Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |      
Autore: ChiiCat92    20/12/2016    0 recensioni
"« Quindi diventerai un fratello maggiore. »
« ...sì...perché? »
Zack lo guardò, serio, le sopracciglia scure unite tra loro a dargli un'espressione seria.
« Essere fratelli maggiori è una cosa importante. È una grande responsabilità. Dovrai curarti di lui e stare attento che non si faccia male e dovrai anche insegnargli delle cose se sarà necessario. »
« A questo non avevo pensato... » borbottò Cloud. Ma poi scosse la testa. « Sarò il miglior fratello maggiore possibile. Tu mi aiuterai, Zack? » "
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Zack Fair
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

17/12/2016

 

Field of Innocence

 

Cloud era steso sul tappeto davanti al camino a godere del tepore delle fiamme scoppiettanti. Quasi ipnotizzato da quella danza, non riusciva a smettere di guardarlo. Il viso ormai gli era diventato rosso, e gli occhi cominciavano a bruciare.

Le lucette intermittenti dell'albero di natale illuminavano il soffitto a tratti di blu, di rosso, di verde e di giallo.

Dalla cucina, se si sforzava di distogliere l'attenzione dal fuoco nel camino, riusciva a sentire le voci dei suoi genitori che parlavano.

Doveva essere qualcosa di serio, perché da quando papà era rientrato non erano usciti di lì, non si era neanche tolto il giaccone. E nelle ultime settimane li aveva visti discutere così spesso. Loro credevano che non se ne fosse accorto.

Non era ancora caduta la prima neve, ma il cielo era grigio scuro da giorni. Sicuramente per Natale sarebbe stato tutto bianco, o almeno, era quello che Cloud sperava.

Non vedeva l'ora di tirare fuori lo slittino dal ripostiglio e correre alla collina per giocare insieme a Zack.

Vagamente intuì che i suoi genitori avevano finito di discutere, perché al loro chiacchiericcio di sottofondo si era sostituito un silenzio teso.

Cloud si tirò su a sedere, fissando la porta della cucina con le piccole, bionde sopracciglia corrugate.

Poi la porta si aprì, e quasi sobbalzò quando sua madre gli venne incontro sorridendo, tenendo a braccetto suo padre.

« Cloud, tesoro, possiamo parlare un attimo? »

Trillò la mamma. Sembrava particolarmente felice, e la cosa non fece che far preoccupare di più il bambino.

Si alzò, controvoglia. Non appena lasciò il cerchio di calda protezione del fuoco gli venne un brivido gelido. Avrebbe di gran lunga preferito rimanere sdraiato davanti al camino.

Si piazzò davanti ai suoi genitori con l'espressione di chi vuole fare in fretta, i biondi capelli spettinati dalla posizione che aveva assunto stando sdraiato sul tappeto. Sembravano un groviglio d'oro filato. Non che normalmente avessero una direzione e un ordine, ma ora apparivano più scompigliati che mai.

« Ti ricordi che cosa ci hai chiesto per Natale, Cloud? »

Esordì all'improvviso papà, un sorrisetto nascosto nella voce.

Il bambino sgranò gli occhioni blu-verdi. Il cuore cominciò a rombargli nel petto, e tutto d'un tratto non sentiva più freddo.

Allora era quello il problema? La sua letterina di Natale? Aveva fatto male a chiedere quello che aveva chiesto? Sarebbe stato punito?

Eppure i suoi genitori sorridevano.

Si sforzò di ricordare quando aveva dato loro la sua lettera. Forse era successo un mese prima, quando ancora le strade non erano addobbate e si stava appena cominciando a tirare fuori le luci e le stelle di Natale. Era stato previdente perché per il regalo che aveva chiesto sapeva che ci volesse molto tempo.

E non era forse da quando gli aveva dato la lettera che si comportavano in modo strano?

« Sì, certo che mi ricordo. » disse in risposta, con la vocina resa acuta dalla preoccupazione. « Mi avevate detto che potevo chiedere tutto quello che volevo! Non volevo fare niente di male... »

« Infatti non hai fatto nulla di male, tesoro. » la mamma gli passò una mano tra i capelli, cercando di dargli un verso o quanto meno toglierglieli da davanti gli occhi. « Il punto è...che ci abbiamo pensato. » continuò la mamma, sempre sorridendo. Cloud non la vedeva così felice da tanto tempo. « E tutto sommato non è una cosa così impossibile. »

A quel punto, Cloud spalancò la bocca per la sorpresa. Sapeva dove volevano andare a parare, e quasi non stava più nella pelle.

I genitori si scambiarono uno sguardo complice, poi la mamma continuò.

« Per Natale ti regaleremo il fratellino che hai chiesto. »

 

*

 

A Cloud era stato detto come nascono i bambini e da dove vengono. D'altronde aveva nove anni, era un bimbo grande. E gli era anche stato detto che la mamma non poteva avere più bambini, non perché non volesse, ma perché erano successe brutte cose nella sua pancia, e non poteva essere piantato più nessun semino.

Era successo quella volta, tanti anni prima, in cui aveva provato a dargli un fratellino. Cloud ci era rimasto un po' male, ma poi gli avevano comprato un pesce rosso e lui si era accontentato.

Da allora non aveva più chiesto un fratellino. La mamma sembrava turbata quando se ne parlava, spesso scoppiava a piangere, e litigava con papà più del dovuto.

Per fortuna era stato solo un periodo, e Cloud aveva presto riavuto la sua mamma sorridente e forte e piena di vita, tanto che aveva cominciato a pensare che forse...fosse il caso di chiedere nuovamente il fratellino.

E quale occasione migliore della letterina di Natale per chiederlo?

Certo, sapeva che la mamma non poteva più avere bambini, non nel modo in cui aveva avuto lui, ma ha detto che avrà un fratellino per Natale, e la mamma non era il tipo da raccontare bugie.

Passò la notte successiva a quella rivelazione quasi del tutto insonne, e nei pochi momenti in cui riuscì a dormire sognò il suo fratellino.

Sarà piccolo? Alto? Basso? Magro? Grosso? Con gli occhi scuri o chiari?

Quei pensieri l'avevano fatto dormire male, tanto che al mattino stentava a tenere gli occhi aperti.

Rimestava con il cucchiaio nella ciotola con i cereali mentre papà leggeva il giornale e la mamma finiva di cucinare.

« Cloud? » il piccolo alzò gli occhi, resi pesanti dal sonno, al richiamo della mamma. « Che hai, tesoro? Non hai fame? »

Lui scosse piano la testa esibendosi in un largo sbadiglio.

« Ho solo...dormito male. »

« Come mai? »

A quel punto poggiò il cucchiaio sul tavolo, le sopracciglia corrugate.

« Pensavo...al mio fratellino. »

Persino papà alzò gli occhi dal giornale per lanciargli un'occhiata mentre parlava.

« E cosa pensavi? » continuò la mamma, improvvisamente rigida. « Non lo vuoi più? »

« No no. » lui scosse la testa, con foga. « Lo voglio! Mi chiedevo solo...come sarà, e dove andrete a prenderlo. »

« Vedi Cloud. » l'uomo posò il giornale sul tavolo, gli occhi blu intenso fissi in quelli del figlio. « Esistono al mondo molti bambini sfortunati. Tu hai una casa, una famiglia, ma altri bambini no. E ci sono delle strutture che si occupano di accogliere questi bambini. Abbiamo cercato a lungo e ci siamo informati molto, e la tua letterina ci ha confermato che era arrivato il momento giusto. Adotteremo uno di questi bambini sfortunati, e diventerà il tuo fratellino. »

« Ah... » tornò a giochicchiare con il cucchiaio, immergendolo nel latte e facendo girare i cereali, ormai gonfi e molli. Bambini sfortunati, sapeva che ce n'erano, nei film ce n'erano parecchi, però era strano sapere che uno di loro sarebbe diventato suo fratello. « ...okay e io posso venire? »

« No piccolo, preferiamo che tu vada a stare da Zack per tutto il tempo che rimarremo fuori. Quando torneremo conoscerai il tuo fratellino e potrai giocare con lui. »

« Okay. » già solo l'idea di andare da Zack era un conforto. « E quando andrete? »

I genitori si scambiarono un sorriso, alla mamma brillavano gli occhi.

« Oggi. »

 

Se qualcuno glielo avesse chiesto, Cloud l'avrebbe ammesso senza troppi problemi: non stava prestando attenzione a quello che Zack stava dicendo o facendo.

Aveva cominciato a parlare un'ora prima e lui non aveva sentito una sola parola.

Zack era un anno più grande di lui, con birbanti occhi azzurri e una zazzera di capelli neri. Più alto di Cloud e più responsabile era sempre quello a cui i grandi si rivolgevano quand'erano insieme, come se il piccolo biondo fosse troppo stupido per capire.

Non che gli desse fastidio, a volte era frustrante, a volte era piacevole, andava così.

Zack aveva pochi giocattoli ma tanta fantasia, e la sua casa era di fronte quella di Cloud.

Era il suo migliore amico, e non l'avrebbe scambiato con niente al mondo.

Beh...forse con un fratellino...

« Cloooud! »

Il suo tono di voce lamentoso lo costrinse a voltarsi a guardarlo. Era stato con gli occhi alla finestra per tutto il tempo, aspettando di vedere tornare la macchina dei suoi.

Mai come adesso desiderò poter essere a scuola, almeno avrebbe avuto qualcosa da fare e sarebbe stato altrove, con la mente e con il corpo.

Per la prima volta nella sua vita maledisse le vacanze di Natale.

« Scusa. » sospirò, costringendosi a staccarsi dalla finestra. « Che dicevi? »

« Non hai sentito una sola parola, eh? » sembrava un rimprovero, ma gli occhi di Zack sorridevano. Non era in grado di sgridare nessuno. « Cos'hai? Sei strano. »

« Scusa. » ribadì, non sapendo bene che cosa dire. Andò a sedersi sul letto e lasciò dondolare le gambe, lo sguardo perso in alto. Lui e Zack avevano passato una giornata intera a incollare le stelline fosforescenti sul soffitto. Alcune si erano staccate, vittime della forza di gravità, ma la maggior parte era ancora lì. « È che oggi i miei vanno a prendermi un fratellino. »

« Prenderti un fratellino? » Zack si alzò da terra, dove stava mettendo insieme i pezzi di un robot giocattolo, e si andò a sedere accanto a lui. « Lo sai ormai come si fanno i bambini, no? »

Lo sguardo che Cloud gli indirizzò sottintendeva un “mi hai preso per scemo?”.

« Lo so. » ci tenne però a ribadire. « Non lo fanno loro infatti, ne vanno a prendere uno già fatto. »

« Ah, tipo in un orfanotrofio. »

Il biondino piegò di lato la testa per un attimo, pio annuì.

« Sì, tipo. »

« E vanno a prendertelo proprio oggi? »

« Sì. » si lasciò cadere sul letto, le braccia aperte, gli occhi sempre fissi sulle stelle. « L'ho chiesto come regalo di Natale. »

« Io ho chiesto Final Fantasy XV per la play station. »

Zack lo imitò e si sdraiò come lui. Avevano cercato di ricreare le costellazioni che avevano visto su internet con le stelline di plastica, e l'unica che riusciva nell'intento era l'Orsa Maggiore. Forse dipendeva dal fatto che fosse una delle costellazioni più famose.

« Se te lo regalano mi ci fai giocare? »

« Certo, ma solo se mi fai giocare con il tuo nuovo fratellino. »

Cloud storse il naso.

« Non è un giocattolo. »

« Però l'hai chiesto come regalo di Natale, di solito si chiedono giocattoli, no? »

« Non avevi chiesto “la pace nel mondo” una volta? »

« Sì, ma quello serviva solo per prendere in giro i miei, sotto avevo messo un p.s. »

« E che ti hanno regalato alla fine? »

« Un elicottero radiocomandato. »

« Forte. »

Per un attimo scese il silenzio. Entrambi erano immobili a fissare il soffitto, immersi nei loro pensieri.

« Dove dormirà? »

Chiese poi Zack, rompendo il silenzio. Cloud aveva cominciato a tracciare linee immaginare tra le stelle creando nuove e personalissime costellazioni.

« Nella stanza degli ospiti. Mamma ha detto che piano piano l'arrederemo per lui. Tanto, le cose essenziali ci sono, il letto, la scrivania, l'armadio, cose così. »

« Sei sicuro che sarà un maschio? »

A quel punto Cloud volse la testa verso di lui. Scelse di ignorare il battito cardiaco appena accelerato e la sottile ansia che cominciava a pungergli lo stomaco.

« Hanno parlato di fratellino e io ho chiesto un fratellino. I fratellini sono maschi, no? »

« E se avessero finito i fratelli maschi all'orfanotrofio? E i tuoi non volessero deluderti e ti prendessero un fratello femmina? »

Entrambi si espressero con una smorfia schifata.

« Io non voglio un fratello femmina. Voglio un fratello maschio. » però, ormai, l'idea che all'orfanotrofio potessero aver finito i fratelli maschi gli aveva fatto venire i brividi. « Loro lo sanno, lo sanno, e non prenderanno una femmina. Sicuro. »

« Certo, sicuro. »

Nella mente dei due bambini si delinearono le immagini di una vita in compagnia di un “fratello femmina”. Già mal sopportavano le compagnette a scuola, o le femmine in generale – anche se la mamma faceva un'eccezione –, e dover condividere la casa, la stanza, o persino i giocattoli con una femmina li faceva inorridire.

« Sarà più piccolo di te? »

« Penso di sì. Sono stato chiaro nella lettera. »

« Quindi diventerai un fratello maggiore. »

« ...sì...perché? »

Zack lo guardò, serio, le sopracciglia scure unite tra loro a dargli un'espressione seria.

« Essere fratelli maggiori è una cosa importante. È una grande responsabilità. Dovrai curarti di lui e stare attento che non si faccia male e dovrai anche insegnargli delle cose se sarà necessario. »

« A questo non avevo pensato... » borbottò Cloud. Ma poi scosse la testa. « Sarò il miglior fratello maggiore possibile. Tu mi aiuterai, Zack? »

« Sempre. » il moretto gli rivolse un sorriso gentile. I suoi occhi azzurri brillavano quando sorrideva così. « Sempre al tuo fianco Cloud! »

Cloud stava per dirgli qualcosa quando sentì il familiare rombare del motore della macchina di papà.

Saltò in piedi e corse alla finestra. Quasi squittì per l'emozione.

Sono loro! Sono tornati!”

Bastò uno sguardo e Zack annuì, così Cloud poté correre fuori dalla stanza, e giù per le scale.

« GRAZIESIGNORAFAIRSONOTORNATIIMIEICIVEDIAMO! »

Urlò tutto d'un fiato alla madre di Zack, seduta a lavorare al computer. Non riuscì a dirle niente, perché il bambino, trasformato in un bolide biondo, era già uscito.

Attraversò il vialetto della casa dell'amico correndo più che poteva, ma prima di attraversare la strada guardò a destra e a sinistra – come gli avevano insegnato – per poi lanciarsi in corsa verso la macchina.

« PAPAAAAAAAAAAA'! »

L'uomo si voltò appena in tempo, e fu abbastanza veloce a reagire per non rimanere travolto dal figlio, così entusiasta da rimanere a stento fermo.

« L'avete preso? Avete preso il mio fratellino? È un maschio? Quanti anni ha? »

« Cloud, calmati. » probabilmente aveva sciorinato quelle domande ad una velocità a stento comprensibile. « Perché non vai a vedere tu stesso? »

Il bambino volse la testa di scatto. La mamma stava facendo scendere qualcuno dalla macchina.

Sovreccitato, Cloud sciolse l'abbraccio con il papà e fece il giro per andare a vedere chi fosse. Come fosse. Quanto alto fosse. Se fosse maschio.

« Oh tesoro! Appena in tempo! Guarda un po' chi c'è qui. » chi chi chi?! Lo sguardo di Cloud si poggiò sul bambino che aveva davanti, e il suo entusiasmo si sgonfiò in un istante. Quello che aveva davanti era il più minuscolo dei bambini. Era magro come un giunco e a stento gli arrivava al petto. Sembrava in procinto di spezzarsi con la prossima brezza leggera. Il suo visetto pallido era nascosto in buona parte da un ciuffo di capelli argentei. Gli occhi verde acido, grandi e privi di espressione, erano contornati da folte ciglia nere, belli, ma freddi come ghiaccio. Non dimostrava più di quattro o cinque anni. E di certo non sembrava il tipo di fratellino con cui giocare e divertirsi. « Si chiama Kadaj, avanti, presentati. È il tuo fratellino! »

Cloud aggrottò le sopracciglia mentre il minuscolo bambino veniva spinto in avanti verso di lui, le gambe dritte piantate a terra di chi non vuole muoversi.

Certo, non era quello che si aspettava. Forse si era immaginato che fosse simile a Zack, o forse aveva passato così tanto tempo a pensare a come sarebbe potuto essere che alla fine era rimasto deluso.

« Ciao Kadaj. » provò quindi, abbozzando un sorriso. « Io sono Cloud...uhm...il tuo...fratello maggiore. » aveva detto così Zack, no? L'importanza di essere un fratello maggiore. « Benvenuto. »

Gli porse una manina, come facevano mamma e papà quando si presentavano agli altri adulti, ma il bambino non ricambiò. Lo guardò pigramente, con l'unico grande occhio non coperto dai capelli, poi si tirò indietro, verso la mamma.

Cloud cercò lo sguardo di lei, interrogativo. Aveva già sbagliato tutto senza sapere come?

« Beh...migliorerà con il tempo. » ridacchiò nervosamente la donna. « Adesso entriamo in casa, facciamogli vedere la sua stanza, vuoi? »

No, non voleva. Non così tanto almeno. Ma quale altra scelta aveva?

 

Kadaj si muoveva per casa come se il pavimento fosse in procinto di sgretolarsi sotto i suoi piedi. Sobbalzava ad ogni rumore, comune o meno, e si guardava intorno come un animaletto spaurito.

La mamma quasi lo trascinò verso la sua stanza, esattamente accanto a quella di Cloud, e papà si occupò di sistemare la sua valigia sulla sedia.

« Allora. » cominciò la mamma, abbozzando un sorriso. Si respirava un po' di tensione, tanto che Cloud era rimasto indietro, mezzo nascosto dallo stipite della porta. « Questa è la tua stanza, puoi sistemarti come preferisci, se non ti piace qualcosa basta dirlo, va bene? » però il bambino nuovo non disse nulla, si limitò a guardarla con quello strano sguardo disinteressato. « Bene...domani compreremo qualche altro vestito, per adesso puoi usare i vecchi vestiti di Cloud se i tuoi non fossero sufficienti e... »

Fece un cenno al marito che sparì per un attimo, per poi tornare con una scatola enorme infiocchettata e incartata con colori sgargianti.

Cloud inarcò le sopracciglia. Un regalo, un regalo per il bambino nuovo. Però mica l'avevano impacchettato per lui, visto che in teoria doveva essere un suo regalo.

Papà porse la scatola a Kadaj che li guardò come se non sapesse che cosa farne.

« Avanti, aprilo. È il nostro regalo di benvenuto. »

Lo incitò la mamma. Allora il piccolo, con quelle minuscole manine – che Cloud pensava fossero incapaci di scartare quell'enorme regalo – cominciò a strappare la carta e togliere i nastri. Nella scatola c'era un peluche, un enorme orsacchiotto morbido di cui il biondino fu subito invidioso. Che importava che a lui i peluche neanche piacessero.

Kadaj si esibì nella sua prima espressione, un'espressione di sorpresa. Sollevò le sopracciglia argentee e sgranò gli occhioni. Prima guardò l'uomo e la donna, come a chiedere il permesso, poi tolse l'orsetto dalla scatola e lo abbracciò forte. Era grande quasi quanto lui, ma questo non gli impedì di stringerselo al petto come fosse la sua unica ragione di vita.

« Siamo contenti che ti piaccia. » la mamma gli accarezzò i capelli, anche se lui sobbalzò e si strinse nelle spalle come se gli avesse dato uno schiaffo e non una carezza. « Cloud. » anche il biondino sobbalzò, per una serie di altre ragioni. Non si era mosso dal suo angolino, artigliato allo stipite della porta. « Perché non gli fai fare tu il giro della casa? Gli fai vedere la tua stanza, così cominciate a conoscervi. »

No.” avrebbe voluto dire alla mamma, ma invece annuì piano piano. Il papà, uscendo, gli scompigliò i capelli, e la mamma gli rivolse un sorriso gentile che suonava come un monito: adesso devi essere un bravo fratello maggiore.

Rimasti soli, Cloud si costrinse a lasciare il suo angolo e ad entrare nella stanza.

Kadaj abbracciava il suo orsetto come se fosse parte di sé da sempre. E invece erano entrambi nuovi in quella casa.

« Ahm... » non sapeva neanche come cominciare. E il bambino non sembrava di molte parole. « Quanti anni hai? » non rispose, alzò solo gli occhi verde acido su di lui. Gli fece venire i brividi per qualche ragione. « Okay...io ne ho nove. » magari dandogli un esempio avrebbe parlato anche lui. Ma niente, immobile come una piccola statua. « Vuoi venire a vedere la mia stanza? » ancora niente...almeno finché non annuì pianissimo, un movimento impercettibile.

Strambo.”

Cloud non si guardò indietro, sperando che il bambino lo stesse seguendo, e si infilò nella sua stanza.

Quando si voltò il piccolo, sempre con l'orsetto stretto tra le braccia, stava guardando tutto con gli occhi grandi.

Dimostrò interesse per i modellini Lego esposti sulle mensole, e ben troppo per la sfera di vetro con dentro Midgar che aveva sul comodino. Fece per allungare una mano per toccarla ma lui lo bloccò.

« Non toccare, okay. Quella si rompe, non è un giocattolo. » Kadaj ritrasse la mano come se si fosse scottato. Quegli occhioni giganteschi divennero subito lucidi, tanto che Cloud si sentì in colpa. « No, no, va tutto...va tutto bene! » ma ormai era troppo tardi, due lacrimoni scesero sul visetto smagrito del bambino. E Cloud andò nel panico. Non poteva permettere che al primo giorno del suo nuovo status di fratello maggiore già lo facesse piangere. La mamma si sarebbe arrabbiata, papà pure, e lui avrebbe dimostrato di non essere all'altezza del compito. « N-non...non piangere...ecco, puoi...puoi giocarci se vuoi. » nella speranza di placare il suo pianto, prese la sfera di neve e gliela porse.

Non capì se lo fece apposta o se semplicemente gli sfuggì di mano, fatto sta che la sfera di neve cadde a terra un secondo dopo essere stata nelle manine minuscole di Kadaj, e si infranse prima ancora che Cloud potesse dire o fare qualcosa.

Lo strillo di sorpresa che ne seguì fu abbastanza forte da far correre su per le scale il papà.

Kadaj era in lacrime, cosa che fece arrabbiare di più Cloud, tanto che cominciò ad urlare.

« Perché l'hai lasciata cadere! L'hai fatto apposta! »

E proprio quando stava per mettergli le mani addosso, il padre entrò nella stanza.

« Basta Cloud! »

Il biondino dovette incassare il colpo e inghiottire le urla, mentre il suo nuovo fratellino si aggrappava ad una gamba di suo padre e prendeva a singhiozzare in silenzio.

« Papà, l'ha fatto apposta! Ha fatto cadere la mia sfera di neve! »

« È stato un incidente. » lo stava sgridando, lo stava davvero sgridando. « Non l'ha fatto apposta. E comunque non hai motivo di urlare così. Lo stai spaventando. »

Anche se Cloud avrebbe giurato che non fosse poi così spaventato, visto che intravide un piccolo sorriso sulle sue labbra, cosa che gli fece sgranare gli occhi per la sorpresa. Ma non aveva prove, e senza prove non poteva accusarlo. Quindi abbassò la testa, mentre papà prendeva in braccio il bambino nuovo.

« Fai il bravo e pulisci questo disastro. »

« Sì papà... »

Mentre il padre usciva dalla stanza Cloud poté vedere chiaramente che Kadaj sorrideva, così ne ebbe la certezza: aveva rotto la sfera di vetro apposta.

 

Kadaj aveva preso il suo posto preferito davanti al camino, proprio sul tappeto, da dove poteva vedere bene le luci degli alberi di Natale, e da dove poteva godere del tepore delle fiamme senza rischiare che le scintille gli bruciassero i vestiti.

Ovviamente, la mamma aveva detto che Kadaj poteva sedersi dove preferiva, quindi Cloud, imbronciato, dovette sedersi sul divano. E non era la stessa cosa.

Ma a quanto pareva doveva imparare ad andare d'accordo con il nuovo bambino, e comportarsi come un bravo fratello maggiore, il che voleva dire che doveva lasciargli fare tutto quello che voleva.

Il profumo del pranzo cominciava ad espandersi in tutta casa. La mamma si era impegnata così tanto per preparare tutte le sue specialità...l'ultima volta che l'aveva fatto era stato per il suo compleanno, quindi Cloud si chiese se per caso quel giorno non fosse da considerarsi come il compleanno di Kadaj.

Kadaj che se ne stava sdraiato nel suo posticino preferito, accanto al suo orsetto, con cui sembrava stare parlando sottovoce.

Aveva una deliziosa piccola e sottile vocina, ma non si riusciva a capire che cosa stesse dicendo.

Papà gironzolava in cucina per aiutare la mamma, e in salotto erano soli.

D'altronde Kadaj era il suo regalo di Natale, no? Perché non avrebbe dovuto sfruttarlo?

Si andò a sedere accanto a lui, che smise subito di borbottare e alzò gli occhi.

« Ciao. » non era il massimo con le conversazioni, e tra l'altro era ancora arrabbiato con lui per la storia della sfera di vetro. « Mi dispiace di...averti urlato contro. » in realtà no, perché se lo meritava, però stava davvero cercando di fare il bravo fratello maggiore. Gli occhi verde acido di Kadaj brillarono per un attimo, poi si tirò su a sedere. « Ero arrabbiato, quella sfera di neve me l'aveva regalata mamma. Però non fa niente che si è rotta. » “Che l'hai rotta.” « Io voglio essere tuo amico. Ricominciamo? »

Il piccolo sembrò soppesare a lungo quelle parole, poi, lentamente, annuì. Cloud riuscì a fare un piccolo sorriso. Magari era questo che voleva dire essere un fratello maggiore, riuscire a non rimanere arrabbiato anche davanti ad un'ingiustizia e ricominciare come se niente fosse successo.

Magari sarebbe andato d'accordo con quel bambino strambo.

« Con chi stavi parlando? »

Per un attimo gli occhi di Kadaj si accesero di paura, ma quel sentimento sparì alla stessa velocità con cui era comparso.

« Con i miei fratelli. »

Adesso che aveva modo di sentire ben bene la sua vocetta sì, era davvero deliziosa.

Cloud aggrottò le sopracciglia.

« ...i tuoi fratelli...? »

Kadaj annuì e strinse forte il suo orsacchiotto.

« Non andrai a dirlo a... »

E il suo sguardo si mosse verso la cucina da cui provenivano rumori di piatti, pentole e acqua in ebollizione.

« No, no certo. » strambo. Quel bambino era davvero strambo. « Chi sono i tuoi fratelli? »

Però lui non rispose, e la mamma li chiamò a tavola.

 

« Allora? Come sta andando? »

Zack, mentre parlava, infilò un cappellino al pupazzo di neve che aveva costruito.

Aveva cominciato a nevicare il pomeriggio prima e non aveva più smesso, tanto che erano dovuti rimanere chiusi in casa in attesa che il tempo migliorasse. Solo quella mattina il sole aveva bucato le nuvole e aveva illuminato il paesaggio imbiancato.

Ovviamente Cloud si era infilato giacca a vento, scarponi, sciarpa e cappello ed era corso subito da Zack, non aveva neanche finito di fare colazione. Sulle urla della mamma che gli ricordava di prendere i guanti si era sbattuto la porta d'ingresso alle spalle.

Non gli era importato di cosa facesse o volesse fare Kadaj.

Zack era il migliore a costruire pupazzi di neve, sapeva farli anche a quattro piani, ma la neve era ancora fresca e non reggeva, per cui quello che aveva fatto ne aveva solo due.

Cloud staccò due ramoscelli da un cespuglio e li usò per fare le braccia rachitiche del pupazzo.

« Intendi...con il fratellino? »

« Beh, ovvio. » ridacchiò Zack. Fece un passo indietro e osservò il loro capolavoro. Non perfetto, ma aveva un bel sorriso di sassolini, un'espressione simpatica. « Ieri non ti ho sentito né visto tutto il giorno. »

« Ero impegnato. » borbottò Cloud. Dal giardino di Zack aveva una visuale perfetta di casa sua. Ogni tanto, nervosamente, si voltava a controllare che fosse tutto dove l'aveva lasciato. « Fare il fratello maggiore è più difficile di quanto pensassi. »

« Perché non l'hai fatto venire a giocare con noi? Voglio conoscerlo! È un maschio alla fine, no? »

Il biondino storse il naso e abbassò lo sguardo. Diede un calcio ad un cumuletto di neve, come se stesse evitando di rispondere a quelle domande. Poi sospirò.

« Zack...tu sai che non ti direi mai una bugia. »

« Certo, perché siamo migliori amici per sempre, e i migliori amici non si dicono bugie. »

Cloud annuì, contento di sentirglielo dire. Era quello di cui aveva bisogno.

« Ieri...ieri Kadaj ha rotto la mia sfera di neve preferita. »

« Quella con dentro Midgar? »

« Quella. » Zack sgranò gli occhi per la sorpresa. « Gli stavo facendo vedere la mia stanza e lui l'ha puntata subito. Però gli ho detto che non era un giocattolo e che non poteva giocarci...e ha cominciato a piangere...non volevo che piangesse, quindi gliel'ho fatta prendere in mano. E lui l'ha buttata a terra! »

« Ne sei sicuro? Non può essergli solo caduta? »

« No, ne sono sicuro. Quando poi è venuto papà l'ho visto sorridere. L'ha fatto apposta, e io mi sono beccato una sgridata. A parte che adesso non ho più la sfera... »

Rimasero in silenzio per un po', senza guardarsi. Zack rifiniva il pupazzo di neve, aggiungendo dettagli come bottoni di foglie.

Poi il moretto scosse la testa.

« Beh...se l'ha fatto apposta è stato cattivo, ma puoi dargli il beneficio del dubbio. »

« Infatti, è quello che ho fatto! » anche se la sua vocetta vibrava di rabbia. Il suo migliore amico stava dalla parte di quel bambino nuovo, senza neanche conoscerlo! « Poi si è messo al mio posto davanti al camino. Non ha detto una parola tutto il giorno, però si è messo a parlare da solo con l'orso gigante che gli hanno regalato mamma e papà. »

« Aspetta...i tuoi gli hanno regalato un orso gigante? » Cloud annuì, amaramente. « E gli parlava? » il biondo annuì di nuovo. « Anche noi parlavamo ai nostri pupazzi quando eravamo piccoli. Quanti anni ha? »

« Non lo so, ma non è questo il punto. Che parlasse con l'orso mi andrebbe anche bene, ma quando gli ho chiesto con chi parlava mi ha detto “con i miei fratelli”, e mi ha chiesto di non dire niente a mamma e papà. »

Zack aggrottò le sopracciglia scure e sollevò lo sguardo su Cloud. Entrambi pensavano la stessa, identica cosa, per questo mormorarono all'unisono un: “strano”.

Quando Cloud si voltò nuovamente verso casa, il suo sguardo fu catturato dalla finestra al secondo piano, quella della stanza di Kadaj, e quasi gli si fermò il cuore: il bambino nuovo li fissava da dietro il vetro. Fece per dirlo a Zack, ma quando si volse per dirglielo, lui era scomparso.

Gli vennero i brividi, e dubitò che si trattasse della neve entrata nella maniche della giacca.

« Facciamo così. » disse all'improvviso Zack. « Dopo pranzo vengo a giocare da voi. Porto un puzzle. Ci mettiamo sul tavolo grande del salone. Facciamo partecipare anche lui e vediamo se riusciamo a farlo parlare un pochino, che ne dici? »

« Dico che sei il migliore, Zack. » di slancio, si gettò ad abbracciarlo, anche se tra le giacche pesanti, i guanti e le sciarpe non riuscì a stringerlo come si deve. « Sono contento di avere un amico come te. »

« Lo so, lo so. » ridacchiò il moro. « Adesso però torna a casa. Ci vediamo più tardi, okay? »

« Okay. »

Con il cuore più leggero Cloud si diresse verso casa.

La neve scricchiolava sotto gli stivaletti, il freddo pungente gli faceva pizzicare la pelle del viso.

Non c'era nessuno per strada, erano tutti intenti a riscaldarsi davanti ai camini, sorseggiando cioccolata calda e godendosi l'aria delle feste.

Mancavano pochi giorni a Natale e luci intermittenti, renne colorate, Babbi Natale improvvisati decoravano il quartiere, illuminandolo a giorno.

Lo spicchio di sole che aveva consentito ai bambini di giocare in giardino stava lentamente sparendo dietro una coltre di nubi. Avrebbe ricominciato a nevicare presto.

Il vialetto d'ingresso era già ingombro, infatti papà vi stava gettando sopra secchi d'acqua calda, per evitare che gelasse.

« Cloud. » lo chiamò mentre passava a testa bassa nella speranza di non essere notato. Una speranza vana. Si avvicinò con l'espressione più ingenua e pura che poté tirare fuori e mormorò un “sì papà?”. « Come mai non sei uscito a giocare con Kadaj? »

Si aspettava quella domanda, eppure lo stomaco gli si contrasse dolorosamente.

« ...dovevo fare una cosa con Zack. » mentì, anche se la voce risultava un po' debole. « Sai, una cosa da migliori amici. »

« E ti sembra giusto aver lasciato il tuo fratellino da solo in casa tutta la mattina? »

Sì, gli sembrava giusto, soprattutto adesso che si stava beccando la seconda ramanzina in due giorni per colpa sua.

Ma abbassò la testa e chiese scusa.

Il papà gli poggiò una mano sulla spalla e gli rivolse un tiepido sorriso.

« È ancora molto spaesato, se non lo aiuti tu ad ambientarsi non può farlo nessuno. Né io né la mamma ti abbiamo fatto notare questa cosa stamattina quando sei uscito, perché pensavano che ci avresti pensato da solo. Non voglio sgridarti, ma ti chiedo solo di essere un po' comprensivo. Puoi farlo per me, Nuvoletta? »

« Papàààà. »

Si lamentò il bambino, le guance arrossate dall'imbarazzo. Non usava quel soprannome per rivolgersi a lui da quando aveva quattro anni, più o meno quando aveva capito che era il modo più imbarazzante di chiamarlo.

Il papà però ridacchiò e lo lasciò andare senza aggiungere altro.

Quando entrò Cloud si tolse gli stivaletti sulla soglia, per evitare di bagnare tutto con la neve rimasta sotto le suole. Sistemò la giacca sull'attaccapanni e cominciò ad ispezionare casa.

Papà aveva ragione, aveva lasciato Kadaj solo tutta la mattina. Chissà quante altre cose poteva aver rotto.

La mamma stava parlando al telefono. E parlava di Kadaj.

Non voleva origliare la conversazione, ma era difficile quando lei parlava a quel tono di voce così alto ed entusiasta.

Sembrava così felice di avere un altro bambino in casa, a stento Cloud la riconosceva.

Fece una smorfia e corse su per le scale.

La stanza di Kadaj era la prima porta di fronte alla rampa di scale, alla sua destra c'era quella di Cloud.

La porta era aperta e lì Kadaj non c'era.

Gli si strinse lo stomaco in una morsa mente il cuore prese a battergli fortissimo nelle tempie.

Se non era nella sua stanza e non era in salotto e non era in cucina...

Mantenne la calma, respirando piano.

La porta della sua stanza, invece, era socchiusa. Si avvicinò per sbirciare dentro e quasi dovette soffocare uno strillo.

Kadaj era steso a pancia in giù a terra in una marea di fogli. I colori buoni, quelli che teneva per la scuola, erano rovesciati sul pavimento e lui li stava usando per disegnare.

Da quel poco che vedeva il suo orsetto era sdraiato accanto a lui, con il muso chino su un foglio, un pastello lasciato vicino alla zampa, in un'imitazione di quello che stava facendo.

Dovette trattenersi dall'aprire la porta con foga, anche se sentiva la rabbia bruciare dentro.

Un po' comprensivo, doveva essere un po' comprensivo.

L'aveva lasciato tutto il giorno da solo in casa mentre lui giocava con il suo amico. Non aveva giocattoli se non l'orso di peluche. Era ovvio che sarebbe andato a giocare nella sua stanza, no? Perché lui sì che ne aveva di giocattoli.

Entrò piano piano nella stanza. Kadaj non alzò gli occhi neanche per un attimo.

Mormorava tra sé e sé, annuendo di tanto in tanto, scuotendo la testa, o zittendo la persona immaginaria con cui stava parlando.

Quando si accorse della presenza di Cloud, si limitò a guardarlo con quei liquidi occhi verdi, per poi tornare al suo disegno. Il biondino lo sentì chiaramente ridacchiare.

Fosse stata solo per la confusione di fogli sul pavimento Cloud l'avrebbe perdonato, ma Kadaj era riuscito a mettere a soqquadro tutta la sua stanza.

La scrivania sembrava esplosa, probabilmente coinvolta nella ricerca interessata di colori, fogli, gomme e matite per mettersi a disegnare. Il letto era sfatto, di sicuro ci aveva saltato sopra. Alcuni dei suoi modellini Lego erano stati tolti dalle mensole – le mensole più basse, raggiungibili dal letto anche per un coso minuscolo come Kadaj –, erano stati smontati e rimessi al loro posto con una forma tutta nuova, come se Cloud fosse stato troppo stupido per accorgersi della differenza.

Per di più, Kadaj indossava i suoi vestiti. Il suo maglione con il Chocobo ricamato sopra. Sì, era troppo piccolo per lui e aveva smesso di indossarlo almeno due anni prima. Ma era suo.

Già immaginava la voce nella mamma nella sua testa.

Se fossi rimasto con lui avresti potuto evitare che ti mettesse in disordine la stanza. E avresti potuto decidere tu che vestiti dargli o meno.”

Un mugolio disperato gli nacque in gola. Ormai era tardi, e sperava tanto che la mamma non avesse visto tutta quella confusione, o l'avrebbero sgridato per la terza volta.

« ...ehm... » provò, senza sapere bene cosa dire. « ...che...che stai facendo? »

« Disegno. »

Fu la candida risposta di Kadaj, così candida che Cloud si sentì idiota. Sembrava sottintendere “non è ovvio?”.

Comprensivo. Doveva essere comprensivo.

Si sedette accanto a lui e prese un foglio dal mucchio.

I soggetti erano sempre gli stessi. Al centro c'era Kadaj e ai suoi lati c'erano altri due bambini. Gli assomigliavano, per certi versi. Avevano tutti e due gli stessi occhi verdi e gli stessi capelli argentei.

« Questi...sono i tuoi fratelli? » evidentemente attirò l'attenzione del bambino, perché alzò la testa dal foglio e lo guardò a lungo prima di rispondere un “sì” sottovoce. « E...come si chiamano? »

Magari stava facendo breccia dentro di lui, o magari no. Lo sguardo di Kadaj era così impenetrabile e incomprensibile da confonderlo.

Il piccolo indicò la figura più alta. « Quello è Loz. » poi passò all'altra, con i capelli più lunghi. « E quello è Yazoo. »

« Oh. » era la conversazione più lunga che aveva avuto con lui da quando era arrivato. La considerò una vittoria. « E dove sono adesso? » Kadaj si strinse nelle spalle e tornò a disegnare. Era l'ennesimo disegno di sé con i “fratelli”. « Sono rimasti...sono rimasti nel posto dove ti hanno preso mamma e papà? » di nuovo, lui si strinse nelle spalle. A Cloud sembrava di aver fatto un passo indietro e alzò gli occhi al cielo con un sospiro. « Ti piace...ti piace la mia stanza? » ecco, Kadaj lo guardò nuovamente e annuì. « È perché non hai giocattoli nella tua che sei venuto a giocare qui, vero? » di nuovo, Kadaj annuì. Si stava avvicinando. « Mi...dispiace di averti lasciato solo... » piegò di lato la testa e lo guardò. Sembrava non aver mai ricevuto delle scuse, e stava valutando come reagire. « Non so ancora come si fa il fratello maggiore, ecco. Però...oggi pomeriggio verrà a giocare con noi il mio migliore amico, così te lo presento, che ne dici? »

Kadaj sorrise, un sorriso così dolce e adorabile che Cloud sentì il cuore perdere un battito.

« Vuoi disegnare con me? »

« Sì, certo. »

Si sdraiò a pancia in giù mentre Kadaj gli porgeva un foglio bianco. Poteva sentire il calore del suo corpicino e scorgere il suo sguardo attento mentre tracciava le linee a matita prima di colorare le figure.

Era strambo, ma la sua compagnia non era poi così male.

 

La mamma non si era arrabbiata per il disordine nella stanza, anzi, quando aveva trovato Cloud e Kadaj sdraiati a terra a disegnare aveva sorriso e gli aveva portato biscotti al cioccolato e latte caldo.

Poco prima di pranzo aveva ricominciato a nevicare, e la cosa era peggiorata a tal punto che Zack aveva chiamato, dispiaciuto: la mamma con un tempo così non lo faceva uscire. E sì, era assurdo, visto che dalle finestre potevano vedersi a vicenda, nonostante la coltre di neve e il vento gelido.

Avrebbe dovuto soltanto attraversare la strada, ma la mamma aveva detto no.

Cloud aveva sospirato e si era arreso all'inevitabile.

Kadaj non si era staccato da lui per tutto il tempo, era diventato come la sua ombra silenziosa, e aveva ascoltato la chiamata con aria interrogativa.

La mamma aveva provato a convincere quella di Zack, dicendole che poteva andare a prendere lei il bambino così che non dovesse attraversare la strada con quel tempaccio tutto da solo, ma era stata categorica a tal punto che la donna si era chiesta, borbottando, quale fosse il problema. Era questione solo di attraversare la strada!

Il pranzo aveva un po' attutito la delusione, anche se Cloud avrebbe di gran lunga preferito avere il supporto di Zack, e il tortino di cioccolato caldo l'aveva quasi reso felice. Quasi.

Perché adesso gli toccava passare tutto il resto della giornata da solo con Kadaj.

Zack era quello dalla fantasia più vivida, in grado di creare dei giochi meravigliosi solo con la sua immaginazione. Cloud era bravo ad eseguire gli ordini, come un soldato, e nulla di più.

Ma Kadaj lo guardava con quegli occhioni spalancati, pieni di aspettativa...doveva pur inventarsi qualcosa.

« Che...che ne dici di giocare a nascondino? »

Propose quindi, mentre erano davanti al camino.

« Come si gioca? »
Chiese lui, le sopracciglia argentee corrugate e le braccine strette intorno al suo orsacchiotto.

« Non hai mai giocato a nascondino? » il piccolo scosse la testa. « Mai mai mai? » la sua espressione perplessa parlava da sola. Cloud sospirò. Doveva insegnare veramente tutto a quel nuovo fratellino, aveva ragione Zack. « Allora, io conto fino a dieci e tu, mente conto, ti nascondi da qualche parte. Lo scopo del gioco è rimanere in silenzio e non farsi trovare. Se ti trovo, corro nel punto dove ho contato e urlo “Tana per Kadaj!”, e vuol dire che hai perso, ma se ci arrivi prima tu e urli “Tana per me!” hai vinto. Capito? »

Kadaj annuì, forte, e sembrava tutto emozionato.

« Gioca anche Bahamut. » mostrò il peluche a Cloud. Era così che l'aveva chiamato? Che nome strano per un orsacchiotto di peluche. « E i miei fratelli anche. »

« ...ahm...okay, allora facciamo giocare anche loro. »

Anche se Cloud si chiese come avrebbe potuto far partecipare qualcuno che non c'era, ma Kadaj ne sembrava così eccitato che lasciò correre.

Era solo un bambino, no? Poteva farlo vivere nelle sue fantasie. Prima o poi sarebbe cresciuto, come lui, e allora avrebbe scoperto che non c'era spazio per quel genere di cose nel mondo degli adulti.

Lui aveva dovuto dire addio al suo amico immaginario due anni prima, e alle volte ne soffriva ancora la mancanza.

Certo, non era proprio sicuro che i fratelli di Kadaj fossero immaginari, magari erano davvero rimasti nel posto da dove veniva. Quindi per quanto ne sapesse potevano esistere, non erano da considerarsi proprio amici immaginari.

« Okay, comincio a contare, tu vai a nasconderti! »

Cloud nascose il visetto tra le mani mentre Kadaj saltò in piedi con l'orsetto tra le braccia, squittendo tutto eccitato.

Il biondino lo sentì correre, poi i suoi passetti vennero coperti dal suo contare ad alta voce.

Quando finì, la casa era silenziosa.

Il vento sbatteva la neve contro i vetri con tanta forza che sembravano tremare. Il fuoco scoppiettava imperterrito. Mamma e papà stavano riposando nella loro stanza, con un po' di sforzo li si poteva sentire respirare e rigirarsi a letto.

Si guardò intorno per un attimo.

« Pronto o no sto venendo a cercarti! »

Disse ad alta voce, con le manine a coppa intorno alla bocca.

Ovviamente non ricevette risposta, e ne fu compiaciuto. Voleva dire che Kadaj aveva capito come si giocava.

Cominciò a vagare nel salotto cercando nei posti più scontati. Dietro le tende, niente, dietro l'albero di Natale, niente. Il piccolo Kadaj imparava in fretta.

Camminò lentamente verso la cucina, e sbirciò sotto il tavolo. Ma niente, non era neanche lì.

Un rumore attirò la sua attenzione, si volse subito ma ormai era tardi.

Corse verso il camino, che era la tana, ma Kadaj arrivò prima di lui.

« Tana per Yazoo! »

Urlò, il visetto arrossato per la corsa e i capelli arruffati.

« Oh Kadaj. » sbottò Cloud tornando in salotto. « Non devi fare tana per gli altri, conta solo se lo fai per te. » il piccolo lo guardò, lasciando intendere che non avesse capito. « Uhm...deve...essere Yazoo a venire a dire “tana per me”, altrimenti non funziona. »

« È quello che ha fatto, non hai sentito? »

« No, io ho sentito dire te “tana per Yazoo”. » sbuffò. « Se non hai capito dimmelo che te lo spiego di nuovo. »

« Ho capito. Infatti Yazoo è venuto a fare tana per sé. »

« Okay allora. » Cloud toccò la parete di mattoni esterna del camino, calda per il fuoco acceso, ma piacevole al tatto. « Tana per Kadaj, sei eliminato perché ti ho visto. »

« Ma...non è giusto, io sono qui! »

« Sì, ma hai fatto tana per Yazoo, non per te. Quindi hai perso. »

« Non è vero, non ho perso! »

« Se la smetti di far giocare persone che non esistono magari vinci. »

Gli occhioni di Kadaj si riempirono di lacrime e il labbro inferiore prese a tremargli.

« Loro non sono persone che non esistono! »

« Ah sì? Dammi una prova allora. »

A quel punto Kadaj soffiò come un gatto, un piccolo gatto dal pelo grigio argento arruffato.

Cloud non ebbe il tempo di difendersi, perché successe tutto in un istante.

Riuscì solo ad urlare mentre il bambino gli si gettava addosso, mirando a graffiargli il volto. Strizzò gli occhi e indietreggiò, i piedi gli si impigliarono nel tappetto e cadde all'indietro, sbattendo il sedere sul pavimento. Intontito dal dolore poté solo chiamare la mamma, mentre le lacrime si facevano strada tra gli occhi serrati.

Non seppe quanto tempo dopo tirarono via Kadaj da sopra di lui, seppe solo che papà lo raccolse tra le braccia e lui affondò il viso nel sua spalla, tremando e singhiozzando scompostamente.

Non gli chiese che cos'era successo, non gli chiese nulla in realtà, lo portò nella sua stanza e si sdraiò a letto con lui, perché non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare, di perdere il suo calore. In più, aveva il terrore che Kadaj potesse saltargli di nuovo addosso.

Non voleva più avere a che fare con quel bambino strambo, mai più.

 

Cloud non scese in cucina per cena, e non ne volle neanche sapere se a Kadaj fosse stato permesso di prenderne parte o se fosse stato messo in punizione.

A dirla tutta non voleva sapere niente di niente.

Si era raggomitolato sotto le coperte quando papà era uscito dalla stanza e non si era mosso da quella posizione.

Il tempo era peggiorato a tal punto che fece buio presto, il vento soffiava violentemente e non si poteva vedere nulla fuori dalla finestra se non il bianco confuso della neve. Una vera e propria bufera.

I rumori della casa si attutirono fino a sparire, tanto che Cloud pensò che fosse arrivata l'ora di andare a dormire. Con quel buio era difficile leggere la sveglia sul comodino, e non voleva accendere la luce.

Aveva fame, ma l'idea di uscire da quella stanza gli faceva venire i brividi.

No, piuttosto avrebbe aspettato che fosse notte fonda per alzarsi e prendere qualcosa di veloce, magari dei biscotti.

Si accoccolò di più, tremando come una foglia. Non sentiva freddo, almeno, non il freddo che avrebbe dovuto sentire. Era più un freddo che veniva da dentro.

I graffi che Kadaj gli aveva fatto sul volto bruciavano e tiravano, non voleva neanche sapere che aspetto avesse, perché altrimenti avrebbe ricominciato a piangere, e non ne aveva l'intenzione.

Quando sentì la porta della sua stanza aprirsi sobbalzò tanto che persino la persona sulla soglia fece un salto.

« Tesoro...sono mamma. » la sua voce rassicurante sciolse la tensione, ma lui rimase comunque raggomitolato come un gattino. « Posso entrare? Ti ho portato qualcosa da mangiare. »

A quel punto due occhietti blu-verdi sbucarono da sotto le coperte e la mamma capì di potersi avvicinare. Però si preoccupò di chiudersi la porta alle spalle, cosa che fece sospirare di sollievo il bambino.

Il profumino della cena gli fece venire l'acquolina in bocca, tanto che riuscì persino a mettersi a sedere. Lo stomaco brontolava terribilmente.

« Piccolo mio... » la mamma si sedette sul letto, poggiò il vassoio sul comodino e accese la luce. « Come si sente il mio soldatino? »

« Mamma non voglio che Kadaj sia il mio fratellino. Riportarlo dove l'hai preso. »

Gli occhi della mamma erano come i suoi, lo stesso colore, lo stesso taglio, la stessa forma, e si sgranarono alla stessa maniera quando gli sentì dire quelle parole.

Batté rapidamente le ciglia e cercò di abbozzare un sorriso.

« Non possiamo riportarlo indietro Cloud, non è come...un giocattolo rotto. »

« Ma lui è rotto, mamma. » il bambino si aggrappò al suo braccio, il labbro inferiore tremava e sentiva di stare per mettersi a piangere. Che vergogna. Ma anche la mamma sembrava sull'orlo delle lacrime. Probabilmente dipendeva dal fatto che lei poteva vedere i graffi sul suo visetto. « Parla da solo, dice di avere dei fratelli e...mi ha colpito quando gli ho detto che non esistevano! Mi ha fatto male, mamma, mi ha fatto male! »

La mamma per un momento si limito ad accarezzargli la testolina bionda, lentamente, come per dare un ordine al disordine dei suoi capelli.

« Sai perché abbiamo scelto di prendere lui? » mormorò, cercando di essere forte, ma la voce le tremava appena. « Lui non ha mai avuto una famiglia che lo ama, l'hanno abbandonato quando era solo un neonato. Si è creato dei fratelli immaginari perché è sempre stato solo. E adesso dimmi: come ti sentiresti se venissi portato per la prima volta in una casa nuova, con persone nuove, senza la tua mamma e il tuo papà? »

Attese la risposta di Cloud, che tardò ad arrivare perché non voleva e non poteva credere che la mamma stesse difendendo quel bambino strambo.

Ma poi abbassò lo sguardo e sospirò.

« Mi sentirei...spaventato. »

« Bene, e come ti sentiresti se, oltre a quello, l'unico bambino della casa sparisse tutto il giorno lasciandolo solo e quando finalmente si fosse deciso a giocare con te dicesse che tutto quello in cui hai creduto fin adesso non esiste? »

Cloud tirò su col naso, non poté impedire alle lacrime di scendere sulle guance, anche se la mamma non glielo fece notare e gliele asciugò dolcemente.

« Mi...mi sentirei arrabbiato... »

« Ti ricordi quel gatto rimasto bloccato sull'albero in giardino quest'estate? » il bambino annuì. « Abbiamo provato ad aiutarlo ma era talmente spaventato che quando l'abbiamo tirato giù ha creduto che volessimo imprigionarlo da qualche altra parte e si arrabbiato e ha graffiato papà fino a farlo sanguinare. »

« Kadaj è come quel gatto? »

« No, ma è per farti capire come si sente. » gli accarezzò anche il visetto, cercando di evitare i graffi sulla pelle chiara. « Ha sbagliato, e cercheremo di farglielo capire, perché dal suo punto di vista...ha solo difeso quello che è suo. Ma puoi cercare di perdonarlo? »

« ...non potete proprio riportarlo dove l'avete preso? » sembrava quasi una supplica e la mamma scosse testa, dolcemente. « ...okay...allora...forse...forse posso cercare di perdonarlo... » anche se non sembrava entusiasta della casa.

La mamma si abbassò per dargli un bacio sulla fronte e gli sorrise.

« Sei davvero un bravo bambino. » poi si alzò. « Cerca di mangiare qualcosa, mh. Buonanotte tesoro. »

« Buonanotte mamma. »

Rimasto solo, Cloud prese dal vassoio il piatto con la pastina al formaggino e cominciò a mangiare pian piano, un calcolato cucchiaio dopo l'altro.

Sapeva che cosa doveva fare, e saperlo gli faceva venire meno voglia di farlo.

Non era giusto per niente. Se gli avessero detto che essere un fratello maggiore era così difficile non ci avrebbe neanche pensato, anzi, avrebbe chiesto anche lui Final Fantasy XV per la play station nella sua letterina, o forse no, visto che l'aveva chiesto Zack. Un gioco qualunque della play station sarebbe stato meglio di quello in ogni caso.

Al quarto cucchiaio non aveva più fame, e un sospiro gli sfuggì dalle piccole labbra. Poggiò il piatto sul vassoio e scese dal letto. Il pavimento era caldo, ma stare fuori dalle coperte gli fece venire un brivido lungo tutto il corpo.

Aprì poco poco la porta e sbirciò fuori. Il corridoio era buio, la porta della stanza di mamma e papà era chiusa, e tutto era silenzioso. A parte...a parte...

A parte quello che sembrava il singhiozzare scomposto di un bambino, una vocetta acuta soffocata dai cuscini.

Cloud sentì lo stomaco stringersi in una morsa e il cuore accelerare.

A piccoli passi andò verso la stanza di Kadaj e poggiò l'orecchio sulla porta. I singhiozzi erano più forti.

Si mordicchiò le labbra, indeciso.

Sarebbe stato facile tornare nella sua stanza e fare finta di non averlo sentito.

Ma era arrabbiato e spaventato...e così doveva esserlo Kadaj.

Non erano poi così diversi.

Quasi non si rese conto di aprire la porta della stanza e di essere entrato dentro chiudendosela alle spalle.

Kadaj si rannicchiò sotto le coperte così tanto che Cloud stentò a riconoscerlo. Era così piccolo. Minuscolo.

« Kadaj? »

Chiamò, anche se sottovoce. Il suo singhiozzare si interruppe per un attimo, come se stesse prendendo fiato, ma poi ricominciò, più forte che mai.

Sembrava inconsolabile.

L'istinto diceva a Cloud di non avvicinarsi, che era pericoloso, che non voleva finire come suo padre graffiato da quel gatto. Ma il cuore diceva diversamente.

Gli si fece vicino e provò a togliergli le coperte da sopra la testa. Non si mosse né fece resistenza, e quello che Cloud incontrò fu solo un bambino spaventato, rannicchiato con le gambe strette al petto, e con il viso rigato di lacrime.

« Kadaj...? »

Provò ancora.

« Vai via. »

Mormorò lui, tremante.

Nei suoi occhi Cloud poté leggere la paura.

« Possiamo parlar-...? »

Non riuscì a finire la frase, perché lui lo interruppe.

« Non farmi tornare lì. » adesso, oltre che negli occhi, la paura era chiara anche nella sua voce. « Ti prego...io...mi dispiace di averti fatto male...non...non volevo...ma non rimandarmi lì, ti prego...ti prego... »

Il resto delle sue parole si persero nei singhiozzi, singhiozzi disperati che lui cercò di reprimere contro il cuscino.

Cloud non provò rabbia o rancore nei suoi confronti. Come avrebbe potuto?

Kadaj era il suo fratellino.

« Fammi spazio. » il piccolo sollevò la testolina, perplesso, mormorando un “che?”. « Dai, fammi spazio, spostati. »

Non poté fare altro se non ritrarsi, così che Cloud potesse infilarsi sotto le coperte con lui.

E poi lo abbracciò.

Lì per lì Kadaj rimase rigido e freddo come un blocco di ghiaccio, poi prese a tremare, tanto forte che Cloud si chiese se non sarebbe andato in frantumi come la sua sfera di neve.

I singhiozzi crebbero di intensità prima di interrompersi e diventare un mugolio sommesso, mentre il biondino gli accarezzava la testa, dolcemente, come tante volte la mamma aveva fatto con lui. Con Kadaj non doveva averlo mai fatto nessuno.

Pensandoci era una cosa triste.

Lui aveva sempre dato per scontata la presenza della mamma e del papà, persino quella di Zack. Erano cose che c'erano sempre state, gli veniva difficile pensare che si potesse vivere in altro modo.

Certo, sapeva che ogni famiglia aveva le sue particolarità, come per esempio quella di Zack, che sveva perso il papà, ma ora viveva con qualcuno che chiamava “papà” comunque.

Però una famiglia ce l'avevano tutti, era una cosa che non cambiava.

Anche il piccolo bambino tra le sue braccia aveva una famiglia, ma a differenza di lui o di Zack, la famiglia aveva dovuto inventarsela.

Adesso capiva perché si era arrabbiato tanto quando aveva detto quelle cose.

I suoi fratelli erano tutto ciò che aveva.

« Lo so. » mormorò Cloud al suo orecchio. Erano così vicini che poteva sentirlo respirare, e poteva sentire il suo cuoricino battere all'impazzata. « Non sono un fratello bravo come Yazoo e Loz. Fin ora tu sei stato con loro e io non sono...alla loro altezza. Non sono mai stato un fratello maggiore, loro sì. Vuoi raccontarmi come si prendono cura di te? Così magari...posso imparare. »

Kadaj smise di tremare. Affondò la testolina nella sua spalla e rimase a lungo in quella posizione, tanto che Cloud pensò che si fosse addormentato.

Poi, con la sua vocina sottile, cominciò a parlare, e parlare e parlare.

Non fece altro per ore e ore, finché la lingua non divenne secca e i suoi occhi pesanti per la stanchezza, finché non crollò addormentato, abbracciato stretto a Cloud.

Kadaj era una grande responsabilità. Dovrà curarti di lui e stare attento che non si faccia male e dovrà anche insegnargli delle cose, proprio come gli avevo detto Zack.

Quello che non gli aveva detto, però, probabilmente perché non sapeva com'era essere un fratello maggiore, era che anche lui avrebbe avuto delle cose da insegnargli.

-------------------------------------------

The Corner 

Ammetto che dopo tanta sofferenza avevo bisogno di qualcosa di più...soft.
Non pensavo che sarebbe uscita questa storia, eppure eccola qua.
Non sto perdendo smalto, giuro.
Solo che ogni tanto mi piace lasciarmi andare a qualche dolcezza <3 
(Sì, sto guardando te Fan Numero 1).
Grazie anche al mio amore che mi ha ascoltata mentre buttavo giù la trama <3

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92