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Autore: Carla Marrone    11/12/2016    1 recensioni
Tentando la scrittura automatica, sono giunta ad un incrocio tra la narrativa e la poesia. Spero vivamente vi piaccia questo originale esperimento. Tratta di un semplice ritorno a casa, dopo una giornata d'inverno. Non c'è nulla di più vivificante delle fusa di un gatto, per un corpo stanco ed una mente provata da una, apparentemente, interminabile serie di eventi. Così come non c'è nulla di più caldo, in una casa custodita, per lungo tempo, unicamente dai miei gatti, dolcissimi tiranni, del loro canto quasi segreto.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gelide strade blu, accarezzate da un velo di grigio. Un autobus appare fuori dalla nebbia, come balena, dal fondo cupo dell’oceano. Sbircio, per un attimo, nelle luci artificiali dell’abitacolo, il suo sparuto carico. Un’adolescente malinconica indossa un berretto nero dalle orecchie a punta. Il suo volto triste mi parla di una lunga giornata, finalmente, vicina al suo termine. Ed il mio pensiero aleggia, per curiosa simmetria, in un luogo tanto sicuro, quanto indefinito. 

 

Sento il canto quasi segreto dei miei gatti. 

 

Apologia di uomini e donne soli. Nenia per le menti provate dall’inverno di una vita fredda anche in pieno agosto. Mentre la macchina della vita avanza, con i suoi pezzi raccolti nella fabbrica dei ricordi, in un tempo senza storia. Scricchiola, come le ossa dei nonni, geme per il dolore del lungo viaggio e soffia fauno sui nostri arti rattrappiti. Vagisce ad ogni dosso, che non c’è nulla come un ostacolo, per ricordarci quanto siamo piccini. 

 

Ed il canto del motore mi sembra la filastrocca che celano i gatti. Geroglifico in suoni monotoni, per archeologi sopiti ed indifferenti. 

 

Una lanterna si accende sopra le nostre teste. Siamo quasi a casa. Tre isolati ed una cortina di umidità scura ci separano dalle nostre luci colorate di festa. Quelle che sono sempre accese. Come una speranzosa attesa, come i nostri gatti. Penelope e Telemaco in un porto dalle verdi onde immobili.

 

Due scintille catturano le mie iridi, mi attraggono le piccole calamite dorate, costringendo il mio pigro collo a girarsi. 

Il gatto dei vicini, di guardia al cancello, fa strada nel paradiso aperto dalle molte chiavi. Svanisce nella coltre di foschia. 

 

Presto avrà dell’acqua e carne fresca. Mani lo lisceranno e bimbi giocheranno con la sua coda infastidita. 

E, io lo so, quando la stanza da letto si farà buia e la coperta reclamerà le carezze dei suoi artigli, lui comincerà il suo canto segreto, perché si sentirà al sicuro. 

 

Dedicato a quanti vogliono incontrare la ninfa della notte ed ascoltare la sua poesia misteriosa, sussurrata mentre siede al bordo del loro cuscino. 

 

La chiave mi avverte frettolosa che nulla più mi impedisce di mangiare un boccone caldo e sedere sul divano. 

E zampe seducenti mi comunicano che hanno camminato a lungo nella loro casa, vuota. 

E la speranza diventa certezza di un abbraccio. 

La nebbia è un candido pelo che ha l’odore dei cuccioli di mammifero. 

 

Finalmente, sento il mio personale canto segreto. Mi sembra più acuto di tutti gli altri. Come gorgoglio di acqua calda. Come il canto delle fate della sera. 

 

Sono a casa.

   
 
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