diavolo avete da ridere?».
Stava tremando, ma non per il freddo. Sentiva un brivido caldo e violento percorrere le sue viscere, per poi arrivare alla punta delle dita, sulle labbra, sul naso...
«Posso assicurarti che non è come sembra. Loro mi stanno aiutando. E per la cronaca, io non ti tradisco» cominciò a spiegare piantando le mani in tasca. Era giunto il momento della verità, suo malgrado.
«So quanto questo luogo sia importante per te e loro sono le tre gemelle migliori che ci siano: mi hanno aiutato a venire qui con te completamente indisturbato dalla stampa e hanno fatto un lavoro notevole, cosa di cui tu non ti sei neanche accorta. Hai visto i vasi di ortensie, i fuochi d'artificio piazzati intorno al lago e il gazebo lì in fondo? Be', quelli sono merito loro. È grazie a loro che ho ottenuto il permesso per sgombrare la zona per un'intera giornata ed organizzare questa sorpresa. 
Per quanto mi piaccia stare davanti alle telecamere, mi rendo conto che ci sono cose che vanno fatte con discrezione, e questa è una di quelle. Non è bastata una giornata per organizzare tutto, ma ormai va bene così, perché avevo chiesto a tua madre di provocarti un po' e di farti perdere tempo e invece ti ha portata a fare ragionamenti che non stanno in piedi, ma non ti sei neanche resa conto di quanto quelle idee potessero essere stupide. Pensi che avrei mai potuto tradirti? Alla luce del sole, per giunta? Io ti amo, Jane. Amo solo te. Te l'ho sempre detto e non mi stancherò mai di ripetertelo.
Ho chiesto a Darcy di farmi guadagnare tempo, ma è stato peggio. Anna, Audrey e Alicia ti hanno chiamata "ingenua" perché non sapevano che ti avevo detto che saremmo rimasti soli. "Ingenua" non era una parola adatta al contesto, tanto meno a te; ma sono delle organizzatrici, non delle diplomatiche. Non soffermarti troppo sul loro errore.
Era con loro che parlavo al telefono l'altro giorno e ho approfittato del nostro litigio per portarti qui, chiederti scusa e farti anche un'altra proposta».

Ancora più confusa, Jane inarcò le sopracciglia e chiese: «Che tipo di... Proposta?».
«Non ha capito! Forse c'è ancora qualcosa che si salva! Ragazze, stiamo andando benone!» esclamò lui, arrabbiato e speranzoso al tempo stesso «Vieni con me».
Senza pensarci due volte, prese la sua mano e si incamminò verso la barca più vicina.
«Che vuoi fare?»
«Voglio cercare di non cambiare idea su quello che sto per fare».
Concedendosi un profondo sospiro, salì su quel trabiccolo e cercò di abbandonare tutti i velenosi sospetti che aveva. Per un attimo osservò soltanto le stelle, lasciandosi trasportare dal dolce rumore dei remi contro l'acqua.
«La prossima volta ricordami di non cercare di litigare con te prima di una sorpresa, né di usare un litigio come scusa per portarti qui» mugugnò guardandola. Non riusciva ad avercela con lei, specialmente quando osservava le stelle in quel modo. Se non fosse stato tanto occupato ad avere paura di fallire, avrebbe riempito il suo corpo di baci.
Quel paesaggio, quella giornata... Jane. Davanti a tanta perfezione, il suo ego tanto grande e bisognoso si rimpicciolì teneramente.
«Jane?» la chiamò, per poi toccare dolcemente il suo ginocchio.
Lei non aveva ancora capito in che cosa consistesse quella grande sorpresa, ma, una volta incrociato il suo sguardo, confessò con voce tremante: «Mi dispiace».
«Anche a me dispiace. La prossima volta non chiamerò tua madre per farmi aiutare - sai com'è. E non ti chiamerò mai più "inutile bisbetica", perché non lo sei. Volevo solo provocarti un po' per non destare sospetti sulla sorpresa, e invece non ho fatto altro che scavarmi la fossa» osservò ammiccando. L'astrofisica rise. Erano illuminati soltanto dalle stelle, eppure poteva giurare di non averla mai vista così bella.
«F.R.I.D.A.Y., l'orchestra ci ha abbandonati. Credo che sia ora di attivare il protocollo "Giorno del Giudizio". Manda il segnale alle gemelle» annunciò Tony guardando il suo orologio.
«Protocollo "Giorno del Giudizio" in esecuzione» rispose la segretaria.
«Guarda in alto».
 Jane scrutò il firmamento in silenzio. Dopo qualche secondo di trepidante attesa, i fuochi d'artificio intorno al lago cominciarono a scoppiettare e librarsi in aria, creando dei fasci di luce colorati che le mozzarono il fiato. Ad un tratto, nel fazzoletto di stelle ancora visibile in quella cappa di luci e colori, apparve un'armatura, la quale cominciò a scrivere qualcosa utilizzando il fumo emanato dai propulsori.
La scritta recitava: "Vuoi sposarmi?".
La scienziata si coprì la bocca con una mano. Quando i suoi occhi tornarono su Tony, lo trovarono in ginocchio, con una scatoletta fra le mani.
  «Ho rovinato tutto...»  piagnucolò guardandolo.
  «In realtà no, ma sei ancora in tempo per farlo... Non che voglia ispirarti, s'intende» disse dedicandole un piccolo sorriso. In quel momento avrebbe soltanto voluto pregarle di  mettere fine a quella tortura e dargli una risposta. 
Fortunatamente, questa arrivò presto.
  «Sì, sì, sì! Lo voglio!» gridò saltandogli addosso.
Quello fu l'istante più felice della sua vita: malgrado le cose non fossero andate come aveva previsto e pianificato, era andato tutto bene. Non c'era più motivo di avere paura.
Forse certe cose non hanno bisogno di essere precise per essere perfette.
La strinse a sé e si lasciò cullare dai suoi baci. Aveva bisogno soltanto delle sue labbra, adesso.

Rimasero abbracciati in quella barca per tutta la notte, al freddo e nel buio. Non l'avevano detto a nessuno. Stavano bene così, insieme. Le tre bionde se n'erano andate, convinte di aver terminato il loro compito dopo aver attivato i fuochi artificiali. 
  «Hai visto? Non hai rovinato tutto» sussurrò al suo orecchio.  
  «Sei un idiota» rispose lei mentre accarezzava il suo petto.
  «Il tuo idiota» la corresse amorevolmente.
«Per sempre».    


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