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Autore: Aki_Saiko    14/12/2016    1 recensioni
[What if? | Song-fic ispirata a Snow Halation delle μ's | Parte della serie: Music: Start]
Questa breve fic ha come base lo speciale natalizio di Miraculous, essendo una What,if? non è propriamente spoiler, ma se non volete anticipazioni di nessun tipo siete avvisati.
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Si arrestò per un attimo e alzò lo sguardo per ammirare quell’albero tanto più grande di lui, eppure, come tutto il resto, tanto impotente di fronte al suo Cataclisma. Pensò che gli sarebbe bastata una persona, una sola, per capovolgere completamente quella situazione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Music: Start'
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Avvertimenti: What if? Non voglio anticipare nulla, diciamo solo che Adrien, dopo la scena dell'albero di Natale, non incontra nessuna slitta. OOC: Adrien probabilmente lo è perché è triste af e non ritrova il suo solito buonumore in due nanosecondi, anzi.
Soundtrack: Snow Halation - μ's; QUI trovate il testo in inglese.
Note: GIURO NON E' QUELLA DI SILVAGUNNER-
Scherzi a parte: ci tenevo molto ad addobbare anche il mio account efp per Natale. Ho in mente questa cosa da circa una settimana, e lo speciale natalizio è stato la spinta definitiva. Anche se come al solito c'è morte e distruzione ovunque perché io non so scrivere cose senza sofferenza manco a Natale, e come al solito sono terribilmente logorroica e quindi quella che doveva essere una one shot è diventata una probabile short story di 2-3-4 capitoli. Grrr.
Sono quasi certa di riuscire a postare il secondo capitolo entro il 25/26, ma non credo di concluderla prima della fine dell'anno. In ogni caso, spero vi piaccia c:


 
Hurry up
Before I knew it, my true emotions grew too large to contain
It's painful to never do more than dream of it
I want you to be mine!
I don't want to be bewildered by your gentle eyes
Accept all my love for you as it is, Please!
 

Snow Halation

 
 
Il freddo pungente ed il tempo impervio avrebbero dovuto dissuaderlo dall’andarsene in giro saltando di tetto in tetto come se nulla fosse, ma la realtà era che quel clima così rigido, unito ai continui spostamenti, lo faceva sentire incredibilmente vivo. E leggero. Come se quella fosse una qualunque notte invernale passata in ronda a compiere il proprio dovere di eroe e non la notte della vigilia di Natale, il primo Natale della sua vita che trascorreva senza la madre.
Chat Noir ogni tanto sentiva il bisogno di fermarsi su qualche comignolo, quando il groppo che aveva in gola diventava troppo grosso o le lacrime gli offuscavano eccessivamente la vista e necessitava di spazzarle via con un gesto rapido della mano. In quei momenti si dava dell’idiota per essere scappato in quel modo dalla sua stanza, si diceva che come al solito aveva agito d’impulso e non era stato in grado di controllarsi. Ma poi scuoteva la testa e riprendeva il suo vagabondare, zittendo a forza quei pensieri con il senso di libertà che gli davano i suoi poteri: poteva andare ovunque, poteva distruggere qualunque cosa, se solo lo avesse voluto.
Per puro caso gli capitò di arrivare in una piazza di discrete dimensioni. Dalla sommità di una delle costruzioni attigue osservava in silenzio il maestoso abete addobbato con cura per le feste, mentre la neve si depositava fra i disordinati ciuffi biondi. Osservava anche quel luogo, ovviamente deserto, uno strato candido e intonso rivestiva il pavimento. Se non fosse stato completamente solo, probabilmente sarebbe stata anche una bella visione.
In quell’istante percepì, più forte che mai, il peso del dolore e della solitudine gravargli sul cuore, ed ebbe la certezza che non avrebbe più avuto forze sufficienti per ignorarlo e continuare il giro turistico.
Scese dal tetto e prese ad attraversare a piedi la piazza, e più camminava, più avvertiva le sue emozioni andare fuori controllo.
Aveva sempre amato il Natale, l’atmosfera natalizia, le cene interminabili, le montagne di regali, eppure ora comprendeva quanto in realtà quella notte in particolare non avesse nulla di diverso da tutte le altre. O forse era lui a desiderare che fosse così, per convincersi che non c’era bisogno di essere così malinconici e che poteva cercare di andare avanti, come aveva sempre fatto da quando sua madre era morta.
Ma era inutile mentire a sé stessi.
Si arrestò per un attimo e alzò lo sguardo per ammirare quell’albero tanto più grande di lui, eppure, come tutto il resto, tanto impotente di fronte al suo Cataclisma. Pensò che gli sarebbe bastata una persona, una sola, per capovolgere completamente quella situazione.
Ladybug, la sua collega, la meravigliosa ragazza di cui si era lentamente innamorato, come se giorno dopo giorno i suoi sentimenti per lei si fossero depositati l’uno sull’altro, in tanti strati, proprio come il bianco spessore di neve che rivestiva le pietre della strada sino a renderle invisibili. L’aveva sempre trovata una persona da ammirare, non poteva negare a sé stesso che vederla, per la prima volta, mesi addietro, liberare quella piccola farfalla viola dal suo yo-yo con tanta leggiadria avesse fatto scattare qualcosa dentro di lui. Un calore che con il tempo era cresciuto a dismisura, sino a diventare quasi incontenibile.
E quel loro bizzarro modo di interagire, fatto di supporto, collaborazione e lui che faceva il latin lover senza successo, lo lasciava sempre interdetto sul da farsi. Perché in fondo era consapevole del fatto che quel suo modo di approcciarsi fosse un semplice scherzo, una frecciatina, una maniera superficiale e forse un po’ ironica per dimostrarle quanto la amasse senza scoprirsi troppo. Tutte quelle banali e frivole attenzioni erano, alla fine, il compromesso migliore che era riuscito a trovare tra il reprimere completamente i suoi sentimenti e il lasciarli liberi, con il rischio di rovinare per sempre il loro rapporto. Se avesse fatto sul serio, se avesse messo da parte per un attimo il suo lato allegro e amante dei giochetti di parole, la situazione sarebbe cambiata. Se in meglio o in peggio, non sapeva, ma la lotta contro Papillon veniva prima di ogni altra cosa – o almeno, a mente fredda sapeva che era così, perché poi nei fatti controllarsi tanto era ben più difficile.
Oh, cosa avrebbe dato per avere Ladybug al suo fianco, in quel momento. Ma probabilmente lei era con la sua famiglia ora. Come tutti gli altri. Com’era giusto che fosse.
“No che non è giusto” pensò in un impeto di rabbia, mentre riprendeva a correre, con l’intento chiaro di scagliarsi contro l’abete addobbato.
«Cataclisma» invocò mentre, sempre correndo, sentiva la gelosia, la solitudine e la malinconia crescere sempre più forti in lui.
Allungò la mano, carica di energia distruttiva, sin quasi a toccare il primo ramo dell’albero.
“Che cazzo sto facendo?”
Si fermò di colpo, il palmo a pochi centimetri dagli aghi. Era forse impazzito?
Il senso di colpa per ciò che aveva quasi fatto lo fece allontanare alla svelta, il Cataclisma ancora attivo. Doveva trovare il modo di liberarsene, e quale bersaglio migliore di un cartellone pubblicitario con una sua gigantografia stampata a colori sgargianti?
Lo osservò sbriciolarsi sotto al suo tocco.
Si voltò e riprese a camminare, ma prima che potesse rendersene realmente conto si trovò in ginocchio sul pavimento innevato, il rimorso e la vergogna che lo attanagliavano. Con che coraggio osava definirsi un eroe?
«Plagg, de trasformami.»
Il piccolo Kwami uscì dall’anello e si accasciò a terra, stremato, infreddolito.
«Scusami Plagg, scusami scusami scusami, sono solo un idiota» disse il ragazzo, tremando dal freddo, con la voce rotta di pianto. Non aveva con sé null’altro che il maglione e i jeans di quando era fuggito, men che meno del camembert per il gattino.
Si guardò intorno, quasi sperando che la soluzione piovesse dal cielo. Cosa che più o meno avvenne: notò un pacchettino colorato di fianco a sé, quello che gli aveva consegnato la sua guardia del corpo, e si ricordò, nella concitazione del momento, di esserselo portato dietro.
Lo scartò in gran fretta e, sorpresa!, vi trovò all’interno un cappello natalizio rosso e bianco, probabilmente realizzato a mano. Era bellissimo.
Vi adagiò sopra Plagg, e solo in quel momento si accorse che al suo interno c’era anche un biglietto: recitava: “Buon Natale. Marinette”.
Gli si scaldò il cuore al pensiero che una persona, almeno una, quella sera, avesse pensato a lui. Voleva un gran bene a Marinette, ed era genuinamente grato che l’equivoco dopo il loro primo incontro si fosse risolto in breve tempo. Ammirava il suo modo di farsi carico dei problemi degli altri, il suo portare leggerezza ovunque con la sua sola presenza, e ovviamente i suoi croissant freschi di forno la mattina a lezione. Si sentii un po’ meno solo, e si ripromise di ringraziare a dovere la ragazza appena l’avesse rivista.
Un pochino più ottimista, riprese a camminare: verso dove, non sapeva. Era abbastanza sicuro che, ormai, la sua fuga fosse stata scoperta, e nonostante ciò non aveva la minima intenzione di tornare a casa: più ne stava lontano, meglio era, in realtà. Il problema fondamentale era che, a parte casa sua e il suo liceo, non aveva molti altri posti in cui potersi recare in situazioni del genere. Gli serviva un luogo dove potesse stare tranquillo per un po’, ragion per cui escluse la casa di Nino: se davvero suo padre lo stava cercando, l’amico sarebbe stato la primissima persona a cui avrebbe chiesto sue notizie. E Nino non era affatto un buon bugiardo, a differenza sua.
Urgeva trovare una soluzione: nevicava, Adrien era in giro da mezz’ora con solo un maglione addosso ed il suo Kwami non era messo meglio di lui. Lo massaggiò un pochino con la lana del cappello, per quanto poco fosse utile in quella situazione.
Un momento: il cappello.
Un pensiero lo folgorò. Se fosse stato abbastanza bravo e abbastanza fortunato da farsi vedere solo da Marinette, forse avrebbe potuto farla franca e inventarsi qualche scusa al suo rientro. Ed era anche l’occasione perfetta per ringraziare al meglio l’amica per il regalo.
«Plagg, non temere: si va a casa Dupain-Cheng.»
  
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